Cerimoniale dei Vescovi Congregazione per il culto divino Prot. n. CD 1300/84 Decreto Dopo la revisione di quasi tutti i libri liturgici su disposizione del concilio ecumenico Vaticano II, è sembrato necessario rifare integralmente anche il Cerimoniale dei Vescovi e pubblicarlo sotto nuova forma, in modo che nella celebrazione dei riti il vescovo possa pienamente apparire « come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo » ( S. C., n. 41 ) e in questo libro venga convenientemente presentata tutta la liturgia riformata nella sua estensione. E ciò risulta più evidente, qualora si ponga attenzione alle nuove norme pastorali e giuridiche emanate dai competenti dicasteri della santa sede sul vescovo. Tuttavia bisogna notare che il nuovo Cerimoniale dei Vescovi non può essere ritenuto un libro liturgico in senso stretto, per il fatto che non viene usato durante le celebrazioni liturgiche. Ma sarà molto utile allo stesso vescovo, ai ministri di grado diverso e al maestro delle cerimonie, perché in esso troveranno tutto ciò che a ciascuno di essi compete nelle celebrazioni. Questo libro propone i riti che devono essere compiuti dal vescovo, in modo tale però che possano essere salvaguardate le tradizioni e le esigenze proprie dei vari luoghi. Le norme di cui sopra, emanate dalla sede apostolica, e le norme e le rubriche già fissate nei libri liturgici mantengono immutato il loro valore vincolante, a meno che non siano modificate in questo libro. Tutte le altre norme vengono proposte per ottenere con maggiore sicurezza che la liturgia presieduta dal vescovo sia vera, semplice, chiara, carica di dignità ed efficacia pastorale, venga favorita l'unità spirituale e siano sempre evitate inutili stranezze. Il sommo pontefice Giovanni Paolo II, nella udienza concessa il 7 settembre 1984 al pro-prefetto e al segretario della congregazione per il culto divino, con la sua autorità ha approvato il nuovo Cerimoniale dei Vescovi, preparato dalla medesima congregazione, e ha disposto che venisse pubblicato. Perciò questa congregazione, su mandato del sommo pontefice, rende di dominio pubblico il nuovo Cerimoniale dei Vescovi, stabilendo che inizi ad aver vigore al posto dei precedente Cerimoniale dei Vescovi, non appena sarà pubblicato. Nonostante ogni disposizione contraria. Dal palazzo della congregazione per il culto divino, 14 settembre 1984, festa della esaltazione della santa croce. Agostino Mayer, osb Arcivescovo tit. di Satriana Pro-Prefetto Virgilio Noè Arcivescovo tit. di Voncaria Segretario Proemio I. Storia del Cerimoniale dei Vescovi Il Cerimoniale dei Vescovi che era in uso fino ad oggi, fu pubblicato dal sommo pontefice Clemente VIII nell'anno 1600. Tuttavia questa edizione non era se non la revisione emendata secondo i principi della riforma tridentina di un'opera già da tempo approvata. Infatti il Cerimoniale dei Vescovi era succeduto agli « Ordines Romani » che dalla fine del secolo settimo tramandavano le norme delle azioni liturgiche presiedute dai romani pontefici. Fra questi « Ordines » quello che figura come tredicesimo nel « Museo italico » di Giovanni Mabillon, edito per ordine del beato Gregorio X ( 1271-1276 ) circa nell'anno 1273 nel secondo concilio di Lione ( 1274 ), non recava affatto il titolo di « Cerimoniale dei Vescovi »: in esso erano descritte le cerimonie per eleggere e ordinare il papa, e le indicazioni circa la messa papale e le celebrazioni lungo tutto l'anno. Circa quarantotto anni dopo l'« Ordo » Romano XIV, redatto attorno agli anni dal 1314 al 1320 sotto il nome del cardinale Giacomo Gaetano Stefaneschi e in seguito pubblicato attorno al 1341, descriveva le sacre funzioni che si celebravano nella elezione e incoronazione del sommo pontefice e soprattutto in occasione di un concilio ecumenico, di una canonizzazione, della incoronazione di imperatori e re. Questo medesimo libro fu pubblicato, accresciuto di molto, sotto Benedetto XII ( 1334-1342 ) e Clemente VI ( 1342-1352 ), e sotto il beato Urbano V ( 1362-1370 ) vi fu aggiunto anche un altro supplemento sulla morte dei sommo pontefice e sullo stato dei cardinali. L'« Ordo », che secondo la numerazione di Giovanni Mabillon è indicato come XV, o anche come « Libro delle Cerimonie della Chiesa Romana » dal patriarca Pietro Ameil, composto verso la fine dei secolo XIV sotto Urbano VI ( 1378-1389 ) e in seguito accresciuto da Pietro Assalbit, vescovo di Oloron, sotto Martino V ( 1417-1431) , insieme ai manoscritti Avignonesi e sotto il nome di « Libro delle Cerimonie della sacra Romana Chiesa », fu in uso presso la Curia papale, fino a che, per ordine di Innocenzo VIII ( 1484-1492 ), Agostino Patrizi, vescovo Pienza e Montalcino, portò a termine il nuovo Cerimoniale nel 1488. Questo libro, con uno stile diverso, fu pubblicato a Venezia nel 1516 da Cristoforo Marcello, arcivescovo eletto di Corfú, sotto il titolo di « Rituum ecclesiasticarum sive sacrarum. Cacremoniarurn Sanctie RomanT Ecelesim libri tres non ante impressi » e rimase in uso per le cerimonie del Romano Pontefice anche ai nostri giorni Dal Cerimoniale dell'epoca precedente, Paride de Grassi, cerimoniere maggiore di papa Giulio II ( 1503-1513 ), non solo estrasse un « Ordo Romano » per la liturgia papale, ma anche compose un'opera a cui in seguito, nel 1564, fu dato il titolo di « Sulle Cerimonie dei cardinali e dei vescovi nelle loro diocesi, libri due » nella quale adattò alla liturgia papale la liturgia di qualche sede episcopale, ad esempio, quella Bolognese. Il 15 dicembre 1582 Gregorio XIII ( 1572-1585 ) istituì una commissione che precedendo la congregazione per i sacri riti e cerimonie, sotto la presidenza del cardinale Gabriele Paleotti, rivedesse il libro di Paride sulle cerimonie per i cardinali e i vescovi. Era stato S. Carlo Borromeo, che a quel tempo si trovava a Roma a suggerire questa revisione a Gregorio XIII e ad incoraggiarla. Ma con la sua morte nel 1584 i lavori di questa commissione cessarono. Sisto V (1585-1590 ) non istituì soltanto la congregazione per i sacri riti e le cerimonie il 22 gennaio 1588 per la revisione dei libri liturgici, ma già il 19 marzo 1586 aveva ordinato che gli fossero portati dalla Biblioteca Vaticana molti codici, affinché potesse di persona elaborare una nuova disciplina sui sacri riti. Ma si ignora con quale esito. Infine, il 14 luglio 1600, Clemente VIII ( 1592-1605 ), pubblicando il Cerimoniale dei Vescovi completò l'opera di riforma di questo libro, usando liberamente non tanto degli scritti di Agostino e di Paride, quanto, come sembra, di molti altri oggi sconosciuti, grazie all'opera di uomini illustri per santità e scienza che a quel tempo lavoravano presso la sacra congregazione dei Riti, i cardinali Cesare Baronio, s. Roberto Bellarmino e Silvio Antoniano. La bolla introduttoria dunque non parla mai di un nuovo libro, ma sempre della revisione del Cerimoniale dei Vescovi, libro a tutti noto. Ma già il 30 luglio 1650 Innocenzo X ( 1644-1655 ) rese di pubblico dominio una nuova edizione del Cerimoniale dei Vescovi emendata e rivista. Benedetto XIII ( 1724-1730 ), quasi un secolo dopo, il 7 marzo 1727, per il suo zelo verso i sacri riti, la pubblicò nuovamente, dopo aver emendato alcuni particolari oscuri e ambigui o fra di loro contraddittori. Infine dopo 15 anni, il 25 marzo 1742, Benedetto XIV ( 1740-1758 ), un tempo officiale della sacra congregazione dei riti, ripubblicò l'edizione dei Cerimoniale, aggiungendovi un terzo libro sugli argomenti riguardanti lo Stato Ecclesiastico Romano e facendo anche l'elogio del metodo di insegnamento della liturgia che si teneva allora al Collegio Romano Gregoriano della Compagnia di Gesù. Più recentemente Leone XIII ( 1878-1903 ), nel 1886, ordinò che fosse pubblicata una nuova edizione tipica del Cerimoniale dei Vescovi, conservando integralmente il libro terzo, per quanto non fosse più di alcuna importanza, essendo stato ormai soppresso lo Stato Ecclesiastico o ridotto alla Città del Vaticano. Finalmente il concilio Ecumenico Vaticano II ordinò che fossero riformati tutti i riti e libri sacri e così fu necessario rifare completamente e pubblicare sotto nuova forma anche il Cerimoniale dei Vescovi. 2. Valore del Cerimoniale dei Vescovi I sommi pontefici che promulgarono le edizioni del Cerimoniale dei Vescovi, pubblicarono certamente un libro che doveva essere per sempre osservato da tutti, ma non vollero che fossero abolite o abrogate le antiche cerimonie che risultassero conformi allo spirito del Cerimoniale stesso. Questo libro, adattato alle norme del concilio Vaticano II, sostituisce il precedente Cerimoniale, che d'ora in avanti dovrà essere ritenuto del tutto abrogato, ed è stato redatto in modo tale che venissero opportunamente conservate le consuetudini e le tradizioni locali di cui ciascuna Chiesa particolare gode come di proprio tesoro, da trasmettere alle future generazioni, purché siano rese conformi alla liturgia rinnovata dal concilio Vaticano II. La maggior parte delle norme liturgiche offerte dal nuovo Cerimoniale riceve forza obbligante dai libri liturgici già promulgati. Invece tutto ciò che nel nuovo Cerimoniale appare mutato, dovrà essere eseguito nel modo indicato nello stesso Cerimoniale. Le altre norme che si trovano in questo Cerimoniale hanno lo scopo di ottenere che la liturgia dei vescovo risulti semplice e nello stesso tempo nobile e carica di efficacia pastorale, cosicché possa risultare di esempio per tutte le altre celebrazioni. Perché poi questa finalità pastorale possa raggiungere più facilmente il proprio scopo, questo libro è stato redatto in modo tale che il vescovo, gli altri ministri e soprattutto i maestri delle cerimonie possano trovare in esso quanto è necessario affinché le celebrazioni liturgiche presiedute dal vescovo si rivelino non un semplice apparato di cerimonie, ma, secondo lo spirito del concilio Vaticano II, una speciale manifestazione della Chiesa particolare. Parte I - La liturgia episcopale in genere Capitolo I - Indole e importanza della liturgia episcopale I. La dignità della Chiesa particolare 1. « La diocesi è una porzione del popolo di Dio, che è affidata alle cure pastorali dei vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui unita per mezzo del vangelo e della eucaristia nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica ». Anzi, in essa è presente Cristo per virtù del quale si riunisce la Chiesa. Giustamente s. Ignazio aveva detto: « Dove sarà presente il vescovo, lì vi sia anche il popolo, così come dove sarà Cristo Gesù, vi è la Chiesa cattolica ». 2. Alla Chiesa particolare compete quindi la dignità della Chiesa di Cristo. Infatti non è un gruppo di uomini qualsiasi che si riuniscono di loro spontanea volontà per un qualche fine comune, ma un dono luminoso che proviene dal Padre. Né dev'essere considerata come una semplice ripartizione amministrativa del popolo di Dio, perché a suo modo anch'essa possiede e manifesta la natura della Chiesa universale che, come madre dei fedeli, fluisce dal fianco di Cristo crocifisso e, unita a Cristo, continuamente vive e cresce per mezzo dell'eucaristia; essa è nella sua sede « il popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito Santo e in una totale pienezza ». 3. Ma non vi è alcuna legittima assemblea di fedeli né comunità che partecipa all'altare se non sotto il sacro ministero del vescovo. Inoltre l'unione di tale Chiesa particolare si diffonde e vive nelle singole assemblee di fedeli, a capo delle quali il vescovo pone i suoi presbiteri affinché santifichino e guidino sotto la sua autorità la porzione del gregge del Signore loro affidata. 4. E come la Chiesa universale è presente e si manifesta nella Chiesa particolare, così le Chiese particolari apportano i loro propri doni alle altre parti e alla Chiesa intera, « in modo che il tutto e le singole parti si accrescono con l'apporto di tutte, che sono in comunione le une con le altre e coi loro sforzi verso la pienezza dell'unità ». II. Il Vescovo fondamento e segno di comunione nella Chiesa particolare 5. Il vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell'ordine, in comunione e sotto l'autorità dei Romano Pontefice, guida la Chiesa particolare come vicario e ambasciatore di Cristo. I vescovi infatti, « posti dallo Spirito Santo, succedono al posto degli Apostoli come pastori delle anime. … Infatti Cristo diede agli Apostoli e ai loro successori il mandato e il potere di ammaestrare tutte le genti, di santificare gli uomini nella verità e di pascerli. Perciò i vescovi, per virtù dello Spirito Santo, che loro è stato dato, sono divenuti i veri e autentici maestri della fede, i pontefici e i pastori. 6. Mediante la predicazione del vangelo, il vescovo chiama gli uomini alla fede nella forza dello spirito o li conferma in una fede viva, e propone ad essi il mistero di Cristo nella sua integrità. 7. Mediante i sacramenti, la cui regolare e fruttuosa celebrazione viene ordinata sotto la sua autorità, il vescovo santifica i fedeli. Egli regola il conferimento del battesimo, con il quale viene concessa la partecipazione al sacerdozio regale di Cristo. Egli è il ministro originario della confermazione, il dispensatore dei sacri ordini e il moderatore della disciplina penitenziale. Da lui è diretta ogni legittima celebrazione dell'eucaristia, grazie alla quale continuamente vive e cresce la Chiesa. Con sollecitudine esorta ed istruisce il suo popolo, affinché partecipi pienamente con fede e riverenza alla liturgia e soprattutto al sacro sacrificio della messa. 8. Nel vescovo, assistito dai presbiteri, nella comunità dei credenti è presente il Signore Gesù Cristo, pontefice sommo. Infatti pur sedendo alla destra del Padre non viene meno alla comunità dei suoi pontefici, i quali, scelti per pascere il gregge del Signore, sono ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio. Dunque « il vescovo dev'essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge, dal quale deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo ». 9. Il vescovo infatti è « il distributore della grazia del supremo sacerdozio » e nell'esercizio della loro potestà da lui dipendono sia i presbiteri i quali sono stati anch'essi consacrati come veri sacerdoti del nuovo testamento, affinché siano provvidenziali cooperatori dell'ordine episcopale, sia i diaconi, i quali, ordinati per il ministero, sono al servizio del popolo di Dio in comunione con il vescovo e il suo presbiterio; per questo motivo il vescovo stesso è il principale dispensatore dei misteri di Dio e, nello stesso tempo, il moderatore, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa a lui affidata. A lui infatti « è affidato l'incarico di presentare il culto della religione cristiana alla divina maestà e di regolarlo secondo i precetti del Signore e le leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente determinate per la sua diocesi ». 10. Il vescovo regge la Chiesa particolare a lui affidata con i consigli, la persuasione, gli esempi, ma anche con l'autorità e la sacra potestà ricevuta mediante l'ordinazione episcopale e di cui si vale per edificare nella verità e santità il proprio gregge. « I fedeli poi devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano d'accordo nell'unità e crescano per la gloria di Dio ». III. Importanza della liturgia episcopale 11. La funzione dei vescovo, come dottore, santificatore e pastore della sua Chiesa, brilla soprattutto nella celebrazione della sacra liturgia da lui compiuta con il popolo. « Perciò bisogna che tutti diano la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi intorno al vescovo principalmente nella chiesa cattedrale; convinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri ». 12. Dunque le sacre celebrazioni presiedute dal vescovo, manifestano il mistero della Chiesa a cui è presente Cristo; perciò non sono un semplice apparato di cerimonie. Inoltre è opportuno che queste celebrazioni siano di esempio per tutta la diocesi e brillino per la partecipazione attiva del popolo. Perciò in esse la comunità riunita partecipi con il canto, il dialogo, il sacro silenzio, l'attenzione interna e la partecipazione sacramentale. 13. Dunque in tempi determinati e nei giorni più importanti dell'anno liturgico si preveda questa piena manifestazione della Chiesa particolare a cui siano invitati il popolo proveniente dalle diverse parti della diocesi e, per quanto sarà possibile, i presbiteri. Affinché poi i fedeli e i presbiteri possano più facilmente radunarsi da tutte le parti, talvolta tale celebrazione comune sia indetta in parti diverse della diocesi. 14. In queste assemblee la carità dei fedeli si estenda alla Chiesa universale e sia suscitato in essi un servizio più fervido al vangelo e agli uomini. IV. Il compito della predicazione da parte del Vescovo 15. Tra le funzioni principale del vescovo eccelle la predicazione del vangelo. Il vescovo infatti è l'araldo della fede, che conduce a Cristo nuovi discepoli, è il dottore autentico, cioè rivestito della autorità di Cristo, che predica al popolo affidatogli la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, che illustra questa fede alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della rivelazione cose nuove e vecchie, le fa fruttificare e veglia per tenere lontano dal suo gregge gli errori che lo minacciano. Il vescovo adempie a questo ufficio anche nella sacra liturgia, quando tiene l'omelia durante la messa, nelle celebrazioni della parola di Dio e, secondo l'opportunità, nelle lodi e nei vespri, inoltre quando tiene la catechesi e propone monizioni nella celebrazione dei sacramenti e sacramentali. 16. Questa predicazione « attinga anzitutto alla sorgente della sacra scrittura e della liturgia, come annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza ossia nel mistero di Cristo, mistero che è in noi sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche ». 17. Dal momento che la predicazione è a tal punto ministero proprio del vescovo, che gli altri ministri sacri non possono esercitarlo se non in sua vece, è compito del vescovo, quando presiede una azione liturgica, tenere di persona l'omelia. Il vescovo predichi seduto in cattedra con mitra e pastorale, a meno che non ritenga opportuno fare diversamente. Capitolo II - Uffici e ministeri nella liturgia episcopale 18. « In ogni comunità che partecipa all'altare » riunita « sotto il ministero sacro del vescovo, viene offerto il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza ». Per questo è di somma convenienza che, quando il vescovo partecipa a qualche azione liturgica dove il popolo è radunato, presieda egli stesso la celebrazione, dal momento che è insignito della pienezza del sacramento dell'ordine. E ciò non per accrescere la solennità esterna dei rito, ma per mostrare con più splendida luce il mistero della Chiesa. È altresì opportuno che il vescovo associ a sé i presbiteri nella celebrazione. Ma se il vescovo presiede l'eucaristia senza celebrarla, egli stesso guidi la liturgia della parola e concluda la messa con il rito di congedo, secondo le norme seguenti ai nn. 176-185. 19. Nell'assemblea che si riunisce per celebrare la liturgia, soprattutto quando presiede il vescovo, ciascuno ha il diritto e il dovere di prendervi parte in modo diverso secondo la diversità dell'ordine e dell'ufficio. Tutti dunque, ministri o fedeli, svolgendo il proprio ufficio, compiano solo e tutto ciò che è di loro competenza. Per questo motivo la Chiesa si manifesta, nei suoi diversi ordini e ministeri, come un corpo le cui singole membra costituiscono un tutt'uno. 20. I presbiteri I presbiteri, benché non posseggano il vertice del sacerdozio e nell'esercizio della loro potestà dipendano dal vescovo, tuttavia sono a lui congiunti nella dignità sacerdotale. Essi, saggi collaboratori dell'ordine episcopale e suoi aiuto e strumento, chiamati al servizio del popolo di Dio, costituiscono col loro vescovo un unico presbiterio, e, sotto la sua autorità, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata. 21. Dunque si raccomanda vivamente che nelle celebrazioni liturgiche il vescovo abbia alcuni presbiteri che lo assistono. Anzi, nella celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo, i presbiteri concelebrino con lui, così che venga manifestato per mezzo dell'eucaristia il mistero dell'unità della Chiesa ed essi appaiano davanti alla comunità come presbiterio del vescovo. 22. I presbiteri che partecipano alle celebrazioni episcopali compiano solo ciò che spetta ai presbiteri; qualora poi non ci siano diaconi, suppliscano ad alcuni ministeri propri dei diaconi, ma senza mai indossare le vesti diaconali. 23. I diaconi Fra i ministri hanno il primo posto i diaconi, il cui ordine fin dai primi tempi della Chiesa fu tenuto in grande onore. I diaconi, uomini di buona reputazione e pieni di sapienza, ( Cf. At 6,3 ) con l'aiuto di Dio devono comportarsi in modo da essere riconosciuti come veri discepoli ( Cf. Gv 13,35 ) di colui che è venuto non per essere servito, ma per servire ( Cf. Mt 20,28 ) e fu in mezzo ai suoi discepoli come colui che serve. ( Cf. Lc 22,27 ) 24. Sostenuti dal dono dello Spirito Santo, offrono il loro aiuto al vescovo e al suo presbiterio nel ministero della parola, dell'altare e della carità. Divenuti ministri dell'altare, annunziano il vangelo, servono alla celebrazione del sacrificio e distribuiscono il Corpo e Sangue del Signore. Dunque i diaconi considerino il vescovo come padre e offrano a lui l'aiuto come allo stesso Signore Gesù Cristo, pontefice eterno, presente in mezzo al suo popolo. 25. È compito del diacono nelle azioni liturgiche: assistere il celebrante; servire all'altare, sia al libro sia al calice; guidare l'assemblea dei fedeli per mezzo di opportune monizioni; annunziare le intenzioni della preghiera universale. Se poi non è presente alcun altro ministro, egli esercita, secondo la necessità, gli uffici degli altri. Nel caso in cui l'altare non sia rivolto verso il popolo, il diacono deve sempre rivolgersi ad esso quando proferisce monizioni. 26. I diaconi, nella celebrazione liturgica presieduta dal vescovo, siano normalmente almeno tre: uno che serve al vangelo e all'altare e due che assistono il vescovo. Se ve ne sono di più, si distribuiscono fra di loro i servizi e almeno uno di loro curi la partecipazione attiva dei fedeli. 27. Gli accoliti L'accolito, nel servizio dell'altare, ha le proprie funzioni, che deve esercitare di persona anche nel caso in cui siano presenti ministri di ordine superiore. 28. L'accolito infatti viene istituito per aiutare il diacono e servire al sacerdote. Quindi è suo compito curare il servizio dell'altare, aiutare il diacono e il sacerdote nelle azioni liturgiche, soprattutto nella celebrazione della messa; inoltre è anche suo compito, in quanto ministro straordinario, distribuire la santa comunione a norma del diritto. Qualora ve ne fosse necessità istruisca coloro che prestano servizio nelle azioni liturgiche, sia portando il libro, la croce, i ceri, il turibolo, sia esercitando altri uffici simili. Non di meno nelle celebrazioni presiedute dal vescovo è opportuno che servano accoliti istituiti e, qualora siano numerosi, distribuiscano tra di loro i vari ministeri. 29. Affinché possa adempiere più degnamente ai propri compiti, l'accolito partecipi alla santa eucaristia con pietà di giorno in giorno sempre più ardente, si nutra di essa e di essa acquisti una cognizione più alta. Inoltre si preoccupi di comprendere il senso profondo e spirituale delle azioni che compie, così che ogni giorno possa offrire tutto se stesso a Dio e venga condotto a prendersi cura con amore sincero del corpo mistico di Cristo che è il popolo di Dio, ma soprattutto dei deboli e degli infermi. 30. I lettori Il lettore, nella celebrazione liturgica, ha un proprio compito che deve esercitare di persona, anche nel caso in cui siano presenti ministri di ordine superiore. 31. Il lettore, che fra i ministri inferiori è il primo a comparire dal punto di vista storico, e si trova in tutte le Chiese con un ufficio che è stato conservato sempre, e viene istituito per il compito che gli è proprio di proclamare nell'assemblea liturgica la parola di Dio. Per questo, nella messa e nelle altre azioni sacre proclama le letture, eccetto il vangelo; nel caso in cui mancasse il salmista, recita il salmo fra le letture; nel caso in cui mancasse il diacono, annunzia le intenzioni della preghiera universale. Qualora ve ne fosse necessità, curi inoltre di preparare i fedeli che nelle azioni liturgiche possono proclamare la sacra scrittura. Non di meno nelle celebrazioni presiedute dal vescovo è opportuno che la proclamino lettori istituiti e, nel caso che ci siano più lettori, distribuiscano tra di loro le letture. 32. Memore della dignità della parola di Dio e dell'importanza del suo ufficio, curi assiduamente le modalità di una corretta dizione e pronunzia, affinché la parola di Dio sia chiaramente percepita dai partecipanti. Quando poi annunzia agli altri la divina parola, la accolga docilmente anche lui e la mediti con attenzione, così da darne testimonianza con il suo comportamento. 33. Il salmista Dal momento che i canti che ricorrono fra le letture rivestono grande importanza liturgica e pastorale, è opportuno che nelle celebrazioni presiedute dal vescovo, soprattutto in cattedrale, vi sia il salmista o cantore del salmo, dotato dell'arte del salmeggiare e di attitudine spirituale, il quale canti il salmo in modo responsoriale o diretto, o altro canto biblico, come anche il graduale e l'alleluia, cosicché i fedeli siano opportunamente aiutati nel canto e nella meditazione dei significato dei testi. 34. Il maestro delle cerimonie La celebrazione, soprattutto quella presieduta dal vescovo, affinché rifulga per decoro, semplicità e ordine, necessita della presenza di un maestro delle cerimonie, che la prepari e la diriga, cooperando strettamente con il vescovo e con gli altri che hanno il compito di organizzarne le parti, soprattutto sotto l'aspetto pastorale. Il maestro delle cerimonie deve essere veramente esperto di sacra liturgia, della sua storia e delle sue caratteristiche, delle sue leggi e delle sue regole; ma deve ugualmente avere esperienza di questioni pastorali, così che sappia come debbano essere ordinate le sacre celebrazioni, non solo per favorire la fruttuosa partecipazione del popolo, ma anche per promuovere il decoro di esse. Si preoccupi che siano osservate le leggi delle sacre celebrazioni, secondo il loro vero spirito, e le legittime tradizioni della Chiesa locale che possano essere di utilità pastorale. 35. Si metta d'accordo a tempo opportuno con i cantori, gli assistenti, i ministranti e i celebranti su ciò che si deve fare e dire; durante la celebrazione invece usi la massima discrezione possibile; non dica nulla di superfluo; non occupi il posto dei diaconi e degli assistenti a fianco del celebrante e infine compia tutto con pietà, pazienza e precisione. 36. Il maestro delle cerimonie indossa il camice o l'abito talare e la cotta. Nel caso che sia diacono, può indossare, durante la celebrazione, la dalmatica e le altre vesti del proprio ordine. 37. Il sacrestano Insieme al maestro delle cerimonie, ma in subordine a lui, il sacrestano prepara le celebrazioni del vescovo. Il sacrestano prepari accuratamente i libri per la proclamazione della parola di Dio e delle orazioni, i paramenti e le altre cose necessarie per la celebrazione. Curi il suono delle campane per le sacre celebrazioni. Si preoccupi di osservare il silenzio e la moderazione nella sacrestia e nel secretarium. Non vengano trascurate le suppellettili conservate dalla tradizione locale, ma siano mantenute in ottime condizioni. Se poi si deve provvedere alla realizzazione di nuova suppellettile, la si scelga secondo gli indirizzi dell'arte contemporanea, senza ricercare tuttavia la pura novità. 38. Al decoro del luogo della sacra celebrazione contribuisce innanzitutto l'accurata pulizia del pavimento, delle pareti e di tutte le immagini e degli oggetti che vengono utilizzati o che si presentano alla vista. Si eviti non solo ogni sontuosità, ma anche l'eccessiva povertà degli ornamenti; siano poi osservate le regole di una nobile semplicità ed eleganza e di un'arte ragguardevole. Le indicazioni circa ciò che deve essere ammesso e il modo di disporlo rispettino l'indole propria dei popoli e le tradizioni locali, purché servano « con la dovuta riverenza e il dovuto onore alle esigenze degli edifici sacri e dei sacri riti ». Il decoro della chiesa sia tale da apparire segno di amore e dì riverenza verso Dio; inoltre susciti nel popolo di Dio il senso proprio della festa e la letizia del cuore e la pietà. 39. Il coro e i musicisti Tutti coloro che, in modo particolare, hanno parte al canto e alla musica sacra, il maestro di coro, i cantori, l'organista e gli altri, osservino con attenzione le norme prescritte nei libri liturgici e negli altri documenti emanati dalla sede apostolica circa i loro Uffici. 40. I musicisti abbiano presenti soprattutto le norme riguardanti la partecipazione del popolo nel canto. Inoltre bisogna prestare attenzione che il canto manifesti l'indole universale delle celebrazioni presiedute dal vescovo; per questo i fedeli siano in grado di proclamare o cantare assieme le parti dell'ordinario della messa che a loro spettano, non solo nella lingua del popolo, ma anche in lingua latina. 41. Dal mercoledì delle ceneri, fino al canto del Gloria a Dio nella veglia pasquale, e nelle celebrazioni dei defunti, il suono dell'organo e degli altri strumenti sia riservato soltanto a sostenere il canto. Tuttavia fanno eccezione la domenica Laetare ( IV di quaresima ), le solennità e le feste. Dal termine del canto del Gloria a Dio della messa in Cena Domini fino al canto del medesimo inno nella veglia pasquale si usino l'organo e gli altri strumenti musicali solo per sostenere il canto. In tempo di avvento poi, gli strumenti musicali siano adoperati con quella moderazione che conviene all'indole di gioiosa attesa propria di questo tempo, senza che venga tuttavia anticipata la piena letizia del natale del Signore. Capitolo III - La Chiesa cattedrale 42. La chiesa cattedrale è quella nella quale si trova la cattedra del vescovo, segno del magistero e della potestà del pastore della Chiesa particolare, nonché segno dell'unità di coloro che credono in quella fede che il vescovo proclama come pastore del gregge. In essa, nei giorni più solenni, il vescovo presiede la liturgia e, a meno che motivi di carattere pastorale non inducano a fare diversamente, confeziona il sacro crisma e compie le sacre ordinazioni. 43. La chiesa cattedrale « nella maestà delle sue strutture architettoniche, raffigura il tempio spirituale che interiormente si edifica in ciascuna anima, nello splendore della grazia, secondo il detto dell'apostolo: "Voi infatti siete il tempio del Dio vivente" ( 2 Cor 6,16 ). La cattedrale poi è anche possente simbolo della Chiesa visibile di Cristo, che in questa terra prega, canta e adora; di quel corpo mistico, in cui le membra diventano compagine di carità, alimentata dalla linfa della grazia ». 44. Per questo la chiesa cattedrale giustamente deve essere considerata il centro della vita liturgica della diocesi. 45. Nell'animo dei fedeli sia inculcato nelle forme, più opportune l'amore e la venerazione verso la chiesa cattedrale. A questo fine giovano molto l'annuale celebrazione della sua dedicazione e i pellegrinaggi che i fedeli, distribuiti soprattutto per parrocchie o secondo le regioni della diocesi, compiranno per farvi devotamente visita. 46. La chiesa cattedrale sia dimostrazione esemplare alle altre chiese della diocesi di quanto è prescritto nei documenti e libri liturgici circa la disposizione e l'ornamentazione delle chiese. 47. La cattedra, di cui più sopra al n. 42, sia unica e fissa, collocata in modo tale che il vescovo appaia veramente il presidente dell'intera assemblea dei fedeli. Il numero dei gradini della cattedra sia determinato tenendo conto della struttura di ciascuna chiesa, in modo che il vescovo possa essere ben visto dai fedeli. Sopra la cattedra non venga posto il baldacchino; tuttavia con attenta cura siano conservate le opere preziose tramandate da secoli. Eccettuati i casi previsti dal diritto, sulla cattedra siede il vescovo diocesano o un vescovo a cui egli stesso lo abbia concesso. Per gli altri vescovi invece o prelati per caso presenti, sia approntata una sede in un luogo conveniente; non sia tuttavia eretta in modo di cattedra. La sede per il presbitero celebrante sia apprestata in un luogo diverso. 48. L'altare sia costruito e ornato a norma del diritto. Soprattutto bisogna curare che occupi un luogo che sia veramente il centro verso cui spontaneamente converga l'attenzione di tutta l'assemblea dei fedeli. L'altare della chiesa cattedrale di norma sia fisso e dedicato, separato dalla parete in modo che si possa facilmente girarvi attorno e in esso la celebrazione possa compiersi verso il popolo. Tuttavia quando un altare antico è collocato in maniera tale da rendere difficile la partecipazione del popolo, né può essere trasferito senza danno al valore artistico, sia costruito un altro altare fisso, realizzato con arte e dedicato, e soltanto su di esso si compiano le sacre celebrazioni. L'altare non sia ornato di fiori dal mercoledì delle ceneri fino al canto dei Gloria a Dio della veglia pasquale e nelle celebrazioni dei defunti. Fanno eccezione tuttavia la domenica Lætare ( IV di quaresima ), le solennità e le feste. 49. Si raccomanda che il tabernacolo, secondo una antichissima tradizione conservata nelle chiese cattedrali, sia collocato in una cappella separata dall'aula centrale. Se tuttavia in un caso particolare il tabernacolo si trovasse sopra l'altare sul quale il vescovo sta per celebrare, il ss. Sacramento sia portato in un altro luogo degno. 50. Il presbiterio, cioè il luogo dove il vescovo, i presbiteri e i ministri esercitano il loro ministero, sia opportunamente distinto dall'aula della chiesa o per mezzo di una qualche elevazione o grazie alla particolare struttura e all'ornato, così da mettere in evidenza attraverso la sua stessa disposizione la funzione gerarchica dei ministri. Sia di tale ampiezza, che i sacri riti possano comodamente svolgersi ed essere visti. Nel presbiterio i sedili o scanni o sgabelli siano disposti in modo adatto, cosi che sia disponibile il posto proprio ad ognuno dei concelebranti, dei canonici, dei presbiteri che eventualmente non concelebrano ma assistono in abito corale, e dei ministri, e sia favorito così il corretto espletamento della funzione di ciascuno. Non entri in presbiterio durante le sacre celebrazioni qualunque ministro che non indossi la veste sacra o la talare e la cotta o altra veste legittimamente approvata. 51. La chiesa cattedrale abbia un ambone costruito secondo le norme vigenti. Tuttavia il vescovo parli al popolo di Dio dalla sua cattedra, a meno che la condizione del luogo non induca a fare diversamente. Il cantore, il commentatore o il maestro del coro, di norma non salgano all'ambone, ma adempiano la propria funzione da un altro luogo adatto. 52. La chiesa cattedrale abbia un battistero, anche nel caso in cui non sia parrocchiale, per poter celebrare il battesimo almeno nella notte di pasqua. Il battistero sia costruito secondo le norme presenti nel "Rituale Romano". 53. Nella chiesa cattedrale non manchi il secretarium, cioè un'aula degna, per quanto è possibile vicina all'ingresso della chiesa, nella quale il vescovo, i concelebranti e i ministri possano indossare i paramenti liturgici e dalla quale prenda inizio la processione di ingresso. Dal secretarium di norma sia distinta la sacrestia, nella quale si conserva la sacra suppellettile e nella quale nei giorni ordinari il celebrante e i ministri possano prepararsi per la celebrazione. 54. Perché l'assemblea possa riunirsi, si preveda, per quanto è possibile, accanto alla chiesa cattedrale, un'altra chiesa o aula adatta, o una piazza, o un chiostro dove si tengano la benedizione delle candele, dei rami, del fuoco, e le altre celebrazioni preparatorie, e da dove prendano inizio le processioni verso la chiesa cattedrale. Capitolo IV - Alcune norme generali Premesse 55. Secondo l'insegnamento del concilio Vaticano II, bisogna curare che i riti risplendano di nobile semplicità. Questo principio vale certamente anche per la liturgia episcopale, per quanto in essa non si debba trascurare il senso di religiosa riverenza dovuta al vescovo, nel quale è presente il Signore Gesù in mezzo ai fedeli e dal quale, come da grande sacerdote, la vita dei fedeli in un certo modo deriva e dipende. Inoltre, quando di norma alle celebrazioni liturgiche del vescovo partecipano i diversi ordini della Chiesa, il cui mistero in questo modo si manifesta più chiaramente, è opportuno che in esse brilli la carità e l'onore reciproco fra le membra del corpo mistico di Gesù Cristo, affinché anche nella liturgia si realizzi il precetto apostolico: « Gareggiate nello stimarvi a vicenda ». ( Rm 12,10 ) Dunque prima di descrivere i singoli riti, sembra opportuno premettere alcune norme, approvate dalla tradizione, e che conviene siano osservate. I. Vesti ed insegna 56. Le vesti e le insegne del vescovo Le vesti del vescovo nella celebrazione liturgica sono le stesse dei presbitero; ma nelle celebrazioni solenni è opportuno che, secondo l'uso tramandato dall'antichità, indossi sotto la casula la dalmatica, che può essere sempre bianca, soprattutto nel conferimento degli ordini, nella benedizione dell'abate e della badessa, e nella dedicazione della chiesa e dell'altare. 