Accogliere Cristo nei rifugiati Presentazione Il Santo Padre Benedetto XVI ha affermato che l'amore supera ogni confine o distinzione: " La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Al contempo però la caritas-agape travalica le frontiere della Chiesa; la parabola del buon Samaritano rimane come criterio di misura, impone l'universalità dell'amore che si volge verso il bisognoso incontrato per caso " (Dce , n. 25 ). La Chiesa offre il suo amore e la sua assistenza a tutte le persone forzatamente sradicate senza distinzione di religione o di etnia, rispettando in ciascuna di esse l'inalienabile dignità della persona umana, creata a immagine di Dio, motivata dalla carità di Cristo e dal Suo insegnamento: " Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi " ( Mt 25,35-36 ). Per questa ragione l'impegno della Chiesa verso i migranti e i rifugiati può attribuirsi all'amore e alla compassione di Gesù, Buon Samaritano. Rispondendo al comandamento divino e prendendosi cura dei loro bisogni spirituali e pastorali, la Chiesa non solo promuove la dignità di ogni essere umano, ma proclama anche il Vangelo d'amore e di pace nelle situazioni di migrazione forzata. Papa Francesco, in tale contesto, ha invitato tutti ad accogliere la grazia della Risurrezione di Cristo: " lasciamo che la potenza del suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace ". Questo significa " mutare l'odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Sì, Cristo è la nostra pace e attraverso di Lui imploriamo pace per il mondo intero ( … ) perché cessi definitivamente ogni violenza, e, soprattutto per la ( … ) popolazione ferita dal conflitto e per i numerosi profughi, che attendono aiuto e consolazione ". Pace anche per coloro che sono " costretti a lasciare le proprie case e vivono ancora nella paura ( … ) perché si superino le divergenze e maturi un rinnovato spirito di riconciliazione. Pace a tutto il mondo, ( … ) ferito dall'egoismo che minaccia la vita umana e la famiglia, egoismo che continua la tratta di persone, la schiavitù più estesa in questo ventunesimo secolo. Pace a questa nostra Terra! Gesù risorto porti conforto a chi è vittima delle calamità naturali e ci renda custodi responsabili del creato ". ( Messaggio Pasquale del Santo Padre e Benedizione "Urbi et Orbi", del 31 marzo 2013 ) Nel mondo d'oggi, la migrazione è cambiata ed è destinata a crescere nei prossimi decenni. In passato era molto più facile distinguere la migrazione volontaria da quella forzata, coloro che partivano in cerca di un lavoro migliore o di formazione e coloro la cui vita era minacciata da persecuzioni. La situazione, però, nel corso degli anni si è fatta più complessa e, di conseguenza, la protezione garantita ai rifugiati si è estesa ad altri gruppi, quali, ad esempio, le persone che fuggono dalla guerra. In Africa e in America Latina, nonostante siano stati adottati concetti più ampi di rifugiato, non sono stati inclusi in questa categoria alcuni gruppi, come ad esempio quello di coloro che, pur avendo subito violazioni di diritti umani, non hanno mai abbandonato il loro Paese. Anche questi sfollati hanno bisogno di protezione. Eppure, soltanto dopo una più profonda comprensione della loro situazione e delle loro condizioni, sono stati inseriti in programmi appropriati. Nuove sfide si levano poi dalla tratta di esseri umani. Inoltre, è in corso un dibattito al fine di delegare alcune responsabilità ad agenzie che si occupano di politiche migratorie relative alle migrazioni indotte da fattori climatici e agli sfollati per calamità naturali. Queste persone, ovviamente, hanno bisogno della protezione della comunità internazionale. Gli obblighi di rispettare i diritti e i doveri derivanti da strumenti legali internazionali, con le loro norme, contribuiscono al mantenimento della dignità di coloro che fuggono, richiedenti asilo e rifugiati. Devono essere loro assicurati un regolare procedimento, un giusto processo e il godimento dei diritti fondamentali, affinché possano vivere una vita libera, dignitosa e autosufficiente, ed essere in grado di costruire il loro nuovo cammino in un'altra società. La persona umana è posta al centro dell'attenzione. Questo è in linea con la dottrina e l'attenzione della Chiesa cattolica in tema di dignità della persona umana. Già nel 1963 la Lettera Enciclica Pacem in Terris dichiarò: " Ogni essere umano ha il diritto all'esistenza , all'integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l'alimentazione, il vestiario, l'abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari " ( n. 6 ). Nel corso della storia, la Chiesa è stata vicina alle persone nella mobilità in molti modi diversi. Vari progetti e servizi hanno garantito assistenza diretta, fornendo a queste persone alloggio, cibo, cure mediche e programmi di riconciliazione, così come varie forme di advocacy. L'obiettivo che essa si pone con questi interventi è quello di offrire ai rifugiati, agli sfollati e alle vittime della tratta l'opportunità di raggiungere la propria dignità umana lavorando e assumendo i diritti e i doveri del Paese che li ospita, senza mai dimenticare di alimentare la propria vita spirituale. Questo documento è frutto, dunque, di ricerca teologica e pastorale, in base alla quale la Chiesa ha considerato la migrazione un campo missionario ove è necessario testimoniare la Buona Novella. Il compito della Chiesa è appunto quello di mostrare e proclamare in queste circostanze il significato dell'amore di Dio in Gesù Cristo per ogni persona, per restare fedele al suo ministero, alla sua vocazione a interpretare i segni dei tempi. Papa Benedetto XVI riassume questo quando dice: " La Chiesa non può trascurare il servizio della carità così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola " ( Deus caritas est, n. 22 ). Scopo di questo documento è orientare e stimolare una rinnovata consapevolezza circa le varie forme di migrazione forzata e le sfide che essa ci pone, come comunità, ad accogliere le persone che vi sono coinvolte, a mostrare loro compassione, a trattarle in modo equo; sono questi pochi e semplici i passi da compiere, idonei a offrire loro una speranza per il futuro. Occorre trovare soluzioni innovative tramite nuove e approfondite ricerche e difendere la dignità di quanti sono costretti ad abbandonare la propria casa. Ciò darà luogo a forme di rinnovamento che ci porteranno più vicino a Dio, ascoltando la sua voce nelle Sacre Scritture, nel Magistero della Chiesa e in ogni essere umano creato " a immagine e somiglianza di Dio " ( Gen 1,26 ). Possa questo aprire i nostri occhi per scoprire tracce della presenza di Dio in ogni persona forzatamente sradicata. Quale aggiornamento alla pubblicazione congiunta del 1992 "I Rifugiati, una sfida alla solidarietà", questo documento servirà da guida ai Pastori della Chiesa, alle organizzazioni cattoliche impegnate nei vari programmi di assistenza e sostegno ai rifugiati e alle persone forzatamente dislocate, a tutti i fedeli e a tutti gli uomini e donne di buona volontà che sono aperti all'ascolto della voce della Chiesa. Possa esso aiutare a costruire " una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali " ( Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011) col " praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con Dio " ( Mi 6,8 ). Card. Antonio Maria Vegliò Presidente Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Card. Robert Sarah Presidente Pontificio Consiglio Cor Unum Introduzione 1. Il fenomeno della mobilità umana oggi implica spesso sofferenze causate dall'inevitabile sradicamento dal proprio Paese. Ogni persona ha "il diritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria". Tuttavia ci sono persone costrette a spostarsi a causa di persecuzione, calamità naturali, disastri ambientali o altri fattori che provocano difficoltà estreme, incluso il pericolo per la propria vita. Altre decidono di lasciare la propria patria perché non riescono più a vivervi con dignità, mentre altre ancora cercano semplicemente migliori opportunità di vita all'estero. C'è perciò differenza tra migranti, rifugiati o richiedenti asilo. Essa deve essere mantenuta nonostante vi siano flussi di migrazione "misti", all'interno dei quali diventa difficile fare distinzione tra richiedenti asilo classicamente definiti, quanti necessitano di altri tipi di protezione o aiuto, e coloro che semplicemente traggono vantaggio dal flusso migratorio. I rifugiati e le altre persone costrette ad uscire dal loro Paese hanno sempre sfidato le Comunità cristiane, non soltanto a riconoscere Cristo nello straniero e nel bisognoso, ma anche ad accoglierlo. Ciò significa "impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità." ( CiV 67 ). Nel corso dei due passati millenni, i Cristiani, singoli e comunità, hanno preso a cuore e cercato di porre in atto in molti modi concreti il messaggio racchiuso nella scena del Giudizio Universale ( cfr Mt 25,31-46 ). 2. Essendoci lasciati alle spalle quello che è stato definito il "secolo dei rifugiati", possiamo affermare che il servizio della Chiesa ha inciso positivamente sulla vita di milioni di persone emarginate e disprezzate. Mentre il nuovo millennio inizia, lo specifico contributo pastorale della Chiesa a favore dei rifugiati e di altre persone forzatamente sradicate è più che mai necessario. Nonostante, infatti, le statistiche sulla popolazione rifugiata possano crescere o decrescere, le condizioni che causano migrazioni forzate sono aumentate invece di diminuire. 3. La Chiesa ha il dovere e la responsabilità di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra. Nella persona di Gesù Cristo, il Regno di Dio è stato reso visibile e tangibile all'umanità e i Cristiani, con parole e opere, continuano a proclamare la buona novella della salvezza, in particolare ai poveri. Certamente tra i più negletti ci sono i rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate. Molto spesso, attraverso l'azione ispirata dal Vangelo e condotta con grande generosità e sacrificio personale da Agenzie o da singoli individui collegati alla Chiesa, si giunge a conoscere l'amore di Cristo e la forza trasformatrice della sua grazia in queste situazioni che sono, di per sé, assai frequentemente disperate. 4. Il Regno di Dio è in verità presente nel nostro mondo ( cfr Lumen Gentium 3 e n. 5 ), ma i discepoli di Cristo hanno il dovere e l'opportunità di diffonderlo a tutte le nazioni ( cfr Mt 28,19-20 ) fino alla parusia, quando Dio sarà tutto in tutti ( cfr 1 Cor 15,28 ). Fino a quel momento dobbiamo essere strumenti della crescita del Regno di Dio da piccolo seme di senapa a grande albero ( cfr Mt 13,31-32 ). Sarà dunque possibile vincere il male con il bene e la divisione con la riconciliazione, fino a quando il Signore verrà nella gloria. Infatti, "secondo la sua promessa noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" ( 2 Pt 3,13 ). 5. Nel frattempo, nel suo impegno verso i rifugiati e le altre persone forzate allo sradicamento, la Chiesa è guidata essenzialmente dalle Sacre Scritture, dalla Tradizione e dal Magistero e, per quanto concerne le questioni sociali, dai "principi permanenti" della sua Dottrina Sociale che "costituiscono i veri e propri cardini dell'insegnamento sociale cattolico: si tratta del principio della dignità della persona umana … nel quale ogni altro principio e contenuto della dottrina sociale trova fondamento, del bene comune, della sussidiarietà e della solidarietà". Se tale somma dignità della persona umana, dono di Dio, è violata, allora tutti i membri del Corpo di Cristo soffrono e di conseguenza sono chiamati a vedere, ad agire e a correggere questo male e peccato. 6. Papa Benedetto XVI afferma che "la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa" ( CiV 2 ). Questo dono soprannaturale, che è "la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera" ( ibid. 1 ), spinge i Cristiani a impegnarsi attivamente a favore dei più vulnerabili, cosicché, unendo i loro sforzi a quelli di altri uomini e donne di buona volontà, possano aiutare a dare una soluzione alla misera condizione in cui essi vivono. 7. Con questo documento noi desideriamo sensibilizzare tutti i Cristiani, pastori e fedeli, ai loro doveri verso i rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate. Invitiamo ciascuno di essi a farsi braccio della Chiesa nel prendersi costante cura delle sofferenze e delle necessità, sia spirituali che materiali, di queste persone. Sentiamo inoltre indispensabile invitare l'intera comunità ecclesiale ad assumersi seriamente le sue responsabilità in questo ambito, fornendo un servizio organizzato e ordinato alle persone forzatamente sradicate. Questo documento costituisce anche un invito alla collaborazione e al coinvolgimento di tutta la comunità internazionale, senza la quale sarebbe difficile, se non impossibile, dare una soluzione duratura alle gravi questioni che vi sono trattate. La sollecitudine della Chiesa verso i rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate 8. Un segno d'amore "Se uno dicesse: « Io amo Dio », e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" ( 1 Gv 4,20 ). Papa Benedetto XVI spiega questo "collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo" dicendo che "l'affermazione dell'amore di Dio diventa una menzogna, se l'uomo si chiude al prossimo o addirittura lo odia … l'amore per il prossimo è una strada per incontrare anche Dio, e … il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio" ( Dce 16 ). 9. L'umanità, un'unica famiglia "La predicazione e l'opera di mediazione fra le diverse culture e il Vangelo, operata da Paolo, « migrante per vocazione »", lo ha spinto ad affermare, nell'Areopago di Atene, che "il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene … creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra" (At 17,24-26 ). Questo implica che "grazie alla comune origine il genere umano forma una unità" ( CCC 360 ). Più avanti nel suo discorso, San Paolo afferma che tutti gli esseri umani hanno la loro esistenza in Dio "come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: « Poiché di lui stirpe noi siamo ». Essendo noi dunque stirpe di Dio …" ( At 17,28-29 ). 10. L'umanità, pertanto, costituisce un'unica famiglia; dunque uomini e donne sono fratelli e sorelle in umanità e sono anche destinati a esserlo, per grazia, nel Figlio di Dio, Gesù Cristo. Da questa prospettiva possiamo dire che i rifugiati, i migranti, gli itineranti e la popolazione locale formano tutti una sola famiglia. Pertanto, la solidarietà umana e la carità non devono escludere alcuna persona, cultura o popolo ( cfr CCC 361). I più vulnerabili non sono semplicemente coloro che versano in situazione di bisogno verso cui benignamente compiamo un atto di solidarietà, ma sono membri della nostra famiglia con i quali abbiamo il dovere di condividere le risorse di cui disponiamo. 11. Il Corpo Mistico di Cristo Coloro che sono battezzati appartengono gli uni agli altri in un rapporto ancora più stretto di quello derivante dai legami che esistono tra i membri di una famiglia poiché formano parte di un solo Corpo, come San Paolo scrisse ai Corinzi, "ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" ( 1 Cor 12,27 ). "Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo" ( 1 Cor 12,12-13 ). 12. Un solo Pane, un solo Corpo Inoltre, "nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti … L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi … Diventiamo « un solo corpo », fusi insieme in un'unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a se" ( Dce 14). Questo è il destino al quale Dio chiama l'intera umanità, ricapitolando in Cristo tutte le cose ( cfr Ef 1,10 ). 13. Gesù Cristo presente nei rifugiati e nelle altre persone forzatamente sradicate Nel Vangelo di Matteo, l'evangelista narra la scena del Giudizio Universale. Coloro che saranno invitati a entrare nel regno di Dio chiederanno: "Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?" ( Mt 25,37-39 ). La risposta sarà: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" ( Mt 25,40 ). Allo stesso modo coloro che saranno mandati via chiederanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?" ( Mt 25,44 ). Essi riceveranno la seguente risposta: "Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me " ( Mt 25,45 ). 14. In effetti, con l'Incarnazione, Cristo si è in qualche modo unito a ogni persona ( cfr CCC 618 ), si sia o meno consapevoli di questo. Cristo considererà fatto a se stesso il trattamento riservato a qualsiasi essere umano, in particolare all'ultimo di loro, lo straniero ( cfr EMCC 15 ). Papa Giovanni Paolo II richiamava questo rammentando la loro missione ai Membri del Consiglio della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni: "Oggi, quindi, desidero invitarvi a una maggiore consapevolezza della vostra missione: vedere Cristo in ogni fratello e in ogni sorella bisognosi, proclamare e difendere la dignità di ogni migrante, di ogni persona dislocata e di ogni rifugiato. In tal modo, l'assistenza prestata non sarà considerata un'elemosina che dipende dalla bontà del nostro cuore, ma un atto dovuto di giustizia". Questa è la visione che guida la Chiesa nella sua azione a favore degli stranieri del nostro tempo, rifugiati, sfollati e tutte le persone forzatamente sradicate. Parte I - La missione della Chiesa a favore delle persone forzatamente sradicate 15. Nella Chiesa nessuno è straniero perché essa abbraccia "ogni nazione, razza, popolo e lingua" ( Ap 7,9 ). A questo proposito Papa Giovanni Paolo II affermò che "l'unità della Chiesa non è data dalla stessa origine dei suoi componenti, ma dallo Spirito della Pentecoste che fa di tutte le Nazioni un popolo nuovo, il quale ha come fine il Regno, come condizione la libertà dei figli, come statuto il precetto dell'amore ( cfr Lumen Gentium 9 )". Per questa ragione la Chiesa, segno e strumento di comunione con Dio e di unità tra tutti gli uomini, si sente fortemente coinvolta nell'evoluzione della società di cui la mobilità è oggi una rilevante caratteristica ed è chiamata a proclamare il Vangelo di amore e di pace anche nelle situazioni di migrazione forzata. 16. I rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate sono stati, sono e saranno sempre nel cuore della Chiesa. Essa lo ha espresso e dimostrato in numerose occasioni, specialmente durante il secolo scorso (cfr EMCC 20-33). Già nel 1949, Papa Pio XII manifestò la sua preoccupazione per i rifugiati Palestinesi nella sua Lettera Enciclica Redemptoris nostri. Tre anni dopo, nel 1952, egli promulgò la Cost. Ap. Exsul Familia, considerata la magna charta della pastorale per i migranti e i rifugiati. Nel 1963, Papa Giovanni XXIII attirò di nuovo l'attenzione sulle sofferenze e sui diritti dei rifugiati nella sua Lettera Enciclica Pacem in terris, nn. 57-58. Il Conc. Ecum. Vat. II e successivi interventi del Magistero hanno affrontato questo fenomeno, considerato un segno dei tempi, con una serie di specifiche risposte pastorali. 17. Infine, nel 1970, Papa Paolo VI istituì la "Pontificia Commissio de spirituali migratorum atque itinerantium cura", che divenne Pont. Cons. Migranti nel 1988, con la promulgazione della Cost. Ap. Pastor Bonus. A esso fu affidata, tra l'altro, la cura pastorale di coloro "che sono stati costretti ad abbandonare la propria patria o non ne hanno affatto". Nel 1971, spinto "dal dovere della carità ad incoraggiare l'universale famiglia umana lungo la via della reciproca e sincera solidarietà", Papa Paolo VI istituì il Pontificio Consiglio Cor Unum affidandogli la funzione di "stimolare i fedeli a dare testimonianza di carità evangelica, in quanto sono partecipi della stessa missione della Chiesa, e di sostenerli in questo loro impegno; favorire e coordinare le iniziative delle istituzioni cattoliche che attendono ad aiutare i popoli che sono nell'indigenza … [ e ] seguire attentamente e promuovere i progetti e le opere di solidale premura e di fraterno aiuto finalizzati al progresso umano". Papa Benedetto XVI definì il Pontificio Consiglio Cor Unum "istanza della Santa Sede responsabile per l'orientamento e il coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica" (Dce 32 ). 18 Nel 1981, appena pochi anni dopo l'inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II asserì che ciò che la Chiesa intraprende a favore dei rifugiati è parte integrante della sua missione nel mondo. Da parte sua, Benedetto XVI si espresse in favore dei rifugiati poco più di un mese dopo la sua elezione a Sommo Pontefice, avvenuta nell'aprile 2005, in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite il 20 giugno di ogni anno. Egli sottolineò la "forza d'animo richiesta a chi deve lasciare tutto, a volte perfino la famiglia, per scampare a gravi difficoltà e pericoli". La Comunità Cristiana, che "si sente vicina a quanti vivono questa dolorosa condizione", fa del suo meglio per "sostenerli" e manifestare loro "il suo interessamento e il suo amore". Questo è fatto tramite "concreti gesti di solidarietà, perché chiunque si trova lontano dal proprio Paese senta la Chiesa come una patria dove nessuno è straniero". 19. Una pastorale nata dall'annuncio del Vangelo Lungo la storia della salvezza, già in alcune pagine dell'Antico Testamento, l'accoglienza degli stranieri è un imperativo ( cfr Lv 19,34; Dt 24,17-22 ), sebbene non manchi il timore che le relazioni con lo straniero possano portare alla perdita della purezza religiosa e, di conseguenza, dell'identità nazionale ( cfr Dt 7,3; Dt 13,6-9 ). 20. Nondimeno, gli stranieri dovevano essere trattati allo stesso modo degli Israeliti ( cfr Lv 19,34 e Dt 1,16;Dt 24,17; Dt 27,19 ). La giustizia, come obbedienza alla legge divina, era la base della sollecitudine verso costoro e verso le persone vulnerabili, come i poveri, le vedove e gli orfani. Essi erano spesso soggetti a oppressione, sfruttamento e discriminazione. Agli Israeliti veniva perciò frequentemente ricordata la particolare attenzione di Dio per i deboli ( cfr Es 22,21-22; Dt 10,17-19 ), e veniva ordinato di non molestarli ( cfr Es 22,20; Ger 7,6 ). Non si doveva defraudarli ( cfr Dt 24,14 ). 21. Gesù Cristo è il punto di riferimento della nostra pastorale poiché con la sua vita egli ci ha insegnato la natura della carità, donando tutto se stesso ( cfr Gv 15,12-15 ). In questo, Cristo ha avuto uno speciale interesse per i piccoli e i poveri, inclusi gli stranieri e gli "impuri", come i lebbrosi. Le sue guarigioni furono sia fisiche che spirituali ( cfr Mt 9,1-8 ). Il Nuovo Testamento ci ha lasciato una meravigliosa sintesi dell'opera di Cristo, cui anche noi siamo chiamati a partecipare come illustrato nella parabola del Buon Samaritano ( cfr Lc 10,25-37 ). 22. Identificandosi con lo straniero, Gesù Cristo ha messo in luce quale dovrebbe essere il modo cristiano di considerare e trattare lo straniero. "Negli « stranieri » la Chiesa vede Cristo che « mette la sua tenda in mezzo a noi » ( cfr Gv 1,14 ) e che « bussa alla nostra porta » ( cfr Ap 3,20 )" ( EMCC 101 ). 23. Per la comunità Cristiana delle origini, l'accoglienza e l'ospitalità divennero un atteggiamento fondamentale e una pratica importante. Quando viaggiavano per diffondere il Vangelo, i Cristiani dipendevano dall'accoglienza e dall'ospitalità che ricevevano. A volte essa era programmata ( cfr At 18,27; Fm 22 ), oppure spontaneamente offerta ( cfr At 16,15 ). Ispirata da Luca 14,12-14, l'ospitalità fu estesa al povero. Dunque, accoglienza, compassione e uguale trattamento furono tutti elementi distintivi della pratica cristiana. Quali persone del loro tempo e luogo, i cristiani rispettarono l'ordine sociale esistente, sebbene non mancassero di raccomandare che gli schiavi fossero trattati come fratelli ( cfr Fm 16-17 ). Questo fu un importante atteggiamento che alla fine trasformò la società. 