57. Le insegne pontificali portate dal vescovo sono: l'anello, il pastorale, la mitra e la croce pettorale; inoltre il pallio, se gli compete di diritto. 58. Il vescovo porti sempre l'anello, segno della fedeltà e dell'unione sponsale con la Chiesa, sua sposa. 59. Il vescovo porta il pastorale, segno della sua funzione pastorale, nel suo territorio; tuttavia può portarlo ogni vescovo che celebra solennemente col consenso del vescovo del luogo. Quando invece sono presenti più vescovi in una medesima celebrazione, porta il pastorale soltanto il vescovo che presiede. Il vescovo porta di norma il pastorale con la parte curva rivolta verso il popolo ( cioè davanti a sé ), nella processione, mentre ascolta la proclamazione del vangelo e tiene l'omelia, nel ricevere i voti o le promesse o la professione di fede, infine quando benedice le persone, a meno che non debba compiere l'imposizione delle mani. 60. Il vescovo di norma porta la mitra: quando siede; quando tiene l'omelia, quando saluta e fa allocuzioni e monizioni, a meno che non debba deporla subito dopo; quando benedice solennemente il popolo; quando compie gesti sacramentali; quando incede nelle processioni. Essa sarà una sola in ciascuna azione liturgica, semplice o ornata secondo il tipo di celebrazione. Il vescovo non porta la mitra: alle preghiere introduttorie; alle orazioni; alla preghiera universale; alla preghiera eucaristica; alla proclamazione del vangelo; agli inni, se sono cantati stando in piedi; nelle processioni nelle quali si portano il ss. Sacramento o le reliquie della santa croce del Signore; davanti al ss. Sacramento esposto. Il vescovo può non porta la mitra e il pastorale quando si reca da un luogo ad un altro, se vi è di mezzo un breve spazio. Circa l'uso della mitra nell'amministrazione dei sacramenti e sacramentali, si osservino le norme che sono indicate più sotto a suo luogo. 61. La croce pettorale sia portata sotto la casula o sotto la dalmatica, oppure sotto il piviale, ma sopra la mozzetta. 62. L'arcivescovo residenziale che abbia già ricevuto il pallio dal romano pontefice, lo indossa sopra la casula nel territorio di sua giurisdizione, quando celebra la messa stazionale o almeno con grande solennità, inoltre quando compie le ordinazioni, la benedizione dell'abate e della abbadessa, la consacrazione della vergine, la dedicazione della chiesa e dell'altare. Si usi la croce arcivescovile quando l'arcivescovo, dopo aver ricevuto il pallio si reca alla chiesa per celebrarvi qualche azione liturgica. 63. L'abito corale del vescovo, sia nella sua diocesi, sia fuori diocesi, è composto dalla veste talare di colore violaceo; dalla fascia di seta violacea con frange, anch'esse dì seta, che ornano le due estremità ( tuttavia senza fiocchi ); dal rocchetto di lino o di tessuto simile; dalla mozzetta di colore violaceo ( tuttavia senza cappuccio ); dalla croce pettorale sostenuta sopra la mozzetta da un cordone di colore verde intessuto d'oro; dallo zucchetto anch'esso di colore violaceo; dalla berretta del medesimo colore con fiocco. Quando si indossa la veste talare violacea si portano anche le calze violacee. Invece è del tutto libero l'uso delle calze violacee con la veste talare nera filettata. 64. Si può portare la cappa magna violacea senza ermellino soltanto in diocesi e nelle feste solennissime. 65. Le vesti dei presbiteri e degli altri ministri La veste sacra comune a tutti i ministri di qualsiasi grado è il camice, stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Se il camice non copre pienamente, intorno al collo, l'abito comune, prima di indossarlo si deve mettere l'amitto. Il camice non può essere sostituito dalla cotta quando si indossano la casula o la dalmatica, né quando si indossa la stola al posto della casula o della dalmatica. La cotta deve sempre essere indossata sopra la veste talare. Gli accoliti, i lettori e gli altri ministri, al posto delle vesti di cui sopra, possono indossare altre vesti legittimamente approvate. 66. Veste propria dei sacerdote celebrante, nella messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con essa, è la pianeta o casula, da indossare, se non viene indicato diversamente, sopra il camice e la stola. La stola è indossata dal sacerdote attorno al collo e pendente davanti al petto. Il piviale, o cappa per la pioggia, viene indossato dal sacerdote nelle solenni azioni sacre al di fuori della messa, nelle processioni e nelle altre azioni sacre, secondo le rubriche proprie dei singoli riti. I presbiteri che partecipano ad una sacra celebrazione senza concelebrare indossano l'abito corale, se sono prelati o canonici; diversamente indossano la cotta sopra la veste talare. 67. Veste propria del diacono è la dalmatica da indossarsi sopra il camice e la stola. Tuttavia in caso di necessità o di minor solennità la dalmatica si può omettere. La stola del diacono viene portata dalla spalla sinistra trasversalmente sul petto sino alla parte destra del corpo dove viene fermata. II. Segni di reverenza in genere 68. Con l'inchino si vuole significare la riverenza e l'onore da tributare alle persone stesse o alle loro immagini. Vi sono due specie di inchino: del capo e del corpo. a) l'inchino dei capo si fa al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del santo in onore del quale si celebra la messa o la liturgia delle ore; b) l'inchino del corpo, o inchino profondo, si fa: all'altare, se non vi è il tabernacolo con il ss. Sacramento; al vescovo; prima e dopo l'incensazione, come è notato più sotto al n. 91; tutte le volte in cui è prescritto espressamente dai vari libri liturgici. 69. La genuflessione, che si fa piegando il solo ginocchio destro fino a terra, significa adorazione, e perciò è riservata al ss. Sacramento, sia esposto, sia riposto nel tabernacolo, e alla santa croce dalla solenne adorazione nella azione liturgica del venerdì "nella passione del Signore", fino all'inizio della veglia pasquale. 70. Non compiono né la genuflessione, né l'inchino profondo coloro che portano oggetti che servono per la celebrazione, ad esempio la croce, i candelieri, il libro dei vangeli. 71. La riverenza verso il ss. Sacramento Tutti coloro che entrano in chiesa non trascurino di adorare il ss. Sacramento, sia recandosi alla cappella del ss. Sacramento, sia almeno genuflettendo. Ugualmente tutti coloro che passano davanti al Ss. sacramento genuflettono, a meno che non avanzino processionalmente. 72. La riverenza verso l'altare Tutti coloro che accedono al presbiterio o si allontanano da esso, o passano davanti all'altare, salutano l'altare con l'inchino profondo. 73. Inoltre il celebrante e i concelebranti, in segno di venerazione baciano l'altare all'inizio della messa. Il celebrante principale, prima di allontanarsi dall'altare, di norma lo venera con un bacio, gli altri invece, soprattutto se sono piuttosto numerosi, con la debita riverenza. Nella celebrazione delle lodi e dei vespri presieduta solennemente dal vescovo, si bacia l'altare all'inizio, e, secondo l'opportunità, alla fine. Tuttavia qualora questo gesto non corrispondesse pienamente alle tradizioni o alla cultura di una determinata regione, spetta alla conferenza episcopale determinare un gesto che sostituisca il bacio, informandone la sede apostolica. 74. La riverenza verso il vangelo Nella messa, nella celebrazione della parola e nella vigilia protratta, mentre si proclama il vangelo, tutti stanno in piedi, normalmente rivolti verso colui che lo proclama. Il diacono, portando solennemente il libro dei vangeli, si dirige verso l'ambone, preceduto dal turiferario con il turibolo e dagli accoliti con i ceri accesi. Il diacono stando all'ambone rivolto verso il popolo, dopo averlo salutato tenendo le mani giunte, con il pollice della mano destra fa un segno di croce, prima sul libro all'inizio del vangelo che sta per proclamare, poi su se stesso alla fronte, alla bocca e al petto, dicendo Dal vangelo secondo. Il vescovo allo stesso modo si segna sulla fronte, sulle labbra e sul petto e lo stesso fanno tutti gli altri. Poi, almeno nella messa stazionale, il diacono incensa tre volte il libro, cioè in mezzo, a sinistra e a destra. Quindi proclama il vangelo sino alla fine. Terminata la proclamazione, il diacono porta il libro al vescovo per farglielo baciare, oppure lo bacia lo stesso diacono, a meno che, come è detto più sopra al n. 73, non sia stato stabilito un altro segno di venerazione dalla conferenza episcopale. In mancanza dei diacono un presbitero chiede e riceve dal vescovo la benedizione e proclama il vangelo, come è descritto sopra. 75. Allo stesso modo tutti stanno in piedi mentre si cantano o si dicono i cantici evangelici Benedetto il Signore, L'anima mia magnifica e Ora lascia; all'inizio si fanno il segno di croce. 76. La riverenza verso il vescovo e le altre persone Salutano il vescovo con un inchino profondo i ministri, coloro che si accostano a lui per compiere un servizio, o se ne allontanano al suo termine, coloro che passano davanti a lui. 77. Quando la cattedra del vescovo si trova dietro l'altare, i ministri salutino o l'altare o il vescovo, a secondo che si accostino all'altare o al vescovo; evitino tuttavia, per quanto è possibile, di passare fra il vescovo e l'altare per la riverenza che si deve ad entrambi. 78. Nel caso in cui fossero presenti più vescovi in presbiterio, si fa riverenza solo a colui che presiede. 79. Quando il vescovo, rivestito degli abiti descritti più sopra al n. 63, si reca alla chiesa per celebrarvi una qualche azione liturgica, può, secondo le consuetudini del luogo, essere accompagnato pubblicamente alla chiesa dai canonici o da altri presbiteri chierici in abito corale o rivestiti della cotta sopra la veste talare, oppure può recarsi alla chiesa in forma più semplice e essere accolto alle sue porte dal clero. In entrambi i casi, il vescovo procede per primo; se è arcivescovo, è preceduto da un accolito che porta la croce arcivescovile con l'immagine del crocifisso rivolta in avanti; dopo il vescovo seguono i canonici, i presbiteri e i chierici, a due a due. Alla porta della chiesa il signore dei presbiteri porge al vescovo l'aspersorio, a meno che non si debba fare l'aspersione in seguito al posto dell'atto penitenziale. Il vescovo, con il capo scoperto, asperge se stesso e i presenti; quindi restituisce l'aspersorio. Poi si reca con il suo corteo al luogo dove è conservato il ss. Sacramento e lì prega brevemente; infine si reca al secretarium. Tuttavia il vescovo può recarsi direttamente al secretarium, e lì essere accolto dal clero. 80. In processione però, il vescovo che presiede la celebrazione liturgica, rivestito delle vesti sacre, incede sempre da solo dopo i presbiteri, ma davanti a coloro che lo assistono e che lo accompagnano stando un poco indietro. 81. Il vescovo che presiede una sacra celebrazione o vi partecipa soltanto in abito corale, è assistito da due canonici che portano il loro abito corale, oppure da due presbiteri o diaconi con la cotta sopra la veste talare. 82. Chi regge lo Stato, se viene alla celebrazione in funzione dell'ufficio, è accolto alla porta della chiesa dal vescovo già rivestito dai paramenti, il quale, secondo l'opportunità, gli porge, se è cattolico, l'acqua benedetta, lo saluta secondo l'uso comune, e, procedendo alla sua sinistra lo conduce al luogo preparato per lui in chiesa, fuori dei presbiterio. Al termine della celebrazione invece, lo saluta mentre lascia il presbiterio. 83. Le altre autorità che detengono eminenti poteri nel governo della nazione, della regione o della città, sono accolte alla porta della chiesa, se si usa, da qualche dignitario ecclesiastico, che le saluta e le conduce al luogo loro riservato. Il vescovo può salutarle mentre si reca all'altare durante la processione d'ingresso e quando se ne allontana. III. L'incensazione 84. Il rito dell'incensazione è espressione di riverenza e di preghiera, come è indicato nel salmo 140,2 e inApocalisse 8,3. 85. La materia che si mette nel turibolo deve essere solo incenso puro di soave odore, oppure se se ne aggiunge qualche altra, si abbia l'avvertenza che la quantità di incenso sia di gran lunga maggiore. 86. Nella messa stazionale del vescovo si usa l'incenso: a) durante la processione d'ingresso; b) all'inizio della messa per incensare l'altare; c) alla processione e alla proclamazione del vangelo; d) all'offertorio, per incensare le offerte, l'altare, la croce, il vescovo, i concelebranti e il popolo; e) alla presentazione al popolo dell'ostia e del calice dopo la consacrazione. Nelle altre messe invece, l'incenso può essere adoperato secondo l'opportunità. 87. Ugualmente si usi l'incenso, come è descritto nei libri liturgici: a) nella dedicazione della chiesa e dell'altare; b) nella confezione del sacro crisma, quando vengono portati gli oli benedetti; c) nella esposizione del ss. Sacramento con l'ostensorio; d) nelle esequie dei defunti. 88. Inoltre si usi di norma l'incenso nelle processioni della festa della presentazione dei Signore, della domenica delle palme, della messa in cena Domini, della veglia pasquale, della solennità del Corpo e Sangue di Cristo, della solenne traslazione delle reliquie, e generalmente nelle processioni che si svolgono con particolare solennità. 89. Alle lodi mattutine e ai vespri celebrati con solennità, si può fare l'incensazione dell'altare, del vescovo e del popolo, mentre si canta il cantico evangelico. 90. Il vescovo per mettere l'incenso nel turibolo, resta seduto, se si trova alla cattedra o a qualche altra sede, diversamente lo mette stando in piedi, mentre il diacono gli presenta la navicella, e lo benedice tracciando un segno di croce, senza dire nulla. Poi il diacono riceve dall'accolito il turibolo e lo consegna al vescovo. 91. Prima e dopo l'incensazione si fa un inchino profondo alla persona o all'oggetto che viene incensato, eccettuati l'altare e le offerte per il sacrificio della messa. 92. Con tre tratti di turibolo si incensano: il ss. Sacramento, la reliquia della s. croce e le immagini del Signore solennemente esposte, le offerte, la croce dell'altare, il libro dei vangeli, il cero pasquale, il vescovo o il presbitero celebrante, l'autorità civile presente in funzione dell'ufficio alla sacra celebrazione, il coro e il popolo, il corpo del defunto. Con due tratti, si incensano le reliquie e le immagini dei santi esposte alla pubblica venerazione. 93. L'altare si incensa con singoli colpi di turibolo in questo modo: a) se l'altare è separato dalla parete, il vescovo lo incensa girandogli intorno; b) se l'altare non è separato dalla parete, il vescovo lo incensa passando, prima dalla parte destra dell'altare, poi dalla sinistra. La croce, se è sopra l'altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell'altare; diversamente il vescovo la incensa quando le passa davanti. Le offerte vengono incensate prima dell'altare e della croce. 94. Per incensare il ss. Sacramento si sta in ginocchio. 95. Le reliquie e le immagini sacre esposte alla pubblica venerazione vengono incensate dopo l'altare, ma nella messa solo all'inizio della celebrazione. 96. Il vescovo, sia all'altare sia alla cattedra, riceve l'incensazione stando in piedi, senza mitra, a meno che non l'abbia già. I concelebranti vengono incensati dal diacono tutti assieme. Infine viene incensato il popolo dal diacono dal luogo più adatto. I canonici che per caso non concelebrano o chi si trova in coro ricevono l'incensazione tutti assieme con il popolo, a meno che la disposizione dei posti non induca a fare diversamente. Lo stesso vale anche per i vescovi per caso presenti. 97. Il vescovo che presiede senza celebrare la messa, viene incensato dopo il celebrante o i concelebranti. Il capo dello Stato, se è presente alla sacra celebrazione in funzione dei suo ufficio, viene incensato, dove c'è la consuetudine, dopo il vescovo. 98. Il vescovo non proclami monizioni o orazioni che devono essere ascoltati da tutti, prima che l'incensazione sia terminata. IV. Il modo di dae la pace 99. Il vescovo celebrante, dopo che il diacono ha detto: Scambiatevi un segno di pace, dà il bacio di pace almeno ai due concelebranti a lui più vicini e poi al primo diacono. 100. Intanto i concelebranti, i diaconi e gli altri ministri, nonché i vescovi eventualmente presenti, si danno similmente a vicenda la pace. Il vescovo che presiede la sacra celebrazione, senza celebrare la messa, offre la pace ai canonici o ai presbiteri o ai diaconi che lo assistono. 101. Anche i fedeli si scambiano la pace nel modo stabilito dalle conferenze episcopali. 102. Se alla sacra celebrazione è presente il capo dello Stato in ragione dell'ufficio, il diacono o uno dei concelebranti si avvicina a lui e gli offre il segno di pace secondo la consuetudine locale. 103. Mentre si offre il bacio di pace, si può dire: La pace sia con te, a cui si risponde: E con il tuo spirito. Tuttavia si possono dire anche altre parole secondo le consuetudini locali. V. Il modo di tenere le mani 104. Le mani alzate ed allargate È consuetudine nella Chiesa che il vescovo o il presbitero rivolga a Dio le orazioni stando in piedi e tenendo le mani un poco alzate ed allargate. Questo uso nella preghiera è già testimoniato nella tradizione dell'antico testamento ( Cf. Es 9,29; Sal 27,2;Sal 62,5; Sal 133,2; Is 1,15 ) ed è stato accolto dai cristiani in ricordo della passione del Signore. « Ma noi non soltanto alziamo le mani, ma anche le allarghiamo e, secondo la regola della passione del Signore, anche con la preghiera facciamo la nostra professione a Cristo ». 105. Le mani stese sopra le persone o le cose Il vescovo tiene le mani stese: sopra il popolo, nell'impartire solennemente la benedizione, e tutte le volte in cui ciò è richiesto per la celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, come è notato a suo luogo nei libri liturgici. 106. Nella messa, il vescovo e i concelebranti tengono le mani stese sulle offerte alla epiclesi prima della consacrazione. Alla consacrazione, mentre il vescovo tiene con le mani l'ostia o il calice e pronunzia le parole della consacrazione, i concelebranti pronunziano le parole del Signore e, se sembra opportuno, stendono la mano destra verso il pane e il calice. 107. Le mani giunte Il vescovo, se non porta il pastorale, tiene le mani giunte quando, parato con le vesti sacre, si avvia per celebrare l'azione liturgica, mentre prega in ginocchio, mentre si reca dall'altare alla cattedra o dalla cattedra all'altare, e quando è prescritto dalle rubriche nei libri liturgici. Ugualmente i concelebranti e i ministri tengono le mani giunte, quando procedono o stanno in piedi, a meno che non abbiano qualcosa da portare. 108. Altri modi di tenere le mani Quando il vescovo si segna, o benedice, tiene la mano sinistra sopra il petto, a meno che non abbia qualcosa da portare. Quando invece sta all'altare e benedice con la mano destra le offerte o qualcosa d'altro, pone la sinistra sull'altare, a meno che non sia previsto diversamente. 109. Quando il vescovo invece è seduto, se è parato con le vesti liturgiche pone le palme sopra le ginocchia, a meno che non tenga il pastorale. VI. L'uso dell'acqua benedetta 110. Tutti coloro che entrano in chiesa, secondo una lodevole consuetudine, fanno su di sé il segno della croce, in ricordo del battesimo, con la mano intinta nell'acqua benedetta ivi apprestata in un bacile. 111. Se al vescovo, quando entra in chiesa, si deve offrire l'acqua benedetta, gliela offre il più degno del clero della chiesa, porgendogli l'aspersorio, con il quale il vescovo asperge se stesso e chi lo accompagna. Quindi il vescovo restituisce l'aspersorio. 112. Tutto ciò si omette, se il vescovo entra in chiesa parato, e quando nella messa domenicale si fa l'aspersione al posto dell'atto penitenziale. 113. Dell'aspersione del popolo che si fa nella veglia pasquale e nella dedicazione di una chiesa, si parla più sotto ai n. 369 e n. 872. 114. L'aspersione degli oggetti, quando vengono benedetti, si compie secondo le norme dei libri liturgici. VII. La cura dei libri liturgici e il modo di proferire i vari testi 115. I libri liturgici devono essere trattati con cura e riverenza, perché vengono proclamate da essi la parola di Dio e la preghiera della Chiesa. Per questo si deve fare attenzione, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche compiute dal vescovo, che siano disponibili i libri liturgici ufficiali nella edizione più recente, belli e decorosi per la loro realizzazione tipografica e per la rilegatura. 116. Nella recitazione dei testi da parte sia del vescovo, sia dei ministri, sia di tutti gli altri, la voce corrisponda al genere dei testo stesso, a secondo che questo sia una lettura, una orazione, una ammonizione, una acclamazione, un canto, nonché alla forma della celebrazione e alla solennità dell'assemblea. 117. Nelle rubriche e nelle norme che seguono, i verbi « dire », « recitare », « proferire » devono essere intesi sia del canto, sia della recita, osservando i principi proposti nei singoli libri liturgici e le norme che più sotto sono indicate a suo luogo. 118. Invece l'espressione « cantare o dire », che più sotto è spesso adoperata, deve essere intesa del canto, a meno che non vi sia una qualche causa che lo sconsigli. Parte II - La messa Capitolo I - La messa stazionale del Vescovo diocesano Premesse 119. La principale manifestazione della Chiesa locale si ha quando il vescovo, come grande sacerdote del suo gregge, celebra l'eucaristia soprattutto nella chiesa cattedrale, circondato dal suo presbiterio e dai ministri, con la partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio. Questa messa, chiamata stazionale, manifesta l'unità della Chiesa locale e la diversità dei ministeri attorno al vescovo e alla sacra eucaristia. Quindi ad essa siano convocati quanti più fedeli è possibile, i presbiteri concelebrino con il vescovo, i diaconi prestino il loro servizio, gli accoliti e i lettori esercitino le loro funzioni. 120. Questa forma di messa sia osservata soprattutto nelle maggiori solennità dell'anno liturgico, quando il vescovo confeziona il sacro crisma e nella messa vespertina in Cena Domini, nelle celebrazioni del santo fondatore della Chiesa locale o del patrono della diocesi, nel giorno anniversario dell'ordinazione del vescovo, nelle grandi assemblee del popolo cristiano, nella visita pastorale. 121. La messa stazionale sia in canto, secondo le norme stabilite nel "Messale Romano" 122. È opportuno che i diaconi siano di norma almeno tre, uno che presti servizio al vangelo e all'altare, due che assistano il vescovo. Se vi sono più diaconi, si distribuiscono vicendevolmente i vari ministeri, e almeno uno di loro si prenda cura della partecipazione attiva dei fedeli. Ma se non possono essere presenti veri diaconi, allora è opportuno che i loro compiti siano espletati da presbiteri i quali, rivestiti dei paramenti sacerdotali, concelebrano con il vescovo anche nel caso in cui siano tenuti a celebrare un'altra messa per il bene pastorale dei fedeli. 123. Nella chiesa cattedrale, se è presente il capitolo, è opportuno che tutti i canonici concelebrino con il vescovo la messa stazionale, senza tuttavia escludere gli altri presbiteri. I vescovi per caso presenti e i canonici non concelebranti siano rivestiti dell'abito corale. 124. Quando, per evenienze particolari, un'ora canonica non può essere congiunta alla messa stazionale col vescovo e al capitolo incombe l'obbligo del coro, esso celebri quell'ora a tempo opportuno. 125. Bisogna preparare: a) In presbiterio al posto loro proprio: - il "Messale Romano"; - il "Lezionario"; - i libretti per i concelebranti; - il testo della preghiera universale, sia per il vescovo, sia per il diacono; - il libro dei canti; - un calice di sufficiente grandezza, coperto da un velo; - la palla per il calice; - il corporale; - i purificatoi; - un bacile, la brocca dell'acqua e un asciugamano; - il vaso dell'acqua da benedire, quando essa si usa nell'atto penitenziale; - il piattello per la comunione dei fedeli; b) in un luogo adatto: - il pane, il vino e l'acqua ( e altri doni ); c) nel secretarium: - il libro dei vangeli; - il turibolo e la navicella con l'incenso; - la croce da portare in processione; - sette ( o almeno due ) candelieri con le candele accese; e inoltre: - per il vescovo: un bacile, la brocca dell'acqua e un asciugamano; l'amitto, il camice, il cingolo, la croce pettorale, la stola, la dalmatica, la casula ( il pallio, per il metropolita ), lo zucchetto, la mitra, l'anello, il pastorale; - per i concelebranti: gli amitti, i camici, i cingoli, le stole, le casule; - per i diaconi: gli amitti, i camici, i cingoli, le stole, le dalmatiche; - per tutti gli altri ministri: gli amitti, i camici, i cingoli; oppure le cotte da indossare sopra la veste talare, oppure altre vesti legittimamente approvate. Le vesti sacre siano del colore della messa che viene celebrata, o di colore festivo L'ingresso del Vescovo e i preparativi 126. Dopo essere stato accolto, come è indicato più sopra al n. 79, il vescovo, aiutato dai diaconi assistenti e dagli altri ministri, che hanno indossato le sacre vesti prima del suo arrivo, depone nel secretarium la cappa o la mozzetta e, secondo l'opportunità, anche il rocchetto, lava le mani, e riveste l'amitto, il camice, il cingolo, la croce pettorale, la stola, la dalmatica e la casula. Quindi uno dei diaconi gli impone la mitra. All'arcivescovo invece, prima che riceva la mitra, viene imposto dal primo diacono il pallio. Frattanto i presbiteri concelebranti e gli altri diaconi che non prestano servizio al vescovo, indossano le loro vesti. 127. Quando tutti sono pronti, l'accolito turiferario si avvicina al vescovo ed egli, mentre uno dei diaconi gli presenta la navicella, mette l'incenso nel turibolo, benedicendolo con un segno di croce. Il vescovo quindi riceve il pastorale dal ministro. Uno dei diaconi prende il libro dei vangeli e con riverenza lo porta chiuso durante la processione di ingresso. I riti iniziali 128. Mentre si eseguisce il canto di ingresso, si svolge la processione dal secretarium al presbiterio secondo questo ordine: - il turiferario con il turibolo fumigante; - un altro accolito che porta la croce, con l'immagine del crocifisso rivolta verso la parte anteriore, in mezzo ai sette, o almeno ai due accoliti che portano i candelabri con le candele accese; - i chierici a due a due; - il diacono che porta il libro dei vangeli; - gli altri diaconi eventualmente presenti a due a due; - i presbiteri concelebranti a due a due; - il vescovo che procede da solo, con mitra e portando con la mano sinistra il pastorale, mentre con la mano destra benedice; - un poco dietro al vescovo, i due diaconi che lo assistono; - infine gli accoliti che prestano servizio per libro, la mitra e il pastorale. Se la processione passa davanti alla cappella del ss. Sacramento non si fa alcuna sosta né alcuna genuflessione 129. La croce portata in processione viene collocata lodevolmente presso l'altare, in modo che sia la croce stessa dell'altare, diversamente venga riposta; i candelabri siano collocati presso l'altare o sulla credenza o vicino in presbiterio; il libro dei vangeli viene deposto sull'altare. 130. Tutti, entrando in presbiterio, fanno a due a due una profonda riverenza all'altare, i diaconi e i presbiteri concelebranti salgono all'altare e lo baciano, quindi vanno al loro posto. 131. Il vescovo, giunto davanti all'altare, consegna il pastorale al ministro e, deposta la mitra, fa una profonda riverenza all'altare con i diaconi e gli altri ministri che lo accompagnano. Quindi sale all'altare e lo bacia insieme ai diaconi. Poi, dopo che l'accolito, se è necessario, ha messo nuovamente incenso nel turibolo, incensa l'altare e la croce, mentre due diaconi lo accompagnano. Dopo l'incensazione dell'altare, il vescovo, accompagnato dai ministri, si reca alla cattedra per la via più breve. Due diaconi stanno da una parte e dall'altra presso la cattedra, in modo da essere pronti a servire il vescovo; qualora invece mancassero i diaconi, assistono due presbiteri concelebranti. 132. Quindi il vescovo, i concelebranti e i fedeli, stando in piedi, fanno il segno della croce, mentre il vescovo rivolto verso il popolo dice: Nel nome del Padre. Poi il vescovo, stendendo le mani, saluta il popolo dicendo: La pace sia con voi, o un'altra tra le formule proposte nel messale. Quindi lo stesso vescovo, o un diacono o uno dei concelebranti, può introdurre i fedeli alla messa del giorno con brevissime parole. Poi il vescovo invita all'atto penitenziale, che conclude dicendo: Dio onnipotente abbia misericordia di noi. Il ministro, se è necessario, sostiene il libro davanti al vescovo. Quando si usa la terza formula dell'atto penitenziale, le invocazioni sono proclamate dal vescovo stesso o da un diacono o da un altro ministro idoneo. 133. Di domenica, al posto del consueto atto penitenziale, si compie lodevolmente la benedizione e l'aspersione dell'acqua. Dopo il saluto il vescovo, stando in piedi alla cattedra, rivolto verso il popolo e avendo davanti a se il vaso con l'acqua da benedire tenuto da un ministro, invita il popolo alla preghiera e, dopo una breve pausa di silenzio, proclama l'orazione di benedizione. Dove la tradizione popolare consiglia che sia conservata nella benedizione dell'acqua la mescolanza del sale, il vescovo benedice anche il sale e poi lo lascia cadere nell'acqua. Quindi, dopo aver ricevuto dal diacono l'aspersorio, il vescovo asperge se stesso, i concelebranti, i ministri, il clero e il popolo, attraversando, se è opportuno la chiesa, accompagnato dai diaconi. Frattanto si eseguisce il canto che accompagna l'aspersione. Ritornato alla cattedra, il vescovo, al termine del canto, stando in piedi, con le mani allargate, proclama l'orazione conclusiva. Quindi, quando è prescritto, si canta o si dice l'inno Gloria a Dio. 134. Dopo l'atto penitenziale si dice il Kyrie, a meno che non sia stata fatta l'aspersione o sia stata adoperata la terza formula dell'atto penitenziale, o sia stabilito diversamente dalle rubriche. 135. Il Gloria a Dio si dice secondo le rubriche. Può essere intonato o dal vescovo o da uno dei concelebranti o dai cantori. Mentre si canta l'inno, tutti stanno in piedi. 136. Quindi il vescovo invita il popolo alla preghiera, cantando o dicendo a mani giunte: Preghiamo; e dopo una breve pausa di silenzio, proclama, a mani allargate, l'orazione colletta, mentre un ministro gli sorregge davanti il libro. Il vescovo congiunge le mani quando conclude l'orazione dicendo: Per il nostro Signore Gesù Cristo …, o altre parole. Alla fine il popolo acclama: Amen. Quindi il vescovo siede e riceve di norma la mitra da uno dei diaconi. Anche tutti gli altri siedono; i diaconi e gli altri ministri seggano secondo la disposizione del presbiterio, tuttavia in modo tale che non sembrino godere del medesimo grado dei presbiteri. La liturgia della parola 137. Al termine dell'orazione colletta, il lettore si reca all'ambone e, quando tutti sono seduti, proclama la prima lettura che tutti ascoltano. Al termine della lettura si canta o si dice Parola di Dio, a cui tutti rispondono con l'acclamazione. 138. Quindi il lettore si ritira. Tutti meditano brevemente in silenzio le parole che hanno ascoltato. Poi il salmista o cantore, oppure lo stesso lettore, canta o dice il salmo in uno dei modi previsti. 139. Il secondo lettore proclama la seconda lettura all'ambone, come sopra, mentre tutti stanno seduti e ascoltano. 140. Segue l'Alleluia o l'altro canto, secondo quanto richiesto dal tempo liturgico. All'inizio dell'Alleluia, tutti si alzano, tranne il vescovo. Dopo che si è avvicinato il turiferario, il vescovo, mentre uno dei diaconi gli presenta la navicella, mette l'incenso nel turibolo e lo benedice senza dire nulla. Il diacono che deve proclamare il vangelo, profondamente inchinato davanti al vescovo, domanda la benedizione dicendo sottovoce: Benedicimi, o Padre. Il vescovo lo benedice dicendo: Il Signore sia nel tuo cuore. Il diacono fa il segno della croce e risponde: Amen. Allora il vescovo, deposta la mitra, si alza. Il diacono si accosta all'altare, mentre vi convengono il turiferario con il turibolo fumigante e gli accoliti con i ceri accesi. Il diacono, dopo aver fatto l'inchino all'altare, prende con riverenza il libro dei vangeli e, omettendo il saluto all'altare, si reca all'ambone portando solennemente il libro, preceduto dal turiferario e dagli accoliti con i ceri. 141. All'ambone il diacono, saluta, a mani giunte, il popolo. Alle parole Dal vangelo secondo, segna il libro e poi se stesso sulla fronte, sulla bocca e sul petto. Anche tutti gli altri si segnano. Allora il vescovo prende il pastorale. Il diacono incensa il libro e proclama il vangelo, mentre tutti stanno in piedi e di norma rivolti verso di lui. Finito il vangelo, porta da baciare il libro al vescovo, che in segreto dice: La parola del vangelo, oppure lo stesso diacono bacia il libro dicendo in segreto le medesime parole. Infine il diacono e gli altri ministri ritornano al loro posto. Il libro dei vangeli viene portato alla credenza o in un altro luogo adatto. 142. Allora, mentre tutti stanno seduti, il vescovo tiene l'omelia, convenientemente con mitra e pastorale e seduto in cattedra, a meno che non sia più adatto un altro luogo, così ossa essere visto e ascoltato comodamente da tutti. Finita l'omelia, si può osservare di silenzio secondo l'opportunità. 143. Terminata l'omelia, se a questo punto non si deve celebrare un qualche rito sacramentale o di consacrazione o di benedizione secondo quanto stabilito dal "Pontificale" o "Rituale Romano" , il vescovo depone la mitra e il pastorale, si alza e, secondo le rubriche, viene cantato o detto il simbolo mentre tutti stanno in piedi. Alle parole E per opera dello Spirito Santo, tutti si inchinano; si inginocchiano invece nelle feste della natività e della annunciazione del Signore. 144. Terminato il simbolo, il vescovo stando in piedi alla cattedra, a mani giunte, invita i fedeli con una monizione alla preghiera universale. Quindi, uno dei diaconi o un cantore, o un lettore, o un altro, dall'ambone, o da altro luogo conveniente, annunzia le intenzioni, mentre il popolo partecipa secondo il proprio ruolo. Alla fine il vescovo, con le mani allargate, conclude la preghiera con una orazione. La liturgia eucaristica 145. Terminata la preghiera universale, il vescovo siede con mitra. Ugualmente siedono i concelebranti e il popolo. A questo punto si eseguisce il canto all'offertorio, che si protrae almeno fino a quando i doni sono stati deposti sull'altare. I diaconi e gli accoliti pongono sull'altare il corporale, il purificatoio, il calice e il messale. Quindi vengono portate le offerte. È opportuno che i fedeli manifestino la loro partecipazione portando il pane e il vino per la celebrazione eucaristica e altri doni con i quali sovvenire alle necessità della Chiesa e dei poveri. Le offerte dei fedeli sono accolte dai diaconi o dal vescovo in un luogo opportuno. Il pane e il vino vengono portati dai diaconi all'altare, gli altri doni invece in un luogo adatto già predisposto. 146. Il vescovo si reca all'altare, depone la mitra, riceve dal diacono la patena con il pane e la tiene un poco alzata, con entrambe le mani, sull'altare, recitando in segreto l'apposita formula. Quindi depone la patena con il pane sopra il corporale. 147. Frattanto il diacono infonde nel calice il vino e un po' d'acqua, dicendo in segreto: L'acqua unita al vino. Poi presenta il calice al vescovo, il quale lo tiene un poco alzato, con entrambe le mani, sopra l'altare, recitando in segreto la formula stabilita. Quindi lo depone sopra il corporale e il diacono, secondo l'opportunità, lo copre con la palla. 148. Poi il vescovo, inchinato in mezzo all'altare, dice in segreto Umili e pentiti. 149. Quindi si avvicina al vescovo il turiferario, e, mentre il diacono presenta la navicella, il vescovo mette l'incenso nel turibolo e lo benedice; poi egli stesso riceve il turibolo dal diacono e, accompagnato dal diacono, incensa le offerte, nonché l'altare e la croce, come all'inizio della messa. Ciò compiuto, tutti si alzano e il diacono, ponendosi a lato dell'altare, incensa il vescovo che sta in piedi e senza mitra, quindi i concelebranti e poi il popolo. Si eviti che l'ammonizione Pregate, fratelli, e l'orazione sulle offerte siano proclamate prima del termine dell'incensazione. 150. Dopo che il vescovo ha ricevuto l'incensazione, mentre sta in piedi a lato dell'altare senza mitra, si accostano a lui i ministri con la brocca dell'acqua, il bacile e l'asciugamano. Il vescovo si lava e si asciuga le mani. Secondo l'opportunità, uno dei diaconi toglie l'anello al vescovo, che si lava poi le mani mentre dice in segreto: Lavami, Signore. Dopo aver asciugato le mani e aver rimesso l'anello, il vescovo torna in mezzo all'altare. 151. Il vescovo, rivolto verso il popolo, allargando e congiungendo le mani, invita il popolo alla preghiera dicendo: Pregate, fratelli. 152. Dopo la risposta Il Signore riceva, il vescovo, a mani allargate, canta o dice l'orazione sulle offerte. Alla fine il popolo acclama: Amen. 153. Poi il diacono prende lo zucchetto del vescovo e lo consegna al ministro. I concelebranti si avvicinano all'altare e si dispongono attorno ad esso, in modo tale tuttavia da non essere di impedimento all'esecuzione dei riti, e che l'azione sacra possa essere vista bene dai fedeli. I diaconi stanno in piedi dietro ai concelebranti, così che, quando ve ne fosse bisogno, uno di loro possa prestare servizio al calice o al messale. Nessuno tuttavia rimanga fra il vescovo e i concelebranti, o fra i concelebranti e l'altare. 154. Allora il vescovo inizia con il prefazio la preghiera eucaristica. Allargando le mani canta o dice: Il Signore sia con voi. Mentre prosegue: In alto i nostri cuori, alza le mani; e, a mani allargate, soggiunge: Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. Dopo che il popolo ha risposto: È cosa buona e giusta, il vescovo prosegue il prefazio; terminatolo, stando a mani giunte, canta, insieme ai concelebranti, ai ministri e al popolo: Santo. 155. Il vescovo prosegue la preghiera eucaristica secondo quanto stabilito ai nn. 171-191 di "Principi e norme per l'uso del Messale Romano" e secondo le rubriche contenute nelle singole preghiere. Le parti che vengono recitate insieme da tutti i concelebranti, a mani allargate, devono essere pronunciate in modo che i concelebranti le proferiscano sottovoce e che la voce del vescovo possa essere udita chiaramente. Nelle preghiere eucaristiche I, II e III, dopo le parole: il nostro Papa N., soggiunge: e me indegno tuo servo; invece nella preghiera eucaristica IV, dopo le parole: del tuo servo e nostro Papa N., soggiunge: di me indegno tuo servo. Se il calice e la pisside sono coperti, il diacono, prima dell'epiclesi, li scopre. Uno dei diaconi mette l'incenso nel turibolo e a ciascuna elevazione incensa l'ostia e il calice. I diaconi, dall'epiclesi fino alla elevazione del calice, restano in ginocchio. Dopo la consacrazione il diacono, secondo l'opportunità, copre nuovamente il calice e la pisside. Dopo che il vescovo ha detto: Mistero della fede, il popolo proferisce l'acclamazione. 156. Le intercessioni particolari, soprattutto nella celebrazione di alcuni riti sacramentali o di consacrazione o di benedizione, si compiano secondo la struttura di ciascuna preghiera eucaristica, usando i testi proposti nel messale o negli altri libri liturgici. 157. Nella messa crismale, prima che il vescovo dica: Per Cristo nostro Signore tu, o Dio, crei e santifichi sempre nella preghiera eucaristica I, o prima che dica la dossologia Per Cristo, con Cristo e in Cristo nelle altre preghiere eucaristiche, si compie la benedizione dell'olio degli infermi, come è previsto nel pontificale, a meno che non sia stata fatta per motivi pastorali dopo la liturgia della parola. 158. Alla dossologia finale della preghiera eucaristica, il diacono, stando di fianco al vescovo, tiene il calice elevato, mentre il vescovo alza la patena con l'ostia, finché il popolo non abbia acclamato con l'Amen. La dossologia finale della preghiera eucaristica è proclamata dal solo vescovo o da tutti i concelebranti insieme al vescovo. 159. Terminata la dossologia della preghiera eucaristica, il vescovo, a mani giunte, dice la monizione prima del Padre nostro, che poi tutti cantano o dicono; il vescovo e i concelebranti tengono le mani allargate. 160. Il Liberaci o Signore è detto dal solo vescovo, a mani allargate. I presbiteri concelebranti, proclamano insieme al popolo l'acclamazione finale: Tuo è il regno. 161. Quindi il vescovo proclama l'orazione: Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli; al termine, rivolto verso il popolo, annunzia la pace dicendo: La pace del Signore sia sempre con voi. Il popolo risponde: E con il tuo spirito. Secondo l'opportunità, uno dei diaconi invita alla pace, dicendo rivolto verso il popolo: Scambiatevi un segno di pace. Il vescovo dà la pace almeno ai due concelebranti a lui più vicini, poi al primo dei diaconi. Tutti poi si scambiano vicendevolmente un segno di pace e di benevolenza secondo le consuetudini locali. 162. Il vescovo inizia la frazione del pane e alcuni fra i presbiteri concelebranti la proseguono; frattanto si ripete l'Agnello di Dio quante volte è necessario per accompagnare la frazione dei pane. Il vescovo mette nel calice un frammento, dicendo in segreto: Il corpo e il sangue di Cristo, uniti in questo calice. 163. Dopo aver detto in segreto l'orazione prima della comunione, il vescovo genuflette e prende la patena. I concelebranti si avvicinano, uno dopo l'altro, al vescovo, genuflettono e ricevono da lui con riverenza il corpo di Cristo, e tenendolo con la mano destra a cui pongono sotto la mano sinistra, ritornano al loro posto. Tuttavia i concelebranti possono restare al loro posto e ricevere lì il corpo di Cristo. Quindi il vescovo prende l'ostia e, tenendola un poco elevata sopra la patena, dice, rivolto verso il popolo: Ecco l'Agnello di Dio e prosegue con i concelebranti e il popolo dicendo: O Signore, non sono degno. Mentre il vescovo si comunica al corpo di Cristo, ha inizio il canto di comunione. 164. Il vescovo, dopo essersi comunicato al sangue del Signore, consegna il calice ad uno dei diaconi e distribuisce la comunione ai diaconi e ai fedeli. I concelebranti si accostano all'altare e si comunicano al sangue, mentre i diaconi che prestano servizio detergono il calice con il purificatoio dopo che ciascun concelebrante si è comunicato. 165. Terminata la distribuzione della comunione, uno dei diaconi si comunica al sangue che è rimasto, porta il calice alla credenza e lì, o subito o dopo la messa, lo purifica e lo riordina. Un altro diacono invece, o uno dei concelebranti, ripone nel tabernacolo le particole consacrate rimaste, e purifica alla credenza la patena o la pisside sopra il calice, prima che esso sia purificato. 166. Quando il vescovo, dopo la comunione, è ritornato alla cattedra, riprende lo zucchetto e, qualora fosse necessario, lava le mani. Mentre tutti stanno seduti si può osservare per un certo tempo il sacro silenzio o eseguire un cantico di lode o un salmo. 167. Poi il vescovo, in piedi alla cattedra mentre un ministro gli sorregge il libro, oppure rivolto all'altare con i diaconi, canta o dice: Preghiamo e, con le mani allargate, proclama l'orazione dopo la comunione, a cui si può premettere un breve spazio di silenzio, a meno che non sia già stato osservato subito dopo la comunione. Alla fine della orazione il popolo acclama: Amen. I riti di conclusione 168. Terminata l'orazione dopo la comunione, si diano, se occorre, brevi avvisi al popolo. 169. Infine il vescovo riceve la mitra e, allargando le mani, saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi, a cui il popolo risponde: E con il tuo spirito. Uno dei diaconi può rivolgere l'invito: Inchinatevi per la benedizione, o un altro espresso con parole simili. Il vescovo impartisce la benedizione solenne proclamando la formula adatta fra quelle presenti nel messale, nel pontificale o nel rituale romano. Mentre proclama le prime invocazioni o la preghiera, tiene le mani distese sopra il popolo, e tutti rispondono: Amen. Quindi riceve il pastorale, dice: Vi benedica Dio onnipotente e, facendo tre volte il segno di croce sul popolo, aggiunge: Padre e Figlio e Spirito Santo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. Quando invece, a norma del diritto, imparte la benedizione apostolica, questa tiene il posto della benedizione consueta; è annunziata dal diacono e per essa si proclamano formule proprie. 170. Dopo che è stata impartita la benedizione, uno dei diaconi congeda il popolo dicendo: La messa è finita: andate in pace; e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Quindi il vescovo di norma bacia l'altare e fa ad esso debita riverenza. Anche i concelebranti e tutti coloro che si trovano nel presbiterio salutano l'altare come all'inizio, e ritornano processionalmente al secretarium nel medesimo ordine in cui erano venuti. Giunti al secretarium tutti, insieme al vescovo fanno riverenza alla croce. Quindi i concelebranti salutano il vescovo e accuratamente depongono le vesti al loro posto. Anche i ministranti salutano insieme il vescovo e depongono tutto ciò che hanno usato nella celebrazione appena compiuta; poi si tolgono le vesti. Tutti osservino diligentemente il silenzio, rispettando la comune concentrazione d'animo e la santità della casa di Dio. Capitolo II - Le altre messe celebrate dal Vescovo 171. Anche quando il vescovo celebra la messa con minore concorso di popolo e di clero, tutto sia predisposto in maniera tale che egli appaia il grande sacerdote del suo gregge, che agisce a vantaggio di tutta la sua Chiesa. Cosi quando visita le parrocchie o le comunità della sua diocesi, conviene che i presbiteri della parrocchia o della comunità concelebrino con lui. 172. Vi sia un solo diacono rivestito dei paramenti dei suo ordine; in sua mancanza proclami il vangelo e presti servizio all'altare un presbitero che, se non concelebra, indossa camice e stola. 173. Siano osservate tutte le norme descritte nel "Messale Romano" per la messa con il popolo. Inoltre il vescovo, mentre indossa i paramenti, prende anche la croce pettorale e di norma lo zucchetto. Se le circostanze lo consigliano, porta mitra e pastorale. All'inizio della messa saluta il popolo dicendo: La pace sia con voi, oppure La grazia del Signore nostro. Prima di proclamare il vangelo, non solo il diacono, ma anche il presbitero, anche se concelebra, chiede al vescovo e da lui riceve la benedizione. Dopo aver letto il vangelo, porta al vescovo il libro da baciare, oppure è lo stesso diacono o presbitero a baciare il libro. Prima del prefazio, il diacono consegna al ministro lo zucchetto del vescovo. Nelle preghiere eucaristiche I, II e III, dopo le parole: il nostro Papa N., il vescovo soggiunge: e me indegno tuo servo; invece nella preghiera eucaristica IV, dopo le parole: del tuo servo e nostro Papa N., soggiunge: di me indegno tuo servo. Alla fine della messa, il vescovo benedice come è descritto più sotto ai nn. 1120-1121. 174. Il vescovo, che non è ordinario di luogo, può celebrare usando la cattedra e portando il pastorale, se lo consente il vescovo diocesano ( cf. più sopra n. 47 e n. 59 ). Capitolo III - La messa presieduta dal Vescovo senza che egli celebri l'Eucaristia 175. Dal momento che, secondo la dottrina e la tradizione della Chiesa, è compito dei vescovo presiedere nelle sue comunità l'eucaristia, è sommamente opportuno che quando partecipa ad una messa, celebri lui stesso l'eucaristia. Tuttavia, qualora per una giusta causa partecipa alla messa senza celebrarla, conviene che, se non deve celebrare un altro vescovo, presieda egli stesso la celebrazione, guidando almeno la liturgia della parola e benedicendo alla fine il popolo. Ciò vale soprattutto per quelle celebrazioni eucaristiche nelle quali si deve compiere qualche rito sacramentale o di consacrazione o di benedizione. In questi casi dunque, si osservino le indicazioni che sono descritte più sotto. 176. Il vescovo, accolto nel modo descritto più sopra al n. 79, nel secretarium o in un altro luogo opportuno, indossa sopra il camice: la croce pettorale, la stola e il piviale di colore conveniente e, di norma, riceve la mitra e il pastorale. Lo assistono due diaconi, o almeno uno, rivestiti degli abiti liturgici del loro ordine. Tuttavia, in loro mancanza, assistano il vescovo alcuni presbiteri rivestiti di piviale. 177. Nella processione all'altare, il vescovo incede dopo il celebrante o i concelebranti, accompagnato dai suoi diaconi e ministri. 178. Dopo essere giunti all'altare, il celebrante o i concelebranti fanno profonda riverenza; se invece nel presbiterio è conservato il ss. Sacramento, fanno la genuflessione; quindi salgono all'altare, lo baciano e vanno al posto loro assegnato. Il vescovo, dopo aver consegnato al ministro il pastorale e aver deposto la mitra, con i diaconi e i ministri fa profonda riverenza all'altare, a meno che, come è detto sopra, non si debba fare la genuflessione. Quindi sale all'altare e lo bacia. Se si usa l'incenso, il vescovo incensa nel modo consueto l'altare e poi la croce, accompagnato dai due diaconi. Quindi si reca alla cattedra per la via più breve con i suoi diaconi, i quali stanno da una parte e dall'altra presso la cattedra, in modo da essere pronti al servizio dei vescovo. 179. Dall'inizio della messa fino alla conclusione della liturgia della parola, si osservino le indicazioni date per la messa stazionale del vescovo ( cf. più sopra i nn. 128-144); tuttavia, se si deve celebrare qualche rito sacramentale o di consacrazione o di benedizione, si tengano presenti le norme particolari a riguardo del simbolo e della preghiera universale. 180. Terminata la preghiera universale oppure celebrato il rito sacramentale, o di consacrazione o di benedizione, il vescovo siede e riceve la mitra. Allora i diaconi e i ministri preparano come al solito l'altare. Se le offerte vengono presentate dai fedeli, sono ricevute da chi celebra la messa o dal vescovo. Quindi il celebrante, dopo aver fatto profonda riverenza al vescovo, si accosta all'altare e comincia la liturgia eucaristica secondo il rito della messa. 181. Se si fa l'incensazione, il vescovo viene incensato dopo il celebrante. Deposta la mitra, si alza per ricevere l'incensazione, diversamente dopo il Pregate, fratelli; e sta in piedi alla cattedra fino all'epiclesi nella preghiera eucaristica. 182. Dall'epiclesi fino alla elevazione del calice compiuta, il vescovo sta in ginocchio rivolto verso l'altare su un inginocchiatoio preparato per lui o davanti alla cattedra o in altro luogo più adatto. Quindi sta nuovamente in piedi alla cattedra. 183. Dopo l'invito dei diacono: Scambiatevi un segno di pace, il vescovo dà la pace ai suoi diaconi. Il vescovo, se si comunica, prende il corpo e il sangue del Signore all'altare dopo il celebrante. 184. Mentre si distribuisce la santa comunione ai fedeli, il vescovo può stare seduto fino all'inizio dell'orazione dopo la comunione che lui stesso proclama stando all'altare o alla sede. Terminata l'orazione, il vescovo benedice il popolo come è descritto più sotto ai nn. 1120-1121. Uno dei diaconi assistenti, invece, congeda il popolo ( cf. più sopra n. 170 ). 185. Infine il vescovo e il celebrante di norma venerano l'altare con un bacio. Quindi, dopo aver fatto la debita riverenza, si ritirano tutti con lo stesso ordine con cui erano venuti. 186. Qualora il vescovo non presieda nel modo più sopra descritto, partecipi alla messa rivestito di mozzetta e rocchetto, tuttavia non alla cattedra, ma in un luogo più adatto per lui preparato. Parte III - La liturgia delle ore e le celebrazioni della parola di Dio Premesse 187. Il vescovo, poiché rappresenta Cristo in forma eminente e visibile, ed è il grande sacerdote del suo gregge, fra i membri della sua Chiesa deve essere il primo nella preghiera. Per questo si raccomanda vivamente che, quando è possibile, celebri la liturgia delle ore, soprattutto le lodi mattutine e i vespri, circondato dal suo presbiterio e dai ministri, con la partecipazione plenaria e attiva del popolo, specialmente nella chiesa cattedrale. 188. È opportuno che, nelle maggiori solennità, il vescovo celebri con il clero e il popolo riuniti nella chiesa cattedrale o i primi vespri o le lodi mattutine o i secondi vespri secondo quanto suggeriscono le circostanze, e salva sempre la verità delle ore. 189. Ugualmente è opportuno che nella chiesa cattedrale il vescovo celebri l'ufficio delle letture e le lodi mattutine il venerdì santo e il sabato santo, nonché l'ufficio delle letture nella notte del natale del Signore. 190. Infine il vescovo insegni al gregge a lui affidato, sia con la parola, sia con l'esempio, l'importanza della liturgia delle ore e ne promuova la celebrazione comune nelle parrocchie, nelle comunità, e nelle diverse assemblee, secondo quanto stabilito in "Principi e norme della liturgia delle ore". Capitolo I - Celebrazione dei vespri nelle principali solennità 191. Per l'arrivo del vescovo alla chiesa, si osservino le indicazioni date nelle norme generali, al n. 79. 192. Nel secretarium, aiutato dai diaconi e dagli altri ministri che prima dei suo arrivo avranno indossato le sacre vesti loro proprie, il vescovo depone la cappa o la mozzetta e, secondo l'opportunità, anche il rocchetto, e indossa l'amitto, il camice, il cingolo, la croce pettorale, la stola e il piviale. Quindi riceve la mitra da uno dei diaconi e il pastorale. Frattanto i presbiteri, soprattutto i canonici, indossano convenientemente sopra la cotta o sopra il camice il piviale, i diaconi invece il piviale o la dalmatica. 193. Quando tutto è pronto, mentre suona l'organo o si esegue un canto, si fa l'ingresso in chiesa secondo questo ordine: - l'accolito che porta la croce in mezzo a due accoliti che tengono i candelieri con le candele accese; - i chierici a due a due; - i diaconi, se sono un certo numero, a due a due; - i presbiteri a due a due; - il vescovo che procede da solo con mitra e tenendo nella mano sinistra il pastorale; - un poco dietro al vescovo i due diaconi che lo assistono e che, se è opportuno, sostengono il piviale da una parte e dall'altra; - infine i ministri per il libro, la mitra e il pastorale. Se la processione passa davanti alla cappella del ss. Sacramento, non ci si ferma né si fa la genuflessione. 194. La croce portata in processione viene collocata lodevolmente presso l'altare, in modo che sia la croce stessa dell'altare, diversamente venga riposta; i candelabri siano collocati presso l'altare o sulla credenza o vicino in presbiterio. 195. Tutti, entrando in presbiterio, fanno a due a due profonda riverenza all'altare e si recano al loro posto. Se invece in presbiterio è conservato il ss. Sacramento, fanno la genuflessione. 196. Il vescovo, giunto davanti all'altare, consegna il pastorale al ministro e, deposta la mitra, fa una profonda riverenza all'altare con i diaconi e gli altri ministri che lo accompagnano. Quindi sale all'altare e lo bacia insieme ai diaconi che lo assistono. Poi va alla cattedra, dove, stando in piedi e facendosi il segno di croce, canta il versetto: O Dio, vieni a salvarmi. Tutti rispondono: Signore, vieni presto in mio aiuto. E si canta: Gloria al Padre e, secondo le rubriche, Alleluia. 197. L'inno è intonato dai cantori e proseguono a cantarlo il coro o il popolo, a secondo di quanto richiesto dalla natura musicale dell'inno. 198. Dopo l'inno il vescovo siede, e di norma riceve la mitra: ugualmente siedono tutti. Le antifone e i salmi sono intonati dal cantore. Durante la salmodia tutti possono stare seduti, secondo le consuetudini del luogo. Quando si proclamano le orazioni salmiche, dopo la ripetizione dell'antifona, il vescovo, tolta la mitra, si alza e, quando tutti sono in piedi, dice: Preghiamo; e dopo che tutti hanno pregato in silenzio per un po' di tempo, dice l'orazione corrispondente al salmo o al cantico. 199. Finita la salmodia, il lettore, stando in piedi all'ambone, proclama la lettura, sia quella più lunga, sia quella più breve, mentre tutti stanno seduti e in ascolto. 200. Secondo l'opportunità il vescovo, ricevuto il pastorale, se vuole, può aggiungere una breve omelia per spiegare la lettura, stando seduto con mitra in cattedra o in un luogo più adatto così che possa essere visto e ascoltato da tutti. 201. Dopo la lettura o l'omelia, secondo l'opportunità, si può osservare un certo spazio di silenzio. 202. Quindi, per rispondere alla parola di Dio, si canta il responsorio breve o un canto responsoriale. 203. All'antifona del cantico evangelico, il vescovo mette l'incenso nel turibolo. Quando il coro inizia il cantico L'anima mia, il vescovo si alza con mitra, mentre anche tutti gli altri si alzano in piedi, e, dopo aver fatto il segno di croce dalla fronte al petto, si reca all'altare e, fatta con i ministri la debita riverenza, vi sale, omettendo il bacio. 204. Mentre si esegue il cantico evangelico, si compie di norma l'incensazione dell'altare, della croce, del vescovo e di tutti gli altri, come nella messa, secondo quanto è detto più sopra ai n. 89, n. 93, n. 96 e n. 121. 205. Al termine del canto e dopo aver ripetuto di norma l'antifona, si proclamano le preci. Il vescovo, mentre un ministro sorregge il libro, proclama l'introduzione; quindi uno dei diaconi, all'ambone o da un altro luogo conveniente, annunzia le intenzioni alle quali il popolo risponde. Il Padre nostro è cantato o recitato da tutti, dopo che il vescovo vi ha premesso l'introduzione, se lo si ritiene opportuno. Infine il vescovo canta o dice l'orazione conclusiva, con le mani allargate. Tutti rispondono Amen. 206. Poi il vescovo riceve la mitra e saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può rivolgere l'invito: Inchinatevi per la benedizione ( con queste o simili parole ), e il vescovo, tenendo le mani distese sopra il popolo, proclama le invocazioni della benedizione solenne, usando la formula adatta fra quelle presenti nel "Messale Romano". Detto ciò, riceve il pastorale e dice: Vi benedica Dio onnipotente e traccia un segno di croce sopra il popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. 207. Quindi uno dei diaconi congeda il popolo dicendo: Andate in pace, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. 208. Quindi il vescovo, lasciando la cattedra, con mitra e pastorale, secondo l'opportunità bacia l'altare; anche i presbiteri e coloro che sono in presbiterio salutano l'altare. Tutti ritornano processionalmente nel secretarium nel medesimo ordine con cui erano venuti. Capitolo II - Celebrazione dei vespri in forma più semplice 209. Anche quando il vescovo presiede i vespri al di fuori delle maggiori solennità, o quando vi è minor concorso di popolo e di clero, o in qualche chiesa parrocchiale, è opportuno che siano presenti almeno alcuni presbiteri, i quali convenientemente indossano la cotta sopra la veste talare o il camice e il piviale; i diaconi siano due o almeno uno, rivestiti di camice e dalmatica; lo stesso vescovo indossa le vesti come è descritto più sopra al n. 192, o almeno la stola e il piviale sopra il camice. Tutto si svolge come è descritto più sopra ai nn. 191-208, con i debiti adattamenti. 210. Quando poi il vescovo in qualche parrocchia o altra chiesa partecipa ad un raduno di minor importanza, può presiedere i vespri dalla sede, rivestito dell'abito corale, assistito da alcuni ministri. 211. Se il vescovo partecipa alla celebrazione dei vespri presieduta da un presbitero, egli stesso impartisce la benedizione prima che il popolo venga congedato. Capitolo III - Le lodi mattutine 212. Le lodi mattutine possono essere celebrate secondo il medesimo rito dei vespri, con le eccezioni che seguono. 213. Se precede l'invitatorio, anziché con il versetto: O Dio, vieni a salvarmi, il vescovo dà inizio alle lodi mattutine con il versetto: Signore apri le mie labbra, a cui si risponde: E la mia bocca proclamerà la tua lode. Mentre si dice questo versetto, tutti si fanno il segno della croce sulla bocca. Quindi, mentre tutti stanno in piedi, si canta il salmo invitatorio, intercalato dall'antifona, come è descritto nel libro della liturgia delle ore. Al termine del salmo invitatorio e ripetuta di norma l'antifona, si canta l'inno e la celebrazioni delle lodi mattutine prosegue secondo quanto è stato detto della celebrazione dei vespri. Capitolo IV - L'ufficio delle letture 214. Il vescovo presiede l'ufficio delle letture dalla cattedra rivestito dell'abito corale. Egli inizia l'ufficio con il versetto: Signore apri le mie labbra, oppure: O Dio vieni a salvarmi, secondo le rubriche; gli inni, le antifone e i salmi sono intonati dal cantore; le letture vengono proclamate dal lettore; il vescovo alla fine canta o dice l'orazione conclusiva, e, se si congeda il popolo, lo benedice, come è descritto più sotto ai nn. 1120-1121. 215. Se si celebra la veglia prolungata, il vangelo della risurrezione in domenica, o un altro vangelo negli altri giorni, è proclamato solennemente dal diacono rivestito di camice stola e dalmatica: egli chiede prima al vescovo la benedizione ed è accompagnato da due accoliti con le candele accese e dal turiferario con il turibolo fumigante, nel quale il vescovo ha messo l'incenso e lo ha benedetto. Secondo l'opportunità il vescovo tiene l'omelia. Dopo l'inno Te Deum, se lo si deve dire, il vescovo canta o dice l'orazione conclusiva e, se si deve congedare il popolo, impartisce la benedizione. 216. Quando si celebra la veglia prolungata con concorso di popolo e in forma più solenne il vescovo, i presbiteri e i diaconi possono indossare le vesti come per i vespri. Il vescovo, durante la salmodia, sta seduto alla cattedra e tiene la mitra; per ascoltare il vangelo invece depone la mitra, si alza e riceve il pastorale che tiene anche mentre si canta l'inno Te Deum. Tutto il resto si fa come è indicato più sopra al n. 214. 217. Nella notte del natale del Signore, nel venerdì santo e nel sabato santo, per quanto è possibile, l'ufficio delle letture sia celebrato con la partecipazione del popolo, alla presenza del vescovo o anche sotto la sua presidenza, secondo il rito descritto più sopra ai nn. 214-216. Capitolo V - Le ore di terza, sesta e nona 218. Il vescovo può presiedere le ore di terza, sesta e nona, sia nella chiesa cattedrale, sia altrove, rivestito dell'abito corale, incominciando l'ora con il versetto O Dio vieni a salvarmi, e concludendola con l'orazione. Durante la salmodia, tutti stanno seduti o in piedi, secondo la consuetudine del luogo. Dopo la salmodia, mentre tutti stanno seduti, il lettore stando in piedi in un luogo adatto proclama la lettura breve; a cui segue il versetto intonato dai cantori, a cui tutti rispondono stando in piedi. Non si impartisce la benedizione. L'ora si conclude con l'acclamazione: Benediciamo il Signore, a cui tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Capitolo VI - L'ora di compieta 219. Quando il vescovo presiede la compieta in chiesa, indossa l'abito corale, assistito da alcuni ministri. Egli dà inizio all'ora con il versetto O Dio vieni a salvarmi. Se si fa l'esame di coscienza, o lo si fa in silenzio, o lo si inserisce in un atto penitenziale. Durante la salmodia, tutti stanno seduti o in piedi, secondo la consuetudine del luogo. Dopo la salmodia, mentre tutti stanno seduti, il lettore stando in piedi in un luogo adatto proclama la lettura breve, seguita dal responsorio: Nelle tue mani. Quindi si eseguisce l'antifona del cantico evangelico Ora lascia, o Signore. All'inizio del cantico tutti si alzano e fanno il segno della croce. L'orazione conclusiva è proclamata dal vescovo, il quale poi benedice i presenti dicendo: Il Signore ci conceda una notte serena. 220. L'ora si conclude con l'antifona della beata Vergine Maria, senza orazione. Capitolo VII - Le celebrazioni della parola di Dio Premesse 221. « La Chiesa ha sempre venerato le divine scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli »; anzi ogni celebrazione liturgica si appoggia fondamentalmente sulla parola di Dio. Il vescovo si preoccupi dunque che tutti i fedeli acquistino capacità di ascoltare e meditare il mistero di Cristo, proposto nell'antico e nel nuovo testamento, facendovi precedere una opportuna preparazione spirituale. 222. Per questo le sacre celebrazioni della parola di Dio sono molto utili nella vita sia dei singoli che delle comunità, per infiammare lo spirito e promuovere la vita spirituale, per accendere un amore più intenso verso la parola di Dio e per compiere una celebrazione più fruttuosa sia dell'eucaristia, sia degli altri sacramenti. 223. Conviene dunque che le celebrazioni della parola di Dio siano tenute soprattutto nelle vigilie delle feste più solenni, in alcune ferie di avvento e di quaresima, nelle domeniche e giorni festivi, sotto la presidenza del vescovo, specialmente nella chiesa cattedrale. Descrizione della celebrazione 224. Le celebrazioni della parola di Dio mostrino chiaramente il rapporto con la liturgia della parola nella messa. 225. Il vescovo, accolto nel modo descritto più sopra al n. 79, nel secretarium o in un altro luogo opportuno indossa sopra il camice la croce pettorale, la stola, e il piviale di colore conveniente e, di norma, riceve la mitra e il pastorale. Lo assistono due diaconi, rivestiti dei paramenti liturgici del loro ordine. In loro mancanza però, prestano assistenza al vescovo due presbiteri che sopra la veste talare indossano il camice o la cotta. 226. Dopo i riti iniziali ( canto, saluto e orazione ) vengono proclamate una o più letture dalla sacra scrittura, intercalate o da salmi o da momenti di silenzio; nell'omelia la parola di Dio viene spiegata all'assemblea dei fedeli e applicata alla loro vita. Dopo l'omelia, si osservi opportunamente il silenzio per meditare la parola di Dio. Quindi l'assemblea dei fedeli preghi con un cuore solo e a una sola voce con una litania o in altro modo adatto a promuovere la partecipazione. Infine sia sempre recitato il Padre nostro. Il vescovo che presiede la celebrazione conclude con una orazione e benedice il popolo, come è descritto più sotto ai nn. 1120-1121. Quindi uno dei diaconi o dei ministri congeda il popolo, dicendo: Andate in pace, cui tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Parte IV - Le celebrazioni dei misteri del Signore durante l'anno liturgico Premesse 227. « La santa madre Chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in determinati giorni nel corso dell'anno, l'opera salvifica del suo sposo divino. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di "domenica", fa la memoria della risurrezione del Signore, che una volta all'anno, unitamente alla sua beata passione, celebra a pasqua, la più grande delle solennità. Nel ciclo annuale poi presenta tutto il mistero di Cristo, dall'incarnazione e natività fino all'ascensione, al giorno di pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli i tesori di potenza e di meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia della salvezza ». 228. La domenica « La Chiesa, seguendo la tradizione apostolica che trae origine dal giorno stesso della risurrezione del Signore, celebra, nel primo giorno della settimana, che viene chiamato giorno del Signore o domenica, il mistero pasquale ». Dal momento che la domenica è il nucleo e il fondamento del ciclo annuale per mezzo del quale la chiesa ripercorre tutto il mistero di Cristo, essa cede la sua celebrazione solamente alle solennità e alle feste del Signore iscritte nel calendario generale e esclude di per sé l'assegnazione perpetua di un'altra celebrazione, tranne la festa della S. Famiglia, del battesimo del Signore, la solennità della SS. Trinità e di nostro Signore Gesù Cristo, re dell'universo. Le domeniche di avvento, di quaresima e di pasqua, hanno la precedenza su ogni festa del Signore e su tutte le solennità. 229. Il vescovo curi dunque che nella sua diocesi la domenica venga proposta e inculcata alla pietà dei fedeli come il giorno di festa primordiale, in modo che divenga anche giorno di gioia e di astensione dal lavoro. Per questo il vescovo vigili perché le norme stabilite dal concilio Vaticano II e dai rinnovati libri liturgici sulla particolare natura della celebrazione della domenica, siano osservate con scrupolosa fedeltà, soprattutto in riferimento ai giorni dedicati a particolari tematiche, che sempre più spesso vengono proposte in domenica ( ad esempio i temi della pace e della giustizia, le vocazioni, l'evangelizzazione dei popoli ). In questi casi la liturgia sia della domenica; si può fare qualche accenno al tema proposto, o attraverso i canti, o attraverso le monizioni, o nell'omelia e nella preghiera universale. Invece nelle domeniche del tempo ordinario si può prendere anche una lettura fra quelle proposte nel "Lezionario", adatta ad illustrare un tema particolare. Tuttavia dove nelle domeniche del tempo ordinario si tiene una particolare celebrazione su un determinato tema, per mandato o su autorizzazione dell'ordinario del luogo, si può scegliere una messa per varie necessità, fra quelle che si trovano nel "Messale Romano". 230. Negli ultimi tempi, alcuni mutamenti introdotti nelle abitudini sociali, hanno provocato un diverso modo di strutturare il calendario liturgico: per questo motivo, in alcune regioni sono state soppresse determinate solennità di precetto, delle quali alcune, riguardanti il mistero del Signore, iscritte nel calendario generale, sono state trasferite alla domenica successiva, secondo il seguente criterio: a) l'epifania nella domenica fra il 2 e l'8 gennaio b) l'ascensione nella domenica VII di pasqua; c) la solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo nella domenica dopo la SS. Trinità. Per quanto riguarda le altre celebrazioni dei Signore, della beata vergine Maria e dei santi che capitano durante la settimana e che non comportano più il precetto festivo, il vescovo si preoccupi che il popolo cristiano continui a celebrarle con amore, in modo che anche durante la settimana i fedeli possano attingere frequentemente la grazia della salvezza. 231. L'anno liturgico La celebrazione dell'anno liturgico gode di una particolare forza ed efficacia sacramentale, per il fatto che è lo stesso Cristo che nei suoi misteri o nelle memorie dei santi e soprattutto della sua madre, continua il cammino della sua immensa misericordia, così che i fedeli non solo possano commemorare e meditare i misteri della redenzione, ma possano entrare in contatto con essi, dal momento che comunicano ad essi e per essi vivono. 232. Il vescovo dunque si preoccupi che gli animi dei fedeli siano indirizzati prima di tutto ad osservare con spirituale disposizione le feste del Signore e i sacri tempi dell'anno liturgico, così che ciò che in essi si celebra ed è proclamato a parole, sia creduto con la mente, e ciò che è creduto con la mente sia tradotto nei modi di comportarsi in pubblico e in privato. 233. Oltre alle celebrazioni liturgiche di cui è composto l'anno liturgico, in molte regioni sono presenti usanze popolari e pii esercizi. Fra questi il vescovo, in virtù del suo ufficio pastorale, tenga in grande considerazione quelli che sono utili a favorire la pietà, la devozione e l'intelligenza dei misteri di Cristo e curi che « siano in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa, e ad essa, data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano » Capitolo I - Il tempo di avvento e della natività del Signore 234. Dopo l'annuale celebrazione del mistero pasquale, la Chiesa non ha nulla di più sacro della memoria del natale dei Signore e delle sue prime manifestazioni: ciò è compiuto nel il tempo di natale. 235. Questa celebrazione è preparata dal tempo d'avvento, il quale ha una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, mediante tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. Per questi due motivi l'avvento si presenta come tempo di devota e gioiosa attesa. 236. Nel tempo d'avvento l'organo e gli altri strumenti musicali siano adoperati e l'altare sia ornato di fiori con quella moderazione che si addice all'indole di questo tempo, senza tuttavia anticipare la piena letizia del natale del Signore. Nella domenica Gaudete ( III di avvento ) si può adoperare il colore rosaceo. 237. Il vescovo curi che sia religiosamente osservata con vero spirito cristiano la solennità del natale del Signore, nella quale si celebra il mistero dell'incarnazione, con cui cioè il Verbo di Dio si è degnato di diventare partecipe della nostra umanità così da concederci di essere partecipi della sua divinità. 