24. Nel corso della storia, furono stabilite strutture per la pratica dell'ospitalità – per esemPio alloggi per i viaggiatori e ospedali per i pellegrini infermi – senza dimenticare l'aiuto ai poveri del luogo. Furono anche allestite dimore speciali per le vedove e i bisognosi. Gradualmente tale sollecitudine si sviluppò e fu istituzionalizzata. Con il succedersi delle generazioni, l'attenzione alle persone bisognose di assistenza – tra cui migranti, rifugiati e itineranti – ha subito cambiamenti di forma, ma è sempre rimasta una componente essenziale del Cristianesimo. Alcuni principi fondamentali in questa pastorale 25. Dignità umana e cristiana La rivelazione di Dio in Cristo e nella Chiesa assegna un ruolo centrale al senso della dignità degli individui, inclusi i rifugiati politici, le persone dislocate e le vittime del traffico di esseri umani. Ciò si fonda sulla convinzione che tutte le persone sono create a immagine di Dio ( cfr Gen 1,26-27 ). Infatti questa è la base della visione cristiana della società secondo cui "i singoli esseri umani sono e devono essere il fondamento, il fine e i soggetti di tutte le istituzioni". Ogni persona ha un valore inestimabile, gli esseri umani sono più importanti delle cose, e l'indicatore dei valori di qualsiasi istituzione è collegato al fatto che essa minacci o migliori la vita e la dignità della persona umana. 26. La Lettera Enciclica Pacem in terris dichiara che "ogni essere umano ha il diritto all'esistenza, all'integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti per un dignitoso tenore di vita, specialmente per quanto riguarda l'alimentazione, il vestiario, l'abitazione, il riposo, le cure mediche, i servizi sociali necessari" ( n. 6 ). Si può dedurre che se una persona, uomo o donna, nel suo Paese non gode di una vita umanamente dignitosa, ha il diritto, in determinate circostanze, di andare altrove, poiché ogni essere umano ha una dignità intrinseca che non dovrebbe essere minacciata. "Il Magistero ha sempre denunciato altresì gli squilibri socio-economici, che sono per lo più causa delle migrazioni, i rischi di una globalizzazione senza regole, in cui i migranti appaiono più vittime che protagonisti della loro vicenda migratoria" ( EMCC 29 ). In ogni caso, "ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione" ( CiV 62 ). 27. Il bisogno di una famiglia Allo stesso tempo, la Chiesa ha sempre invocato la riunificazione delle famiglie separate dalla fuga, a causa della persecuzione di uno o più dei suoi membri. Essa sa che anche i rifugiati e tutti coloro che sono forzati allo sradicameto, come ogni persona, hanno bisogno di una famiglia per la propria crescita e per uno sviluppo armonico. Infatti, nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2007, Benedetto XVI lo ha sottolineato con queste parole: "sento il dovere di richiamare l'attenzione sulle famiglie dei rifugiati, le cui condizioni sembrano peggiorate rispetto al passato, anche per quanto riguarda proprio il ricongiungimento dei nuclei familiari … Occorre incoraggiare chi è interiormente distrutto a recuperare la fiducia in se stesso. Bisogna poi impegnarsi perché siano garantiti i diritti e la dignità delle famiglie e venga assicurato ad esse un alloggio consono alle loro esigenze". 28. Carità, solidarietà e assistenza La carità è il dono di Dio rivelato in Gesù Cristo: è in questo amore che il cristiano serve il prossimo ( cfr Dce 18 ), poiché la comunione fraterna nasce dalla "parola di Dio-che-è-amore". Questo dono ricevuto da Dio è al cuore di quella "forza che costituisce la comunità, unifica gli uomini secondo modalità in cui non ci sono barriere né confini" ( CiV 34 ). La solidarietà, d'altra parte, è il senso di comune appartenenza, sollecitato già dalla ragione umana, per cui tutti formiamo una sola famiglia umana, nonostante le nostre differenze etniche e culturali, e tutti dipendiamo l'uno dall'altro. Ciò implica una responsabilità: noi siamo, in effetti, custodi dei nostri fratelli e sorelle, ovunque essi vivano. L'apertura alle necessità degli altri include il nostro relazionarci con lo straniero, che può essere giustamente considerato "il messaggero di Dio, che sorprende e rompe la regolarità e la logica della vita quotidiana, portando vicino chi è lontano" ( EMCC 101 ). Papa Giovanni Paolo II ha affermato che la solidarietà "è indubbiamente una virtù cristiana … [ è ] possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo ( CfrGv 13,35 ). Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione". Il concetto si apre quindi alla carità, che include la grazia di Dio. Papa Benedetto XVI descrive la carità come "una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. È una forza che ha la sua origine in Dio" ( CiV 1 ). 29. La solidarietà ci chiama a stare soprattutto dalla parte del povero e del debole. Perciò "accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell'intolleranza e del disinteresse". Questo vale sia per andare incontro alle esigenze immediate che a quelle a lungo termine. Da parte loro, i rifugiati devono avere "un comportamento rispettoso e di apertura verso la società che li ospita" ed essere fedeli nell'osservanza delle sue leggi. Per favorire questo processo, "gli operatori pastorali che possiedono una specifica competenza in mediazioni culturali sono chiamati ad aiutare nel coniugare l'esigenza legittima di ordine, legalità e sicurezza sociale con la vocazione cristiana all'accoglienza e alla carità in concreto". 30. Appello alla cooperazione internazionale Nel corso dei secoli, la Chiesa ha manifestato l'amore di Dio verso l'umanità. Oggi in un mondo sempre più interdipendente, questa testimonianza, sempre antica e sempre nuova, resta il suo compito e deve acquisire dimensioni globali. 31. Ciascuno ha la responsabilità di rispondere personalmente alla chiamata a globalizzare l'amore e la solidarietà e a essere un attore principale in questo ambito. Coloro che occupano posizioni di potere o di influenza devono sentirsi responsabili dei più deboli ed essere pronti ad aiutarli. La Chiesa cattolica ritiene, in ogni caso, che lo sforzo verso la solidarietà internazionale "fondato su un più vasto concetto di bene comune, rappresenti la via possibile per assicurare a tutti un futuro veramente migliore. Perché questo avvenga, si rende necessario che si diffonda e penetri in profondità nella coscienza universale la cultura dell'interdipendenza solidale, tendente a sensibilizzare pubblici poteri, organizzazioni internazionali e privati cittadini circa il dovere dell'accoglienza e della condivisione nei confronti dei più poveri". 32. Cosciente della gravità della situazione dei rifugiati e delle condizioni inumane in cui molti di essi vivono, la Chiesa, oltre al suo impegno personale verso di loro, considera suo compito rendere l'opinione pubblica consapevole di questa grave questione, poiché è fermamente convinta che tale tragica situazione non possa e non debba perdurare. Infatti, Giovanni Paolo II disse che "risalta come grave offesa a Dio e all'uomo ogni situazione in cui persone o gruppi umani sono costretti a fuggire dalla propria terra per cercare rifugio altrove … Il dramma dei rifugiati chiede alla comunità internazionale di impegnarsi a curare non solo i sintomi, ma prima di tutto le cause del problema: a prevenire, cioè, i conflitti promuovendo la giustizia e la solidarietà in ogni ambito della famiglia umana". Tutto questo è applicabile anche ad altre categorie di persone forzatamente sradicate. 33. La Chiesa insiste sulla protezione dei diritti umani anche degli sfollati. Questo "esige l'adozione di specifici strumenti legislativi e di appropriati meccanismi di coordinamento da parte della comunità internazionale, i cui legittimi interventi non potranno essere considerati come violazioni della sovranità nazionale". 34. Nel 2001, la Santa Sede ancora una volta invocò la responsabilità globale verso i rifugiati nel corso di una Conferenza Ministeriale dei 140 Stati firmatari della Convenzione del 1951 sullo Status dei Rifugiati. Il Rappr. Santa Sede affermò che "è nostro compito fare della solidarietà una realtà. Ciò implica accettazione e riconoscimento del fatto che noi, come un'unica famiglia umana, siamo tutti interdipendenti. Questo ci chiama alla cooperazione internazionale a favore dei poveri e dei deboli quali nostri fratelli e sorelle … Un'effettiva responsabilità e una condivisione degli oneri tra tutti gli Stati sono pertanto indispensabili per promuovere pace e stabilità. Ciò dovrebbe ispirare la famiglia umana delle nazioni a riflettere sulle sfide di oggi e a trovare le necessarie soluzioni in uno spirito di dialogo e mutua comprensione. La nostra generazione e quelle future lo domandano affinché i rifugiati e gli sfollati possano beneficiarne". 35. Un servizio spirituale Nel 1992, facendo eco alla voce dei Papi, il Pont. Cons. Migranti, congiuntamente con il Pontificio Consiglio Cor Unum, pubblicò un Documento intitolato I Rifugiati, una sfida alla solidarietà. Vi si legge che "la Chiesa offre il suo amore e la sua assistenza a tutti i rifugiati senza distinzione" ( n. 25 ), e per realizzare questo, "la responsabilità di offrire accoglienza, solidarietà e assistenza ai rifugiati è innanzitutto della Chiesa locale. Essa è chiamata ad incarnare le esigenze del Vangelo andando incontro, senza distinzioni, a queste persone nel momento del bisogno e della solitudine. Il suo compito assume varie forme: contatto personale; difesa dei diritti di singoli e di gruppi; denuncia delle ingiustizie che sono alla radice del male; azione per l'adozione di leggi tali da garantire l'effettiva protezione; educazione contro la xenofobia; istituzione di gruppi di volontariato e di fondi d'emergenza; assistenza spirituale" ( n. 26 ). 36. L'anno precedente, Papa Giovanni Paolo II ricordò le varie dimensioni che caratterizzano la missione della Chiesa verso migranti e rifugiati come segue: "Se occuparsi dei loro problemi materiali con rispetto e generosità è il primo impegno da affrontare, occorre non trascurare la loro formazione spirituale, attraverso una pastorale specifica che tenga conto della loro lingua e cultura". 37. Pertanto, nel suo servizio di carità a migranti, rifugiati, sfollati e vittime del traffico di esseri umani, la Chiesa presta costantemente attenzione alle loro sofferenze e alle loro necessità materiali, senza però dimenticare altri bisogni. Dai tempi degli Apostoli, infatti, è stato sempre evidente che il servizio sociale della Chiesa è certamente concreto, ma allo stesso tempo spirituale ( cfr Dce 21 ). Questo è proprio il motivo per cui il presente documento vuole essere di natura eminentemente pastorale. Esso descrive ampiamente la situazione attuale e le prospettive future dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate al fine di offrire una risposta pastorale ai loro bisogni, ai loro sogni e alle loro speranze. Parte II - Rifugiati e altre persone forzatamente sradicate 38. Concetti e situazione attuale dei rifugiati I rifugiati appartengono a tutti i tempi. Nel corso della storia, la gente ha cercato protezione fuggendo da situazioni di persecuzione e molti Paesi hanno sviluppato la tradizione di garantire asilo ai rifugiati. Un insieme di trattati, con le loro estensioni, e una serie di organizzazioni hanno dato forma alla Legislazione internazionale a favore dei rifugiati. 39. Lo strumento internazionale principale e ampiamente riconosciuto per la loro protezione è la Convenzione relativa allo status dei Rifugiati. Essa conteneva due clausole limitative, una geografica e una temporale, che furono successivamente rimosse dal Protocollo del 1967. All'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ( UNHCR ), già istituito il primo gennaio 1951, fu affidato il ruolo di supervisione, oltre ad altri compiti. Successivamente, ricevette il mandato di estendere le sue attività di protezione a specifiche categorie di persone non coperte dai precedenti strumenti, come gli apolidi, i rimpatriati e determinati gruppi di sfollati. Nel corso degli anni furono introdotti vari concetti relativi alla protezione dei rifugiati: tra essi quello di determinazione dello status prima facie su una base di gruppo in situazione di afflussi di massa, e quello di protezione temporanea. La citata Convenzione e il suo Protocollo aggiuntivo, comunque, non includevano le persone che fuggivano da una guerra civile, da violenza generalizzata o da massicce violazioni di diritti umani. Così, si svilupparono, successivamente, strumenti regionali per affrontare tali situazioni. 40. Misure restrittive dell'asilo e soluzioni durature Dalla metà degli anni '80, è cambiato l'atteggiamento verso i richiedenti asilo nei Paesi industrializzati, dove essi sono arrivati in numero sempre crescente, anche se in maggioranza sono rimasti nelle regioni d'origine. Era infatti cominciata ad emergere una tendenza a diminuire il riconoscimento dello status di rifugiato, con l'introduzione di misure restrittive, quali l'obbligo del visto, le sanzioni applicabili ai vettori e l'opposizione a promuovere per loro una vita indipendente e di lavoro. Contrabbandieri e trafficanti hanno beneficiato di questa situazione "assistendo" le persone a entrare in Paesi economicamente avanzati. 41. Purtroppo, anche il dibattito circa i richiedenti asilo è divenuto un forum in vista di elezioni politiche e amministrative, che ha alimentato tra l'elettorato attitudini ostili e aggressive nei loro confronti. Questo atteggiamento ha avuto effetti negativi sulle politiche verso i rifugiati dei Paesi in via di sviluppo, i quali hanno ritenuto che la comunità internazionale non abbia affrontato a sufficienza l'onere della condivisione dei costi sociali ed economici connessi con gli arrivi di persone in cerca di asilo nel proprio territorio. Ciò ha avuto come risultato una diminuzione di ospitalità e di assenso a ricevere considerevoli popolazioni di rifugiati per un indefinito periodo di tempo. 42. La negativa connotazione data ai richiedenti asilo e ai rifugiati stessi ha accresciuto xenofobia, a volte razzismo, paura e intolleranza nei loro confronti. Inoltre si è andata sviluppando una cultura di sospetto generata da un generale presupposto di una possibile correlazione tra asilo e terrorismo. Questo continua ad avere ripercussioni sulla situazione dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate in tutto il mondo. A tale riguardo, i mezzi d'informazione hanno un ruolo importante nella formazione dell'opinione pubblica e una responsabilità nell'uso di una corretta terminologia per ciò che concerne rifugiati, richiedenti asilo e altre forme di migrazione, in considerazione dell'esistenza di flussi "misti" di migrazione. 43. La comunità internazionale ha risposto alla questione dei rifugiati individuando tre soluzioni principali: integrazione nel luogo di arrivo, reinsediamento in un Paese terzo e rimpatrio volontario. 44. Campi per rifugiati L'attuazione delle tradizionali soluzioni durature resta tuttavia insufficiente, come già si osservò negli anni '50, quando centinaia di migliaia di persone attesero per anni in campi di ritenzione in Europa. Una situazione simile esiste anche oggi, per cui la maggioranza dei rifugiati continua a vivere in tale prolungata situazione. Essi hanno cercato o ricevuto asilo in Paesi della loro medesima regione geografica d'origine, Paesi che, soffrendo quasi sempre essi stessi a causa della povertà, hanno dovuto sopportare l'onere della loro assistenza, con una solidarietà internazionale tristemente inadeguata. Il risultato è che campi originariamente intesi come alloggi temporanei sono diventati "residenze" permanenti, dove i rifugiati restano per anni, generalmente limitati nei loro movimenti, senza la possibilità di svolgere attività lavorativa per guadagnarsi da vivere e forzati dunque alla dipendenza. In queste situazioni la comunità internazionale sembra prestare loro scarsa attenzione, o semplicemente accettare il loro "deposito" come una condizione normale. 45. Sotto le pressioni della vita del campo, i valori sia degli individui, sia delle famiglie, sono minacciati. Possono facilmente emergere tensioni, che portano alla violenza. In effetti i provvedimenti d'emergenza sono inadeguati per le necessità a lungo termine degli esseri umani. La situazione diventa ancora più grave quando i finanziamenti e le forniture indispensabili non arrivano regolarmente ai campi, per cui i rifugiati devono fronteggiare la carenza di beni fondamentali e tagli drastici nelle razioni di cibo, con conseguente malnutrizione, rischi per la salute e un crescente tasso di mortalità tra i più vulnerabili. 46. Rifugiati "urbani" Nel corso degli anni si è notato un graduale ma costante movimento che ha visto i rifugiati stabilirsi, con o senza permesso delle autorità, fuori dalle zone designate come campi, prediligendo aree edificate, quali le città. Essi sono chiamati rifugiati "urbani". Attualmente più della metà della popolazione di rifugiati si trova fuori dei campi. Le ragioni che li spingono a insediarsi in questo modo indipendente sono da attribuirsi o al fatto che essi già hanno vissuto in un ambiente urbano e quindi non sono abituati alla vita in ambienti rurali, oppure al presupposto che le città offrano migliori prospettive per il futuro, specialmente riguardo alle possibilità di guadagnarsi da vivere. 47. Ai rifugiati "urbani" spetta la medesima protezione riservata ai rifugiati in aree designate, con gli stessi diritti e le stesse responsabilità previsti dalla legislazione internazionale. Tuttavia, nelle aree urbane la loro situazione diventa più complessa. Essi, infatti, si trovano a vivere tra la popolazione locale, con cui entrano in competizione per l'occupazione, i servizi sociali e infrastrutturali. L'accesso all'istruzione e all'assistenza medica può diventare difficile a causa delle limitazioni finanziarie. Registrarsi e ottenere documenti d'identità è essenziale per la protezione dei rifugiati, ma ciò può essere complicato, specialmente quando la loro permanenza non sia stata approvata dalle autorità. Il rilascio di documenti che identificano una persona sotto tutela dell'UNHCR potrebbe invece permettere di superare una serie di rischi relativi alla protezione. 48. Le autorità nazionali e municipali devono assumersi le loro responsabilità nei confronti di questi rifugiati, sebbene, a volte, si aspettino di essere sostenute in tali compiti da agenzie internazionali. L'UNHCR cerca di aumentare la capacità di fornire servizi, come l'assistenza sanitaria e la formazione, e di coinvolgere agenzie per lo sviluppo in modo da offrire opportunità di sussistenza, che possano giovare anche alla popolazione locale. Altre persone in necessità di protezione 49. Apolidi Un altro gruppo che ha bisogno di protezione è costituito dagli apolidi. Le circostanze della loro vita, che hanno una dimensione globale, sono in stretta relazione con quelle dei rifugiati, poiché, non avendo una cittadinanza, anch'essi non godono della protezione di uno Stato. Le ragioni di questa situazione sono molteplici e includono il conflitto tra leggi di Stati diversi, o il passaggio di un'area geografica, oppure la sovranità su una determinata zona, da uno Stato all'altro. 50. Sfollati Sfollati sono coloro che sono stati costretti a fuggire, ad abbandonare la propria casa o il luogo di residenza abituale, soprattutto come risultato o come fine per evitare gli effetti di conflitti armati, situazioni di violenza generalizzata, violazioni di diritti umani, disastri naturali o causati dall'uomo, ma senza oltrepassare il confine di uno Stato riconosciuto a livello internazionale. 51. Strumenti internazionali di Diritti Umani e di Diritto Umanitario obbligano gli Stati a provvedere alla sicurezza e al benessere di tutti coloro che sono sotto la loro giurisdizione, in conformità con la dignità della persona umana. "Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura sia dall'uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L'azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell'ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un'imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l'indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale". Pertanto il concetto classico di sovranità sembra svilupparsi in un concetto di sovranità come responsabilità. 52. Vittime del traffico di esseri umani Il traffico di esseri umani è un'oltraggiosa offesa alla dignità umana e una grave violazione dei diritti umani fondamentali. Le vittime sono state ingannate riguardo alle loro attività future e non sono più libere di decidere della loro vita poiché finiscono in situazioni simili o proprie della schiavitù, da cui è molto difficile fuggire. A tal fine, infatti, spesso sono usate nei loro confronti minacce e violenza. 53. Il traffico di esseri umani è un problema pluridimensionale, spesso legato alla migrazione. Esso si estende all'industria del sesso e oltre, fino a includere il lavoro forzato di uomini, donne e bambini in vari ambiti, come l'edilizia, ristoranti e alberghi, l'agricoltura e l'impiego domestico. Il lavoro forzato è legato, da un lato, a discriminazione, povertà, costumi, disgregazione sociale e familiare, carenza di terra e analfabetismo da parte della vittima, dall'altro lato, ha a che fare con i conflitti armati e anche, in alcuni casi, con il lavoro a basso costo e flessibile, che sfocia spesso in bassi prezzi al consumo, e rende l'affare attraente per i datori di lavoro. Il traffico di esseri umani può anche implicare il traffico di organi, l'accattonaggio, il reclutamento di bambini per i conflitti armati. Durante tali conflitti esiste anche la schiavitù di natura sessuale tra i bambini soldato. Le diverse forme di traffico richiedono approcci e misure distinti per il ripristino della dignità delle sue vittime, mentre esistono vari strumenti legali per proteggere i bambini dal reclutamento come soldati nelle forze armate o in altri gruppi armati. 54. Diritti umani fondamentali sono in gioco in questa nuova forma di schiavitù, che distrugge non solo giovani vite, ma anche famiglie in tutto il mondo. Sebbene la comunità internazionale, nel 2000, abbia adottato il Protocollo per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare donne e bambini, la sua applicazione, a livello nazionale, è stata piuttosto varia a seconda che l'approccio, nell'affrontare questa piaga, ponga l'accento sulla "giustizia criminale", sulla migrazione o sul rispetto dei diritti umani. Nella maggior parte dei Paesi, alle vittime di sfruttamento sessuale conseguente a tratta è consentito restare nel Paese per tutta la durata delle indagini contro i trafficanti. In questo tempo, tuttavia, solo parzialmente si prendono in considerazione le loro necessità, nonostante la situazione di vulnerabilità e rischio in cui esse si trovano. Una volta completata l'indagine giuridica, esse sono generalmente rimpatriate con o senza relativo "pacchetto" di sostegno. Soltanto in pochi Paesi sono state poste in essere misure dirette a garantire la protezione di queste vittime, offrendo loro la possibilità di restare e integrarsi nella società d'accoglienza, almeno a certe condizioni. Senza un appropriato supporto, esse sono a rischio di essere nuovamente soggette a tratta. Istituzioni cattoliche e, in particolare, Istituti di vita consacrata, Società di vita apostolica, movimenti e associazioni di laici, stanno offrendo sostegno pastorale e materiale alle vittime, oltre a programmi di riabilitazione e di sensibilizzazione. Organizzazioni religiose stanno lavorando assieme, integrando i loro sforzi e le loro energie per combattere questa piaga globale, morale e sociale. 55. Persone oggetto di contrabbando Questa è un'altra categoria di migranti che merita di essere qui menzionata. Il contrabbando di persone è un fenomeno presente nella storia da lunga data. Il suo obiettivo è fare entrare una persona in modo irregolare in un Paese, contravvenendo alle sue leggi sull'immigrazione, di cui rappresenta pertanto una violazione. La persona oggetto di contrabbando e il contrabbandiere concordano le condizioni del "servizio", spesso con il pagamento di una considerevole somma di denaro, in modo simile a una transazione commerciale. Le figure degli intermediari possono variare da individui che accompagnano occasionalmente le persone nel varcare il confine a vere reti organizzate. 