238. L'uso di celebrare la veglia per dare inizio alla solennità del natale del Signore dev'essere conservato e promosso secondo la tradizione propria di ciascuna Chiesa. Conviene dunque che nella chiesa cattedrale il vescovo stesso, per quanto è possibile, presieda la veglia prolungata, secondo le norme indicate più sopra ai nn. 215-216. Se non resta alcun intervallo di tempo fra la veglia e la messa, il vescovo e i presbiteri possono essere parati come per la messa; dopo il vangelo della veglia, oppure, se la veglia non è prolungata, dopo il responsorio, al posto del Te Deum si canta il Gloria a Dio e subito si proclama l'orazione colletta della messa, omettendo i riti iniziali. 239. Secondo un'antichissima tradizione romana, nel giorno del natale del Signore si possono celebrare tre messe, e cioè, nella notte, all'aurora e nel giorno, osservando la verità del tempo. 240. L'antica solennità dell'epifania dei Signore è annoverata tra le più importanti festività di tutto l'anno liturgico, dal momento che essa celebra, nel bambino nato da Maria, la manifestazione di colui che è il Figlio di Dio, il messia dei giudei e la luce dei popoli. Sarà cura del vescovo celebrare in modo conveniente questa solennità, sia che il giorno festivo si debba osservare di precetto, sia che venga trasferito alla domenica successiva. Per questo: - le luci saranno opportunamente moltiplicate; - secondo la consuetudine del luogo, dopo il canto del vangelo, uno dei diaconi o un canonico, o beneficiato, o qualche altro, rivestito di piviale, salirà all'ambone e li annunzierà pubblicamente al popolo le feste mobili dell'anno in corso; - sarà mantenuta o sarà ripristinata, secondo la consuetudine del luogo e la tradizione, una particolare offerta di doni; - nelle monizioni e nell'omelia verrà illustrato il senso pieno di questo giorno adornato da « tre miracoli »:l'adorazione del bambino da parte dei Magi, il battesimo di Cristo e le nozze di Cana. Capitolo II - La festa della presentazione del Signore 241. In questo giorno i fedeli corrono incontro al Signore, portando lumi e acclamando a lui, insieme a Simeone che riconobbe Cristo « Luce per illuminare le genti ». I fedeli siano dunque educati a camminare in tutta la loro vita come figli della luce, perché devono offrire a tutti la luce di Cristo, diventando essi stessi lumi ardenti nelle loro opere. Prima forma: Processione 242. All'ora stabilita i fedeli si raccolgono in una chiesa succursale o in un altro luogo adatto al di fuori della chiesa verso la quale si dirige la processione. I fedeli tengono in mano le candele non accese. 243. Il vescovo in un luogo adatto riveste i paramenti richiesti per la messa, di colore bianco. Tuttavia al posto della casula può indossare il piviale, che depone al termine della processione. Ricevuti mitra e pastorale, si reca, con i ministri e, se è il caso, con i concelebranti rivestiti dei paramenti per la messa, al luogo della benedizione delle candele. Mentre si accendono le candele, si canta l'antifona Il Signore nostro Dio verrà con potenza, o un altro canto adatto. 244. Quando il vescovo sarà giunto al luogo della benedizione delle candele, al termine del canto, depone il pastorale e la mitra, e, rivolto verso il popolo, dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Poi saluta il popolo dicendo: La pace sia con voi, e proclama la monizione introduttoria. Tuttavia può affidare, secondo l'opportunità, questa monizione al diacono o a uno dei concelebranti. 245. Dopo la monizione benedice le candele proclamando, a mani allargate, l'orazione, mentre il ministro gli sorregge il libro, e le asperge con l'acqua benedetta, senza dire nulla. Quindi riceve la mitra, e mette e benedice l'incenso per la processione. Infine riceve dal diacono la candela accesa da recare in processione. 246. Dopo che il diacono ha proclamato l'invito: Andiamo in pace incontro al Signore, inizia la processione verso la chiesa dove si deve celebrare la messa. Precede il turiferario con il turibolo fumigante, poi l'accolito che porta la croce in mezzo agli accoliti che recano i candelabri con le candele accese. Seguono il clero, il diacono che porta il libro dei vangeli, gli altri diaconi, se ve ne sono, i concelebranti, il ministro che porta il pastorale del vescovo e quindi il vescovo con mitra, mentre tiene la candela; un poco dietro al vescovo i due diaconi che lo assistono; poi i ministri che prestano servizio per il libro e la mitra; infine i fedeli. Tutti, sia i ministri sia i fedeli, portano in mano la candela. Mentre la processione avanza, si canta l'antifona: Cristo è la luce per illuminare le genti, con il cantico: Ora lascia, o Signore, o altro canto adatto. 247. Mentre la processione entra in chiesa, si canta l'antifona d'ingresso della messa. Il vescovo, giunto all'altare, lo bacia e, secondo l'opportunità, lo incensa. Quindi si reca alla cattedra, dove, deposto il piviale, se lo ha adoperato in processione, e indossata la casula, dopo il canto dell'inno Gloria a Dio, proclama, come di norma, l'orazione colletta. La messa prosegue nel modo consueto. Oppure, qualora sembrasse più opportuno, si può fare in un altro modo: il vescovo, giunto all'altare, consegna la candela al diacono, depone la mitra e il piviale, se lo ha adoperato in processione, indossa la casula, bacia l'altare e lo incensa. Quindi si reca alla cattedra dove, omessi i riti iniziali della messa e dopo che è stato cantato l'inno Gloria a Dio, proclama, come di norma, l'orazione colletta. La messa prosegue nel modo consueto. Seconda forma: Ingresso solenne 248. Dove non si può fare la processione, i fedeli si riuniscono in chiesa, tenendo in mano le candele. Il vescovo, rivestito dei sacri paramenti di colore bianco, si dirige con i ministri e, se ve ne sono, con i concelebranti che indossano le sacre vesti per la messa, nonché con un rappresentanza di fedeli, verso un luogo adatto, o davanti alla porta o nella stessa chiesa, purché una buona parte dei fedeli possa comodamente partecipare al rito. Dopo che il vescovo è giunto al luogo prescelto per la benedizione delle candele, si accendono le candele, mentre si canta l'antifona Cristo è la luce per illuminare le genti o un altro canto adatto. Quindi si seguono tutte le indicazioni, come è detto più sopra ai nn. 244-247. Capitolo III - Il tempo di quaresima 249. L'osservanza annuale della quaresima è il tempo favorevole nel quale salire fino al santo monte della pasqua. Infatti il tempo quaresimale, per il suo duplice carattere prepara i catecumeni e i fedeli a celebrare il mistero pasquale. I catecumeni, sia con l'elezione e gli scrutini, sia con la catechesi, sono condotti ai sacramenti dell'iniziazione cristiana; i fedeli invece con un ascolto più intenso della parola di Dio e con l'impegno della preghiera, attraverso la penitenza sono preparati a rinnovare le promesse del battesimo. 250. Al vescovo stia dunque a cuore favorire quella preparazione dei catecumeni di cui al n. 406, e presiedere al rito della elezione o iscrizione del nome nella liturgia quaresimale, come è indicato più sotto ai nn. 408-419, e, secondo le circostanze, presiedere alla consegna del simbolo e del Padre nostro, di cui ai nn. 420-424. 251. Negli animi dei fedeli, sia inculcata nella catechesi, insieme alle conseguenze sociali del peccato, quel carattere proprio della penitenza che detesta il peccato in quanto è offesa fatta a Dio; né si dimentichi la parte della Chiesa nell'azione penitenziale e si solleciti la preghiera per i peccatori. La penitenza del tempo quaresimale non sia soltanto interna e individuale, ma anche esterna e sociale, e sia indirizzata alle opere di misericordia per il bene dei fratelli. Sia raccomandata ai fedeli una partecipazione più intensa e fruttuosa alla liturgia quaresimale e alle celebrazioni penitenziali. Soprattutto siano invitati ad accostarsi in questo periodo, secondo la legge e le tradizioni della chiesa, al sacramento della penitenza, così che possano partecipare con animo purificato alla gioia della domenica di risurrezione. Conviene molto che, in tempo di quaresima, il sacramento della penitenza venga celebrato in forma più solenne, come è descritto nel "Rituale Romano". 252. In questo tempo è proibito ornare l'altare di fiori, e il suono degli strumenti è permesso soltanto per sostenere il canto. Tuttavia fanno eccezione la domenica Lætare ( IV di quaresima ) e le solennità e le feste. Nella domenica Lætare, si può usare il colore rosaceo. Capitolo IV - Il mercoledì delle ceneri 253. Nel mercoledì precedente la I domenica di quaresima, i cristiani, ricevendo le ceneri, entrano nel tempo istituito per purificare gli animi. Con questo segno di penitenza, ricevuto dalla tradizione biblica ( Cf. 2 Sam 13,19; Est 4,1; Gb 42,6; 1 Mac 3,47; 1 Mac 4,39; Lam 2,10 ) e conservato fino a noi negli usi della Chiesa, è indicata la condizione dell'uomo peccatore, che confessa esternamente la propria colpa davanti al Signore ed esprime così la volontà di una interiore conversione, guidato dalla speranza che il Signore gli sia benigno e misericordioso, paziente e molto indulgente. Con questo medesimo segno comincia il cammino di conversione, che raggiungerà la propria meta attraverso la celebrazione del sacramento della penitenza nei giorni immediatamente precedenti la pasqua. 254. Nella messa di questo giorno il vescovo benedice e impone le ceneri nella chiesa cattedrale o in un'altra chiesa, se ritenuta più adatta dal punto di vista pastorale. 255. Il vescovo, portando la mitra semplice e il pastorale, dopo aver fatto l'ingresso in chiesa con i presbiteri, i diaconi e gli altri ministri nel modo consueto, bacia l'altare e lo incensa; poi si reca alla cattedra, da dove saluta il popolo. Quindi, omesso l'atto penitenziale e, secondo l'opportunità, il Kyrie, proclama l'orazione colletta. 256. Dopo il vangelo e l'omelia, il vescovo, stando in piedi e senza mitra, con le mani giunte, invita, il popolo alla preghiera e, dopo una breve preghiera in silenzio, benedice le ceneri che un accolito tiene davanti a lui, proclamando a mani allargate l'orazione come nel "Messale Romano". Poi asperge le ceneri con l'acqua benedetta, senza dire nulla. 257. Terminata la benedizione, colui a cui compete, o concelebrante o diacono, impone le ceneri al vescovo inchinato, dicendo: Convertitevi e credete al vangelo, oppure: Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai. 258. Quindi il vescovo riprende la mitra e, seduto in cattedra oppure in piedi, impone le ceneri ai concelebranti, ai ministri e ai fedeli, aiutato, se è il caso, da alcuni concelebranti o diaconi. Frattanto si canta il salmo: Pietà di me, o Dio, con una delle antifone: ad esempio, Cancella, Signore, il mio peccato, oppure il responsorio: Rinnoviamo la nostra vita, o un altro canto adatto. 259. Terminata l'imposizione delle ceneri, il vescovo lava le mani e dà inizio alla preghiera universale; poi la messa prosegue nel modo consueto. Capitolo V - Le riunioni quaresimali 260. Tutti gli aspetti della osservanza quaresimale tendono anche a questo, che la vita della Chiesa locale venga messa in una luce più chiara e sia favorita. Per questo è anche raccomandato che sia conservata e favorita la forma tradizionale della riunione della chiesa locale a imitazione delle « stazioni » romane, almeno nelle maggiori città e nel modo più adatto ai singoli luoghi. Queste assemblee di fedeli potranno radunarsi, soprattutto sotto la presidenza del pastore della diocesi, nelle domeniche o in altri giorni infrasettimanali più opportuni, o presso i sepolcri dei santi, o nelle principali chiese o santuari della città, o anche in alcuni luoghi di pellegrinaggio, maggiormente frequentati in diocesi. 261. Se prima della messa che si celebra in queste riunioni, secondo le circostanze di luogo e di situazione, si fa la processione, allora il raduno dei fedeli si tiene in una chiesa minore o in altro luogo adatto al di fuori della chiesa verso la quale si dirige la processione. Il vescovo in un luogo adatto indossa le vesti sacre di colore violaceo richieste per la messa. Al posto della casula può indossare il piviale che depone al termine della processione. Riceve la mitra semplice e il pastorale e con i ministri e, se è il caso, con i concelebranti che indossano le vesti per la messa, si reca al luogo della riunione, mentre si esegue un canto adatto. Al termine del canto, il vescovo, senza pastorale e mitra, saluta il popolo. Quindi, dopo una breve monizione proposta dal vescovo stesso o da uno dei concelebranti o da un diacono, proclama, a mani allargate, l'orazione colletta del mistero della s. croce o per la remissione dei peccati, o per la Chiesa, soprattutto locale, o una delle orazioni sul popolo che si trovano nel "Messale Romano". Quindi il vescovo, ricevuta la mitra, secondo l'opportunità mette l'incenso nel turibolo. Dopo che il diacono ha proclamato la monizione: Andiamo in pace, la processione si avvia in modo ordinato verso la chiesa, mentre si cantano la litanie dei santi. Tuttavia in un punto adatto si possono inserire invocazioni al santo patrono o fondatore e ai santi della Chiesa locale. Dopo che la processione è giunta alla chiesa, tutti si dispongono al posto loro assegnato. Il vescovo, giunto all'altare, depone il pastorale e la mitra, bacia l'altare e lo incensa. Quindi va alla cattedra, dove, deposto il piviale, se lo ha adoperato nella processione, indossa la casula e, omessi i riti iniziali e, secondo l'opportunità, il Kyrie, proclama l'orazione colletta della messa. Quindi la messa prosegue nel modo solito. Il vescovo, qualora ciò sembri più opportuno, può deporre il piviale e indossare la casula dopo essere giunto all'altare e prima di baciarlo. 262. In queste riunioni, al posto della messa, si può tenere anche una qualche celebrazione della parola di Dio nel modo descritto più sopra ai nn. 222-226, oppure secondo il modello delle celebrazioni penitenziali proposte per il tempo di quaresima nel "Rituale Romano" ( cf. più sotto i nn. 640-643 ). Capitolo VI - La domenica delle Palme "Nella passione del Signore" 263. Nella domenica delle palme "nella passione dei Signore" la chiesa entra nel mistero del suo Signore crocifisso, sepolto e risorto, il quale, con l'ingresso in Gerusalemme, ha dato un presagio della sua maestà. I cristiani portano i rami in segno di quel regale trionfo che Cristo ha ottenuto, cadendo sotto la croce. Secondo quanto dice l'apostolo: « se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria », ( Rm 8,17 ) venga messo in luce nella celebrazione e nella catechesi di questo giorno il collegamento fra i due aspetti del mistero pasquale. Prima forma: Processione 264. All'ora stabilita i fedeli si radunano in una chiesa succursale o in altro luogo adatto al di fuori della chiesa verso la quale si dirige la processione. I fedeli tengono in mano i rami. 265. Il vescovo nel luogo più adatto riveste i paramenti richiesti per la messa, di colore rosso. Tuttavia al posto della casula può indossare il piviale, che depone al termine della processione. Riceve la mitra e il pastorale, e con i ministri e, se è il caso, con i concelebranti rivestiti dei paramenti per la messa, sì reca al luogo della benedizione dei rami, mentre si canta l'antifona: Osanna o un altro canto adatto. 266. Al termine del canto, il vescovo senza pastorale e mitra e stando in piedi, rivolto verso il popolo dice: Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Poi saluta il popolo dicendo: La pace sia con voi, e proclama la monizione introduttoria. Tuttavia può affidare, secondo l'opportunità, questa monizione al diacono o a uno dei concelebranti. 267. Dopo la monizione, il vescovo, a mani allargate, proclama l'orazione sui rami e li asperge con acqua benedetta, senza dire nulla. 268. Dopo la benedizione dei rami prima che venga proclamato il vangelo, può distribuire i rami ai concelebranti, ai ministri e ad alcuni fedeli. Egli stesso tuttavia riceve dal diacono o da uno dei concelebranti il ramo per lui preparato, e lo consegna ad un ministro mentre egli stesso compie la distribuzione dei rami. Frattanto si esegue un canto adatto. 269. Quindi il vescovo pone l'incenso nel turibolo, benedice il diacono che si accinge a proclamare il vangelo e riceve il suo ramo che tiene mentre viene letto il vangelo. Se, secondo l'opportunità, tiene l'omelia, consegna il ramo e riceve la mitra e il pastorale, a meno che non gli sembri opportuno fare diversamente. 270. Per dare inizio alla processione il vescovo o il diacono può proclamare la monizione: Imitiamo, fratelli carissimi, espressa con le parole che si trovano nel "Messale Romano" o altre simili. Ha inizio poi la processione verso la chiesa dove deve essere celebrata la messa. Precede il turiferario con il turibolo fumigante, poi l'accolito che porta la croce, ornata con rami di palma secondo le consuetudini locali, in mezzo a due altri accoliti con le candele accese. Seguono il clero, il diacono che porta il libro dei vangeli, gli altri diaconi, se ve ne sono, che portano il libro della storia della passione; i concelebranti, il ministro che porta il pastorale del vescovo e quindi il vescovo con mitra, che tiene il ramo; un poco dietro al vescovo i due diaconi che lo assistono; poi i ministri che prestano servizio per il libro e la mitra; infine i fedeli. Tutti, sia i ministri sia i fedeli, portano in mano i rami. Mentre la processione avanza, la cappella e il popolo eseguono i canti indicati nel messale o altri adatti. Quando la processione entra il chiesa, si canta il responsorio: Mentre il Cristo entrava nella città santa, o un altro canto che parli dell'ingresso del Signore. 271. Il vescovo, giunto all'altare, consegna il ramo al diacono, depone la mitra e bacia l'altare e lo incensa. Quindi va alla cattedra, dove depone il piviale, se lo ha adoperato in processione, e indossa la casula. Omessi i riti iniziali della messa e, secondo l'opportunità, il Kyrie a conclusione della processione, proclama l'orazione colletta della messa. Il vescovo, qualora ciò sembri più opportuno, può deporre il piviale e indossare la casula dopo essere giunto all'altare e prima di baciarlo. Seconda forma: l'ingresso solenne 272. Dove non si può fare la processione al di fuori della chiesa, si può compiere la benedizione dei rami sotto forma di ingresso solenne. I fedeli, con in mano i rami, si radunano o davanti alla porta della chiesa o all'interno della chiesa. Il vescovo, i ministri e una rappresentanza di fedeli si recano in un luogo della chiesa dove almeno la maggior parte dei presenti possa vedere lo svolgimento del rito. Mentre il vescovo si avvia al luogo sopraddetto, si canta l'antifona Osanna, o un altro canto adatto. Quindi tutto si svolge come è stato detto ai nn. 266-271. Proclamazione della storia della passione 273. All'inizio del canto al vangelo, tutti si alzano, tranne il vescovo. Per la proclamazione della storia della passione non si usano incenso e lumi. I diaconi che devono proclamarla, chiedono e ricevono la benedizione come è detto più sopra al n. 140. Quindi il vescovo, deposta la mitra, si alza e riceve il pastorale. A questo punto si proclama la storia della passione. Si omettono il saluto al popolo e il segno di croce sul libro. Dopo che è stata annunziata la morte del Signore, tutti genuflettono e si fa una breve pausa. Alla fine si dice: Parola del Signore, ma si omette il bacio al libro. Terminata la proclamazione della storia della passione, il vescovo tiene una breve omelia. Al termine di essa si può osservare, secondo l'opportunità, un momento di silenzio. Quindi la messa prosegue nel modo consueto. Capitolo VII - La messa del crisma 274. Questa messa che il vescovo concelebra con il suo presbiterio e nella quale consacra il santo crisma e benedice gli altri oli, è come la manifestazione della comunione dei presbiteri con il loro vescovo. Con il santo crisma consacrato dal vescovo vengono unti i nuovi battezzati e vengono segnati coloro che devono ricevere il sacramento della confermazione; inoltre vengono unte le mani dei presbiteri e il capo dei vescovi, la chiesa e gli altari durante il rito della dedicazione. Con l'olio dei catecumeni invece essi vengono preparati e disposti a ricevere il battesimo. Infine con l'olio degli infermi i malati trovano sollievo nelle loro infermità. Per questa messa si radunano e concelebrano in essa i presbiteri, dal momento che nella confezione del crisma sono testimoni e cooperatori del loro vescovo, della cui sacra funzione nella edificazione, santificazione e guida del popolo di Dio sono partecipi, e così si manifesta chiaramente l'unità del sacerdozio e del sacrificio continuamente presente nella Chiesa di Cristo. Per meglio significare l'unità del presbiterio, il vescovo procuri che siano presenti dalle diverse zone della diocesi presbiteri concelebranti. I presbiteri che per caso non concelebrano, in questa messa possono ricevere la comunione sotto le due specie. 275. La consacrazione del crisma e la benedizione dell'olio degli infermi e dell'olio dei catecumeni, di norma sono compiute dal vescovo il giovedì della settimana santa, nella messa propria da celebrarsi nelle ore mattutine. Se notevoli difficoltà si frapponessero alla riunione del clero e del popolo con il vescovo, si può anticipare la benedizione ad altro giorno, ma in prossimità della pasqua e sempre con il formulario proprio della messa. 276. Per il suo significato e la sua importanza pastorale nella vita della diocesi, la messa del crisma sia celebrata secondo il rito della messa stazionale nella chiesa cattedrale o, per motivi pastorali, in altra chiesa. 277. In conformità alla tradizione della liturgia latina, la benedizione dell'olio degli infermi si compie prima della conclusione della preghiera eucaristica, la benedizione dell'olio dei catecumeni e la consacrazione del crisma si compiono dopo la comunione. È tuttavia consentito, per ragioni pastorali, compiere tutto il rito della benedizione dopo la liturgia della parola. 278. Per la benedizione degli oli, oltre a quanto è necessario per la messa stazionale, si preparino: a) nel secretarium o in un altro luogo adatto: - le ampolle con gli oli; - le sostanze profumate occorrenti per il crisma, se il vescovo stesso intende farne la mescolanza nel corso dell'azione liturgica; - il pane, il vino e l'acqua per la messa, da portare all'altare con gli oli prima della preparazione dei doni. b) in presbiterio: - il "Pontificale Romano"; - un tavolo per posarvi sopra le ampolle degli oli, collocato in modo tale che l'intera azione sacra possa essere ben vista e partecipata dal popolo; - la sede per il vescovo, se la benedizione si compie davanti all'altare. Descrizione del rito 279. La preparazione dei vescovo, dei concelebranti e degli altri ministri, il loro ingresso in chiesa e tutti riti che ci sono dall'inizio della messa fino al vangelo incluso, si svolgono come è indicato nel rito della messa stazionale. 280. Nell'omelia il vescovo, con mitra e pastorale e seduto in cattedra, se non gli sembra opportuno fare diversamente, esorta i presbiteri a rimanere fedeli al loro ministero e li invita a rinnovare pubblicamente le promesse sacerdotali. Terminata l'omelia, il vescovo interroga i presbiteri, mentre stanno in piedi, per riceverne la rinnovazione delle promesse sacerdotali. 281. Il vescovo depone il pastorale e la mitra e si alza in piedi. Non si dice il simbolo. Si dice la preghiera universale, nella quale i fedeli sono invitati a pregare per i loro pastori come nel "Messale Romano". 282. Allora, mentre il vescovo sta seduto in cattedra con mitra, i diaconi ( o in loro assenza alcuni presbiteri ), i ministri incaricati di portare gli oli, come pure alcuni fedeli che portano il pane, il vino e l'acqua, si recano ordinatamente nel secretarium o al luogo dove sono stati predisposti gli oli e le altre offerte. Nel ritorno all'altare, procedono con questo ordine: prima il ministro che porta il recipiente con le sostanze profumate nel caso che il vescovo voglia farne lui stesso la mescolanza nella consacrazione del crisma; segue un altro ministro con l'ampolla dell'olio dei catecumeni, se deve essere benedetto; quindi un altro con l'ampolla dell'olio degli infermi. Viene portato per ultimo, da un diacono o da un presbitero, l'olio per il crisma. Seguono i ministri o i fedeli che recano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione dell'eucaristia. 283. Mentre la processione si snoda attraverso la chiesa, la cappella esegue l'inno O Redemptor, a cui tutti rispondono, o un altro Canto adatto al posto del canto per l'offertorio. 284. Il vescovo riceve i doni alla cattedra o in un luogo più opportuno. Il diacono che porta l'ampolla per il sacro crisma, la presenta al vescovo, dicendo ad alta voce: Ecco l'olio per il santo crisma. Il vescovo prende l'ampolla e la dà a uno dei diaconi ministranti, che la colloca sul tavolo preparato. Allo stesso modo si regolano quelli che recano le ampolle dell'olio degli infermi e dei catecumeni. Il primo dice: Ecco l'olio degli infermi; e l'altro: Ecco l'olio dei catecumeni. Il vescovo prende le ampolle e i ministri le depongono sul tavolo preparato. Quindi la messa prosegue nel modo consueto, a meno che tutto il rito della benedizione non debba essere compiuto immediatamente, come è detto più sotto al n. 291. 285. Alla fine della preghiera eucaristica, prima che il vescovo dica: Per Cristo nostro Signore tu, o Dio, crei e santifichi sempre nella preghiera eucaristica I, o prima della dossologia: Per Cristo, con Cristo e in Cristo nella altre preghiere eucaristiche, colui che portò prima l'ampolla dell'olio degli infermi, la porta adesso all'altare e la tiene davanti al vescovo, mentre egli benedice l'olio degli infermi, proclamando l'orazione: O Dio, Padre di ogni consolazione. Terminata la benedizione, l'ampolla dell'olio degli infermi viene nuovamente collocata al suo posto, sopra il tavolo preparato, e la messa procede fino alla comunione inclusa. 286. Proclamata l'orazione dopo la comunione, le ampolle con l'olio dei catecumeni e il crisma, vengono deposte dai diaconi sopra un tavolo opportunamente collocato in mezzo al presbiterio. 287. Il vescovo e i concelebranti si avvicinano al tavolo con i diaconi e i ministri, in modo che il vescovo, stando in piedi rivolto verso il popolo, abbia attorno a sé da entrambe le parti i concelebranti in forma di corona, mentre i diaconi con i ministri stanno in piedi dietro di lui. 288. Dopo che tutti si sono così disposti il vescovo procede alla benedizione dell'olio dei catecumeni se deve essere benedetto. Stando in piedi senza mitra, rivolto verso il popolo, con le braccia allargate, proclama l'orazione: O Dio, sostegno e difesa del tuo popolo. 289. Quindi, a meno che non sia già stato fatto in precedenza, il vescovo, seduto, riceve la mitra, infonde le sostanze profumate nell'olio e prepara il crisma, senza dire nulla. 290. Dopo di ciò, si alza e, stando in piedi senza mitra, proclama la monizione: Fratelli carissimi, rivolgiamo la nostra preghiera. Poi, secondo l'opportunità, alita sull'ampolla del crisma. Quindi, con le braccia allargate proclama una delle orazioni consacratorie, durante la quale tutti i concelebranti, mentre il vescovo dice: Ora ti preghiamo, o Padre, stendono la mano destra verso il crisma fino al termine dell'orazione, senza dire nulla. 291. Se motivi pastorali consigliano di compiere tutto il rito della benedizione degli oli dopo la liturgia della parola, si procede in questo modo: le ampolle con l'olio degli infermi, quello dei catecumeni e per il crisma, dopo che sono state presentate al vescovo, vengono poste dai diaconi su un tavolo opportunamente collocato in mezzo al presbiterio, e si osservano i riti descritti più sopra ai nn. 283-284 e 287-290. Al termine, la messa prosegue nel modo consueto dalla preparazione dei doni fino alla orazione dopo la comunione. 292. Terminata la consacrazione del crisma, se è stata compiuta dopo la comunione, diversamente invece terminata l'orazione dopo la comunione, il vescovo impartisce la benedizione nel modo consueto; quindi mette nel turibolo l'incenso e lo benedice. Dopo che il diacono ha detto: La messa è finita: andate in pace, la processione si avvia verso il secretarium. 293. Precede il turiferario con il turibolo fumigante e immediatamente dopo la croce vengono portati gli oli benedetti dai rispettivi ministri, mentre la cappella e il popolo cantano alcuni versetti dell'inno O Redemptor, o un altro canto adatto. 294. Nel secretarium, il vescovo ricordi opportunamente ai presbiteri come devono essere trattati e venerati gli oli santi e con quale diligenza devono essere conservati. Capitolo VIII - Il sacro triduo pasquale 295. « Il triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende al vertice dell'anno liturgico, poiché l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero pasquale, con il quale, morendo, ha distrutto la nostra morte, e risorgendo, ci ha ridonato la vita. La preminenza di cui gode la domenica nella settimana, la gode la pasqua nell'anno liturgico ». Sarà sacro anche il digiuno pasquale, da celebrarsi ovunque il venerdì santo, "nella passione del Signore" e da protrarsi, se è possibile, anche al sabato santo, in modo da giungere così, con animo sollevato e aperto, ai gaudi della domenica di risurrezione. 296. Tenendo quindi presenti la particolare dignità di questi giorni e la grande importanza spirituale e pastorale di queste celebrazioni nella vita della Chiesa, è sommamente conveniente che il vescovo presieda nella sua chiesa cattedrale la messa nella cena del Signore l'azione liturgica del venerdì santo, "nella passione del Signore" del Signore, e la veglia pasquale, soprattutto se in essa si devono celebrare i sacramenti della iniziazione cristiana. Inoltre conviene che il vescovo partecipi, per quanto è possibile, con il clero e il popolo all'ufficio delle letture e alle lodi mattutine del venerdì "nella passione del Signore" e del sabato santo, nonché ai vespri del giorno di pasqua, soprattutto dove vige la consuetudine di celebrare i vespri battesimali. Capitolo IX - La messa "Nella cena del Signore" Premesse 297. Con questa messa, celebrata nelle ore vespertine del giovedì della settimana santa, la Chiesa inizia il sacro triduo pasquale, e intende commemorare quell'ultima cena nella quale il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando fino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il proprio corpo e il proprio sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli apostoli perché se ne nutrissero e ordinò loro e ai loro successori nel sacerdozio di offrirli. Con questa messa dunque si fa memoria della istituzione dell'eucaristia, o memoriale della pasqua del Signore, con la quale si rende perennemente presente tra di noi sotto i segni del sacramento il sacrificio della nuova alleanza; si fa ugualmente memoria della istituzione del sacerdozio con il quale si rende presente nel mondo la missione e il sacrificio di Cristo; infine si fa memoria dell'amore con cui il Signore ci ha amati fino alla morte. Il vescovo si preoccupi di proporre opportunamente ai fedeli tutte queste verità mediante il ministero della parola, affinché possano penetrare più profondamente con la loro pietà in così grandi misteri e possano viverli più intensamente nella vita concreta. 298. Il vescovo, anche se ha già celebrato al mattino la messa del crisma, abbia ugualmente a cuore di celebrare anche la messa della cena del Signore con la piena partecipazione di presbiteri, diaconi, ministri e fedeli intorno a sé. Ugualmente i sacerdoti che hanno già concelebrato nella messa del crisma, possono nuovamente concelebrare nella messa vespertina. 299. Oltre a quanto è richiesto per la celebrazione della messa stazionale, si preparino: a) in un luogo opportuno del presbiterio: - la pisside con le particole da consacrare anche per la comunione del giorno seguente; - il velo omerale; - un secondo turibolo con la navicella; - le torce e le candele; b) nel luogo dove si fa la lavanda dei piedi: - gli scanni per gli uomini designati; - la brocca dell'acqua e il bacile; - le tovaglie per asciugare i piedi; - il grembiule di lino per il vescovo; - il necessario perché il vescovo si lavi le mani; c) nella cappella della riposizione del ss. Sacramento: - il tabernacolo o la custodia della riposizione; - lumi, fiori e altri opportuni addobbi. Descrizione del rito 300. La preparazione, l'ingresso in chiesa e la liturgia della parola si compiono come è di norma, nella messa stazionale. Mentre si canta l'inno del Gloria a Dio, si suonano le campane. Terminato il canto, le campane tacciono fino alla veglia pasquale, a meno che la conferenza episcopale o il vescovo della diocesi non abbiano stabilito diversamente, secondo l'opportunità. Nel medesimo tempo si possono usare similmente l'organo e gli altri strumenti musicali solo per sostenere il canto. 301. Dopo l'omelia, nella quale sono illustrati i principali misteri che si commemorano in questa messa, e cioè l'istituzione della ss. eucaristia e del sacerdozio ministeriale, come pure il comandamento del Signore sull'amore fraterno, si procede, dove motivi pastorali lo consigliano, alla lavanda dei piedi. Gli uomini prescelti per il rito vengono accompagnati dai ministri agli scanni preparati per loro in un luogo adatto. Il vescovo, depone la mitra e la casula, ma non la dalmatica, se la usa, e, dopo essersi cinto, secondo l'opportunità, di un grembiule di lino adatto, si reca davanti a ciascuno e, con l'aiuto dei diaconi, versa dell'acqua sui loro piedi e li asciuga. Frattanto si cantano le antifone proposte nel "Messale Romano" o altri canti adatti. 302. Dopo la lavanda dei piedi, il vescovo ritorna alla cattedra, lava le mani e indossa di nuovo la casula. Quindi, dal momento che in questa messa non si dice il simbolo, si fa subito la preghiera universale. 303. All'inizio della liturgia eucaristica, si può disporre la processione dei fedeli che portano doni per i poveri. Frattanto si canta: Dov'è carità e amore, o un altro canto adatto. 304. Dalla preparazione dei doni fino alla comunione inclusa, i riti si svolgono tutti come nella messa stazionale, proclamando i testi propri per la prece eucaristica, proposti nel messale. 305. Terminata la distribuzione della comunione ai fedeli, si lascia sull'altare la pisside con le particole per la comunione del giorno seguente e si proclama l'orazione dopo la comunione. 306. Dopo l'orazione, omessi i riti di conclusione, il vescovo, in piedi, dinanzi all'altare, pone l'incenso nel turibolo e lo benedice, e in ginocchio incensa il Sacramento. Quindi, indossato il velo omerale, sale all'altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende la pisside con le mani coperte dai lembi del velo. 307. Si forma la processione che, attraverso la chiesa, accompagna il Sacramento al luogo della riposizione, preparato in una cappella. Precede l'accolito con la croce, accompagnato dagli accoliti che recano i candelabri con i ceri accesi; seguono il clero, i diaconi, i concelebranti, il ministro che porta il pastorale del vescovo, due ministri con i turiboli fumiganti, il vescovo che porta il Sacramento, un poco indietro i due diaconi che lo assistono, quindi i ministri che prestano servizio per il libro e la mitra. Tutti tengono in mano la candela, e attorno al Sacramento vengono recate torce. Frattanto si canta l'inno: Pange, Lingua ( eccetto le due ultime strofe ) o un altro canto eucaristico, secondo le consuetudini locali. 308. Giunto al luogo della riposizione, il vescovo consegna la pisside al diacono, il quale la depone sull'altare o nel tabernacolo, la cui porticina rimane aperta; e, mentre si canta: Tantum ergo Sacramentum o un altro canto adatto, il vescovo in ginocchio incensa il ss. Sacramento. Quindi il diacono ripone il Sacramento nel tabernacolo o ne chiude la porticina. 309. Dopo un certo tempo di adorazione silenziosa, tutti si alzano e, fatta la genuflessione, ritornano nel secretarium; il vescovo porta la mitra e il pastorale. 310. A tempo opportuno si spoglia l'altare e, se è possibile, si rimuovono le croci dalla chiesa. Conviene che le croci che per caso rimangono in chiesa vengano velate, a meno che non siano già state velate secondo le indicazioni date dalla conferenza episcopale. 311. Si esortino i fedeli, secondo le circostanze e le diverse situazioni locali, a dedicare un po' di tempo nella notte all'adorazione davanti al ss. Sacramento nel tabernacolo, in modo però che essa dopo la mezzanotte sia fatta senza alcuna solennità. Capitolo X - La celebrazione della passione del Signore Premesse 312. In questo giorno in cui « Cristo nostra pasqua è stato immolato », ( 1 Cor 5,7 ) con effetto manifesto si sono compiute le cose che a lungo erano state promesse sotto misteriose prefigurazioni: che la vera vittima prendesse il posto della vittima che la indicava e con un solo sacrificio si portasse a compimento la differente molteplicità dei precedenti sacrifici. Infatti « l'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell'antico testamento, è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero con il quale morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ci ha ridonato la vita. Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa ». Infatti fissando lo sguardo sulla croce del suo Signore e sposo, la Chiesa commemora la propria nascita e la propria missione di estendere a tutte le genti i felici effetti della passione di Cristo che oggi celebra, rendendo grazie per così ineffabile dono. 313. Circa alle tre del pomeriggio, a meno che per una ragione pastorale non venga scelta un'ora più tarda, ha luogo la celebrazione della passione del Signore, che si svolge in tre momenti: liturgia della parola, adorazione della croce, santa comunione. 314. L'altare sia interamente spoglio: senza croce, senza candelieri, senza tovaglie. 315. Per la celebrazione della passione del Signore, si preparino: a) nel secretarium: - per il vescovo e i diaconi, le vesti di colore rosso come per la messa; il vescovo porta la mitra semplice ma non l'anello e il pastorale; - per gli altri ministri, i camici o le altre vesti legittimamente approvate; b) in un luogo conveniente: - la croce ( velata, se si usa la prima forma ); - i due candelabri; c) nel presbiterio: - il "Messale Romano"; - i lezionari; - la tovaglia; - il corporale; - le stole rosse per i presbiteri e i diaconi che ricevono la comunione; d) nel luogo dove è riposto il ss. Sacramento: - il velo omerale di colore rosso o bianco per il diacono; - i due candelieri per gli accoliti. Riti introduttori 316. Il vescovo e i diaconi, rivestiti dei paramenti di colore rosso come per la messa, si recano in silenzio all'altare. Il vescovo, dopo aver deposto la mitra e aver fatto la debita riverenza, si prostra a terra o, secondo l'opportunità in ginocchio su un inginocchiatoio nudo, prega in silenzio per breve tempo. Fanno ciò anche tutti gli altri. 317. Quindi il vescovo con i diaconi si reca alla cattedra dove, rivolto al popolo, con le mani allargate, proclama l'orazione: Ricordati, Padre, oppure: O Dio, che con la passione. Poi siede e riceve la mitra. Liturgia della parola 318. Allora, mentre tutti sono seduti si proclama la prima lettura del profeta Isaia con il suo salmo. Segue la seconda lettura dalla lettera agli Ebrei. 319. All'inizio del canto prima del vangelo, tutti, eccetto il vescovo, si alzano. Per la proclamazione della storia della passione non si usano né incenso, né lumi. I diaconi che devono farla chiedono e ricevono dal vescovo la benedizione, come nelle altre volte. Il vescovo, deposta la mitra, si alza. Quindi si proclama la storia della passione secondo Giovanni. Si omettono il saluto al popolo e il segno di croce sul libro. Dopo che è stata annunziata la morte del Signore, tutti genuflettono e si fa una breve pausa. Alla fine si dice: Parola del Signore, ma si omette il bacio del libro. Terminata la proclamazione della storia della passione, il vescovo tiene una breve omelia, al termine della quale il vescovo o un diacono può invitare i fedeli ad una breve preghiera. 320. Dopo l'omelia, il vescovo, stando in piedi alla cattedra senza mitra, oppure, secondo l'opportunità, all'altare, a mani allargate, dirige la preghiera universale, come è proposta nel messale, scegliendo, se ritiene opportuno, le orazioni più adatte. Le esortazioni con cui sono indicate le intenzioni di questa preghiera, possono, secondo l'opportunità, essere proposte anche da diaconi all'ambone. I fedeli per tutto il tempo delle orazioni possono restare o in ginocchio, o in piedi. Adorazione dlla santa croce 321. Quindi ha luogo l'ostensione e l'adorazione della santa croce, secondo una delle forme proposte nel messale: a) Prima forma di ostensione della santa croce: Mentre un diacono porta all'altare la croce velata, accompagnata da due accoliti con le candele accese, il vescovo va all'altare con i suoi diaconi assistenti e li, stando in piedi senza mitra, riceve la croce e la scopre in tre momenti successivi e invita ciascuna volta i fedeli all'adorazione con le parole: Ecco il legno della croce ( che nel canto può essere proseguito dal diacono, o, se è il caso, dalla schola ). Tutti rispondono: Venite, adoriamo e, terminato il canto, tutti si inginocchiano e fanno una breve preghiera di adorazione in silenzio mentre il vescovo, in piedi, tiene elevata la croce. Quindi il diacono, accompagnato da due accoliti con le candele accese, porta la croce sul limitare del presbiterio o in un altro luogo adatto e lì la depone o la affida ai ministri che la tengono diritta; a destra e a sinistra della croce si pongono candele. b) Seconda forma di ostensione della santa croce: Mentre il vescovo sta in piedi alla cattedra, senza mitra, il diacono sì reca con gli accoliti alla porta della chiesa, dove riceve la croce non velata, mentre gli accoliti prendono i candelieri accesi. Si forma la processione che, attraverso la chiesa, giunge nel presbiterio. Presso la porta, in mezzo alla chiesa e davanti all'ingresso del presbiterio, il diacono innalza la croce cantando l'invito: Ecco il legno della croce, a cui tutti rispondono: venite, adoriamo; dopo ogni risposta, mentre il vescovo sta in piedi, tutti si inginocchiano e fanno una breve adorazione in silenzio. Quindi il diacono depone la croce all'ingresso del presbiterio, o in altro luogo come è stato detto sopra. 322. All'adorazione della croce il vescovo, dopo aver deposto la mitra, la casula e, secondo l'opportunità le scarpe, si avvicina per primo, a capo scoperto, alla croce, genuflette davanti ad essa e la bacia; ritorna poi alla cattedra, dove riprende le scarpe e la casula e siede senza mitra. Dopo il vescovo i diaconi, il clero e i fedeli si recano quasi processionalmente all'adorazione della croce, facendo davanti ad essa genuflessione semplice o un altro segno di venerazione ( ad esempio baciando la croce ) secondo l'uso del luogo. Frattanto si cantano l'antifona: Adoriamo la tua croce, i lamenti dei Signore o altri canti adatti. Tutti coloro che hanno compiuto l'adorazione, restano seduti al loro posto. 323. Per l'adorazione sia presentata un'unica croce. Se poi per il gran numero dei fedeli, non tutti possono accostarsi personalmente alla croce, il vescovo, dopo che una buona parte del clero e dei fedeli ha compiuto l'adorazione, ritorna all'altare, riceve la croce dal diacono e, stando in mezzo, davanti all'altare, con brevi parole invita il popolo all'adorazione della santa croce. Poi per alcuni istanti tiene elevata in alto la croce, mentre i fedeli in silenzio compiono l'adorazione. Santa comunione 324. Terminata l'adorazione, la croce viene portata dal diacono all'altare, al suo posto, mentre il vescovo ritorna alla cattedra: i candelieri con le candele accese si pongono attorno all'altare o presso la croce. Sull'altare invece si stende una tovaglia e vi si pongono sopra il corporale e il messale. 325. Quindi il diacono, con il velo omerale, riporta il ss. Sacramento dal luogo della riposizione all'altare, per il percorso più breve. Due accoliti accompagnano il Sacramento con i candelieri accesi, deponendoli poi attorno o sopra l'altare. Frattanto il vescovo e tutti gli altri si alzano e stanno in piedi in silenzio. 326. Appena il diacono ha deposto il Sacramento sull'altare e ha scoperto la pisside, il vescovo si avvicina con i diaconi, e dopo aver fatto la genuflessione, sale all'altare. Viene proclamato il Padre nostro con il suo embolismo e si distribuisce la comunione, come è indicato nel messale. 327. Se il vescovo è presente all'azione sacra senza tuttavia celebrarla, conviene che almeno dopo l'adorazione della croce, indossi, sopra il rocchetto, la stola e il piviale di colore rosso e presieda il rito di comunione. Se tuttavia non fa neppure ciò, dopo aver ricevuto la stola per la comunione, si comunica all'altare dopo il celebrante. 328. Terminata la distribuzione della comunione, il diacono, con il velo omerale, porta la pisside al luogo preparato fuori della chiesa, oppure, se le circostanze lo esigono, la ripone nel tabernacolo. 329. Quindi il vescovo, dopo aver osservato secondo l'opportunità un certo tempo di sacro silenzio, proclama l'orazione dopo la comunione. Riti di conclusione 330. Dopo aver terminato l'orazione dopo la comunione, per il congedo dell'assemblea, il vescovo, stando in piedi rivolto verso il popolo e stendendo le mani sopra di esso, proclama l'orazione: Scenda, o Padre la tua benedizione. 331. Quindi, dopo aver fatto la genuflessione alla croce, il vescovo riceve la mitra e l'assemblea si scioglie in silenzio. A tempo opportuno si spoglia l'altare. Capitolo XI - La veglia pasquale Premesse 332. Per antichissima tradizione, questa è una notte di veglia in onore del Signore. ( Cf. Es 12,42 ) La veglia che in essa si celebra, dal momento che commemora la notte santa nella quale il Signore è risorto, è ritenuta « a madre di tutte le sante veglie ». In essa infatti la Chiesa aspetta vegliando la risurrezione del Signore, e la celebra con i sacramenti della iniziazione cristiana. 333. L'intera celebrazione della veglia pasquale si svolge di notte: essa quindi deve o cominciare dopo l'inizio della notte, o terminare prima dell'alba della domenica. 334. Dal momento che la celebrazione della veglia pasquale è la più importante e la più nobile di tutte le solennità dell'anno liturgico, il vescovo non tralasci di celebrarla di persona. 335. La messa della veglia è la messa pasquale della domenica di risurrezione. Chi celebra o concelebra la messa della notte, può celebrare o concelebrare la seconda messa di pasqua. 336. Oltre a quanto è necessario per la celebrazione della messa stazionale, si preparino: a) per la benedizione del fuoco: - un fuoco che divampi ( in un luogo fuori dalla chiesa dove si raduna il popolo ); - il cero pasquale; ( cinque grani di incenso; uno stilo ); - uno strumento adatto per accendere il cero al nuovo fuoco; - una lampada per illuminare i testi che il vescovo deve recitare; - le candele per i fedeli che partecipano alla veglia; - uno strumento con il quale il turiferario possa mettere nel turibolo i carboni ardenti presi dal nuovo fuoco; b) per l'annunzio pasquale: - il candelabro per il cero pasquale vicino all'ambone; - se il candelabro non può essere collocato vicino all'ambone, un leggio accanto al cero per il diacono o per il cantore ( qualora ve ne fosse la necessità ), che deve proclamare l'annunzio pasquale; c) per la liturgia battesimale: - un vaso con l'acqua; - quando vengono amministrati i sacramenti dell'iniziazione cristiana: l'olio dei catecumeni, il sacro crisma, il cero battesimale e il "Rituale Romano". Le luci della chiesa vengono tenute spente. Benedizione del fuoco e preparazione del cero 337. Il vescovo, i concelebranti e i diaconi, nel secretarium o in un altro luogo adatto, indossano, fin dall'inizio della veglia, le vesti di colore bianco come per la messa. 338. Il vescovo, con mitra e pastorale, insieme ai concelebranti, al clero e ai ministri si reca al luogo dove è radunato il popolo, per benedire il fuoco. Uno degli accoliti porta il cero pasquale davanti ai ministri. Non si usano né la croce processionale, né lumi. Il turiferario reca il turibolo senza carboni. 339. Il vescovo, deposti pastorale e mitra, stando in piedi rivolto verso il popolo, dice: Nel nome del Padre e del figlio e dello Spirito santo, e saluta il popolo dicendo: La pace sia con voi. Poi egli stesso o un diacono o uno dei concelebranti si rivolge brevemente al popolo per spiegare l'importanza della celebrazione proclamando le parole del "Messale Romano": Fratelli, in questa santissima notte, o altre simili a queste. 340. Quindi il vescovo benedice il fuoco proclamando, a mani allargate, l'orazione: O Padre che per mezzo del tuo Figlio. Terminata l'orazione, riprende la mitra e, aiutato dal diacono, accende il cero pasquale al nuovo fuoco senza dire nulla. Il turiferario mette nel turibolo i carboni ardenti presi dal nuovo fuoco. 341. Se per motivi pastorali si ritiene opportuno mettere in risalto con alcuni simboli la dignità e il significato del cero pasquale, dopo la benedizione del nuovo fuoco, un accolito porta il cero pasquale davanti al vescovo, il quale, stando in piedi con mitra, incide una croce sullo stesso cero pasquale. Quindi traccia sopra la croce la lettera greca alfa e sotto, invece, la lettera omega; entro i bracci della croce traccia quattro cifre per indicare l'anno corrente, dicendo frattanto: Il Cristo ieri e oggi. Poi dopo aver fatto l'incisione della croce e degli altri segni, il vescovo può infiggere nel cero, in forma di croce, cinque grani di incenso, dicendo: Per mezzo delle sue sante piaghe. E infine accende il cero al nuovo fuoco benedetto, dicendo: La luce del Cristo che risorge glorioso. Quanto è descritto sopra può essere fatto tutto o soltanto in parte, secondo le diverse situazioni pastorali. Ugualmente le conferenze episcopali possono stabilire altri elementi maggiormente adatti all'indole dei popoli. La processione 342. Dopo aver acceso il cero, il vescovo mette l'incenso nel turibolo, mentre il diacono riceve dall'accolito il cero pasquale. 343. Tutti si avviano in processione verso la chiesa. Il turiferario con il turibolo fumigante incede davanti al diacono che porta il cero pasquale. Seguono il ministro che porta il pastorale, il vescovo con i diaconi che gli prestano servizio, i concelebranti, il clero, il popolo, tutti con in mano le candele spente. Sulla soglia della chiesa, il diacono si ferma, e, alzando il cero, canta: Cristo, luce del mondo, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Il vescovo accende la propria candela alla fiamma del cero pasquale. Quindi il diacono avanza fino a metà della chiesa, si ferma e alzando il cero, canta per la seconda volta: Cristo, luce del mondo, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. E tutti accendono la candela, comunicandosi reciprocamente il fuoco. Finalmente il diacono, giunto davanti all'altare, rivolto verso il popolo canta per la terza volta: Cristo, luce del mondo, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Quindi pone il cero pasquale sul candelabro, preparato nel mezzo del presbiterio o presso l'ambone. Frattanto si accendono le lampade della chiesa. L'annunzio pasquale 344. Il vescovo, giunto all'altare, si reca alla cattedra, consegna al diacono la candela e siede con mitra; quindi mette nel turibolo l'incenso e lo benedice, come per il vangelo nella messa. Il diacono si avvicina al vescovo, chiede e riceve la benedizione. Il vescovo dice sottovoce: Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra, perché tu possa proclamare degnamente il suo annunzio pasquale: nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Il diacono risponde: Amen. 345. Mentre il diacono si allontana, il vescovo depone la mitra e si alza per ascoltare l'annunzio pasquale, tenendo in mano la candela accesa. Ugualmente tutti stanno in piedi e tengono in mano la candela accesa. Il diacono, dopo aver incensato il libro e il cero, canta l'annunzio pasquale dall'ambone o dal leggio. La liturgia della parola 346. Finito l'annunzio pasquale, deposte le candele, tutti siedono. Il vescovo, prima che inizino le letture, seduto con mitra, introduce la liturgia della parola con una breve monizione, a meno che non abbia affidato questo compito a un diacono o a uno dei concelebranti. Può proclamare o la monizione dei messale: Fratelli carissimi, dopo il solenne inizio della veglia, o un'altra monizione espressa con parole simili. 347. In questa veglia vengono proposte nove letture, cioè sette dall'antico testamento e due ( epistola e vangelo ) dal nuovo testamento. Se circostanze pastorali lo richiedono, il numero delle letture dell'antico testamento può essere ridotto; si abbia tuttavia sempre presente che la proclamazione della parola di Dio è parte fondamentale della veglia pasquale. Si proclamano almeno tre letture dell'antico testamento, e in casi eccezionali, almeno due. Non si ometta mai la lettura del cap. 14 dell'Esodo. 348. Quando tutti sono seduti e pronti all'ascolto, il lettore si reca all'ambone e proclama la prima lettura. Quindi il salmista o cantore esegue il salmo; l'assemblea risponde con il ritornello. Quindi, deposta la mitra, il vescovo si alza e, quando tutti sono in piedi, dice: Preghiamo, e dopo che tutti hanno pregato per un po' di tempo in silenzio, proclama l'orazione colletta corrispondente alla lettura. E così si fa dopo ogni lettura dell'antico testamento. 349. Dopo l'ultima lettura dell'antico testamento con il responsorio e l'orazione corrispondente, si accendono le candele dell'altare e viene intonato solennemente l'inno: Gloria a Dio, che poi tutti proseguono, mentre si suonano le campane secondo gli usi locali. 350. Terminato l'inno, il vescovo proclama, secondo l'uso solito, l'orazione colletta: O Dio, che illumini questa santissima notte. 351. Quindi siede e riceve la mitra. Quando tutti sono di nuovo seduti, il lettore all'ambone proclama l'epistola. 352. Terminata l'epistola, secondo l'opportunità e secondo la consuetudine del luogo, uno dei diaconi o il lettore si avvicina al vescovo e gli dice: Reverendissimo Padre, vi annunzio una grande gioia, l'alleluia. Dopo questo annunzio oppure, se esso non ha luogo, immediatamente dopo, l'epistola, tutti si alzano. Il vescovo, in piedi senza mitra, intona solennemente l'Alleluia, aiutato, se è necessario, da uno dei diaconi o dei concelebranti. Lo canta tre volte elevando gradualmente il tono della voce: il popolo dopo ogni volta lo ripete nel medesimo tono. Quindi il salmista o il lettore proclama il salmo, a cui il popolo risponde con l'Alleluia. 353. Quindi il vescovo siede, mette l'incenso nel turibolo e dà la benedizione al diacono per il vangelo nel modo consueto. Per la proclamazione del vangelo, non si portano i candelieri. 354. Subito dopo il vangelo si tiene l'omelia. Segue poi la liturgia battesimale. La liturgia battesimale 355. È del tutto conveniente che il vescovo stesso amministri i sacramenti del battesimo e della confermazione nella veglia pasquale. 356. La liturgia battesimale si compie o al fonte battesimale o nello stesso presbiterio. Dove tuttavia, secondo l'antica tradizione, vi è un battistero al di fuori dell'aula della chiesa, bisogna recarsi ad esso per celebrare la liturgia battesimale. 357. Per primi vengono chiamati i catecumeni, che sono presentati dai padrini, oppure, se sono bambini, vengono portati dai genitori e dai padrini. 358. Poi, se si deve compiere la processione al battistero o al fonte, essa si avvia subito secondo questo ordine: precede l'accolito con il cero pasquale e lo seguono i catecumeni con i padrini, poi i diaconi, i concelebranti e il vescovo con mitra e pastorale. Durante la processione si cantano le litanie. Terminate le litanie, il vescovo depone il pastorale e la mitra e proclama la monizione: Carissimi, accompagniamo con la nostra unanime preghiera. 359. Se invece la liturgia battesimale si compie nel presbiterio, il vescovo, deposti pastorale e mitra, proclama la monizione introduttoria: Carissimi, accompagniamo con la nostra unanime preghiera; poi i due cantori intonano le litanie: tutti stanno in piedi ( perché si è nel tempo pasquale ) e rispondono. 360. Al termine delle litanie e dopo che il vescovo ha proclamato la monizione come sopra, egli, stando in piedi presso il fonte battesimale, senza mitra e a mani allargate, benedice l'acqua proclamando l'orazione: O Dio, per mezzo dei segni sacramentali; mentre dice: Discenda, Padre, in quest'acqua, può secondo l'opportunità, immergere il cero pasquale nell'acqua, una o tre volte come è descritto nel messale. 361. Terminata la benedizione dell'acqua seguita dall'acclamazione del popolo, il vescovo si siede e riceve la mitra e il pastorale; poi interroga gli eletti perché compiano la rinunzia, per la precisione gli adulti secondo il rito dell'iniziazione cristiana degli adulti i genitori o i padrini dei bambini invece secondo il rito del battesimo dei bambini. 362. Se l'unzione con l'olio dei catecumeni adulti non è stata compiuta prima fra i riti immediatamente preparatori, la si compie in questo momento, secondo il rito della iniziazione cristiana degli adulti, con l'aiuto, se è necessario, di alcuni presbiteri. 363. Quindi il vescovo, informato per tempo dal padrino sul nome di ciascun adulto battezzando, interroga ciascuno circa la professione di fede, come è descritto nel rito della iniziazione cristiana degli adulti. Se invece si tratta di bambini, richiede la triplice professione di fede da tutti i genitori e i padrini insieme, come è prescritto nel rito del battesimo dei bambini. 364. Terminate le domande, il vescovo depone il pastorale, si alza e battezza gli eletti, aiutato, se necessario, dai presbiteri e anche dai diaconi, come è prescritto nel rito dell'iniziazione cristiana degli adulti e nel rito del battesimo dei bambini. 365. Quindi il vescovo si siede di nuovo. Dopo il battesimo i bambini ricevono l'unzione del crisma dai presbiteri o diaconi, soprattutto quando i battezzati sono piuttosto numerosi, mentre il vescovo dice contemporaneamente su tutti i battezzati: Dio Onnipotente. A tutti invece, sia agli adulti, sia ai bambini viene consegnata una veste bianca, mentre il vescovo dice: N. e N., siete diventati nuova creatura. Quindi il vescovo o un diacono prende il cero pasquale dalle mani dell'accolito e dice: Avvicinatevi, padrini; e vengono accesi i ceri dei neofiti, mentre il vescovo dice: Siete diventati luce in Cristo. Per i bambini si omettono la consegna del cero e il rito dell'Effeta, come è indicato nel rito del battesimo dei bambini. 366. Terminato il battesimo e gli altri riti esplicativi, a meno che tutto non abbia avuto luogo davanti all'altare, si ritorna al presbiterio in processione come prima, mentre i neofiti oppure i padrini o i genitori tengono in mano il cero acceso. Durante la processione si esegue un cantico battesimale, ad esempio Qui baptizati estis. 367. Se i battezzati sono adulti, il vescovo amministri ad essi, in presbiterio, il sacramento della confermazione, osservando le norme prescritte nel rito della iniziazione cristiana degli adulti. Rinnovazione delle promesse battesimali 368. Terminati il rito dei battesimo e della confermazione, oppure, se non ha avuto luogo né l'uno ne l'altro, dopo la benedizione dell'acqua, il vescovo, ricevuti mitra e pastorale, stando in piedi davanti al popolo, riceve la rinnovazione delle promesse battesimali dei fedeli, che stanno in piedi e tengono in mano la candela accesa. 369. Terminata la rinnovazione delle promesse battesimali, il vescovo tenendo la mitra, asperge il popolo con l'acqua benedetta, aiutato, se è il caso, da alcuni presbiteri, procedendo secondo l'opportunità lungo l'aula della chiesa, mentre tutti cantano l'antifona: Ecco l'acqua o un altro canto di carattere battesimale. Nel frattempo i neofiti vengono accompagnati ai loro posti tra i fedeli. Se la benedizione dell'acqua battesimale è stata compiuta al di fuori del battistero, il diacono e gli accoliti portano con riverenza il vaso dell'acqua al fonte. Fatta l'aspersione, il vescovo ritorna alla cattedra, dove, omesso il simbolo, stando in piedi senza mitra, guida la preghiera universale, alla quale prendono parte per la prima volt i neofiti. La liturgia eucaristica 370. Quindi comincia la liturgia eucaristica che è celebrata secondo la forma della messa stazionale. Conviene che il pane e il vino vengano portati all'altare dai neofiti, oppure, se sono bambini, dai genitori o dai padrini. Nella preghiera eucaristica si faccia memoria dei battezzati e dei padrini, secondo le formule che sono proposte nel messale e nel rituale per le singole preghiere eucaristiche. Prima della comunione, cioè prima della formula Ecco l'agnello di Dio, il vescovo può rivolgere ai neofiti una breve monizione sul valore di un così grande mistero che è il culmine della iniziazione e il centro di tutta la vita cristiana. Conviene che i neofiti ricevano la sacra comunione sotto le due specie, insieme ai padrini, ai genitori, ai parenti e ai catechisti. Nel congedare l'assemblea, il diacono aggiunge un duplice Alleluia alla formula consueta: La messa è finita, andate in pace; i fedeli fanno similmente nella risposta. Per impartire la benedizione alla fine della messa, il vescovo proclami convenientemente o la formula della benedizione solenne per la messa della veglia pasquale proposta nel messale, o la formula della benedizione finale del rito del battesimo degli adulti o dei bambini, secondo le circostanze. Capitolo XII - Il tempo pasquale 371. I cinquanta giorni che decorrono dalla domenica di risurrezione alla domenica di pentecoste sono celebrati con gioia ed esultanza come un unico giorno festivo, anzi come "la grande domenica". Sono i giorni nei quali, in modo del tutto speciale, si canta l'Alleluia. Dove è in vigore si conservi la tradizione particolare di celebrare, nel giorno di pasqua, i vespri battesimali, nei quali, mentre si cantano i salmi, si fa la processione al battistero. 372. Il cero pasquale si accende in tutte le celebrazioni liturgiche più solenni di questo tempo, sia alla messa, sia alle lodi e ai vespri. Dopo il giorno di pentecoste, il cero pasquale è conservato con il debito onore nel battistero. Alla fiamma del cero si accendono, nella celebrazione del battesimo, le candele dei neobattezzati. Durante tutto il tempo pasquale, per conferire il battesimo si adopera l'acqua benedetta nella notte pasquale. 373. I primi otto giorni del tempo pasquale costituiscono l'ottava di pasqua e sono celebrati come solennità del Signore. Nel congedare il popolo nella messa si aggiunge un duplice Alleluia alla monizione La messa è finita; nella liturgia delle ore invece, alla monizione Andate in pace, si risponde: Rendiamo grazie a Dio, alleluia, alleluia. 374. Dove vi siano neofiti, il tempo pasquale e soprattutto la prima settimana è il tempo della « mistagogia » dei neofiti, durante il quale la comunità prosegue insieme a loro il suo cammino nella meditazione, nella partecipazione all'eucaristia e nell'esercizio della carità, comprendendo più profondamente il mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della vita. Il momento più significativo della « mistagogia » è costituito dalle messe delle domeniche di pasqua, perché in esse i neofiti trovano, specialmente nell'anno A del "Lezionario", letture particolarmente adatte per loro, che devono essere spiegate nell'omelia. 375. Il quarantesimo giorno dopo pasqua oppure, dove non è di precetto, nella domenica VII di pasqua, si celebra l'ascensione del Signore, solennità nella quale è proposto all'attenzione il mistero di Cristo, che è stato elevato al cielo, davanti agli occhi dei discepoli, siede alla destra del Padre, insignito di potere regale, riservando agli uomini il regno dei cieli e di nuovo verrà alla fine dei tempi. 376. Le ferie dopo l'ascensione fino al sabato prima della pentecoste incluso, preparano alla venuta dello Spirito Santo Paraclito. Infine questo sacro tempo di cinquanta giorni si conclude con la domenica di pentecoste, con la quale si commemora il dono dello Spirito Santo sugli apostoli, la nascita della Chiesa e l'inizio della sua missione a tute le lingue, popoli e nazioni. In questo giorno il vescovo celebra di norma la messa stazionale e presiede la liturgia delle ore, soprattutto le lodi e i vespri. Capitolo XIII - Il tempo ordinario 377. Oltre i tempi che hanno proprie caratteristiche, ci sono trentatré o trentaquattro settimane durante il corso dell'anno, nelle quali non viene celebrato un particolare aspetto del mistero di Cristo, ma questo viene piuttosto ripreso nella sua globalità, specialmente nelle domeniche. Questo periodo si chiama tempo ordinario. 378. Il tempo ordinario comincia il lunedì che segue la domenica dopo il 6 gennaio e si protrae fino al martedì prima della quaresima; riprende poi con il lunedì dopo la pentecoste per terminare prima dei primi vespri della i domenica di avvento. 379. Dal momento che la domenica deve essere ritenuta il giorno di festa primordiale, come anche il nucleo e il fondamento di tutto l'anno liturgico, il vescovo curi che nelle domeniche dei tempo ordinario, anche quando vi sono giorni dedicati a temi particolari, sia conservata la liturgia propria della domenica, facendo attenzione a quanto è disposto più sopra ai nn. 228-230. 380. Per il bene pastorale dei fedeli, è lecito riprendere nelle domeniche del tempo ordinario quelle celebrazioni che ricorrono in settimana e che sono particolarmente care alla pietà dei fedeli, purché nell'elenco delle precedenze siano preferite alla domenica stessa. Di queste celebrazioni si possono dire tutte le messe a cui partecipa il popolo. Capitolo XIV - Le rogazioni e le quattro tempora 381. Con le rogazioni e le quattro tempora, la Chiesa suole pregare il Signore per le varie necessità degli uomini, soprattutto per i frutti della terra e per il lavoro degli uomini e ringraziarlo pubblicamente. 382. Affinché le rogazioni e le quattro tempora possano essere adattate alle diverse situazioni locali e alle necessità dei fedeli, quanto al tempo e al modo di celebrarle, è opportuno che siano regolate dalle conferenze episcopali. L'autorità competente perciò, tenendo presente la situazione locale, stabilisca le norme relative alla durata di tali celebrazioni, da protrarre per uno o più giorni, come anche alla loro eventuale ripetizione durante l'anno. 383. Conviene dunque che in ogni diocesi, tenendo in considerazione le circostanze e le consuetudini locali, il vescovo curi molto che venga trovata la via adatta per conservare la liturgia delle rogazioni o delle quattro tempora e per indirizzarla al ministero della carità, cosicché in questo modo venga favorita la pietà e la devozione del popolo di Dio e aumenti la comprensione dei misteri di Cristo. . La messa per i singoli giorni di queste celebrazioni si scelga tra le messe per varie necessità; sia quella più adatta allo scopo della celebrazione. Capitolo XV - La solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo Premesse 385. Benché dell'istituzione dell'eucaristia si faccia un particolare ricordo nella messa in cena Domini, quando Cristo Signore cenò coi suoi discepoli e affidò a loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue da celebrarsi nella Chiesa, tuttavia in questa solennità è proposto alla pietà dei fedeli il culto di un così salvifico sacramento, così che celebrino le opere mirabili di Dio in esso significate e ottenute per mezzo del mistero pasquale, imparino a partecipare al sacrificio eucaristico e a vivere più intensamente di esso, adorino nello stesso sacramento la presenza di Cristo Signore e rendano giustamente grazie a Dio per i suoi doni. 386. Come particolare celebrazione di questa solennità, la pietà della Chiesa ha tramandato la processione, con la quale il popolo cristiano, portando solennemente per le vie l'eucaristia con accompagnamento di canti e di preghiere, rende pubblica testimonianza di fede e di venerazione verso questo sacramento. Conviene dunque che là dove le circostanze attuali lo permettono e la processione può essere davvero un segno comune di fede e di adorazione, essa si conservi e sia favorita. Anzi nel caso di una grande città, qualora la necessità pastorale lo faccia ritenere opportuno, si possono, a giudizio del vescovo diocesano, organizzare altre processioni nei principali quartieri della città stessa. Spetta al vescovo diocesano giudicare sia della opportunità nelle circostanze attuali, sia del luogo e dell'organizzazione di tale processione, in modo che si svolga con dignità e senza pregiudizio delle riverenza dovuta a questo ss. Sacramento. Là dove invece in questa solennità non è possibile fare la processione, è bene che si svolga un'altra pubblica celebrazione per tutta la città o per i suoi principali quartieri nella chiesa cattedrale o in un altro luogo più opportuno. Processione Eucaristica 387. È preferibile che la processione si faccia immediatamente dopo la messa, nella quale viene consacrata l'ostia da portarsi poi in processione. Nulla vieta però che la processione si svolga anche a coronamento di una un'adorazione pubblica e prolungata, fatta dopo la messa. 388. Oltre a quanto è richiesto per la celebrazione della messa stazionale, preparino: a) nel presbiterio: - sopra la patena l'ostia da consacrarsi per la processione; - l'ostensorio; - il velo omerale; - un secondo turibolo con la navicella; b) in un luogo opportuno: - i piviali bianchi o di colore festivo ( cf. più sotto al n. 390 ); - le torce e le candele; - ( il baldacchino ). 389. Terminata la comunione dei fedeli, il diacono colloca sull'altare l'ostensorio nel quale ripone con riverenza l'ostia consacrata. Quindi il vescovo con i suoi diaconi genuflette e torna alla cattedra, dove proclama l'orazione dopo la comunione. 390. Terminata l'orazione, omessi i riti di conclusione, si fa la processione. Il vescovo la presiede rivestito o di casula, come per la messa, o di piviale di colore bianco. Se invece la processione non segue immediatamente la messa, indossa il piviale. Conviene che i canonici e i presbiteri che non concelebrano indossino il piviale sopra la cotta e la veste talare. 391. Dopo aver messo l'incenso nel turibolo e averlo benedetto, il vescovo, in ginocchio davanti all'altare, incensa il ss. Sacramento. Riceve poi il velo omerale, sale all'altare, genuflette e, con l'aiuto del diacono, prende l'ostensorio, tenendolo con entrambe le mani coperte dal velo. Allora si avvia la processione: precede l'accolito con la croce, accompagnato dagli accoliti che recano i candelabri con i ceri accesi; seguono il clero, i diaconi che hanno prestato servizio alla messa, i canonici e i presbiteri rivestiti di piviale, i presbiteri concelebranti, i vescovi per caso presenti, rivestiti di piviale, il ministro che porta il pastorale del vescovo, due turiferari con i turiboli fumiganti, il vescovo che porta il ss. Sacramento, un poco dietro i due diaconi che lo assistono, quindi i chierici che prestano servizio per il libro e la mitra. Tutti portano in mano la candela e, attorno al Sacramento, si portano delle torce. Si usi il baldacchino, sotto il quale proceda il vescovo che porta il Sacramento, secondo le consuetudini locali. Se il vescovo non può portare il ss. Sacramento, segua la processione rivestito dei paramenti, a capo scoperto, portando il pastorale ma senza benedire, immediatamente davanti al sacerdote che porta il ss. Sacramento. Invece gli altri vescovi che per caso partecipano alla processione, quando sono rivestiti dell'abito corale, seguono il ss. Sacramento, come è descritto più sotto al n. 1100. 392. Per quanto riguarda l'ordine dei fedeli, si osservino le consuetudini locali; ugualmente per quanto riguarda l'addobbo delle vie e delle piazze. Nel corso della processione, se la consuetudine lo comporta e lo consiglia il bene pastorale, si può fare qualche sosta con la benedizione eucaristica. Tuttavia i canti e le preghiere che si fanno, portino tutti a manifestare la loro fede in Cristo, unicamente intenti alla lode dei Signore. 393. Conviene che la processione si diriga da una ad un'altra chiesa. Tuttavia, se le circostanze lo consigliano, può anche ritornare alla medesima chiesa da cui era partita. 394. Alla fine della processione viene impartita la benedizione con il ss. Sacramento nella chiesa in cui si è giunti o in un altro luogo più opportuno. I ministri, i diaconi e i presbiteri, entrando in presbiterio, si recano direttamente al loro posto. Dopo che il vescovo è salito all'altare, il diacono riceve sulla destra l'ostensorio dalla mano dei vescovo che sta in piedi e lo colloca sopra l'altare. Quindi il vescovo, insieme con il diacono, genuflette e, deposto il velo, si mette in ginocchio davanti all'altare. Poi, dopo aver messo nel turibolo l'incenso e averlo benedetto, il vescovo riceve il turibolo dal diacono, fa l'inchino con i diaconi che lo assistono, e incensa con tre tratti il ss. Sacramento. Dopo aver fatto per una seconda volta l'inchino al ss. Sacramento, restituisce il turibolo al diacono. Frattanto si canta la strofa Tantum ergo o un altro canto eucaristico. Quindi il vescovo si alza e dice: Preghiamo. Si fa una breve pausa di silenzio; quindi il ministro, se è necessario, sorregge il libro davanti al vescovo, mentre lo stesso vescovo continua dicendo: Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'Eucaristia o un'altra orazione del "Rituale Romano". Terminata l'orazione, il vescovo riceve il velo omerale, sale all'altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende l'ostensorio, tenendolo alzato con entrambe le mani coperte dal velo, si volta verso il popolo e traccia con l'ostensorio un segno di croce senza dire nulla. Dopo di che, il diacono riceve l'ostensorio dalle mani del vescovo e lo colloca sopra l'altare. Il vescovo e il diacono genuflettono. Quindi mentre il vescovo resta in ginocchio davanti all'altare, il diacono porta con riverenza il sacramento alla cappella della riposizione. Frattanto il popolo, secondo l'opportunità, proclama qualche acclamazione. Infine ci si reca processionalmente verso il secretarium nel modo consueto. Capitolo XVI - La commemorazione di tutti i fedeli defunti 395. La Chiesa offre il sacrificio eucaristico e la propria intercessione per i defunti non soltanto nelle loro esequie e nell'anniversario della morte, ma anche nella commemorazione che celebra ogni anno per tutti i suoi figli che si sono addormentati in Cristo e si preoccupa di aiutarli presso Dio con validi suffragi, perché possano giungere alla comunione dei santi del cielo. In questo modo, poiché tutti i fedeli sono uniti in Cristo, mentre impetra un aiuto spirituale per i defunti, offre ai viventi consolazione di speranza. 