56. Non appena una persona arriva nel Paese di destinazione, termina il rapporto con il contrabbandiere. Occorre comunque notare che le parti si trovano su piani disuguali, perché la persona oggetto di contrabbando dipende dal contrabbandiere e può facilmente perdere il controllo della situazione. Questo a volte porta al punto che i contrabbandieri non solo scelgono il Paese di destinazione, ma traggono anche vantaggio dall'alto rischio che le persone corrono una volta introdottesi illegalmente in esso. In questo caso il contrabbando di persone diventa traffico. Parte III - Diritti e doveri: guardando al futuro Stati, rifugiati e richiedenti asilo 57. Diritto degli Stati È comunemente accettato che gli Stati abbiano il diritto di adottare misure contro l'immigrazione irregolare, con il dovuto rispetto per i diritti umani di tutti. Allo stesso tempo è necessario tenere a mente la fondamentale differenza tra individui che fuggono da guerre e da persecuzione politica, religiosa, etnica o di altro genere ( questi sono rifugiati e richiedenti asilo ) e coloro che cercano semplicemente di entrare irregolarmente in un Paese, così come tra "coloro che fuggono condizioni economiche [ e ambientali ] che minacciano la loro vita e integrità fisica" e "coloro che emigrano semplicemente per migliorare la loro situazione". Quando l'odio e l'esclusione dalla società in modo sistematico o violento di minoranze etniche o religiose causano conflitti civili, politici, etnici, il flusso dei rifugiati si espande ( Cfr EMCC 1 ). Sarebbe quindi necessario garantire adeguata protezione a coloro che fuggono da violenza e disordine sociale, anche quando queste situazioni non sono causate da organi dello Stato, e assicurare loro "uno status di protezione sussidiaria". 58. Dunque, nell'affrontare il problema dei richiedenti asilo e dei rifugiati, "il primo punto di riferimento non deve essere la ragione di Stato o la sicurezza nazionale, ma la persona umana". Questo implica il pieno rispetto dei diritti umani così come la salvaguardia della "esigenza di vivere in comunità, esigenza che proviene dalla natura profonda dell'uomo". 59. Da parte loro, rifugiati e richiedenti asilo hanno doveri da osservare in relazione allo Stato di accoglienza. Anche Papa Benedetto XVI lo ha detto nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato nel 2007: "Ai rifugiati va chiesto di coltivare un atteggiamento aperto e positivo verso la società che li accoglie, mantenendo una disponibilità attiva alle proposte di partecipazione per costruire insieme una comunità integrata, che sia « casa comune » di tutti". 60. Diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo e prospettive future I rifugiati e i richiedenti asilo sono titolari di diritti umani e libertà fondamentali che devono essere tenuti in considerazione in modo particolare. Non è certo lo scopo di questo documento dare definizioni e informazioni che si possono reperire in vari strumenti internazionali in vigore. Pertanto ne sono qui riportate soltanto alcune parti rilevanti, senza che ciò sia esaustivo degli obblighi degli Stati nei riguardi dei rifugiati e dei richiedenti asilo presenti nel loro territorio o che cercano di entrarvi. 61. Qualsiasi persona si presenti a una frontiera con un fondato timore di persecuzione ha diritto alla protezione e non dovrebbe essere respinta al suo Paese d'origine, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno formalmente riconosciuta come rifugiata. I rifugiati dovrebbero essere riconosciuti come persone che godono degli stessi diritti assicurati dalla legge ai cittadini del Paese ospitante o, quantomeno, dei diritti riconosciuti ai residenti stranieri. Essi devono poter valersi dei diritti di cui sono titolari. Da ciò deriverebbero per il rifugiato il riconoscimento in quanto soggetto di diritto e l'esercizio legittimo delle libertà fondamentali della persona umana, tra le quali, la libertà di movimento, il diritto al lavoro, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Le famiglie dei rifugiati dovrebbero godere del rispetto della vita privata e familiare ed avere la possibilità di ottenenre il ricongiungimento nel Paese di asilo con i propri familiari; guadagnarsi degnamente la vita con un giusto salario e vivere in abitazioni degne di esseri umani; i loro figli dovrebbero ricevere istruzione e assistenza medica adeguate. In breve, essi dovrebbero godere di tutti quei diritti sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, dai pertinenti strumenti dei diritti umani, dalla Convenz. delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei Rifugiati e dal suo Protocollo del 1967, così come dalle successive Conclusioni del Comit. Esecutivo dell'UNHCR. 62. Non è superfluo, in particolare, dire che il diritto alla libertà religiosa dei rifugiati significa assenza di coercizione da parte di individui o gruppi sociali o qualsivoglia potere, di modo che nessuno sia forzato ad agire in maniera contraria al proprio credo e alla propria coscienza, privatamente o pubblicamente, individualmente o in associazione con altri. Il diritto alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità stessa della persona umana. Ogni Paese ha la responsabilità di concedere ai rifugiati la libertà di praticare la propria religione e la libertà relativa all'educazione religiosa dei figli, almeno pari a quella accordata ai propri nazionali. Tutti i rifugiati, pertanto, hanno diritto a un genere di assistenza che includa le loro esigenze spirituali durante il periodo di asilo, possibilmente trascorso in un campo allestito per loro, e durante il processo d'integrazione nel Paese ospitante. A tal fine i ministri di diverse religioni devono avere piena libertà di incontrare i rifugiati, per offrir loro un'assistenza adeguata. I rifugiati non possono perdere i loro diritti, neanche quando siano stati privati della cittadinanza del proprio Paese ( cfr PT 57 ). Le organizzazioni internazionali, specialmente quelle responsabili della protezione dei diritti umani, e i mezzi di comunicazione dovrebbero avere libero accesso ai summenzionati campi. 63. Nonostante i diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati siano garantiti da Convenzioni Internazionali e riconosciuti da successive importanti conferenze, la realtà mostra che, in genere, non è ancora assicurata loro sufficiente protezione. A volte questo porta all'impossibilità che essi accedano alla procedura d'asilo, in particolare se tenuti senza necessità in centri di detenzione, o può perfino dar luogo al loro refoulement ( respingimento ), specialmente nei casi di flussi misti. Sarebbe pertanto opportuno mettere in pratica lo spirito che anima il principio di non refoulement, in base al quale si presume che i richiedenti asilo siano rifugiati, per tutto il tempo in cui il loro status è sottoposto a verifica. 64. Per quanto riguarda i richiedenti asilo e altre persone forzatamente sradicate trovate in difficoltà o in necessità di aiuto in mare, le Convenzioni internazionali richiedono che siano soccorsi e condotti in un luogo sicuro. Soltanto quando la persona in pericolo è giunta in luogo sicuro ( e questo non può essere identificato con la nave di soccorso ), la sua richiesta di autorizzazione ad entrare nel Paese di arrivo o la domanda di asilo può essere esaminata. Occorre aver cura che il principio di non refoulement sia rispettato anche in questi casi, che possono includere la realtà dei flussi misti. Sarebbe opportuno che i Paesi da cui i richiedenti asilo sono attratti adottassero una comune strategia così che quelli di primo arrivo non debbano sopportare l'intero carico del problema. 65. In molti campi di rifugiati, è difficile per le persone che vi vivono immaginare un futuro, specialmente con il passare degli anni. In questi luoghi esse hanno bisogno di vedere con chiarezza la via per ricominciare a vivere una vita sicura e dignitosa. Per questo sono necessarie e vanno rafforzate le proposte di permettere la consultazione e la partecipazione dei rifugiati alle decisioni che toccano la loro vita. È necessario anche assicurare la partecipazione delle donne rifugiate all'amministrazione del campo, quale modo di garantire sufficiente attenzione soprattutto ai problemi che riguardano sia loro sia i bambini. 66. In questo contesto, "Una nota per le Conferenze Episcopali", pubblicata dal Pont. Cons. Migranti congiuntamente con il Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari e il Pontificio Consiglio per la Famiglia, con il titolo "La Salute riproduttiva dei rifugiati", ribadisce le riserve della Chiesa cattolica "riguardo l'ideologia di « salute riproduttiva » ", specificando che "la Santa Sede … non può esimersi dal manifestare le proprie riserve quando le modalità dell'assistenza prestata, o persino i mezzi impiegati, potrebbero causare grave danno alla dignità della persona e alla sua vita, dalle prime fasi del suo concepimento alla morte naturale, così com'è riconosciuto dalla ragione umana ed espresso dalla morale cattolica" ( Parte I ). 67. I rifugiati che rientrano nel loro Paese devono avere la possibilità di vivere una vita dignitosa, di avere un'adeguata indipendenza e di svolgere attività remunerative. Ciò presuppone che esistano servizi essenziali, che abbiano ricevuto sufficiente preparazione per il ritorno e che siano persone effettivamente in grado di accettare questa sfida in Paesi ove a volte regna ancora il disordine. È importante che essi abbiano accesso alle risorse comuni e che godano degli stessi diritti degli altri cittadini. 68. Opinioni diverse su come superare lo squilibrio tra l'assistenza d'emergenza e la ricostruzione sono state ampiamente discusse nel corso degli anni durante riunioni a livello regionale e internazionale. La Santa Sede afferma che "rimpatrio volontario non significa semplicemente tornare indietro. Altrimenti ci sarebbe il rischio che le persone vengano trasferite da una situazione difficile a una vita di miseria nel proprio Paese". Stati, sfollati, apolidi e vittime del traffico di esseri umani 69. Sfollati È necessario sviluppare un sistema più chiaro di assegnazione di responsabilità verso gli sfollati. Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono invitati "ad avere il coraggio di proseguire le loro discussioni sull'applicazione e le conseguenze pratiche della 'Responsabilità di proteggere', al fine di trovare la soluzione più opportuna … per quelle situazioni in cui le autorità nazionali non vogliono o non possono proteggere la propria popolazione di fronte alle minacce interne o esterne". In ogni caso, "attraverso l'elaborazione di norme legali, l'arbitrato di dispute legali e l'istituzione di salvaguardie, in particolare quando gli Stati falliscono nella loro responsabilità di protezione, le Nazioni Unite sono chiamate a essere forum propulsivo per lo stato di diritto in tutti gli angoli del globo". Una protezione efficace richiede la disponibilià non soltanto di risorse umane e finanziarie più cospicue, ma anche di un maggiore supporto istituzionale e di mandati più chiari. 70. Apolidi Il diritto ad una cittadinanza è riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo ed è sottolineato da varie Convenzioni e Conclusioni dell'UNHCR adottate dalla comunità internazionale come un diritto umano fondamentale. Gli apolidi rischiano di essere considerati come "non esistenti" e possono essere facilmente negati loro i diritti fondamentali, quali, p. es., all'istruzione, al lavoro, alla proprietà, al matrimonio, alla partecipazione politica, ecc. Gli Stati dovrebbero trattare gli apolidi che vivono nel loro territorio nel rispetto dei diritti umani internazionali. Essi sono invitati ad adottare una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale e ad assumere misure appropriate al fine di ridurre l'apolidia, specialmente nei casi di creazione o successione di uno Stato. Una legislazione giusta deve garantire che gli individui non siano privati arbitrariamente della loro nazionalità né debbano rinunciare alla loro cittadinanza senza acquisirne un'altra e che i bambini siano registrati alla nascita e dotati di certificati adeguati. 71. Vittime del traffico di esseri umani Politiche d'immigrazione più restrittive, controlli alle frontiere più severi e lotta alla criminalità organizzata sono oggi spesso considerati i mezzi per prevenire il traffico di esseri umani. Questo approccio è in realtà insufficiente a contrastare il fenomeno e si corre il rischio di mettere in pericolo la vita delle vittime. È quindi necessario affrontare coraggiosamente le sue cause profonde al fine di prevenire anche che le vittime vi ricadano, una volta rimpatriate e restituite alle medesime condizioni dalle quali avevano cercato di fuggire. Le iniziative anti tratta dovrebbero pertanto mirare anche a sviluppare e offrire prospettive reali per sfuggire al ciclo di povertà, abusi e sfruttamento. Inoltre, la piaga della tratta interna, implicitamente affrontata dalla legislazione internazionale esistente, non dovrebbe essere trascurata, ma bisognerebbe dedicarle attenzione per trovare opportune soluzioni. 72. Protezione e programmi per le vittime richiedono politiche integrate che diano priorità al loro benessere e siano nel loro interesse. "Occorre assicurare l'accesso delle vittime alla giustizia, all'assistenza legale e a quella sociale, nonché la compensazione per i danni che esse subiscono". Ciò potrebbe includere l'offerta di permessi di soggiorno di durata superiore a quella del processo legale contro i trafficanti. Ciò implica anche la prestazione di servizi quali protezione, socializzazione, consiglio, sostegno medico e psicologico e assistenza legale. 73. Vittime dello sfruttamento sessuale Le donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale meritano protezione speciale. Esse hanno bisogno del permesso di soggiorno per poter iniziare una nuova vita. Nel caso desiderino invece ritornare a casa, deve essere messo a loro disposizione un aiuto finanziario, preferibilmente in forma di micro-credito, per facilitare la loro reintegrazione, mentre dovrebbero essere prese misure per superare la discriminazione nei loro confronti. Allo stesso tempo bisognerà approntare una sufficiente protezione al fine di evitare che cadano nuovamente nelle mani di trafficanti, spesso conosciuti nel loro luogo di origine. Nel quadro normativo devono essere inserite necessarie disposizioni mirate a perseguire i singoli trafficanti o le organizzazioni coinvolte e a porre sotto sequestro le loro risorse finanziare. D'altra parte, coloro che sfruttano sessualmente le donne dovrebbero essere sensibilizzati e informati sul danno che causano. Per affrontare il problema in modo efficace è necessario conoscere i motivi che si celano dietro il loro comportamento. 74. Persone sottoposte a lavoro forzato Le vittime della tratta possono anche finire per essere sottoposte al lavoro forzato. Considerando i fattori che favoriscono questa pratica, è necessario sviluppare programmi volti a creare consapevolezza e formazione, affinché i contesti culturali che permettono che essa prosperi possano essere modificati. Devono essere applicate le leggi che regolano le condizioni dell'impiego e la prassi del lavoro, quali l'orario, i giorni di riposo, i giusti salari, mentre può essere necessario introdurre una legislazione che affronti la discriminazione. I consumatori devono essere coscienti delle loro responsabilità e delle condizioni in cui certi prodotti sono coltivati o fabbricati. Inoltre, l'introduzione di etichette commerciali e di codici di condotta potrebbero promuovere condizioni di lavoro dignitose. 75. Bambini soldato Il traffico di minori può anche fornire bambini soldato per i conflitti armati. Poiché il loro reclutamento è considerato un crimine di guerra, si devono prendere misure a vari livelli affinché coloro che vi sono implicati possano essere chiamati a risponderne ed essere efficacemente perseguiti. Tali misure includono il controllo internazionale della vendita e della distribuzione di armi leggere ai Paesi e ai gruppi armati che reclutano bambini, così come i meccanismi per prevenire la vendita di risorse naturali per finanziare i conflitti. I bambini soldato ( maschi e femmine ) devono essere inclusi nei programmi di disarmo, smobilitazione e reinserimento post conflitto, affinché sia offerta loro un'autentica opportunità di integrazione che dia a questi bambini la capacità di mantenersi. Allo stesso tempo le comunità locali devono essere coinvolte nell'aiutarli a superare le conseguenze delle gravi violazioni di diritti umani che spesso essi hanno subito o commesso, guidandoli al reinserimento nella vita della società. 76. Una causa di sradicamento forzato: i conflitti I conflitti sono una delle principali cause di sradicamento forzato. Essi hanno un costo altissimo: le sofferenze di individui, la perdita di vite – per non parlare di quella dei valori umani, spirituali e religiosi – e l'esborso finanziario della comunità nazionale e internazionale nell'assistere e nel curare le vittime. 77. Prevenzione Per evitare tali crisi è necessario introdurre meccanismi di allarme iniziale, combinati con alcune adeguate risposte politiche, in modo da poter affrontare i primi sintomi nel momento in cui appaiono e possono ancora essere gestiti, controllati o prevenuti. I costi della risposta della comunità internazionale all'emergenza umanitaria dopo che un conflitto è esploso superano di molto quelli necessari per interventi che lo precedano. 78. In questi casi è necessario analizzare con obiettività i fattori che portano alla violenza. Bisogna promuovere il potenziamento delle capacità e la formazione alla pace, che tengano conto del contesto culturale e della storia delle persone coinvolte. Occorre mantenere il dialogo, l'interazione e la collaborazione tra i gruppi contrapposti. 79. Soluzioni durature ai conflitti Una volta che il conflitto è terminato, è necessario adottare misure idonee a mantenere un futuro pacifico, di modo che i Paesi non ricadano nella violenza. Questo richiede sostegno, anche finanziario, per una pace sostenibile, che si prenda cura di istruzione, assistenza medica, riabilitazione, ricostruzione dello Stato e ripresa dell'economia, nonché di programmi di sminamento, di trattamento di diverse forme di trauma, di smobilitazione e reintegrazione dei combattenti e dei bambini soldato. La ricostruzione sociale deve includere gli antichi partiti avversari così che, nel caso di conflitto interno, sia data loro la possibilità di vivere assieme come cittadini del medesimo Paese. Per far sì che le comunità e gli individui superino il doloroso passato, va promossa la riconciliazione e la guarigione della memoria. Questo esige che vi sia comunicazione e partecipazione a uno stile di vita non-violento, che prenda in considerazione riparazioni in cui si combinano forme di compensazione individuali e collettive, simboliche e materiali. 80. Tutto questo certamente richiede il coinvolgimento della comunità internazionale in un adeguato impegno di finanziamento a lungo termine per far fronte alle situazioni post-belliche e permettere così ai rifugiati e agli sfollati di ritornare a casa con dignità e ricominciare una vita normale insieme con tutta la popolazione. Guidata dai suoi principi umanitari, la comunità internazionale dovrà essere pronta a coinvolgersi in programmi creativi, audaci e innovativi, che siano all'altezza di tragiche situazioni storiche. 81. Inoltre, sarà necessario affrontare le cause di fondo che costringono le persone a fuggire dalle loro case, come sottolineato da alcune Esortazioni Apostoliche post-sinodali. In quella per l'Africa, Giovanni Paolo II afferma: "La soluzione ideale ( per affrontare il fenomeno dei rifugiati e degli altri sradicati ) sta nel ristabilimento di una pace giusta, nella riconciliazione e nello sviluppo economico". Questo richiede – dichiara il Papa in quella per l'Europa – "un impegno coraggioso da parte di tutti per la realizzazione di un ordine economico internazionale più giusto, in grado di promuovere l'autentico sviluppo di tutti i popoli e di tutti i Paesi", nel quale – egli asserisce in quella per l'America – "non domini soltanto il criterio del profitto, ma anche quelli della ricerca del bene comune nazionale ed internazionale, dell'equa distribuzione dei beni e della promozione integrale dei popoli". Parte IV - La pastorale specifica dei rifugiati e di altre persone forzatamente sradicate Aspetti particolari di questa pastorale 82. Accoglienza ecclesiale e integrazione nella Chiesa locale L'accoglienza e l'ospitalità sono caratteristiche fondamentali del ministero pastorale, anche di quello tra i richiedenti asilo, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta. Esse garantiscono che guardiamo all'altro come persona e, se si tratta di un cristiano, come un fratello o una sorella nella fede, ed evitiamo che li consideriamo come un numero, un caso o un onere lavorativo. L'accoglienza non è tanto un compito quanto un modo di vivere e di condividere. 83. Offrire ospitalità nasce dall'impegno di essere fedeli a Dio, di ascoltare la sua voce nelle Sacre Scritture e riconoscerlo nelle persone intorno a noi. Con l'ospitalità lo straniero è accolto nella Chiesa locale, che deve essere luogo sicuro ove sentirsi rispettato, accettato e accolto con amicizia. Tale accoglienza comporta un attento ascolto e una reciproca condivisione delle esperienze di vita. Richiede un cuore aperto, la volontà di rendere la propria vita visibile all'altro, una generosa condivisione di tempo e risorse. Si passa dal dare cose all'offrire tempo e amicizia, e soprattutto, al dare Cristo, nostro tesoro, agli altri, come un'umile e rispettosa proposta. 84. Una comunità ecclesiale che accoglie gli stranieri, tuttavia, è un "segno di contraddizione", un luogo ove gioia e dolore, lacrime e pace sono strettamente intrecciate. Questo diviene particolarmente visibile in quelle società che sono ostili a coloro che vi sono accolti. Nel corso degli anni ci sono stati innumerevoli esempi di altruismo e azioni eroiche da parte di membri delle Chiese locali, che hanno ricevuto persone forzatamente sradicate, alcuni anche a costo della propria vita e dei propri beni. Offrire ospitalità significa ripensare e riformulare ripetutamente le priorità. 85. Sono necessari speranza, coraggio, amore e creatività perché la vita possa ricominciare. Occorre, comunque, dare priorità a uno sforzo concertato non solo per offrire assistenza logistica e umanitaria ma, ancor più, uno specifico sostegno morale e spirituale. Gli aspetti della spiritualità e della formazione devono, infatti, essere considerati parte integrante di una "vera e propria cultura dell'accoglienza" ( EMCC 39 ). A questo riguardo la comunità Cristiana locale potrebbe essere di grande aiuto. Là dove, in base a passate esperienze, possono verificarsi eventuali arrivi di rifugiati o sfollati, la Chiesa locale dev'essere prepararata ad affrontare tale sfida. In realtà, "la Chiesa [ deve cercare ] … di essere presente con e tra la comunità dei rifugiati, accompagnandoli durante la loro fuga, il periodo del loro esilio, e nel loro ritorno alla propria comunità o al paese di reinsediamento". 86. A questo riguardo è importante prendere in considerazione i diversi gruppi di rifugiati e di persone forzatamente sradicate: cattolici in generale, cattolici di rito Orientale, coloro che appartengono ad altre Chiese e Comunità Ecclesiali, coloro che seguono l'Islam e altre religioni in generale ( cfr EMCC 49-68 ). 