396. Nel celebrare questa commemorazione il vescovo si preoccupi di favorire in ogni modo la speranza nella vita eterna, in modo tuttavia che non sembri né ignorare né disattendere il modo di pensare o di comportarsi da parte degli uomini della sua diocesi circa i defunti. Si tratti quindi di tradizioni familiari o di consuetudini locali, accolga volentieri quanto vi riscontra di buono. Se poi qualche particolare risultasse in contrasto con i principi cristiani, cerchi di trasformarlo in modo che le esequie celebrate per i defunti esprimano la fede pasquale e dimostrino uno spirito in piena linea con il vangelo. 397. In questo giorno non si orni l'altare con fiori, mentre il suono dell'organo e degli altri strumenti è permesso soltanto per sostenere il canto. 398. Conviene che nella commemorazione di tutti i fedeli defunti il vescovo, nei luoghi in cui i fedeli si riuniscono in questo giorno, secondo la consuetudine locale, in chiesa o nello stesso cimitero, celebri la messa con il popolo e partecipi con la sua Chiesa ai consueti suffragi per i defunti. 399. Nel cimitero o nelle chiese in cui sono sepolti corpi di defunti, o all'ingresso della cappella funeraria o presso il sepolcro dei vescovi, alla messa può seguire l'aspersione e l'incensazione dei sepolcri, come è descritto più sotto. 4000. Terminata l'orazione dopo la comunione, il vescovo riceve la mitra semplice ed egli stesso oppure un diacono o un concelebrante o un altro ministro capace introduce brevemente i fedeli al rito dell'aspersione per i definiti. 401. Mentre si esegue un canto adatto, preso dal Rito delle esequie, il vescovo con mitra e pastorale si avvicina ai loculi dei defunti e, dopo aver consegnato il pastorale, li asperge e li incensa. Quindi, deposta la mitra, proclama un'orazione adatta fra quelle proposte nel Rito delle esequie, e si fa il congedo nel modo solito. 402. Il vescovo può compiere questo rito anche al di fuori della messa, portando il piviale di colore violaceo e la mitra semplice. In questo caso la benedizione dei tumuli segue una liturgia della parola, che è celebrata secondo il modo previsto nel Rito delle esequie. 403. Il rito dell'aspersione e dell'incensazione dei sepolcri, descritto più sopra ai nn. 399-402, non si può mai compiere quando non sono presenti i corpi dei defunti. Parte V - I Sacramenti Capitolo I - L'iniziazione cristiana Premesse 404. Il vescovo, dal momento che è il principale dispensatore dei misteri di Dio e, nello stesso tempo, il regolatore di tutta la vita liturgica, nella Chiesa a lui affidata, dirige il conferimento dei battesimo, col quale è concesso partecipare al regale sacerdozio di Cristo, è il ministro originario della confermazione. e l'autore di tutta l'iniziazione cristiana, che compie o personalmente, o per mezzo dei suoi presbiteri, diaconi e catechisti. La tradizione ecclesiastica ha sempre considerato questo ufficio pastorale così proprio del vescovo, da non dubitare di affermare, con la voce di s. Ignazio di Antiochia: « Non è lecito battezzare senza il vescovo ». Tuttavia conviene che il vescovo curi in modo particolare l'iniziazione cristiana degli adulti e ne celebri le parti principali. Infine è sommamente auspicabile che nella solenne veglia pasquale e, per quanto è possibile, durante la visita pastorale, il vescovo amministri i sacramenti dell'iniziazione cristiana non solo agli adulti ma anche ai bambini. 405. Tranne che in caso di necessità, il vescovo non celebri i sacramenti dell'iniziazione cristiana nelle cappelle e nelle case private, ma, di norma, nella chiesa cattedrale o nelle chiese parrocchiali, così che la comunità cristiana possa parteciparvi. I - L'iniziazione cristiana degli adulti 406. Spetta al vescovo determinare, regolare e valorizzare personalmente o per mezzo di un delegato l'istruzione pastorale dei catecumeni e ammettere i candidati all'elezione e ai sacramenti. È auspicabile che, per quanto è possibile, come presidente della liturgia quaresimale, celebri egli stesso il rito dell'elezione e nella veglia pasquale conferisca i sacramenti dell'iniziazione. Infine, nella sua cura pastorale, affidi a catechisti veramente degni e opportunamente preparati la celebrazione degli esorcismi minori. 407. Lodevolmente dunque il vescovo riservi a sé il rito dell'elezione o dell'iscrizione del nome e, secondo le circostanze, anche della consegna del simbolo e della preghiera del Signore, e poi la stessa celebrazione dell'iniziazione cristiana dalle litanie fino alla fine, come è descritto più sotto, pur con l'aiuto dei presbiteri e dei diaconi. Il vescovo compia anche gli altri riti, che riterrà per caso opportuno presiedere, come è indicato nel "Rituale Romano". 408. Rito dell'elezione o dell'iscrizione del nome Con il rito della elezione o iscrizione del nome, che si compie all'inizio della quaresima, la Chiesa, udita la testimonianza dei padrini e dei catechisti, e dopo la conferma della loro volontà da parte dei catecumeni, giudica sulla loro preparazione e decide sulla loro ammissione ai sacramenti pasquali. 409. È compito del vescovo, remota o prossima che sia stata la sua partecipazione alla deliberazione precedentemente presa, spiegare o nell'omelia o nel corso dei rito, l'indole religiosa ed ecclesiale dell'elezione. Spetta dunque a lui in primo luogo dichiarare davanti ai presenti il giudizio della Chiesa e ascoltare, secondo l'opportunità, il loro parere, quindi chiedere ai catecumeni la personale manifestazione della loro volontà, infine, agendo in nome di Cristo e della Chiesa, convalidare l'ammissione degli eletti. 410. Il vescovo compia convenientemente il rito dell'elezione nella chiesa cattedrale o in un'altra chiesa, secondo le necessità pastorali, durante la messa della prima domenica di quaresima, recitando i testi della messa della domenica, a meno che non si ritenga più opportuno un altro tempo. Se invece questo rito è celebrato al di fuori della prima domenica di quaresima, prenda inizio dalla liturgia della parola. In questo caso, se le letture del giorno non sono in sintonia, se ne scelgano altre fra quelle che sono assegnate alla prima domenica di quaresima, o altre adatte. La messa per l'elezione o iscrizione del nome può essere sempre celebrata, eccettuati i giorni indicati sotto inn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici, usando il colore violaceo. 411. La preparazione del vescovo, dei concelebranti, se ve ne sono, e degli altri ministri, il loro ingresso in chiesa, i riti iniziali e la liturgia della parola fino al vangelo incluso, si compiono nel modo consueto. 412. L'omelia, adatta alle circostanze, faccia riferimento non solo ai catecumeni, ma anche a tutta la comunità dei fedeli. In essa il vescovo spieghi a tutti il mistero divino contenuto nella chiamata della Chiesa e nella sua celebrazione liturgica, ed esorti i fedeli a prepararsi alle solennità pasquali insieme con gli eletti, dando loro l'esempio. 413. Dopo l'omelia, omesso il simbolo, il sacerdote preposto all'iniziazione dei catecumeni, o il diacono o il catechista o il delegato della comunità, presenta al vescovo, mentre sta seduto in cattedra con mitra, coloro che devono essere eletti, con le parole indicate nel rituale o altre simili. 414. Terminata la presentazione, il vescovo ordina che siano chiamati coloro che devono essere eletti. Allora i singoli vengono chiamati per nome e ciascuno, procedendo insieme al padrino, si ferma davanti al Vescovo. 415. Dopo che i candidati si sono avvicinati, il vescovo, seduto in cattedra con la mitra, chiede la testimonianza dei padrini e interroga i catecumeni sulla loro volontà di accedere ai sacramenti dell'iniziazione. Infine invita i catecumeni a dare il loro nome. 416. A questo punto si fa iscrizione dei nome dei candidati, mentre si eseguisce un canto adatto, ad esempio il salmo 16. 417. Terminata iscrizione dei nome, il vescovo, dopo aver ricevuto il pastorale, rivolto ai candidati, proclama che sono stati eletti per il conferimento dei sacramenti nella festa pasquale. Quindi invita i padrini a porre la mano sulla spalla dei rispettivi candidati, o a compiere un altro gesto che abbia lo stesso significato. Infine, deposti pastorale e mitra, il vescovo si alza e introduce con una monizione la preghiera per gli eletti. Il diacono annunzia le intenzioni, il vescovo poi, stendendo le mani sugli eletti, conclude la preghiera con l'orazione. 418. Terminata la preghiera, il vescovo congeda gli eletti e procede con i fedeli nella celebrazione dell'eucaristia. Tuttavia se per ragioni piuttosto gravi gli eletti non possono allontanarsi e devono rimanere con i fedeli, si abbia cura che essi, benché presenti all'eucaristia, non vi partecipino alla maniera dei battezzati. 419. Se il rito dell'elezione o iscrizione del nome è celebrato al di fuori della messa, il vescovo indossa il camice, la croce pettorale, la stola, e secondo l'opportunità il piviale di colore violaceo, e porta la mitra semplice e il pastorale. Il vescovo sia assistito da un diacono, rivestito dei paramenti dei suo ordine, e dagli altri ministri che indossano il camice o un'altra veste legittimamente approvata per loro. Dopo l'ingresso in chiesa, o in un luogo adatto dove bisogna compiere il rito, si fa la celebrazione della parola di Dio, proclamando le letture scelte dal "Lezionario" della messa o altre adatte. Quindi tutto si svolge come è detto più sopra ai nn. 412-418. Il rito si chiude con un canto appropriato e con il congedo di tutti insieme ai catecumeni. 420. Il rito delle « consegne » Terminata l'istruzione dei catecumeni oppure giunta essa ad un congruo livello, si celebrano le « consegne », con le quali la chiesa affida con grande amore agli stessi catecumeni quei documenti che sono ritenuti fin dall'antichità il compendio della sua fede e della sua preghiera. 421. È auspicabile che le consegne avvengano davanti alla comunità dei fedeli dopo la liturgia della parola di una messa feriale, con letture adatte alle singole consegne, così come sono offerte nel lezionario. Per la loro importanza, se le circostanze lo permettono, conviene che sia il vescovo a presiederle, purché vengano celebrate dopo l'elezione e non prima. 422. La messa viene celebrata, con le vesti di colore violaceo, nel modo consueto, fino al versetto prima del vangelo incluso. Nella consegna della preghiera del Signore il diacono invita gli eletti, prima della proclamazione del vangelo, ad avvicinarsi al vescovo; mentre stanno davanti a lui, il vescovo, deposta la mitra, si alza e servendosi della lettura dei vangelo secondo Matteo proclama la preghiera del Signore, dopo aver premesso la monizione: Ascoltate o un'altra simile. Nella consegna del simbolo invece si proclama il vangelo nel modo consueto. 423. Quindi, segue l'omelia, nella quale il vescovo, prendendo spunto dal testo sacro, spiega il significato e l'importanza o del simbolo o della preghiera dei Signore, sia rispetto alla catechesi trasmessa, sia rispetto alla professione di fede da mantenersi per tutta la vita cristiana. Nella consegna del simbolo, terminata l'omelia, il diacono invita gli eletti ad avvicinarsi al vescovo; mentre stanno davanti a lui, il vescovo, deposta la mitra, si alza e, dopo aver premesso la monizione: Carissimi: ascoltate la parola della fede, o un'altra simile, recita il simbolo con tutta la comunità, mentre gli eletti stanno ad ascoltarlo. 424. Ciò compiuto, il vescovo, stando in piedi senza mitra, invita i fedeli alla preghiera e, dopo una breve preghiera fatta in silenzio, proclama l'orazione sopra gli eletti, tenendo le mani distese su di loro. Conclusa l'orazione, il vescovo congeda gli eletti e procede con i fedeli nella celebrazione dell'eucaristia. Tuttavia se gli eletti devono rimanere con i fedeli, si abbia cura che essi, benché presenti all'eucaristia, non vi partecipino alla maniera dei battezzati. La messa procede nel modo consueto. Nelle preghiera eucaristica si faccia memoria degli eletti e dei padrini. 425. La celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione Oltre a quanto è necessario per la celebrazione della messa stazionale, si preparino: il vaso con l'acqua, l'olio dei catecumeni, il sacro crisma, il cero battesimale, il cero pasquale, il rituale, un calice di grandezza sufficiente per amministrare la comunione sotto le due specie, la brocca dell'acqua, il bacile e l'asciugamano per lavare e asciugare le mani. 426. Quando secondo la norma l'iniziazione degli adulti viene celebrata nella santa notte della veglia pasquale, per il conferimento dei sacramenti si osservino le norme descritte più sopra ai nn. 356-367. La celebrazione dell'iniziazione risplenda sempre del suo carattere pasquale, anche quando viene compiuta al di fuori della veglia di pasqua. Quando poi la celebrazione avviene in un giorno in cui sono permesse le messe rituali, si può celebrare la messa per il conferimento del battesimo, con le letture proprie, usando il colore bianco. Se invece non si dice la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel lezionario per la medesima messa. Quando poi ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici. si celebra la messa del giorno con le sue letture. 427. Nel conferimento dei sacramenti, si osservino le norme descritte per la veglia pasquale ai nn. 356-367. Gli altri riti esplicativi sono compiuti da un presbitero. 428. Omesso il simbolo, la messa prosegue nel modo consueto. Mentre si eseguisce il canto all'offertorio, alcuni neofiti portano opportunamente all'altare il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione dell'eucaristia. Nella preghiera eucaristica si fa il ricordo dei battezzati e dei padrini, proclamando la formula proposta dal "Messale Romano" Conviene che i neofiti ricevano la sacra comunione sotto le due specie; possono riceverla anche i loro genitori, i padrini, i catechisti e i parenti. 429. Il tempo della mistagogia Per stabilire un rapporto pastorale con i nuovi membri della sua Chiesa, il vescovo, specialmente se non ha potuto presiedere di persona ai sacramenti dell'iniziazione, abbia cura di riunire i neofiti almeno una volta, soprattutto in qualche domenica di pasqua o anche nell'anniversario del battesimo e di presiedere alla celebrazione dell'eucaristia nella quale è lecita la comunione sotto le due specie. 430. Rito più semplice dell'iniziazione Se in circostanze straordinarie il vescovo deve presiedere alla celebrazione dell'iniziazione cristiana di un adulto con il rito più semplice, cioè con un solo gradino, tutti i riti che precedono la benedizione dell'acqua vengono compiuti da un presbitero. È il vescovo invece che benedice l'acqua battesimale, pone le domande sulle rinunce e sulla fede, conferisce il battesimo e la conformazione, osservando le norme descritte per l'amministrazione di questi sacramenti nella veglia pasquale ( nn. 356-367 ). Gli altri riti esplicativi sono compiuti da un presbitero. II. Il Battesimo dei bambini 431. Per la celebrazione dei battesimo si preparino: a) il vaso con l'acqua; b) l'olio dei catecumeni; c) il sacro crisma; d) il cero battesimale; e) il cero pasquale; f) il rituale; e in più per il vescovo: la mitra, il pastorale, la brocca dell'acqua, il bacile e l'asciugamano per lavare e asciugare le mani. 432. Conviene che il vescovo sia assistito almeno da un presbitero, che di solito è il parroco, da un diacono e da alcuni ministri. Il presbitero accoglie i bambini e compie quei riti che precedono la liturgia della parola, quindi proclama l'orazione di esorcismo e compie l'unzione prebattesimale, infine, dopo il battesimo, compie l'unzione con il crisma, l'imposizione della veste, la consegna del cero acceso e il rito dell'Effetha. 433. La celebrazione del battesimo durante la messa Il vescovo, i presbiteri che con lui opportunamente concelebrano e i diaconi indossano le sacre vesti di colore bianco o festivo richieste per la celebrazione della messa. Se si amministra la comunione sotto le due specie, si prepari un calice di sufficiente grandezza. 434. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può celebrare la messa per il conferimento del battesimo con le letture proprie. Se invece non si celebra la messa rituale, una delle letture può essere presa tra quelle proposte dal lezionario per la medesima messa. Quando poi ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici. si celebra la messa del giorno con le sue letture. Si può sempre proclamare la formula della benedizione finale dal rito del battesimo. 435. Il vescovo, dopo aver fatto l'ingresso in chiesa, nel modo consueto, con i presbiteri, i diaconi e i ministri, deposti pastorale e mitra, bacia l'altare e, secondo l'opportunità, lo incensa. Poi va alla cattedra, dove saluta il popolo; quindi si siede con la mitra. 436. Allora il parroco o un altro presbitero si reca con i ministri alla porta della chiesa, dove compie i riti di accoglienza dei bambini, così come sono descritti nel "Rito del battesimo dei bambini". 437. Dopo che tutti hanno preso il loro posto in chiesa, il vescovo, tolta la mitra, si alza e, omessi l'atto penitenziale e il Kyrie, dice: Gloria a Dio secondo le rubriche, e proclama l'orazione colletta. 438. Quindi si celebra la liturgia della parola con l'omelia dei vescovo. Si omette il simbolo, dal momento che successivamente vi è la professione di fede da parte dei genitori e dei padrini, alla quale dà il proprio assenso il vescovo insieme all'assemblea. 439. Al termine della preghiera universale, introdotta dal vescovo, il presbitero proclama l'orazione di esorcismo e compie l'unzione prebattesimale, mentre il vescovo sta in piedi alla cattedra. 440. Compiuti questi riti il vescovo riceve mitra e pastorale e si fa la processione al battistero se si trova fuori dalla chiesa o è posto fuori dalla vista dei fedeli. Se invece il vaso dell'acqua battesimale è posto alla vista della stessa assemblea, il vescovo, i genitori e i padrini coi bambini si avvicinano ad esso, mentre gli altri restano al loro posto. Se il battistero non può contenere tutti i presenti, si può celebrare il battesimo in chiesa in un luogo più adatto dove a suo tempo si recano i parenti e i padrini. Frattanto, se si può farlo con decoro, si eseguisce un canto adatto, ad esempio il salmo 23. Durante la processione al battistero, i battezzandi, i genitori e i padrini seguono il vescovo. 441. Giunti al fonte, o al luogo dove si compiono i riti battesimali, il vescovo introduce questa parte della celebrazione richiamando brevemente alla mente dei presenti il piano mirabile di Dio, che ha voluto santificare attraverso l'acqua l'anima e il corpo dell'uomo. Quindi, dopo aver deposto pastorale e mitra, rivolto verso il fonte proclama la benedizione dell'acqua adatta secondo il tempo. 442. Poi siede e, dopo aver ricevuto la mitra e il pastorale, interroga i genitori e i padrini sulle rinunce a satana e sulla professione di fede. 443. Terminate le domande e dopo aver deposto il pastorale, si alza e battezza i bambini. Se però i battezzandi sono piuttosto numerosi si associno a lui nel battezzare i bambini i sacerdoti e i diaconi. 444. Quindi il vescovo siede con la mitra, mentre il parroco o un altro presbitero compie l'unzione dei crisma, impone la veste candida, consegna il cero acceso e compie il rito dell'Effeta, se ha luogo a questo punto, mentre il vescovo proclama le formule stabilite. 445. Poi si compie la processione all'altare, a meno che il battesimo non abbia avuto luogo nello stesso presbiterio; i battezzati, i genitori e i padrini seguono il vescovo e vengono recati i ceri accesi dei battezzati. 446. Quindi, omesso il simbolo, la messa prosegue nel modo consueto. Mentre si eseguisce il canto all'offertorio, alcuni genitori e padrini dei battezzati recano opportunamente all'altare il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione eucaristica. Nella preghiera eucaristica si fa la commemorazione dei battezzati e dei padrini proclamando la formula proposta nel messale. I genitori, i padrini e i parenti possono ricevere la comunione sotto le due specie. 447. Per impartire la benedizione alla fine della messa, il vescovo proclami convenientemente una delle formule che si trovano nel "Rito del battesimo dei bambini". Le mamme, tenendo in braccio i loro bambini, e i papà stanno in piedi davanti al vescovo. Il vescovo, rivolto verso di loro, stando in piedi con la mitra, dice: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, tenendo le mani distese sopra il popolo, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: Vi benedica, e traccia sopra il popolo il segno di croce. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. 448. Quindi il diacono congeda il popolo, dicendo: La messa è finita andate in pace; e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. 449. La celebrazione del battesimo al di fuori della messa Il vescovo indossa il camice, la croce pettorale, la stola, e il piviale di colore bianco; i presbiteri la cotta sopra la veste talare o il camice e la stola; il diacono convenientemente riveste la dalmatica. 450. Dopo aver fatto l'ingresso in chiesa nel modo consueto, il vescovo, giunto all'altare, fa l'inchino e va alla cattedra, da dove saluta il popolo; quindi siede. 451. Il rito di accoglienza dei bambini alla porta della chiesa è compiuta da un presbitero come è descritto nel "Rito del battesimo dei bambini". 452. Quando tutti sono disposti al loro posto, si celebra la liturgia della parola, con l'omelia del vescovo; quindi tutto prosegue come è descritto più sopra ai nn. 435-445. 453. Giunti all'altare, il vescovo, dopo aver deposto la mitra, pronunzia l'introduzione alla preghiera dei Signore che poi proclama con tutti. 454. Quindi, con la mitra, proclama la benedizione come più sopra al n. 447. Infine la celebrazione si conclude con il cantico del Magnificat o con un altro canto adatto. III. La confermazione 455. Ministro originario della confermazione è il vescovo. È lui che normalmente conferisce il sacramento, perché più chiaro ne risulti il riferimento alla prima effusione dello Spirito santo nel giorno di pentecoste. Furono infatti gli apostoli stessi che, dopo essere stati ripieni di Spirito santo, lo trasmisero ai fedeli per mezzo dell'imposizione delle mani. Il fatto di ricevere lo Spirito santo mediante il ministero del vescovo dimostra il più stretto legame che unisce i cresimati alla Chiesa, e il mandato di dare tra gli uomini testimonianza a Cristo. 456. Per una grave necessità, come talvolta capita per il rilevante numero dei cresimandi , il vescovo può associarsi altri presbiteri nella celebrazione del sacramento. Si consiglia che questi sacerdoti: a) abbiano in diocesi un compito o un ufficio specifico, siano cioè o vicari generali, o vicari episcopali, o vicari distrettuali o regionali; b) ovvero siano parroci dei luogo in cui si conferisce la conformazione, o parroci dei luogo di appartenenza dei cresimandi, o sacerdoti che si sono particolarmente prestati per la preparazione catechistica dei cresimandi stessi. 457. Per amministrare la confermazione si preparino: a) le vesti sacre necessarie per la celebrazione, a secondo che il rito venga compiuto nella messa o senza messa, in base alle indicazioni date più sotto ai n. 458 e n. 473; b) gli scanni per i presbiteri che aiutano il vescovo; c) il vasetto, o i vasetti, con il sacro crisma; d) il "Pontificale Romano"; e) il necessario per lavare le mani dopo l'unzione dei cresimati; f) se la confermazione viene conferita durante la messa, e se la santa comunione viene distribuita sotto le due specie, un calice di sufficiente grandezza. La celebrazione di norma avviene alla cattedra. Se invece, per la partecipazione dei fedeli fosse necessario, si prepari la sede per il vescovo davanti all'altare o in un luogo più adatto. 458. Conferimento della confermazione durante la messa È molto opportuno che il vescovo celebri la messa. I presbiteri che lo aiutano nel conferimento della confermazione, concelebrino con lui. Tutti indossano le sacre vesti richieste per la messa. Se invece la messa è celebrata da un altro, è opportuno che il vescovo presieda la liturgia della parola e alla fine della messa dia la benedizione, come è descritto più sopra ai nn. 175-185. In questo caso il vescovo indossa il camice, la croce pettorale, la stola e il piviale dello stesso colore richiesto per la messa, in più porta mitra e pastorale; invece i presbiteri che lo aiuteranno nel conferimento della confermazione, se non concelebrano, indossano la cotta sopra la veste talare, oppure il camice, la stola e, secondo l'opportunità, il piviale. 459. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può celebrare la messa per il conferimento della confermazione, con le letture proprie, usando il colore rosso o bianco. Se invece non si celebra la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel lezionario per la stessa messa. Quando ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici, si dice la messa del giorno con le sue letture. Si può sempre proclamare la formula della benedizione finale propria della messa rituale. 460. L'ingresso in chiesa, i riti iniziali e la liturgia della parola, si compiono nel modo consueto, fino al vangelo. 461. Dopo la proclamazione del vangelo, il vescovo siede con la mitra alla cattedra o al posto preparato con la mitra ( i presbiteri a lui associati gli seggono accanto ). I cresimandi vengono presentati dal parroco o da un altro sacerdote, o da un diacono, o anche da un catechista, secondo l'uso di ciascuna regione, in questo modo: se è possibile, i singoli cresimandi vengono chiamati per nome, e fatti entrare a uno a uno in presbiterio; se sono fanciulli, vengono accompagnati da uno dei padrini o da uno dei genitori; tutti si fermano davanti al vescovo. Se i cresimandi sono molto numerosi, non vengono chiamati per nome; si dispongono però in luogo opportuno davanti al Vescovo. 462. Allora il vescovo tiene una breve omelia: riferendosi ai brani letti, e spiegandone il significato, egli conduce quasi per mano i cresimandi, i loro padrini e i genitori e tutti i fedeli presenti, a una comprensione più profonda del mistero della confermazione facendo, se vuole, la allocuzione proposta nel pontificale 463. Terminata l'omelia, il vescovo, seduto con mitra e pastorale, interroga i cresimandi, che stanno in piedi tutti assieme, chiedendo loro di rinnovare le promesse battesimali, e alla fine proclama la fede della Chiesa a cui i fedeli danno il loro assenso con una acclamazione o un canto adatto. 464. Quindi, consegnati pastorale e mitra, si alza e ( avendo vicino a sé i presbiteri che si è associato ), a mani giunte, rivolto verso il popolo, dice la monizione: Fratelli carissimi, dopo la quale tutti pregano per qualche tempo in silenzio. Poi il vescovo ( e i presbiteri che si è associato ) impongono le mani sui cresimando. Invece solo il vescovo proclama l'orazione Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. 465. Poi il vescovo siede e riceve la mitra. Si avvicina il diacono con il vasetto o i vasetti del sacro crisma. Se i presbiteri aiutano il vescovo nel conferimento dell'unzione, il diacono porta tutti i vasetti del sacro crisma al vescovo, che li consegna a ciascun presbitero che si accosta a lui. 466. Quindi o i cresimandi si accostano al vescovo e ai presbiteri oppure, secondo l'opportunità, il vescovo, con mitra e pastorale, e i presbiteri si avvicinano ai singoli cresimandi. Colui che all'inizio ha presentato il cresimando, pone la mano destra sulla sua spalla e dice al vescovo il nome del cresimando, a meno che questi stesso non lo pronunzi spontaneamente. 467. Il vescovo ( o il presbitero ) intinge nel crisma l'estremità dei pollice della mano destra e traccia poi con il pollice un segno di croce sulla fronte del cresimando proclamando la formula sacramentale. Quando il cresimato ha risposto Amen, aggiunge: La pace sia con te, e il cresimato risponde: E con il tuo spirito. Durante l'unzione si può eseguire un canto adatto. 468. Dopo l'unzione, il vescovo ( e i presbiteri ) si lavano le mani. 469. Quindi il vescovo, stando in piedi senza mitra, proclama l'introduzione alla preghiera universale e la conclude. 470. Si omette il simbolo, dal momento che è già stata fatta la professione di fede. La messa prosegue nel modo consueto. Mentre si eseguisce il canto di offertorio, alcuni dei cresimati portano opportunamente all'altare il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione eucaristica. Nella preghiera eucaristica si fa la commemorazione dei cresimati, proclamando la formula proposta nel messale. I cresimati, i loro padrini, i genitori, i catechisti e i parenti, possono ricevere la comunione sotto le due specie. 471. Per impartire la benedizione alla fine della messa, il vescovo dica la benedizione solenne o l'orazione sul popolo, come è indicato nel Pontificato Romano. I cresimati stanno in piedi davanti al vescovo. Il vescovo, stando in piedi con la mitra, dice: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le mani stese sopra il popolo, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: Vi benedica, e traccia un segno di croce sul popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. 472. Quindi il diacono congeda il popolo dicendo: La messa è finita: andate in pace. Ttutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. 473. Il conferimento della confermazione senza messa Il vescovo indossa il camice, la croce pettorale, la stola e il piviale di colore bianco e porta mitra e pastorale. I presbiteri a lui associati indossano la cotta sopra la veste talare o il camice, la stola e, secondo l'opportunità, il piviale di colore bianco. I diaconi indossano il camice e la stola e gli altri ministri i camici o altre vesti legittimamente approvati per loro. 474. Quando i cresimandi, i loro genitori, i padrini e tutta l'assemblea dei fedeli si sono radunati, mentre si eseguisce un canto adatto, il vescovo con i presbiteri, i diaconi e gli altri ministri, si reca in presbiterio e, dopo aver fatto riverenza all'altare, va alla cattedra, dove, deposti pastorale e mitra, saluta il popolo, e subito proclama l'orazione: Concedi, Dio onnipotente e misericordioso. 475. La celebrazione della parola, la presentazione dei cresimandi, l'omelia e gli altri riti si compiono come è descritto più sopra ai nn. 461-469. 476. Dopo la preghiera universale, che può essere introdotta dal vescovo con una monizione adatta, tutti recitano la preghiera del Signore. Quindi il vescovo aggiunge l'orazione: O Dio, che hai dato lo Spirito Santo agli apostoli. 477. Il vescovo imparte la benedizione nel modo descritto più sopra al n. 471. Quindi il diacono congeda il popolo, dicendo: Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Capitolo II - Il sacramento dell'Ordine Premesse 478. « Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha istituito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo ». Infatti lo stesso « Cristo, consacrato e mandato nel mondo dal Padre, per mezzo dei suoi apostoli ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi, i quali hanno legittimamente affidato, secondo diversi gradi, l'ufficio dei loro ministero a vari soggetti nella Chiesa. Così il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini, da coloro che già dall'antichità sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi ». I vescovi, insigniti della pienezza dei sacramento dell'ordine, sono i distributori della grazia dei supremo sacerdozio, e reggono le Chiese particolari loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, insieme al loro presbiterio. « I presbiteri, pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell'esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro uniti nell'onore sacerdotale e in virtù del sacramento dell'ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, sono consacrati per predicare il vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del nuovo testamento ». « In un grado inferiore della gerarchia stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio. Infatti, sostenuti dalla grazia sacramentale, nel servizio della liturgia, della parola e della carità sono al servizio del popolo di Dio, in comunione coi vescovo e il suo presbiterio ». I. Alcune norme generali riguardanti la disposizione dei riti delle sacre ordinazioni 479. L'ordinazione sia dei diaconi, sia dei presbiteri, sia soprattutto del vescovo sia compiuta con la maggiore partecipazione possibile dei fedeli, in domenica o in un giorno festivo, a meno che ragioni pastorali non consiglino un altro giorno, ad esempio, per l'ordinazione dei vescovo, una festa degli apostoli. Si escludano tuttavia il triduo pasquale, il mercoledì delle ceneri, tutta la settimana santa e la commemorazione di tutti i fedeli defunti. 480. L'ordinazione deve essere compiuta durante la celebrazione solenne della messa, celebrata secondo il rito stazionale, generalmente nella chiesa cattedrale. Tuttavia per ragioni pastorali può essere celebrata in un'altra chiesa o in un oratorio 481. L'ordinazione di norma avvenga alla cattedra; se la partecipazione dei fedeli lo richiede, avvenga davanti all'altare o in un altro luogo più adatto. Le sedi per gli ordinando siano collocate in modo tale che l'azione liturgica possa essere vista bene dai fedeli. 482. Al dì fuori dei giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella delle precedenze dei giorni liturgici e delle feste degli apostoli, si può celebrare la messa rituale per il conferimento degli ordini sacri. Le letture siano prese fra quelle indicate nel "Lezionario" per queste celebrazioni. Nella preghiera eucaristica si fa la commemorazione degli ordinati, proclamando la formula proposta nel "Messale Romano". Se tuttavia, in altri giorni, non si celebra la messa rituale, una delle letture può essere scelta fra quelle proposte nel lezionario per la medesima messa. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici, o le feste degli apostoli, per l'ordinazione dei vescovo, si celebra la messa dei giorno, con le sue letture. II. L'ordinazione del Vescovo 483. È assai conveniente che l'ordinazione dei vescovo avvenga nella sua chiesa cattedrale. In questo caso viene esibita e letta la lettera apostolica e il vescovo ordinato siede alla sua cattedra, come è detto più sotto ai n. 573 e n. 589. 484. Il vescovo ordinante principale deve associarsi nel celebrare l'ordinazione almeno altri due vescovi, che concelebrano la messa con lui e con l'eletto; conviene tuttavia che tutti i vescovi presenti conferiscano all'eletto l'ordinazione con il vescovo ordinante principale. 485. È assai conveniente che tutti i vescovi che conferiscono l'ordinazione e i presbiteri che assistono l'eletto, concelebrino la messa con il vescovo ordinante principale e con l'eletto. Se l'ordinazione avviene nella chiesa propria dell'eletto, concelebrino anche alcuni presbiteri del suo presbiterio. Tuttavia bisogna fare in modo che la distinzione fra vescovi e presbiteri appaia con evidenza anche dalla disposizione dei posti. 486. Due presbiteri assistano l'eletto. 487. Il vescovo ordinante principale, i vescovi e i presbiteri concelebranti indossano le sacre vesti richieste rispettivamente per la celebrazione della messa. L'eletto indossa tutti i paramenti sacerdotali, la croce pettorale e la dalmatica. I vescovi ordinanti che per caso non concelebrano, indossano il camice, la croce pettorale, la stola e, secondo l'opportunità, il piviale e la mitra. I presbiteri che assistono l'eletto, se per caso non concelebrano, indossano il piviale sopra il camice o la cotta sopra la veste talare. Le vesti siano del colore della messa che viene celebrata; diversamente ci si serva di vesti di colore bianco o festive ossia più nobili. 