87. Accogliere i rifugiati e altre persone forzatamente sradicate è un'importante espressione del Vangelo. I nuovi arrivati, provenienti da una cultura non cristiana o a-religiosa, sono destinatari privilegiati di evangelizzazione, come nuovi poveri ai quali il Vangelo è testimoniato. Il clero, gli operatori pastorali laici e la comunità Cristiana di accoglienza devono essere preparati e sensibilizzati a questo riguardo. 88. Inoltre, è importante ricordare che i rifugiati e altre persone forzatamente sradicate hanno un grande potenziale per l'evangelizzazione. Essi potrebbero facilmente trovarsi in luoghi e in situazioni ove poter svolgere questa missione. Anche in questo caso, occorre sensibilizzarli e offrire loro la formazione necessaria, prima di tutto illuminandoli sul valore della testimonianza, ma non escludendo l'esplicito annuncio che tenga conto delle situazioni e circostanze, sempre nel pieno rispetto dell'altro. 89. Erigere le strutture pastorali necessarie La Chiesa locale deve pertanto impegnarsi pastoralmente con le persone nella mobilità. Il suo interesse deve essere visibile nei servizi forniti da parrocchie territoriali o personali, da "missiones cum cura animarum", congregazioni religiose, organizzazioni caritative, movimenti ecclesiali, associazioni e nuove comunità. Quando necessario, bisogna istituire specifiche strutture pastorali nazionali e/o diocesane/eparchiali. 90. Il ruolo del cappellano e quello dei religiosi e delle religiose sono essenziali e cruciali in questa pastorale specializzata tra i rifugiati e le persone forzatamente sradicate, sia essa svolta nei campi o, in misura crescente, in aree urbane. Essi sono in prima linea in questa realtà odierna. Le persone che sono a loro affidate hanno vissuto tanti momenti logoranti e devono continuare a confrontarsi con tale situazione, mentre il loro futuro non è sicuro. Tutto ciò dà luogo a un compito pastorale impegnativo che richiede molto agli individui. Pertanto, il ruolo di questa pastorale missionaria deve essere preso seriamente, ben considerato e apprezzato. Esso ha bisogno di sostegno, affinché coloro che lo svolgono siano in grado di affrontare questa realtà pastorale ed essere creativi nel loro ministero. La prassi della loro designazione e nomina dovrebbe tener conto di questi fattori. 91. Luogo di questa azione pastorale è innanzitutto e soprattutto la parrocchia, che può così vivere in modo nuovo e attuale la sua antica vocazione di essere "un'abitazione in cui l'ospite si sente a suo agio". Se necessario, si possono erigere parrocchie personali o "missiones cum cura animarum" – come precedentemente menzionato – per affrontare meglio le necessità pastorali delle persone forzatamente sradicate. Tuttavia, la responsabilità ultima spetta ai Vescovi diocesani/eparchiali, come sottolineato da Papa Benedetto XVI nella Deus caritas est ( n. 32 ): "Alla struttura episcopale della Chiesa, poi, corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione, anche nel presente, del programma indicato negli Atti degli Apostoli ( cfr At 2,42-44 ): la Chiesa in quanto famiglia di Dio deve essere, oggi come ieri, un luogo di aiuto vicendevole e al contempo un luogo di disponibilità a servire anche coloro che, fuori di essa, hanno bisogno di aiuto". Infatti, nel rito dell'Ordinazione episcopale, l'ordinando è chiamato a promettere "espressamente di essere, nel nome del Signore, accogliente e misericordioso verso i poveri e verso tutti i bisognosi di conforto e di aiuto" (ibid. ). 92. In base al giudizio dell'Ordinario del luogo, i campi di rifugiati più vasti possono costituire una parrocchia o una struttura pastorale territoriale simile. Se i fedeli sono troppo pochi per tale struttura, essi potrebbero diventare membri di "succursali" o di "missiones cum cura animarum", anche con riferimento a una parrocchia territoriale vicina. 93. La collaborazione tra le Chiese di partenza e quelle di arrivo è indispensabile. Il coordinamento delle attività pastorali cattoliche rivolte a queste persone deve essere fatto dalle Conferenze Episcopali o dalle strutture corrispondenti delle Chiese Orientali Cattoliche, di solito attraverso una speciale Commissione episcopale. La Chiesa di partenza è pertanto esortata a tenersi in contatto con quei suoi membri che, per qualunque motivo, si trasferiscono altrove, mentre la Chiesa di accoglienza deve assumersi le sue responsabilità verso coloro che sono ormai diventati suoi membri. Entrambe le Chiese locali sono chiamate a mantenere le loro specifiche responsabilità pastorali in uno spirito di comunione attiva ed espressa concretamente. 94. Nelle Chiese locali in cui non esiste una Commissione episcopale per la pastorale dei migranti ( o della mobilità umana ), e per il momento non può essere istituita, si raccomanda la nomina di un Vescovo Promotore per questa pastorale specifica. 95. Un precedente tentativo di migliorare il coordinamento della risposta della Chiesa in Africa alla crisi dei rifugiati è stato il progetto chiamato "Pastori senza frontiere". Esso si proponeva di formare "un gruppo di operatori pastorali qualificati pronti ad aiutare offrendo la loro competenza quando ce ne fosse bisogno". L'idea nasceva dalle parole di Papa Paolo VI che ispirarono la seguente affermazione nel documento Chiesa e Mobilità Umana: "La pastorale richiesta dalle persone nella mobilità è necessariamente una pastorale, per così dire, senza frontiere … Strumenti idonei non possono essere trovati che nella solidale collaborazione tra le Chiese direttamente interessate" ( CMU 26 ). 96. Ospitando gran parte dei rifugiati e degli sfollati di oggi, ed essendo ancora giovane e carente di risorse finanziarie, la Chiesa in Africa deve ricevere uno speciale sostegno nella sua opera d'accoglienza. Allo stesso tempo, il continente genera relativamente pochi migranti economici, ma sostiene i costi umani della migrazione forzata senza raccogliere tutti quei benefici che l'emigrazione, almeno in qualche misura, generalmente porta con sé. 97. Operatori pastorali e loro formazione La situazione delle persone nella migrazione forzata chiama urgentemente sacerdoti, diaconi, religiosi e laici a prepararsi adeguatamente a questo apostolato specifico. È opportuno anche che alcune persone consacrate si dedichino al ministero tra le persone nella mobilità umana, sia fuori che dentro i loro Paesi. 98. In questo contesto vale la pena ripetere che è altamente auspicabile, se non essenziale, la presenza di operatori pastorali provenienti dalla Chiesa di partenza dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate, di cui conoscono lingua e cultura ( cfr EMCC 70 e 77 ). Comunque, tra la popolazione sradicata possono già trovarsi alcuni catechisti, essi stessi sradicati. Questo ha un grande valore perché essi possono offrire un importante contributo alla vita della comunità cristiana. Le stesse persone sradicate possono essere veri operatori di testimonianza e di evangelizzazione, non soltanto per coloro che sono nella medesima situazione, ma anche per la popolazione locale. 99. Inoltre, a questo riguardo, "invece di auspicare la creazione di un corso speciale o di una disciplina ausiliaria, si dovrebbe raccomandare vivamente un coordinamento ed una maggiore sensibilizzazione delle varie discipline teologiche più direttamente interessate al fenomeno migratorio", poiché "non si tratta di una pastorale ordinaria, comune alla generalità dei fedeli, ma di una pastorale specifica, adatta alla situazione di sradicato". 100. Sarebbe anche opportuno che la Chiesa locale d'arrivo desse particolare attenzione alla formazione continua di catechisti che sono essi stessi rifugiati o sfollati, specialmente durante lo spostamento in massa di persone, che può durare molti anni. Ciò potrebbe rappresentare un prezioso contributo e una valida assistenza alle loro Chiese di origine, dove potrebbero riedificare le comunità cristiane, qualora decidessero di ritornarvi. 101. Questo ministero richiede chiaramente un'adeguata formazione di tutti coloro che hanno ricevuto il mandato di realizzarlo o che intendono riceverlo. È pertanto necessario che fin dall'inizio, nei seminari, "la formazione spirituale, teologica, giuridica e pastorale … sia sensibilizzata ai problemi sollevati nel campo della pastorale delle persone nella mobilità". 102. Organizzazioni internazionali caritative cattoliche e Chiese locali Le organizzazioni caritative cattoliche sono chiamate a essere presenti nelle situazioni di bisogno, in nome di Gesù Cristo, incarnando i "valori" necessari a orientare le loro azioni. Esse devono esser guidate dal suo Spirito nel loro servizio, nel sacrificio, nell'opera di sensibilizzazione, nell'analisi, nella difesa e nel dialogo. Guidate dal Vangelo, esse dovrebbero tentare di costruire una società in cui ci siano pari opportunità, in cui scompaiano i pregiudizi sociali e siano una realtà il buon vicinato, la solidarietà, la cura reciproca e il rispetto dei diritti umani. Questo dovrebbe realizzarsi dall'inizio dei progetti intrapresi in risposta alle varie esigenze fino al loro completamento. Quando possibile e appropriato, queste organizzazioni di ispirazione cattolica sono incoraggiate a collaborare anche con le loro corrispondenti non-cattoliche. In tutti i casi, è importante evitare di lasciare lacune una volta che i programmi siano terminati. È perciò necessario stabilire come la Chiesa locale possa essere rafforzata in modo da poter essere in grado di affrontare le sfide future che sorgano da un certo grado di continuità di impegni. A questo fine le organizzazioni caritative cattoliche dovrebbero sempre operare in stretta collaborazione con la struttura diocesana/eparchiale locale sotto la guida del Vescovo diocesano/eparchiale. Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, i competenti Dicasteri della Santa Sede possono offrire consiglio e assistenza. 103. Nel campo della cooperazione, meritano speciale menzione le organizzazioni caritative cattoliche internazionali, in particolare la CCIM e il Sevizio dei Gesuiti per i Rifugiati/JRS, che sono impegnate nella pastorale e nelle attività di assistenza e sviluppo a sostegno della dignità umana e cristiana dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate. I valori cristiani indubbiamente giocano un ruolo importante nel definire la loro identità, raggiungere i loro scopi e incoraggiarle a preservare ciò che le distingue. 104. Nell'adempiere il loro compito di servizio, però, alcune istituzioni cattoliche sono spesso cresciute in dipendenza dal sostegno finanziario di fonti non-cattoliche. Così facendo esse corrono il rischio di prestare attenzione solo alle opinioni dei donatori, permettendo loro di fissare le proprie politiche, facendosi guidare da loro piuttosto che dalla propria missione e mettendo così in discussione la propria identità. In ogni caso, sarebbe anche appropriato che le agenzie, gli individui e i gruppi di finanziamento cattolici, nel decidere quali progetti sostenere, dessero priorità alle proposte presentate dalle istituzioni cattoliche. "Il Vescovo diocesano deve evitare che gli organismi di carità che gli sono soggetti siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa. Parimenti, per non dare scandalo ai fedeli, il Vescovo diocesano deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità o nei mezzi per raggiungerle, non corrispondano alla dottrina della Chiesa". Lo stesso comportamento dev'essere mantenuto dagli Istituti di vita consacrata e dalle Società di vita apostolica. Le istituzioni cattoliche devono dare ai loro membri la necessaria formazione che li renda capaci di preservare la propria specifica identità. Infatti, l'urgenza della formazione per gli operatori umanitari della Chiesa è sottolineata da Papa Benedetto XVI in Deus caritas est ( n. 31a ), evidenziando il bisogno di specifiche iniziative per rispondere a questa necessità. 105. Poiché alcune Chiese locali mancano di risorse adeguate per la loro vita e attività ordinaria, l'improvviso arrivo di rifugiati o di movimenti di sfollati possono causare condizioni insostenibili. Questo diventa ancor più cruciale quando la maggioranza di queste situazioni si protrae per anni, rendendo il costo del loro mantenimento superiore a ogni possibilità finanziaria. Ciò porta inevitabilmente a cercare assistenza presso organizzazioni umanitarie. Per facilitare il loro compito, le organizzazioni cattoliche potrebbero considerare di operare congiuntamente quasi come un'unica agenzia che gestisce tutte le domande e fornisce appropriate informazioni. Assieme potrebbero esaminare i progetti e individuare quale/i fra loro siano i donatori idonei, semplificando così le procedure. 106. La questione pastorale fondamentale, comunque, è di stabilire come la Chiesa possa esprimere autenticamente la carità, l'accoglienza e l'impegno apostolico. Ciò consentirebbe alle comunità locali di soddisfare l'insieme dei bisogni dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate, di sostenere l'impegno pastorale e piccoli progetti di assistenza sociale, di formare adeguatamente operatori pastorali, di appoggiare strutture pastorali specifiche e di sollecitare interventi preventivi nei conflitti insorgenti. Una condivisione di risorse, in base a queste esigenze, può richiedere nella Chiesa un aggiornamento degli attuali programmi di assistenza sociale. Entrambi i passi, innovativi e tradizionali, sono necessari per permettere alla Chiesa locale di far fronte a questa sfida dell'amore cristiano. 107. Coinvolgimento dei laici L'impegno cristiano dei laici è fondamentale per realizzare la missione della Chiesa nelle varie situazioni socio culturali attuali. Questo presuppone che i fedeli laici ricevano formazione e istruzione adeguate per potersi impegnare con competenza in analisi sociali, che sono un importante strumento per tradurre i valori del Vangelo in azioni concrete, in un contesto che è in continua e, a volte, molto rapida trasformazione. Ispirati dalle Sacre Scritture, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, essi saranno sensibili alla situazione del loro prossimo, specialmente dei bisognosi, e compiranno di conseguenza atti di carità per alleviarne le sofferenze. Questo richiede un processo continuo di conversione che li porterà più vicini gli uni agli altri e, allo stesso tempo, li guiderà ad un rapporto più profondo con Dio. 108. Occorre dare risposte adeguate alle necessità dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate, contrastando comportamenti di discriminazione, xenofobia o razzismo esistenti e promuovendo politiche che salvaguardino, rafforzino e proteggano i loro diritti. Attraverso l'impegno dei fedeli laici, sorgeranno nuovi rapporti tra la Chiesa e la società, cresceranno e si rafforzeranno contatti anche con le comunità religiose non cristiane e si svilupperà la collaborazione tra la Chiesa di provenienza e quella di accoglienza. 109. Il coinvolgimento dei laici è necessario anche per il servizio della liturgia e della pietà popolare ( cfrEMCC 44-48 ). Partecipando allo svolgersi dell'anno liturgico, alla celebrazione dei sacramenti e prendendo parte ad altre attività e servizi liturgici a loro familiari, i rifugiati e le altre persone forzatamente sradicate troveranno la forza necessaria per sopportare la dura prova dello sradicamento e cresceranno nel vivere il mistero pasquale di Cristo, rassicurati che "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno" ( Rm 8,28 ). 110. Cooperazione ecumenica e interreligiosa Per rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo è importante che i cristiani diano insieme testimonianza del profondo impegno a rendere presente il Regno di Dio. Questo potrebbe compiersi attraverso un'azione e collaborazione comuni che dovrebbero portarli più vicini gli uni agli altri e rinnovare il loro servizio in risposta alle sfide della sofferenza e dell'oppressione. "In questa unione nella missione, di cui decide soprattutto Cristo stesso, tutti i cristiani debbono scoprire ciò che già li unisce, ancor prima che si realizzi la loro piena comunione. Questa è l'unione apostolica e missionaria … Grazie a questa unione possiamo insieme avvicinarci al magnifico patrimonio dello spirito umano, che si è manifestato in tutte le religioni". L'azione comune e la cooperazione con le diverse Chiese e comunità ecclesiali, così come gli sforzi congiunti con coloro che professano altre religioni, potrebbero dar luogo alla preparazione di appelli sempre più urgenti a favore dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate. 111. Papa Giovanni Paolo II ha esplicitamente ribadito questo ai membri del Consiglio della CCIM, definendo l'"anima" dell'agire dell'istituzione a favore dei migranti e dei rifugiati come "un concetto di dignità umana basata sulla verità della persona umana, creata a immagine di Dio ( cfr Gen 1,26 ), una verità che illumina tutta la Dottrina Sociale della Chiesa". Secondo il Papa questa è "una visione profondamente religiosa, condivisa non solo da altri cristiani, ma anche da numerosi seguaci di altre grandi religioni del mondo". Egli li ha quindi esortati a non stancarsi nella ricerca di nuove modalità di cooperazione ecumenica e interreligiosa, che sono oggi più necessarie che mai. 112. Cooperare non significa certamente andare contro la propria fede o coscienza. In realtà, per rimanere autentiche e credibili, le comunità cristiane devono prendere Gesù Cristo come loro costante punto di riferimento. "Se siamo ripartiti davvero dalla contemplazione di Cristo, dovremo saperlo scorgere soprattutto nel volto di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi: … ( Mt 25,35-36). Questa pagina non è un semplice invito alla carità: è una pagina di cristologia, che proietta un fascio di luce sul mistero di Cristo". 113. Pastorale dei richiedenti asilo e degli apolidi nei centri di detenzione Sempre più spesso i richiedenti asilo e gli apolidi sono detenuti in zone delimitate, che comprendono prigioni, campi chiusi, strutture di detenzione o zone di transito aeroportuali, dove la libertà è considerevolmente ridotta. La detenzione è frequentemente applicata come strumento di asilo o di politica migratoria. Le persone confinate in situazioni simili alla detenzione sono destinatarie della sollecitudine dei cappellani e degli operatori pastorali. 114. La Chiesa locale, di cui fanno parte le cappellanie dei porti, quelle degli aeroporti, i cappellani delle prigioni o situazioni simili alla detenzione, ha la responsabilità primaria della cura pastorale dei rifugiati. Questo certamente implica cooperazione con i vari componenti della Chiesa locale, specialmente quando è necessario adempiere altri compiti e responsabilità nei confronti dei diversi destinatari della sollecitudine pastorale. 115. In effetti, in queste situazioni pastorali i membri della cappellania cattolica fanno molto per quanti sono detenuti nelle strutture riservate alla migrazione. Essi li visitano regolarmente e cercano di capire in quale modo aiutarli, specialmente per ciò che concerne le loro necessità fondamentali. Li ascoltano e danno loro consigli, cosa più importante di quanto comunemente si percepisca. Rispondono poi alle esigenze pastorali e sacramentali dei cattolici e anche alle richieste spirituali di altri cristiani, in linea con le norme cattoliche per la cooperazione ecumenica. Cercano di avere buone relazioni con il personale addetto alla sicurezza, cosa essenziale per essere in grado di offrire un aiuto adeguato a queste persone nel bisogno. Essi possono anche cooperare con altri organismi presenti al fine di assistere richiedenti asilo e apolidi. 116. Per i cappellani è necessario avere adeguata preparazione e capacità di affrontare le istanze di una tale pastorale, in modo da poter gestire efficacemente la situazione delle persone in stato di detenzione. La materia ha bisogno di essere più ampiamente conosciuta al fine di ottenere un impegno comune e ciò richiede maggiore sensibilizzazione e formazione appropriata. 117. Un aspetto importante nell'affrontare le necessità di quanti sono nei centri di detenzione è la collaborazione tra i membri della cappellania ( sia cattolici che appartenenti ad altre Chiese e Comunità ecclesiali ) e tutti gli altri operatori ( assistenti sociali, avvocati, personale medico e paramedico, interpreti, mediatori culturali, ecc. ) che lavorano in queste aree. Un'altra forma efficace di collaborazione è la formazione di una rete tra cappellanie di diversi Paesi. Conclusione 118. Il presente documento si attiene alle numerose indicazioni date dal Magistero nel corso del secolo scorso, dopo aver sperimentato due terribili guerre mondiali, seguite da una guerra fredda e da ulteriori conflitti in tutte le regioni del mondo, che provocarono ondate migratorie di persone sofferenti a causa di privazioni e di persecuzione. Esso contiene anche l'eco del successivo ministero che, in continuità con il passato, aggiorna la pastorale specifica a favore delle persone forzatamente sradicate. 119. Se c'è carità in noi, è impossibile rimanere in silenzio di fronte alle immagini inquietanti che mostrano scorci di campi di rifugiati e di sfollati in tutto il mondo. Siamo di fronte a persone che hanno cercato di sfuggire a un destino insopportabile, solo per finire a vivere in sistemazioni di fortuna e ancora bisognose di tutto. Anch'essi sono esseri umani, nostri fratelli e sorelle, i cui figli hanno diritto alle stesse legittime aspettative di felicità degli altri bambini. 120. Ciascuno di noi deve perciò avere il coraggio di non distogliere lo sguardo dai rifugiati e dalle persone forzatamente sradicate, ma dobbiamo permettere ai loro volti di penetrare nei nostri cuori, accogliendoli nel nostro mondo. Se ascolteremo le loro speranze e la loro disperazione capiremo i loro sentimenti. 121. Il ricordo di quanto l'umanità ha sofferto a seguito di guerre e conflitti che hanno costretto milioni di individui a fuggire, abbandonando le loro case e le loro terre, rende le persone particolarmente sensibili a questo riguardo, specialmente in quei luoghi ove questi eventi si verificarono. Incoraggiamo dunque tutti ad agire instancabilmente affinché ogni discordia e divisione possa finire. Ciò permetterà di edificare la civiltà della verità e dell'amore in un contesto di solidarietà fra nazioni di tutto il mondo. 122. Il problema dei rifugiati e delle altre persone forzatamente sradicate può essere risolto soltanto se ci sono le condizioni per un'autentica riconciliazione. Questo implica riconciliazione tra nazioni, tra vari settori di una determinata comunità nazionale, all'interno di ciascun gruppo etnico e tra i gruppi etnici. Perché questo avvenga è necessario perdonare ciò che ebbe luogo nel passato, ed essere capaci di lavorare assieme per costruire un futuro migliore. C'è bisogno di una purificazione della memoria poiché "prima che qualsiasi processo di riconciliazione con altre persone o comunità possa iniziare è necessario innanzitutto riconciliarsi con il passato". 123. In effetti, tutti coloro che generosamente e altruisticamente si adoperano a favore dei rifugiati e delle persone forzatamente sradicate sono "operatori di pace" e meritano di essere considerati benedetti da Dio, poiché hanno riconosciuto il volto di Gesù Cristo in quello di migliaia di persone forzatamente sradicate e di quelle sofferenti che hanno incontrato nel corso del loro impegno. Il loro compito non sarà terminato fino a quando vi saranno persone che soffrono, alle quali risponderanno "dando i mezzi per perseverare e riaffermare la loro dignità". Ciò è ancora valido ai nostri giorni. 124. Possa la Vergine Madre, che provò il dolore dell'esilio, insieme con il suo Figlio benedetto e San Giuseppe suo Sposo, aiutarci a capire il dramma di coloro che sono costretti a vivere lontano dalle loro case, in mobilità, come i rifugiati, gli sfollati, gli apolidi, le vittime della tratta o del lavoro forzato e i bambini soldato. Possa Maria insegnarci a prenderci sempre cura di loro con un servizio pastorale di accoglienza che sia veramente umano e fraterno.