488. Oltre ciò che è detto più sopra e ciò che è necessario per la concelebrazione della messa stazionale, si preparino: a) il Libro dell'Ordinazione; b) i libri con la preghiera di ordinazione per i vescovi ordinanti; c) un grembiale di lino; d) il sacro crisma; e) il necessario per la lavanda delle mani; f) l'anello, il pastorale e la mitra per l'eletto, e, se è il caso, il pallio. 489. Le insegne, eccettuato il pallio, non necessitano di una benedizione previa, venendo esse consegnate nel rito stesso dell'ordinazione. 490. Oltre alla sede per il vescovo ordinante principale, le sedi per i vescovi ordinanti, per l'eletto, per i presbiteri concelebranti, siano preparate in questo modo: a) durante la liturgia della parola il vescovo ordinante principale siede alla cattedra; gli altri vescovi ordinanti vicino alla cattedra, da una parte e dall'altra; l'eletto invece fra i presbiteri assistenti, nel luogo più adatto, in presbiterio; b) l'ordinazione dell'eletto si faccia normalmente alla cattedra; se la partecipazione dei fedeli lo richiede, le sedi per il vescovo ordinante principale e per gli altri vescovi ordinanti si preparino davanti all'altare o in un altro luogo adatto; le sedi per l'eletto e per i presbiteri che lo assistono siano collocate in modo tale che l'azione liturgica possa essere vista bene dai fedeli. 491. Quando tutto è preparato, si inizia la processione attraverso la chiesa verso l'altare secondo la forma consueta. L'eletto fra i presbiteri assistenti segue i presbiteri concelebranti e precede i vescovi ordinanti. 492. I riti iniziali e la liturgia della parola si svolgono nel modo consueto, fino a vangelo incluso. 493. Se l'ordinazione avviene nella chiesa cattedrale dell'eletto, dopo il saluto al popolo, uno dei diaconi o dei presbiteri concelebranti, alla presenza dei cancelliere della curia che poi farà il verbale, esibisce al collegio dei consultori la lettera apostolica che poi legge dall'ambone. Tutti siedono e ascoltano, e alla fine acclamano dicendo: Rendiamo grazie a Dio o un'altra acclamazione adatta. Invece nelle diocesi di nuova erezione la lettera viene comunicata al clero e al popolo presente nella chiesa cattedrale. Il verbale viene redatto dal presbitero più anziano fra i presenti. 494. Dopo la proclamazione dei vangelo, il diacono depone di nuovo sull'altare il libro dei vangeli; qui rimane fino a che non verrà posto sul capo dell'ordinato. 495. Dopo la proclamazione dei vangelo, inizia il rito di ordinazione dei vescovo. Mentre tutti stanno in piedi, si canta l'inno Veni, creator, o un altro inno analogo, secondo le consuetudini dei posto. 496. Quindi il vescovo ordinante principale e gli altri vescovi ordinanti si avvicinano, se è necessario, alle sedi loro preparate per l'ordinazione dell'eletto, siedono e mettono la Mitra. 497. L'eletto viene accompagnato dai presbiteri che l'assistono dinanzi al vescovo ordinante principale, al quale fa la riverenza. Uno dei presbiteri assistenti chiede al vescovo ordinante principale di procedere all'ordinazione dell'eletto. Il vescovo ordinante principale ordina che venga letto il mandato apostolico, che tutti ascoltano seduti. Alla fine, tutti, in segno di assenso all'elezione, rispondono: Rendiamo grazie a Dio, o in un altro modo, secondo gli usi del luogo. 498. Quindi il vescovo ordinante principale tiene l'omelia nella quale, prendendo spunto dal testo delle letture della sacra scrittura proclamate nella messa, parla al clero, al popolo e all'eletto del ministero del vescovo. Può fare ciò dicendo le parole proposte nel pontificale o parole proprie simili a queste. 499. Dopo l'omelia soltanto l'eletto si alza in piedi e si pone davanti al vescovo ordinante principale che lo interroga, come è previsto nel pontificale, sul suo proposito di conservare la fede e adempiere il suo ministero. 500. Quindi i vescovi depongono la mitra e si alzano; allo stesso modo si alzano anche tutti gli altri. Il vescovo ordinante principale, stando in piedi, con le mani giunte, rivolto verso il popolo proclama la monizione: Preghiamo, fratelli carissimi. Quindi il diacono, se è il caso, dice: Mettiamoci in ginocchio. Allora il vescovo ordinante principale e i vescovi ordinanti si inginocchiano davanti alle loro sedi; l'eletto invece si prostra, mentre gli altri si mettono in ginocchio. Tuttavia nel tempo pasquale e nelle domeniche, si omette la monizione: Mettiamoci in ginocchio; l'eletto però si prostra, mentre gli altri rimangono in piedi. Allora i cantori iniziano le litanie, nelle quali si possono aggiungere, a suo luogo, i nomi di alcuni santi: per esempio del patrono, del titolare della chiesa, del fondatore, del patrono di colui che deve ricevere l'ordinazione. Si possono anche aggiungere particolari invocazioni maggiormente adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale.336 501. Terminate le litanie, il vescovo ordinante principale, in piedi e a mani allargate, proclama l'orazione: Ascolta, o Padre, la nostra preghiera, dopo la quale il diacono, se prima delle litanie aveva invitato a mettersi in ginocchio, soggiunge: Alzatevi. E tutti si alzano. 502. L'eletto si alza, si avvicina al vescovo ordinante principale e si inginocchia davanti a lui. Il vescovo ordinante principale, con la mitra, impone le mani sul capo dell'eletto senza dire nulla. Quindi tutti i vescovi, avvicinandosi uno dopo l'altro all'eletto, gli impongono le mani, senza dire nulla, e rimangono attorno al vescovo ordinante principale fino a che non sia terminata la preghiera di ordinazione. 503. Quindi il vescovo ordinante principale prende da un diacono il libro dei vangeli e lo impone aperto sul capo dell'eletto; due diaconi, stando in piedi alla destra e alla sinistra dell'eletto, tengono il libro dei vangeli sul suo capo fino a che non sia terminata la preghiera. 504. Allora il vescovo ordinante principale, dopo aver tolto la mitra, avendo vicino a sé gli altri vescovi ordinanti, anch'essi senza mitra, canta o dice, con le braccia allargate, la preghiera: O Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. La parte della preghiera, dalle parole Effondi ora sopra questo eletto fino alle parole a gloria e lode perenne del tuo nome viene detta da tutti i vescovi ordinanti sottovoce, a mani giunte. La restante parte della preghiera di ordinazione invece viene detta dal solo vescovo ordinante principale. Alla fine tutti acclamano: Amen. 505. Terminata la preghiera di ordinazione tutti siedono. Il vescovo ordinante principale e gli altri vescovi mettono la mitra. I diaconi ritirano il libro dei vangeli che tenevano sul capo dell'ordinato e uno dei diaconi lo tiene in mano fino a che non sarà consegnato all'ordinato. 506. Il vescovo ordinante principale si cinge di un grembiale, prende il vasetto dei sacro crisma da uno dei diaconi e unge il capo dell'ordinato inginocchiamo davanti a lui, dicendo: Dio che ti ha fatto partecipe del sommo sacerdozio di Cristo. Alla fine dell'unzione si lava le mani. 507. Poi, ricevendo dal diacono il libro dei vangeli, lo consegna all'ordinato, dicendo Ricevi il vangelo; quindi il diacono riprende il libro dei vangeli e lo porta al suo posto. 508. Infine il vescovo ordinante principale consegna all'ordinato le insegne pontificati. Innanzitutto mette l'anello nel dito anulare della mano destra dell'ordinato, dicendo: Ricevi l'anello, segno di fedeltà. Se l'ordinato ha diritto al pallio, il vescovo ordinante principale, prima di imporgli la mitra, gli consegna il pallio, dicendo: Ricevi il pallio, imponendoglielo sulle spalle. Quindi gli impone la mitra, dicendo: Ricevi la mitra e risplenda in te il fulgore della santità. Poi gli consegna il pastorale, dicendo: Ricevi il pastorale, segno del tuo ministero di pastore. 509. Tutti allora si alzano. Se l'ordinazione è fatta nella chiesa propria dell'ordinato, il vescovo ordinante principale lo invita a sedersi sulla cattedra, conducendovelo. Al di fuori invece della propria chiesa, il vescovo ordinato è invitato dal vescovo ordinante principale a sedersi al primo posto fra i vescovi concelebranti. 510. Alla fine l'ordinato, deposto il pastorale, si alza e riceve dal vescovo ordinante principale e da tutti i vescovi il bacio di pace. Frattanto fino alla fine di questo rito, si può cantare il salmo 96 con l'antifona Andate in tutto il mondo o un altro canto adatto dei medesimo genere in sintonia con l'antifona. Il canto prosegue fino a che tutti si sono scambiati il segno di pace. 511. Se l'ordinazione è stata fatta entro i confini della diocesi propria del vescovo appena ordinato, conviene che il vescovo ordinante principale lo inviti a presiedere da li in avanti la concelebrazione, per la liturgia eucaristica. Se invece l'ordinazione è stata fatta in un'altra diocesi, presiede la concelebrazione il vescovo ordinante principale; in questo caso il vescovo appena ordinato tiene il primo posto fra gli altri concelebranti. 512. Si dice il simbolo secondo le rubriche; si omette invece la preghiera universale. 513. Nella liturgia eucaristica tutto si svolge secondo il rito della concelebrazione della messa stazionale. Nella preghiera eucaristica uno dei vescovi concelebranti fa la commemorazione dell'ordinato, proclamando la formula proposta nel pontificale. I genitori e i parenti dell'ordinato possono ricevere la comunione sotto le due specie. 514. Terminata l'orazione dopo la comunione, si canta l'inno Te Deum o un altro canto analogo, secondo le consuetudini locali. Nel frattempo l'ordinato riceve la mitra e il pastorale e, accompagnato da due vescovi ordinanti, percorre la navata della chiesa, impartendo a tutti la benedizione. 515. Terminato l'inno, l'ordinato, stando all'altare o, se è nella Chiesa propria, alla cattedra, può rivolgere brevemente la parola al popolo. 516. Quindi il vescovo che ha presieduto la liturgia eucaristica imparte la benedizione. Stando in piedi, con la mitra, rivolto verso il popolo, dice: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione, e il vescovo, tenendo le mani distese sul popolo, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: Vi benedica, tracciando un segno di croce sul popolo. Il testo delle invocazioni cambia, a secondo che chi presiede sia l'ordinato o il vescovo ordinante principale. 517. Data la benedizione e dopo che il diacono ha congedato il popolo, si fa la processione nel secretarium nel modo consueto. III. L'ordinazione dei Presbiteri 518. Tutti i presbiteri nella messa della loro ordinazione, concelebrano con il vescovo. È molto conveniente che il vescovo ammetta alla concelebrazione anche altri presbiteri; in questo caso i presbiteri appena ordinati tengono il primo posto davanti agli altri presbiteri concelebranti. 519. Gli ordinandi indossano amitto, camice, cingolo e stola diaconale. Inoltre si preparino le casule per i singoli ordinandi. Le vesti siano dei colore della messa che viene celebrata, o di colore bianco, oppure si adoperino vesti festive o più nobili. 520. Oltre a quanto è ricordato più sopra e a quanto è necessario per la celebrazione della messa stazionale, si preparino: a) il pontificale; b) le stole per i presbiteri non concelebranti, che imporranno le mani agli ordinandi; c) un grembiale di lino; d) il sacro crisma; e) il necessario per la lavanda delle mani sia per il vescovo che per gli ordinati; f) la sede per il vescovo, se l'ordinazione non avviene alla cattedra; g) un calice di sufficiente grandezza per la comunione dei concelebranti e degli altri a cui compete. 521. Nella processione di ingresso, gli ordinandi seguono gli altri diaconi e precedono i presbiteri concelebranti. 522. I riti iniziali e la liturgia della parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 523. Dopo la proclamazione del vangelo, ha inizio l'ordinazione dei presbiteri. Il vescovo siede alla cattedra o alla sede preparata per lui e riceve la mitra. 524. Gli ordinandi sono invitati dal diacono in questo modo: Si presentino coloro che devono essere ordinati presbiteri. E subito vengono chiamati singolarmente per nome dal diacono; chi è chiamato risponde: Eccomi, e si avvicina al vescovo facendogli riverenza. 525. Quando tutti sono disposti davanti al vescovo, il presbitero designato dal vescovo li presenta come è indicato nel pontificale. Il vescovo conclude dicendo: Con l'aiuto di Dio, e tutti dicono: Rendiamo grazie a Dio, oppure danno il loro assenso alla elezione in un altro modo determinato dalla Conferenza Episcopale. 536. Quindi, quando tutti sono seduti, il vescovo, con mitra e pastorale, se non ritiene opportuno fare diversamente, tiene l'omelia, nella quale, prendendo spunto dal testo delle letture sacre proclamate nella messa, parla al popolo e agli eletti del ministero del presbitero; può farlo dicendo le parole del pontificale ( n. 123 ) o parole proprie. 527. Dopo l'omelia gli eletti si pongono davanti al vescovo che li interroga tutti assieme come è prescritto nel pontificale. 528. Quindi il vescovo depone il pastorale. Ciascuno degli eletti si avvicina al vescovo, si inginocchia davanti a lui e pone le proprie mani congiunte tra quelle del vescovo. Il vescovo chiede a ciascuno la promessa di obbedienza, secondo le formule proposte. Nel caso in cui il rito di porre le mani congiunte tra quelle del vescovo sembrasse meno conveniente, le Conferenze Episcopali possono stabilire diversamente. 529. Quindi il vescovo, tolta la mitra, si alza, e con lui si alzano tutti. Stando in piedi rivolto verso il popolo, a mani giunte, il vescovo dice l'invito: Preghiamo, fratelli carissimi. Allora il diacono dice: Mettiamoci in ginocchio; e subito il vescovo si inginocchia davanti alla propria sede, mentre gli eletti si prostrano; gli altri si inginocchiano al loro posto. Nel tempo pasquale e nelle domeniche, il diacono non dice: Mettiamoci in ginocchio; gli eletti si prostrano ugualmente, mentre gli altri rimangono in piedi. Allora i cantori iniziano le litanie, nelle quali si possono aggiungere, a suo luogo, i nomi di alcuni santi: per esempio del patrono, del titolare della chiesa, del fondatore, dei patrono degli ordinandi. Si possono anche aggiungere particolari invocazioni maggiormente adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. 530. Terminate le litanie, si alza solo il vescovo e, a mani allargate, proclama l'orazione Ascolta, o Padre, la nostra preghiera; al termine dell'orazione il diacono soggiunge: Alzatevi ( se prima delle litanie aveva invitato a mettersi in ginocchio ), e tutti si alzano. 531. Ciascuno degli eletti si avvicina al vescovo e si inginocchia davanti a lui. Il vescovo, ricevuta la mitra, impone le mani sul capo di ciascun eletto, senza dire nulla. 532. Quindi i presbiteri concelebranti e tutti gli altri presbiteri, purché siano rivestiti di stola sopra il camice o abbiano la veste talare con la cotta, , impongono le mani ai singoli eletti, senza dire nulla. Dopo l'imposizione delle mani i presbiteri restano attorno al vescovo finché sia terminata la preghiera di ordinazione. 533. Quindi il vescovo, senza mitra, mentre gli eletti stanno in ginocchio davanti a lui, con le braccia allargate canta o dice la preghiera di ordinazione. 534. Terminata la preghiera di ordinazione, il vescovo siede e riceve la mitra. Gli ordinati si alzano. I presbiteri presenti tornano al loro posto; alcuni di loro tuttavia aiutano ciascun ordinato a rivestire la stola al modo sacerdotale e ad indossare la casula. 535. Poi il vescovo si cinge di un grembiale di lino e unge con il sacro crisma le palme delle mani di ciascun ordinato inginocchiato davanti a lui dicendo Signore Gesù Cristo. Quindi il vescovo e gli ordinati lavano le mani. 536. Mentre gli ordinati indossano la stola e la casula, e mentre il vescovo unge loro le mani, si canta il salmo 110 con l'antifona indicata o un altro canto adatto. Il canto prosegue finché tutti gli ordinati sono ritornati al proprio posto. 537. Quindi i fedeli portano il pane sopra la patena e il calice che contiene il vino e l'acqua per la celebrazione della messa. Il diacono li riceve e li reca al vescovo che li mette nelle mani di ciascun ordinato genuflesso davanti a lui dicendo: Ricevi le offerte del popolo santo. 538. Infine il vescovo accoglie ciascun ordinato per il bacio di pace, dicendo: La pace sia con te. L'ordinato risponde: E con il tuo spirito. Se le circostanze lo permettono, almeno alcuni presbiteri presenti possono dare il bacio di pace ai presbiteri appena ordinati, per indicare che essi sono stati associati al loro ordine. Frattanto si può cantare il responsorio Non vi chiamo più servi o il salmo 100 con l'antifona Vos amici mei o un altro simile canto. Il canto prosegue finché tutti si sono scambiato il bacio di pace. 539. Il simbolo si dice secondo le rubriche; si omette invece la preghiera universale. 540. La liturgia eucaristica si svolge secondo il rito della concelebrazione della messa; tuttavia si omette la preparazione del calice. 541. Nella preghiera eucaristica vengono commemorati gli ordinati, proclamando le formule proposte nel pontificale. 542. I genitori e i parenti degli ordinati possono ricevere la comunione sotto le due specie. Terminata la distribuzione della comunione, si può eseguire un canto di ringraziamento. Al posto della consueta benedizione si può impartire la benedizione indicata nel pontificale. I riti di conclusione si svolgono nel modo consueto. IV. L'ordinazione dei Diaconi 543. Gli ordinandi rivestono amitto, camice e cingolo. Si preparino inoltre per i singoli ordinandi le stole e le dalmatiche. Le vesti siano del colore della messa che si celebra, o di colore bianco, oppure si adoperino vesti festive o più nobili. 544. Oltre a quanto è detto più sopra e a quanto è necessario per la celebrazione della messa stazionale, si preparino: a) il pontificale; b) la sede per il vescovo, se l'ordinazione non avviene alla cattedra; c) un calice di grandezza sufficiente per la comunione sotto le due specie. 545. Quando tutto è stato preparato, si avvia la processione attraverso la chiesa verso l'altare nel modo consueto. Gli ordinandi precedono il diacono che reca il libro dei vangeli che si usa nella messa di ordinazione. Seguono gli altri diaconi, se ve ne sono, i presbiteri concelebranti e infine il vescovo e un poco dietro di lui i due diaconi che lo assistono. 546. I riti iniziali e la liturgia della parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. Dopo la proclamazione del vangelo, il diacono depone nuovamente sull'altare con riverenza il libro dei vangeli, dove rimane fino quando viene consegnato agli ordinati. 547. Terminata la proclamazione del vangelo, inizia l'ordinazione dei diaconi: il vescovo siede alla cattedra o alla sede preparatagli e riceve la mitra. 548. Gli ordinandi sono invitati dal diacono in questo modo: Si presentino coloro che devono essere ordinati diaconi. E subito vengono chiamati singolarmente per nome dal diacono; chi è chiamato risponde: Eccomi, e si avvicina al vescovo facendogli riverenza. 549. Quando tutti sono disposti davanti al Vescovo, il presbitero designato dal vescovo li presenta, come è indicato nel pontificale. Il vescovo conclude dicendo: Con l'aiuto di Dio, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, oppure danno il loro assenso alla elezione in un altro modo determinato dalla Conferenza Episcopale. 550. Quindi, quando tutti sono seduti, il vescovo, con mitra e pastorale, se non ritiene opportuno fare diversamente, tiene l'omelia, nella quale, prendendo spunto dal testo delle letture sacre proclamate nella messa, parla al popolo e agli eletti del ministero diaconale. Può farlo con le parole del pontificale ( n. 199 ) o con parole proprie, tenendo presente anche la condizione degli ordinandi, se si tratta cioè di eletti coniugati e non coniugati, oppure soltanto di eletti non coniugati, oppure soltanto di eletti coniugati. 551. Il vescovo, una volta termina l'omelia, interroga tutti assieme in una volta sola gli eletti che stanno davanti a lui, secondo il testo del pontificale, interrogando anche i religiosi professi circa l'impegno del celibato, e omettendo invece questa domanda sul celibato se vengono ordinati soltanto eletti coniugati. 552. Infine il vescovo depone il pastorale. Ciascuno degli eletti si avvicina al vescovo, si inginocchia davanti a lui e pone le proprie mani congiunte tra quelle del vescovo. Il vescovo chiede a ciascuno la promessa di obbedienza, secondo le formule proposte. Nel caso in cui il rito di porre le mani congiunte tra quelle del vescovo sembri meno conveniente, le Conferenze Episcopali posso stabilire diversamente. 553. Quindi il vescovo, tolta la mitra, si alza, e con lui tutti fanno lo stesso. Stando in piedi rivolto verso il popolo, a mani giunte, il vescovo dice l'invito: Preghiamo, fratelli carissimi. Allora il diacono dice: Mettiamoci in ginocchio; e subito il vescovo si inginocchia davanti alla propria sede, mentre gli eletti si prostrano; gli altri invece si inginocchiano al loro posto. Nel tempo pasquale e nelle domeniche, il diacono non dice: Mettiamoci in ginocchio; gli eletti si prostrano ugualmente, mentre gli altri rimangono in piedi. Allora i cantori iniziano le litanie, nelle quali si possono aggiungere, a suo luogo, i nomi di alcuni santi: per esempio dei patrono, del titolare della chiesa, del fondatore, del patrono degli ordinandi. Si possono aggiungere particolari invocazioni maggiormente adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. 554. Terminate le litanie, si alza solo il vescovo e, a mani allargate, proclama l'orazione Ascolta, o Dio, la nostra comune preghiera; al termine dell'orazione il diacono soggiunge: Alzatevi ( se prima delle litanie aveva invitato a mettersi in ginocchio ), e tutti si alzano. 555. Ogni eletto si avvicina al vescovo, che sta in piedi davanti alla sede con la mitra, e si inginocchia davanti a lui. Il vescovo impone le mani sul capo di ciascuno senza dire nulla. 556. Quindi il vescovo depone la mitra. Mentre tutti gli eletti stanno in ginocchio davanti a lui, con le braccia allargate, canta o dice la preghiera di ordinazione. 557. Terminata la preghiera di ordinazione, il vescovo siede e riceve la mitra. Gli ordinati si alzano e alcuni diaconi o altri ministri impongono a ciascuno la stola in modo diaconale e li rivestono della dalmatica. Frattanto si può cantare l'antifona Beati coloro che abitano con il salmo 84 o un altro simile adatto canto che si accordi con l'antifona. Il canto prosegue fino a quando tutti gli ordinati hanno indossato la dalmatica. 558. Gli ordinati, indossate le vesti diaconali, si avvicinano al vescovo che consegna il libro dei vangeli a ciascuno inginocchiato davanti a sé, dicendo: Ricevi il vangelo di Cristo. 559. Infine il vescovo accoglie ciascun ordinato per il bacio di pace, dicendo: La pace sia con te. L'ordinato risponde: E con il tuo spirito. Se le circostanze lo permettono, i diaconi presenti possono dare il bacio di pace ai diaconi appena ordinati, per indicare che essi sono stati associati al loro ordine. Frattanto si può cantare l'antifona Se qualcuno vuol essere mio ministro con il salmo 145 o un altro simile adatto canto che si accordi con l'antifona. 560. Il simbolo si recita secondo le rubriche; si omette invece la preghiera universale. 561. La liturgia eucaristica si svolge secondo il rito della messa. Alcuni degli ordinati recano le offerte al vescovo per la celebrazione della messa; almeno uno di loro presta servizio al vescovo all'altare. 562. Nella preghiera eucaristica vengono commemorati gli ordinati, proclamando la formula proposta nel pontificale. 563. I diaconi appena ordinati si comunicano sotto le due specie. Il diacono che ha prestato servizio al vescovo all'altare, serve come ministro del calice. Alcuni dei diaconi appena ordinati aiutano il vescovo nella distribuzione della comunione ai fedeli. Possono ricevere la comunione sotto le due specie anche i genitori e i parenti degli ordinati. Terminata la distribuzione della comunione, si può eseguire un canto di ringraziamento. Al posto della consueta benedizione si può impartire la benedizione indicata nel pontificale. I riti di conclusione si svolgono nel modo consueto. V. L'ordinazione dei Diaconi e dei Presbiteri in un'unica azione liturgica 564. Per la preparazione degli ordinandi e della celebrazione, si osservino le indicazioni date più sopra ai nn. 543-544 e 518-520. 565. Nella processione di ingresso, coloro che devono essere ordinati diaconi precedono il diacono che porta il libro dei vangeli, mentre coloro che devono essere ordinati presbiteri, seguono gli altri diaconi e precedono ì presbiteri con celebranti. 566. I riti iniziali e la liturgia della parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 567. Allora gli eletti al diaconato vengono chiamati dal diacono e presentati dal presbitero a ciò designato, nel modo più sopra descritto ai nn. 548-549; poi gli eletti al presbiterato, nel modo indicato ai nn. 524-525. Dopo la proclamazione del vangelo ha inizio l'ordinazione. Il vescovo siede alla cattedra o alla sede preparata per lui e riceve la mitra. 568. Poi, quando tutti sono seduti, il vescovo, con mitra e pastorale, se non ritiene opportuno fare diversamente, tiene l'omelia, nella quale, prendendo lo spunto dal testo delle letture sacre proclamate nella messa, parla al popolo e agli eletti del ministero diaconale e presbiterale tenendo presente anche la condizione degli ordinandi, se si tratta cioè di eletti coniugati e non coniugati, oppure soltanto di eletti non coniugati, oppure soltanto di eletti coniugati. Può farlo con le parole indicate nel pontificale o con parole sue proprie. 569. Quindi si avvicinano soltanto gli eletti al diaconato e stanno in piedi davanti al vescovo che li interroga tutti assieme in una volta sola secondo il testo indicato nel pontificale. 570. Infine il vescovo depone il pastorale. Ciascuno degli eletti al diaconato si avvicina al vescovo, si inginocchia davanti a lui e pone le proprie mani congiunte tra quelle del vescovo. Il vescovo chiede a ciascuno la promessa di obbedienza, secondo la formula proposta nel pontificale. Nel caso in cui il rito di porre le mani congiunte tra quelle del vescovo sembri meno conveniente, le Conferenze Episcopali posso stabilire diversamente. 571. Terminati questi riti, gli ordinandi diaconi si mettono un poco in disparte e si alzano gli ordinandi presbiteri che si pongono davanti al vescovo. Il vescovo li interroga tutti assieme e poi ciascuno si avvicina al vescovo, si inginocchia davanti a lui e con il medesimo rito descritto più sopra, il vescovo chiede a ciascuno la promessa di obbedienza, proclamando le formule proposte nel pontificale. 572. Quindi il vescovo, tolta la mitra, si alza e con lui si alzano tutti. Si dicono le litanie con la loro monizione introduttoria e l'orazione conclusiva come è indicato più sopra ai nn. 529-530, proferendo i testi che si trovano nel pontificale. Terminate le litanie, gli eletti al presbiterato si fanno da parte e si svolge l'ordinazione dei diaconi. 573. L'ordinazione dei diaconi si svolge secondo le indicazioni date più sopra ai nn. 555-558. Il bacio di pace viene dato dopo che è terminata l'ordinazione dei presbiteri. 574. Terminata l'ordinazione dei diaconi, i diaconi tornano al loro posto e si avvicinano gli eletti al presbiterato. Il vescovo, deposta la mitra, si alza, e con lui si alzano tutti. Il vescovo stando in piedi, a mani giunte, rivolto verso il popolo proclama la monizione: Preghiamo, fratelli carissimi, e tutti pregano in silenzio per un po' di tempo. 575. Quindi segue l'ordinazione dei presbiteri secondo le norme descritte più sopra ai nn. 531-537. 576. Il vescovo poi dà ai singoli ordinati, prima ai presbiteri e poi ai diaconi, il bacio di pace. Similmente tutti o almeno alcuni dei presbiteri presenti possono dare il bacio di pace ai presbiteri appena ordinati per indicare che essi sono stati associati al loro ordine. A loro volta fanno lo stesso tutti o almeno alcuni dei diaconi presenti con i diaconi appena ordinati. Frattanto si può cantare il responsorio Non vi chiamo più servi o l'antifona Voi siete amici miei con il salmo 100 o un altro simile adatto canto che si accordi con il responsorio o con l'antifona. 577. Il simbolo si dice secondo le rubriche; si omette invece la preghiera universale. 578. La liturgia eucaristica si svolge secondo il rito della concelebrazione della messa; tuttavia si omette la preparazione del calice. Uno dei diaconi ordinati presta servizio al vescovo all'altare. 579. Nella preghiera eucaristica vengono commemorati gli ordinati, proclamando le formule proposte nel pontificale. 580. I diaconi appena ordinati ricevono la comunione sotto le due specie. Il diacono che ha prestato servizio al vescovo all'altare, serve come ministro del calice. Alcuni dei diaconi appena ordinati aiutano il vescovo nella distribuzione della comunione ai fedeli. Anche i genitori e i parenti degli ordinati possono ricevere la comunione sotto le due specie. Terminata la distribuzione della comunione, si può eseguire un canto di ringraziamento. Al posto della consueta benedizione, si può impartire la benedizione indicata nel pontificale ( n. 299 o n. 340 ). I riti di conclusione si svolgono nel modo consueto. VI. L'ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato 581. Il rito di ammissione tende a questo, che colui che aspira al diaconato o al presbiterato, manifesti pubblicamente la sua volontà di offrirsi a Dio e alla Chiesa per esercitare l'ordine sacro; la Chiesa, da parte sua, ricevendo questa offerta, lo sceglie e lo chiama perché si prepari a ricevere l'ordine sacro e sia in tal modo regolarmente ammesso tra i candidati al diaconato e al presbiterato. Non sono tenuti a questo rito i professi delle religioni clericali, i quali si preparano al presbiterato. 582. Il rito di ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato si celebra quando risulta che il loro proposito, convalidato dalle doti richieste, ha raggiunto una sufficiente maturazione. 583. Il rito è celebrato dal vescovo o dal superiore maggiore di un Istituto religioso clericale o dal loro delegato, secondo la condizione dell'aspirante 584. Il rito di ammissione si può celebrare in qualsiasi giorno, eccettuati il triduo pasquale, la settimana santa, il mercoledì delle ceneri, la commemorazione di tutti i fedeli defunti, durante la messa o la liturgia delle ore nella chiesa o nell'oratorio del seminario o dell'istituto religioso, o nella celebrazione della parola di Dio, in occasione, per esempio, di qualche riunione di presbiteri e diaconi. Tuttavia data la sua indole particolare, questo rito non si unisca mai con il conferimento degli ordini sacri o con il rito per l'istituzione dei lettori o degli accoliti. 585. Il vescovo abbia con sé un diacono o un presbitero deputato a chiamare i candidati, e convenientemente altri ministri. 586. Se il rito è celebrato durante la messa, il vescovo indossa le vesti sacre richieste per la celebrazione eucaristica e porta mitra e pastorale; se invece è celebrato al di fuori della messa, può indossare la croce pettorale, la stola e il piviale di colore conveniente al di sopra del camice, oppure assumere soltanto la croce e la stola sopra il rocchetto e la mozzetta: in questo caso non porta mitra e pastorale. 587. Se il rito è celebrato durante la messa, si può dire la messa per le vocazioni agli ordini sacri, con le letture proprie del rito di ammissione, usando il colore bianco. Quando ricorrono i giorni indicati ai nn. 2-9 della tabella dei giorni liturgici, si dice la messa del giorno. Quando non si dice la messa per le vocazioni agli ordini sacri, una delle letture può essere presa fra quelle proposte per il rito di ammissione, a meno che non ricorra un giorno fra quelli indicati ai nn. 2-4 della tabella dei giorni liturgici. 588. Se invece si fa soltanto la celebrazione della parola di Dio, questa può iniziare con una antifona adatta e, dopo il saluto del vescovo, con l'orazione colletta della medesima messa. Le letture sono scelte fra quelle indicate nel legionario per questa celebrazione. 589. Quando il rito è celebrato durante la liturgia delle ore, inizia dopo la lettura breve o quella più lunga. Nelle lodi e nei vespri, al posto delle intercessioni o delle preci si possono proclamare le invocazioni della preghiera universale proposta nell'appendice del pontificale. 590. Il vescovo, convenientemente con mitra e pastorale, seduto in cattedra, tiene l'omelia, concludendola con l'esortazione che si trova nell'appendice del pontificale o con altre parole simili. 591. Quindi il diacono o il presbitero incaricato fa l'appello nominale dei candidati. Ognuno risponde: Eccomi. Quindi va davanti al vescovo e gli fa riverenza. 592. Il vescovo interroga i candidati con le parole proposte nell'appendice del pontificale o con altre stabilite, secondo l'opportunità, dalla Conferenza Episcopale. Inoltre, se lo si ritiene opportuno, il proposito dei candidati può essere ricevuto dal vescovo anche con qualche segno esterno fissato dalla Conferenza Episcopale. Il vescovo conclude dicendo: La Chiesa accoglie con gioia, e tutti rispondo: Amen. 593. Allora il vescovo depone pastorale e mitra e si alza; ugualmente si alzano con lui tutti gli altri. Si dice il simbolo, se, secondo le rubriche, si deve dire. Quindi il vescovo invita i fedeli a pregare dicendo: Fratelli carissimi, supplichiamo il Signore, mentre il diacono o un altro ministro idoneo annunzia le intenzioni di preghiera, alle quali tutti rispondono con una acclamazione adatta. Infine il vescovo proclama l'orazione: Ascolta, Padre santo, oppure Concedi, Signore, a questi tuoi figli. 594. Se l'ammissione avviene durante la messa, questa continua nel modo consueto e i candidati, i loro genitori e parenti possono ricevere la comunione sotto le due specie. 595. Se invece avviene durante la celebrazione della parola di Dio, il vescovo saluta e benedice l'assemblea; il diacono poi la congeda dicendo: Andate in pace, a cui tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. 596. Se poi il rito è celebrato durante la liturgia delle ore, tutto ciò che segue si svolge nel modo consueto. 597. « I candidati al diaconato, sia permanente che transitorio, e al presbiterato debbono ricevere, se non l'hanno già fatto, i ministeri di lettore e di accolito, ed esercitarli per un conveniente periodo di tempo, al fine di disporsi meglio ai futuri servizi della parola e dell'altare ». Il rito dell'istituzione dei lettori e degli accoliti è descritto più sotto ai nn. 769-799. Capitolo III - Il sacramento del matrimonio Premesse 598. Ricordando che Cristo Signore fu presente alle nozze di Cana, il vescovo abbia a cuore di benedire talvolta il matrimonio dei suoi fedeli, soprattutto dei più poveri. La preparazione e la celebrazione dei matrimonio, che riguarda innanzitutto gli stessi futuri coniugi e la loro famiglia, è anche di pertinenza del vescovo, in ragione della cura pastorale e liturgica. Affinché poi più chiaramente appaia che questa partecipazione del vescovo non è una distinzione di personeo un segno di pura solennità, è conveniente che il vescovo assista ai matrimoni di solito non in cappelle o case private, ma nella chiesa cattedrale o nelle chiese parrocchiali, così che la celebrazione del sacramento si distingua chiaramente per la sua caratteristica ecclesiale e la comunità del posto vi possa partecipare. 599. Per la celebrazione del matrimonio si prepari tutto quanto è richiesto quando il matrimonio è benedetto da un presbitero, e inoltre la mitra e il pastorale. 600. È opportuno che il vescovo sia assistito almeno da un presbitero, che di norma sia il parroco, e almeno da un diacono con alcuni ministri. I. La celebrazione del matrimonio durante la messa 601. Se il vescovo stesso celebra la messa, indossa tutte le sacre vesti richieste per la messa, e prende inoltre la mitra e il pastorale. Il presbitero poi, se concelebra, indossa le sacre vesti richieste per la messa. Se invece il vescovo presiede la messa senza celebrarla, sopra il camice indossa la croce pettorale, la stola e il piviale di colore bianco o festivo; ugualmente porta mitra e pastorale. Il diacono indossa le vesti del suo ordine. Gli altri ministri indossano il camice o un'altra veste per essi legittimamente approvata. Oltre a quanto è richiesto per la celebrazione della messa, si preparino: a) il Rituale per la celebrazione del matrimonio; b) il secchiello dell'acqua benedetta e l'aspersorio; c) gli anelli per gli sposi; d) un calice di sufficiente grandezza per la comunione sotto le due specie. 602. All'ora fissata, il parroco o un altro presbitero, rivestito di cotta sopra la veste talare, oppure di camice, stola e casula se anch'egli deve celebrare la messa, accoglie lo sposo e la sposa, secondo un primo modo, alla porta della chiesa, accompagnato dai ministri, oppure, secondo un secondo modo, all'altare, e, dopo averli salutati, li conduce al posto per loro preparato. Poi il vescovo si reca all'altare e lo bacia; dal parroco o da un altro presbitero gli vengono presentati gli sposi. Frattanto si esegue il canto di ingresso. 603. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può dire la messa per gli sposi con le letture proprie, usando il colore bianco o festivo. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici, si dice la messa dei giorno, con le sue letture, aggiungendo in essa la benedizione nuziale e, secondo l'opportunità, la formula della benedizione finale propria. Se tuttavia, nel tempo di natale e nel tempo ordinario, in giorno di domenica, alla messa in cui viene celebrato il matrimonio partecipa la comunità parrocchiale, si dice la messa della domenica. Quando non si dice la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel "Lezionario" per la medesima messa, a meno che non ricorra un giorno fra quelli indicati ai nn. 1-4 della tavola dei giorni liturgici. 604. Se la messa viene celebrata in un giorno che comporta un carattere penitenziale, soprattutto in tempo di quaresima, gli sposi siano avvisati di rispettare la natura particolare di tale giorno. 605. I riti iniziali e la liturgia della parola si svolgono nel modo consueto. 606. Dopo la proclamazione del vangelo, il vescovo, seduto con mitra e pastorale, se non ritiene opportuno fare diversamente, tiene l'omelia nella quale, prendendo lo spunto dal testo sacro, spiega il mistero del matrimonio cristiano, la dignità dell'amore coniugale, la grazia del sacramento e i doveri dei coniugi. 607. Terminata l'omelia, il vescovo con mitra e pastorale davanti agli sposi li interroga sulla loro libertà, sulla fedeltà e sulla disponibilità ad accogliere e a educare la prole, e riceve il consenso. 608. Poi depone il pastorale e, se proclama la formula deprecativa, anche la mitra e benedice gli anelli e, secondo l'opportunità, li asperge e li consegna agli sposi, che se li mettono al dito. 609. Si dice la preghiera universale nel modo consueto. Il simbolo si dice secondo le rubriche. 610. Nella preghiera eucaristica vengono commemorati gli sposi proclamando la formula proposta nel libro "Sacramento del Matrimonio. 611. Dopo il Padre nostro, omesso il Liberaci, o Signore, il vescovo, se celebra lui l'eucaristia, altrimenti il presbitero che celebra la Messa, stando rivolto verso gli sposi, Proclama a mani giunte la monizione: Fratelli imploriamo la benedizione di Dio Padre, dopo la quale tutti pregano in silenzio per un po' di tempo. Quindi, a mani allargate, proclama la benedizione sulla sposa e lo sposo: O Dio, con la tua onnipotenza. 612. Gli sposi e i loro genitori, i testimoni e i parenti possono ricevere la comunione sotto le due specie. 613. Alla fine della messa, al posto della benedizione consueta, si proclama la formula proposta per questa messa nel rito del matrimonio. Il vescovo riceve la mitra e, allargando le mani, saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le mani stese sopra il popolo, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: E su voi tutti, e traccia un segno di croce sopra il popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. II. Il Matromonio celebrato senza messa 614. Il vescovo si veste come quando presiede la messa senza celebrarla, come è detto più sopra al n. 176. Il presbitero indossa la cotta sopra la veste talare o il camice e la stola; il diacono indossa le vesti del suo ordine. 615. L'ingresso degli sposi e del vescovo in chiesa avviene come è indicato più sopra al n. 602, mentre si esegue il canto all'ingresso. 616. Terminato il canto, il vescovo saluta i presenti e proclama l'orazione colletta dalla messa per gli sposi. Quindi segue la liturgia della parola, come nella messa. 617. Le domande sulla libertà, l'accettazione del consenso e la consegna degli anelli, si svolgono come è detto più sopra ai nn. 607-608. 618. Quindi si dice la preghiera universale, dopo la quale, omessa l'orazione conclusiva della medesima preghiera, il vescovo, a mani allargate, proclama la benedizione sulla sposa e lo sposo, usando il testo proposto nel rito del matrimonio per impartire la stessa benedizione durante la messa. Quindi segue la recita della preghiera del Signore. 619. Se durante il rito di deve distribuire la comunione, il diacono prende la pisside con il Corpo del Signore, la depone sull'altare e genuflette insieme al vescovo. Quindi il vescovo introduce la preghiera del Signore che tutti recitano. Al termine, genuflette, prende l'ostia e, tenendola un poco elevata sopra la pisside, rivolto verso i comunicandi dice: Ecco l'Agnello di Dio. La comunione viene distribuita come nella messa. Terminata la distribuzione, se è opportuno, si può osservare per un po' di tempo il sacro silenzio oppure si può eseguire un salmo o un cantico di lode. Quindi si proclama l'orazione: O Padre, che in questo sacro convito, come nel rito del matrimonio. 620. Infine il vescovo imparte la benedizione finale nel modo descritto più sopra al n. 613. Il diacono poi congeda i presenti dicendo: Andiamo in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, e si allontanano Capitolo IV - Il Sacramento della Penitenza Premesse 621. La Chiesa amministra il mistero della riconciliazione compiuto da Cristo mediante la sua morte e risurrezione. Prendendo parte, con la sopportazione delle sue prove, alle sofferenze di Cristo, compiendo opere di misericordia e di carità, e intensificando sempre più, di giorno in giorno, la sua conversione secondo il vangelo di Cristo, diventa segno nel mondo di come ci si converte a Dio. Tutto questo la chiesa lo esprime nella sua vita e lo celebra nella sua liturgia, quando i fedeli si professano peccatori, e implorano il perdono di Dio e dei fratelli, come si fa nelle celebrazioni penitenziali, nella proclamazione della parola di Dio, nella preghiera, negli elementi penitenziali della celebrazione eucaristica. Nel sacramento della penitenza poi, i fedeli « ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui, e insieme si riconciliano con la Chiesa, che è stata ferita dal loro peccato, ma che mediante la carità, l'esempio e la preghiera coopera alla loro conversione ». La Chiesa esercita il ministero del sacramento della penitenza per mezzo dei vescovi e dei presbiteri, che con la predicazione della parola di Dio chiamano i fedeli alla conversione, e ad essi attestano e impartiscono la remissione dei peccati nel nome di Cristo e nella forza dello Spirito Santo. Nell'esercizio di questo ministero, i presbiteri agiscono in comunione col vescovo, e partecipano al potere e all'ufficio suoi propri, come responsabile della disciplina penitenziale. Quindi è assai conveniente che il vescovo partecipi al ministero della penitenza, celebrata almeno nella forma più solenne, soprattutto nel tempo di quaresima, oppure in occasione della visita pastorale e in altre particolari circostanze ricorrenti nella vita del popolo di Dio. Di queste celebrazioni dunque viene qui offerta una descrizione, sia di quelle che terminano con l'assoluzione sacramentale, sia di quelle che si svolgono in forma di celebrazione penitenziale. I. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e lassoluzione individuale 622. Il vescovo indossa il camice, la croce pettorale, la stola e il piviale di colore violaceo o penitenziale, e porta la mitra semplice e il pastorale. Secondo il numero dei penitenti, si associno al vescovo altri presbiteri, che indossano la cotta sopra la veste talare o il camice e la stola. Il vescovo è assistito da un diacono, rivestito delle vesti dei suo ordine, e da altri ministri che indossano il camice o un'altra veste per loro legittimamente approvata. 623. Quando i fedeli si sono riuniti, mentre si eseguisce un canto adatto, il vescovo entra in chiesa con i presbiteri, accompagnato dai ministri. 624. Dopo essere giunto all'altare e aver fatto ad esso l'inchino, il vescovo si reca alla cattedra, i presbiteri ai posti per loro preparati. Terminato il canto, il vescovo, stando in piedi senza mitra, saluta il popolo; quindi o egli stesso, o uno dei presbiteri, o il diacono rivolge ai presenti una breve esortazione sull'importanza e sul significato della celebrazione e ne spiega lo svolgimento. 625. Poi il vescovo invita alla preghiera e, dopo una breve pausa di silenzio, termina con l'orazione colletta. 626. Ha quindi inizio la liturgia della parola, nella quale si possono proclamare, secondo le circostanze, più letture, oppure una soltanto fra quelle indicate nel lezionario particolare. Se si proclama una sola lettura, è bene desumerla dal vangelo. Se invece si proclamano più letture, tra l'una e l'altra si inserisca un salmo o un altro canto adatto o anche una sosta silenziosa, secondo il medesimo criterio che si usa nella messa. 627. Segue l'omelia, con la quale il vescovo, con mitra e pastorale, se non gli sembra opportuno fare diversamente, prendendo l'avvio dal testo delle letture, conduce i penitenti all'esame di coscienza e al rinnovamento della vita. Dopo l'omelia è opportuno sostare per qualche tempo in silenzio per fare l'esame di coscienza e suscitare una vera contrizione. Uno dei presbiteri, o il diacono, può aiutare i fedeli con brevi suggerimenti o con una preghiera litanica tenendo presente la loro età e condizione. 628. A questo punto iniziano i riti penitenziali. Il vescovo, deposti pastorale e mitra, si alza in piedi. Ugualmente si alzano in piedi tutti. Al di fuori del tempo pasquale o delle domeniche, su invito del diacono, alle parole Mettiamoci in ginocchio o altre simili, tutti genuflettono o si inchinano, e dicono insieme la formula della confessione generale, ad esempio: Confesso a Dio onnipotente. Quindi tutti, su invito dei diacono, secondo l'opportunità, si alzano e, stando in piedi, proferiscono la preghiera litanica o eseguiscono un canto adatto. Alla fine si aggiunge la preghiera dei Signore, che non deve mai essere omessa. Il vescovo poi conclude la supplica con l'orazione. 629. Allora il vescovo e i presbiteri si recano nei luoghi predisposti per la confessione; i fedeli si accostano singolarmente ad essi per confessare i loro peccati, accettare la conveniente soddisfazione loro imposta e ricevere l'assoluzione. Dopo la confessione e dopo che è sta fatta, secondo l'opportunità, una conveniente esortazione, il vescovo e i presbiteri, tralasciando tutto il resto che si suol compiere nella riconciliazione di un singolo penitente, stendono le mani, o almeno la mano destra, sul capo dei penitenti e impartono l'assoluzione, proclamando la formula sacramentale. 630. Terminate le confessioni dei singoli penitenti, il vescovo torna alla cattedra e sta in piedi senza mitra; i presbiteri invece si dispongono attorno a lui. Tutti si alzano e il vescovo invita al rendimento di grazie e esorta a compiere le opere buone, con le quali si manifesti la grazia della penitenza nella vita dei singoli e di tutta la comunità. Poi è bene eseguire un canto adatto di lode e di rendimento di grazie. 631. Dopo questo canto, il vescovo, stando in piedi senza mitra, rivolto verso il popolo e a mani allargate, proclama l'orazione: Dio onnipotente e misericordioso o un'altra adatta. 632. Infine il vescovo riceve la mitra e saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le mani stese sul popolo, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: Vi benedica, facendo un segno di croce sul popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formula proposte più sotto ai nn. 1120-1121. Quindi il diacono congeda l'assemblea, dicendo: Il Signore vi ha perdonato. Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, e si allontanano. II. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione generale 633. Per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l'assoluzione generale nei casi previsti dal diritto, tutto si svolge come più sopra è stato detto della riconciliazione per più penitenti con la confessione e l'assoluzione individuale, fatte solo le seguenti varianti. 634. Terminata l'omelia, o durante la stessa omelia, il vescovo avverta i fedeli, desiderosi di ricevere l'assoluzione generale, che vi si dispongano a dovere: che ognuno, cioè, si penta dei peccati commessi, proponga di evitarli, intenda riparare gli scandali e i danni eventualmente provocati, e si impegni inoltre a confessare a tempo debito i singoli peccati gravi, di cui al momento non può fare l'accusa; venga inoltre proposta una soddisfazione che tutti dovranno fare; i singoli poi potranno, volendo, aggiungervi qualcosa. 635. Quindi il diacono invita i penitenti che vogliono ricevere l'assoluzione a indicare con qualche segno esterno la loro volontà. 636. Allora i penitenti, in ginocchio o profondamente inchinati, pronunziano una formula di confessione generale, ad esempio il Confesso a Dio. 637. Poi si fa una preghiera litanica o un canto adatto e alla fine si aggiunge la preghiera del Signore, come è detto più sopra al n. 628. 638. Infine il vescovo, ricevuta la mitra, rivolto verso i penitenti pronuncia la formula sacramentale di assoluzione: Dio, Padre di misericordia. 639. Quindi il vescovo invita tutti a rendere grazie a Dio e a proclamare la sua misericordia; dopo un canto adatto, benedice subito il popolo e il diacono lo congeda come più sopra al n. 632. III. Le celebrazioni penitenziali senza confessione e assoluzione 640. Le celebrazioni penitenziali sono riunioni del popolo cristiano allo scopo di ascoltare la proclamazione della parola di Dio, che invita alla conversione e al rinnovamento della vita, è annunzia la nostra liberazione dal peccato, per mezzo della morte e risurrezione di Cristo. Inoltre hanno grande importanza per disporre i fedeli a celebrare il sacramento della penitenza. 641. Può presiederle il vescovo, rivestito dei paramenti come più sopra al n. 622, o soltanto con rocchetto, mozzetta, croce pettorale e stola. 642. La celebrazione si svolge secondo il rito più sopra descritto per la riconciliazione di più penitenti con confessione e assoluzione individuale, fino alla preghiera del Signore dopo la confessione generale e la preghiera litanica. 643. Allora, omessa la confessione dei singoli, il vescovo conclude la preghiera con una orazione conveniente, che può essere l'orazione Dio onnipotente e misericordioso. Quindi benedice il popolo, come più sopra al n. 632, e il diacono lo congeda. Capitolo V - Il Sacramento dell'Unzione degli infermi Premesse 644. L'evangelista Marco riferisce che gli apostoli furono inviati da Cristo a ungere con olio gli infermi. ( Cf. Mc 6,13 ) Ciò non meraviglia, dal momento che, secondo la tradizione biblica e cristiana, « l'unzione con l'olio sta ad indicare la misericordia di Dio, il rimedio dalla malattia e l'illuminazione del cuore ». I vescovi poi, successori degli apostoli, benché « non possano recarsi da tutti i malati, perché impediti da altre occupazioni », come osserva il papa s. Innocenzo I, continuano a svolgere questo ministero mediante i loro presbiteri, che nella tradizione della Chiesa latina per ungere gli infermi usano l'olio che, eccettuati i casi di necessità, è benedetto dal vescovo. 645. Quando tuttavia l'unzione è celebrata nelle grandi adunanze di fedeli, ad esempio durante i pellegrinaggi, o altre riunioni di infermi della diocesi, della città, o di pie associazioni, conviene che il vescovo stesso possa presiedere al rito. Di questo rito viene qui offerta la descrizione. 646. Per ottenere una vera efficacia pastorale da questa celebrazione, è opportuno che prima vi sia una congrua preparazione sia degli infermi che devono ricevere la sacra unzione, sia degli altri infermi per caso presenti, sia dei fedeli che godono buona salute. Si abbia anche cura di favorire la piena partecipazione dei presenti, soprattutto preparando canti opportuni, grazie ai quali sia suscitata l'unità d'animo dei fedeli, sia favorita la preghiera comune e sia manifestata la letizia pasquale di cui conviene che un tale rito risuoni. 647. Se gli infermi che devono ricevere la sacra unzione sono molto numerosi, il vescovo può designare alcuni presbiteri che abbiano parte con lui nella celebrazione del sacramento. Se l'unzione viene conferita durante la messa, conviene che questi presbiteri concelebrino con il vescovo. Conviene inoltre che almeno un diacono e altri ministri assistano il vescovo. La celebrazione della sacra unzione durante la messa 648. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può dire la messa per gli infermi, con le letture proprie del rito dell'unzione usando il colore bianco. Se tuttavia non si dice la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel "Lezionario" per il rito dell'unzione. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici si dice la messa del giorno, con le sue letture. Si proclama la formula della benedizione finale propria del rito dell'unzione. 649. Si preparino: a) il "Rituale Romano"; b) i vasetti dell'olio degli infermi; c) quanto è necessario per la lavanda delle mani; d) un calice di sufficiente grandezza per la comunione sotto le due specie. Il vescovo e i presbiteri indossano tutte le sacre vesti richieste per la celebrazione della messa. Il diacono invece indossa le vesti del suo ordine; gli altri ministri indossano il camice o la veste approvata per loro. Se poi alcuni presbiteri non concelebrano con il vescovo, indossano la cotta sopra la veste talare o il camice e la stola. 650. Gli infermi sono accolti da persone a ciò designate e vengono messi al loro posto prima dell'ingresso del vescovo. 651. I riti iniziali e la liturgia della parola si svolgono nel modo consueto. Dopo il vangelo il vescovo, seduto in cattedra con mitra e pastorale, a meno che non gli sembri opportuno fare diversamente, tiene l'omelia, nella quale, prendendo lo spunto dal testo delle letture che sono state proclamate, spiega il significato della malattia umana nella storia della salvezza e la grazia del sacramento dell'unzione. 652. La celebrazione dell'unzione degli infermi, che comincia dopo l'omelia, può svolgersi in due modi, che possono essere indicati schematicamente come segue: A - Litania - Imposizione delle mani - Benedizione dell'olio - Unzione - Orazione conclusiva B - Imposizione delle mani - Benedizione dell'olio - Unzione - Litania con orazione conclusiva I due modi qui schematicamente indicati vengono descritti più esplicitamente più sotto ai nn. 653-658. 653. Dopo l'omelia il vescovo, deposta la mitra, si alza e introduce la litania indicata nel rituale, se si deve dire adesso. Poi il vescovo e tutti i presbiteri che devono amministrare la sacra unzione, impongono uno per uno su alcuni infermi le mani, senza dire nulla. 654. In questa celebrazione il vescovo può benedire l'olio per l'unzione: compie ciò immediatamente dopo l'imposizione delle mani con l'orazione O Dio, Padre di ogni consolazione. Se invece si usa l'olio già benedetto, il vescovo dice la preghiera di rendimento di grazie sull'olio: Benedetto sei tu, o Dio, Padre onnipotente. 655. Poi il vescovo siede e riceve la mitra. Il diacono gli porta il vasetto o i vasetti con l'olio benedetto e il vescovo li consegna ai presbiteri che verranno a lui associati nel compiere la sacra unzione. Allora lo stesso vescovo e i presbiteri si avvicinano ai singoli infermi e ungono ciascuno sulla fronte e sulle mani, dicendo una volta sola, per ciascun infermo, la formula: Per questa santa unzione. 656. Mentre si compie l'unzione degli infermi, quando la formula è stata udita almeno una volta dai presenti, si possono eseguire alcuni canti. 657. Terminate le unzioni, il vescovo ritorna alla cattedra, i presbiteri alle loro sedi, e si lavano le mani. 658. Poi il vescovo, stando in piedi senza mitra, proclama, a mani allargate, l'orazione conclusiva del rito dell'unzione, scegliendo il testo più adatto fra quelli proposti nel rituale. ( Se tuttavia la litania non è stata proclamata in precedenza, il vescovo la introduce immediatamente dopo la lavanda delle mani e la conclude con la medesima orazione ). 659. Quindi la messa prosegue nel modo consueto, con la preparazione dei doni. Gli infermi e i presenti possono fare la comunione sotto le due specie. 660. Alla fine della messa, al posto della consueta benedizione, il vescovo può proclamare la benedizione solenne indicata nel rituale. In questo caso il vescovo riceve la mitra e saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le mani stese sopra il popolo, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi prende il pastorale e dice: Vi benedica, facendo un segno di croce sul popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. La celebrazione della sacra unzione senza la messa 661. Il vescovo indossa il camice, la croce pettorale, la stola e il piviale di colore bianco, e riceve la mitra e il pastorale. I presbiteri che per caso vengono a lui associati indossano la cotta sopra la veste talare o il camice e la stola. Il diacono indossa le proprie vesti. 662. Gli infermi sono accolti da persone a ciò designate e vengono disposti al loro posto prima dell'ingresso del vescovo. 663. Una volta entrati in chiesa, mentre si eseguisce un canto adatto, il vescovo fa l'inchino all'altare e si reca alla cattedra e qui, al termine del canto, rivolge un saluto fraterno agli infermi e al popolo. 664. Quindi si celebra la liturgia della parola, con i medesimi criteri e i medesimi testi indicati più sopra, ai n. 648 e n. 651 per la celebrazione della messa. 665. Il rito dell'unzione si compie come indicato più sopra, ai nn. 652-657. Tuttavia, dopo l'unzione, prima dell'orazione conclusiva, il vescovo introduce la preghiera del Signore, che viene recitata da tutti. 666. La benedizione finale del vescovo viene data nel modo sopra descritto al n. 660; al termine, il diacono congeda il popolo dicendo: Andate in pace, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. E la celebrazione si conclude lodevolmente con un canto adatto. Parte VI - I Sacramentali Capitolo I - La benedizione dell'Abate Premesse 667. L'abate, che nel monastero tiene le veci di Cristo, si comporti come padre, maestro ed esempio di vita cristiana e monastica. Per questo nulla deve insegnare, stabilire o comandare che si discosti dalla legge del Signore. Manifesti tutto ciò che è buono e santo più con i fatti che con le parole, sempre intento a servire più che a comandare. Guidi la comunità con ogni senso di moderazione e fermezza alla sequela di Cristo, cosicché i monaci del suo monastero si mostrino modello di vita evangelica nella preghiera e nel servizio fraterno. 668. La benedizione dell'abate di norma è celebrata dal vescovo del luogo in cui si trova il monastero. In tal modo il vescovo partecipa al momento più alto della vita monastica. Come i monasteri sostengono la vita di una Chiesa particolare con l'esempio, il lavoro e la preghiera, così il vescovo riconosca in essi una parte importante del suo ufficio benché non deve intromettersi nella guida interna del monastero. 669. Tuttavia per una giusta ragione e con il consenso del vescovo del luogo, l'eletto può ricevere la benedizione da un altro vescovo o da un altro abate. 670. La benedizione abbaziale si fa soltanto per gli abati che, dopo l'elezione canonica, esercitano il governo di una qualche comunità. 671. È assai conveniente che la benedizione dell'abate si svolga nella chiesa del monastero a capo del quale è stato eletto. 672. La benedizione dell'abate si svolga di domenica o in un giorno festivo, a meno che ragioni pastorali non consiglino diversamente. 673. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può celebrare la messa per la benedizione dell'abate, con le letture proprie, usando il colore bianco o festivo. Se invece non si dice la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel "Lezionario" per le medesima messa. Quando ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici si celebra la messa del giorno con le sue letture. 674. L'eletto sia assistito da due monaci del suo monastero i quali, se sono presbiteri e concelebrano la messa, indossano le vesti sacerdotali, diversamente l'abito corale o la cotta sopra la veste. 675. Conviene che con il vescovo e l'eletto concelebrino la messa gli abati per caso presenti e gli altri sacerdoti. 676. Il vescovo e i concelebranti indossano le vesti sacre richieste per la celebrazione della messa; il vescovo indossa anche la dalmatica. Anche l'eletto indossa le vesti sacerdotali e, sotto la casula, la croce pettorale e la dalmatica. Il diacono indossa le vesti del suo ordine. Gli altri ministri il camice o la veste approvata per loro. 667. Oltre a quanto è necessario per la celebrazione della messa, si preparino: a) il "Pontificale Romano" b) la regola; c) il pastorale per l'eletto; d) l'anello e la mitra per l'eletto, se deve riceverli; e) un calice di sufficiente grandezza per la comunione sotto le due specie. 678. Le benedizioni dell'anello, del pastorale e della mitra si svolgono di solito a tempo opportuno, prima della stessa benedizione dell'eletto. 679. La benedizione dell'eletto si svolge di norma alla cattedra. Ma se una migliore partecipazione dei fedeli lo richiede, si prepari la sede del vescovo davanti all'altare o in un luogo più adatto. Il posto dell'eletto e dei suoi assistenti sia preparato in presbiterio, in modo che i fedeli possano agevolmente seguire lo svolgimento del rito Descrizione del rito 680. La processione si svolge attraverso la chiesa verso l'altare nel modo consueto. I presbiteri concelebranti seguono il diacono che porta il libro dei vangeli, quindi l'eletto in mezzo ai suoi assistenti, poi il vescovo con mitra e pastorale e un poco indietro i due diaconi che lo assistono. 681. I riti iniziali e la liturgia della parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 682. Dopo la proclamazione del vangelo ha inizio la benedizione dell'abate. Se è il caso, il vescovo con mitra si reca alla sede preparata per lui, come è detto sopra, altrimenti siede alla cattedra. Ugualmente siedono tutti gli altri. L'eletto viene accompagnato dai monaci che lo assistono alla presenza dei vescovo e gli fa riverenza. Uno degli assistenti presenta l'eletto al vescovo, dicendo: Reverendissimo padre. Il vescovo lo interroga, dicendo: Potete testimoniare che sia stato validamente eletto? Il monaco risponde: Ne siamo certi e lo attestiamo. Il vescovo soggiunge: Rendiamo grazie a Dio. 683. Quindi il vescovo, prendendo lo spunto dal testo delle letture proclamate nella messa, parla brevemente al popolo, ai monaci e all'eletto sul ministero dell'abate. 684. Dopo l'omelia l'eletto si alza e sta in piedi davanti al vescovo che lo interroga, cominciando con queste parole: Secondo una antica istituzione dei santi padri. L'eletto alle singole domande risponde: Sì, lo voglio. Alla fine il vescovo conclude dicendo: Il Signore adempia i tuoi propositi, e tutti dicono: Amen. 685. Quindi il vescovo depone la mitra e si alza. Ugualmente si alzano tutti gli altri. Il vescovo, a mani giunte, rivolto verso il popolo, dice l'invito: Preghiamo con cuore unanime Dio nostro Padre. Poi il diacono dice: Mettiamoci in ginocchio, e subito tutti si mettono in ginocchio al loro posto; l'eletto invece si prostra. Nel tempo pasquale e nelle domeniche, il diacono non dice: Mettiamoci in ginocchio; l'eletto si prostra ugualmente, mentre tutti gli altri restano in piedi. Allora i cantori iniziano le litanie, nelle quali si possono aggiungere, a suo luogo, i nomi di alcuni santi: per esempio del patrono, del titolare della chiesa, del fondatore, del patrono dell'eletto, dei santi dello stesso ordine, o alcune invocazioni adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. Terminate le litanie, il diacono, se prima aveva invitato a mettersi in ginocchio, dice: Alzatevi, e tutti si alzano. 686. L'eletto si avvicina al vescovo e si inginocchia davanti a lui. Il vescovo, stando in piedi senza mitra, a mani allargate, dice la preghiera di benedizione scegliendone una da quelle proposte nel pontificale. 687. Dopo la preghiera di benedizione, il vescovo siede con mitra. Ugualmente siedono tutti gli altri. Il neoabate si avvicina al vescovo, che gli consegna tra le mani la regola dicendo: Ricevi la regola. Quindi, se è il caso, il vescovo mette l'anello al dito anulare della mano destra del neoabate dicendo: Ricevi l'anello. Poi, se è ancora il caso, gli impone la mitra senza dire nulla. Infine gli consegna il pastorale, dicendo: Ricevi il pastorale. 688. Infine il neoabate, deposto il pastorale, riceve dal vescovo e da,tutti gli abati il bacio di pace. Se le circostanze lo permettono fanno lo stesso i presbiteri e i monaci presenti. 689. La messa prosegue nel modo consueto. Si dice il simbolo secondo le rubriche; si omette la preghiera universale. 690. Nella liturgia eucaristica, il neoabate, tiene il primo posto fra i presbiteri concelebranti. Tuttavia se il prelato che lo ha benedetto non è vescovo e la benedizione è stata fatta nella chiesa dello stesso eletto, allora il neoabate può presiedere la liturgia eucaristica. 691. I genitori e i parenti del neoabate e i membri del monastero possono ricevere la comunione sotto le due specie. 692. Alla fine della messa colui che ha presieduto la liturgia eucaristica dice: Il Signore sia con voi e impartisce la benedizione; poi viene compiuto dal diacono nel modo consueto il congedo. 693. Dopo il congedo, mentre, secondo l'opportunità, si canta l'inno Te Deum o un altro canto adatto, tutti processionalmente attraverso la chiesa ritornano nel secretarium e si ritirano in pace. Se invece si tratta di un abate che ha giurisdizione su qualche territorio, terminata l'orazione dopo la comunione, si canta l'inno Te Deum o un altro canto analogo, secondo le consuetudini del luogo. Nel frattempo il neoabate, accompagnato dagli assistenti, percorre la navata della chiesa e impartisce a tutti la benedizione. Terminato l'inno, il neobate, stando in piedi all'altare o alla cattedra con mitra e pastorale, può rivolgere brevemente la parola al popolo. Il resto si svolge nel modo consueto. Capitolo II - Benedizione dell'Abbadessa Premesse 694. L'abbadessa, eletta dalla sua comunità, si comporti come esempio di vita cristiana e monastica per le sue stesse monache. Per questo nulla deve insegnare, stabilire o comandare che si discosti dalla legge del Signore. Manifesti tutto ciò che è buono e santo più con i fatti che con le parole, intenta a servire più che a comandare. Guidi la comunità con ogni senso di moderazione e fermezza alla sequela di Cristo, cosicché le monache del suo monastero si mostrino modello di vita evangelica nella preghiera e nel servizio fraterno. 695. La benedizione dell'abbadessa di norma è celebrata dal vescovo del luogo in cui si trova il monastero. Ma per una giusta ragione e con il consenso del vescovo del luogo, l'eletta può ricevere la benedizione da un altro vescovo o da un abate. 696. La benedizione dell'abbadessa si svolga di domenica o in un giorno festivo, a meno che ragioni pastorali non consiglino diversamente. 697. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può celebrare la messa per la benedizione dell'abbadessa, con le letture proprie, usando il colore bianco o festivo. Se invece non si celebra la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel "Lezionario" per le medesima messa. Quando ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici, si celebra la messa del giorno con le sue letture. 698. L'eletta, assistita da due monache del suo monastero, prende posto in presbiterio, fuori della clausura, in modo da potersi presentare facilmente al vescovo e la celebrazione possa essere vista e partecipata dalle monache e dai fedeli. La benedizione si faccia normalmente alla cattedra. Ma se una migliore partecipazione dei fedeli lo richiede, la sede del vescovo può essere posta anche davanti all'altare o in altro luogo più adatto. 699. Conviene che i sacerdoti presenti alla celebrazione concelebrino col vescovo e che sia presente almeno un diacono e altri ministri. 700. Oltre alle vesti sacre, e a quanto è necessario per la celebrazione della messa, compresa la dalmatica per il vescovo, si preparino: a) il 'Pontificale Romano"; b) la regola; c) l'anello, se si deve dare; d) un calice di sufficiente grandezza per amministrare la comunione sotto le due specie. Descrizione del rito 701. Prima della celebrazione il vescovo con i concelebranti, i ministri e il clero si reca alla porta della clausura. L'eletta, con le due monache che l'assistono, esce e prende posto nella processione alla chiesa immediatamente davanti al vescovo. 702. I riti iniziali e la liturgia della parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 703. Dopo la proclamazione del vangelo ha inizio la benedizione dell'abbadessa. Se è il caso, il vescovo con mitra si reca alla sede preparata per lui, come è detto più sopra, altrimenti siede alla cattedra. Ugualmente siedono tutti gli altri. L'eletta viene condotta dalle monache assistenti alla presenza del vescovo e gli fa riverenza. Una delle monache assistenti presenta l'eletta al vescovo, dicendo: Reverendissimo padre, come nel pontificale. Il vescovo la interroga, dicendo: Potete testimoniare che sia stata validamente eletta? La monaca risponde: Ne siamo certe e lo attestiamo. Il vescovo soggiunge: Rendiamo grazie a Dio. 704. Quindi il vescovo, prendendo lo spunto dal testo delle letture sacre proclamate nella messa, parla brevemente al popolo, alle monache e all'eletta sull'ufficio dell'abbadessa 705. Dopo l'omelia l'eletta si alza e sta in piedi davanti al vescovo che la interroga: Figlia carissima, vuoi mantenerti fedele al tuo santo proposito. L'eletta alle singole domande risponde: Sì, lo voglio. Alla fine il vescovo conclude dicendo: Il Signore adempia i tuoi propositi, e tutti dicono: Amen. 706. Quindi il vescovo depone la mitra e si alza. Ugualmente si alzano tutti gli altri. Il vescovo, a mani giunte, rivolto verso il popolo, dice l'invito: Preghiamo con cuore unanime Dio nostro Padre. Poi il diacono dice: Mettiamoci in ginocchio, e subito tutti si mettono in ginocchio al loro posto; l'eletta invece, dove si usa, si prostra. Nel tempo pasquale e nelle domeniche, il diacono non dice: Mettiamoci in ginocchio; l'eletta si inginocchia, oppure, dove si usa, si prostra, mentre tutti gli altri restano in piedi. Allora i cantori iniziano le litanie, nelle quali si possono aggiungere, a suo luogo, i nomi di alcuni santi: per esempio del patrono, del titolare della chiesa, del fondatore, del patrono di colei che riceve la benedizione, delle sante dello stesso ordine, o alcune invocazioni più adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. Terminate le litanie, il diacono, se prima aveva invitato a mettersi in ginocchio, dice: Alzatevi, e tutti si alzano. 707. L'eletta si avvicina al vescovo e si inginocchia davanti a lui. Il vescovo, stando in piedi senza mitra, a mani allargate, dice la preghiera di benedizione scegliendone una fra quelle proposte nel pontificale. 708. Dopo la preghiera di benedizione, il vescovo siede con mitra. Ugualmente siedono tutti gli altri. La neoabbadessa si avvicina al vescovo, che le consegna tra le mani la regola dicendo: Ricevi la regola. 709. L'anello non si consegna, se la neoabbadessa l'ha già ricevuto nel giorno della professione o della consacrazione. Se però non lo ha ricevuto, il vescovo glielo può mettere al dito anulare della mano destra, dicendo: Ricevi l'anello. 710. Allora la neoabbadessa saluta il vescovo con un inchino profondo, e torna alla propria sede con le due assistenti. 711. Quindi la messa prosegue nel modo consueto. Il simbolo si dice secondo le rubriche; si omette la preghiera universale. 712. L'eletta, i suoi genitori e parenti e gli abitanti nel monastero possono ricevere la comunione sotto le due specie. 713. Dopo che il vescovo ha impartito la benedizione, il diacono congeda il popolo nel modo consueto. 714. Dopo la messa, mentre opportunamente si canta l'inno Te Deum o un altro, canto analogo, il vescovo accompagna la neoabbadessa alla clausura. Se il vescovo è ordinario del luogo e ha giurisdizione immediata sulle monache, conduce la neoabbadessa nel coro e la invita a sedere al suo posto, a meno che essa non abbia già compiuto ciò subito dopo l'elezione. Capitolo III - Consacrazione delle Vergini Premesse 715. Secondo una antica tradizione, la vergine consacrata è segno trascendente dell'amore che la Chiesa porta a Cristo e immagine escatologica della sposa celeste e della vita futura. 716. Alla consacrazione verginale possono essere ammesse sia donne che hanno scelto la vita monastica, sia donne che vivono nel mondo. 717. È opportuno che la consacrazione delle vergini sia fatta nella ottava di pasqua, nelle solennità e tra queste soprattutto in quelle in cui si celebrano i misteri dell'incarnazione dei Signore, nelle domeniche, nelle feste della beata Vergine Maria, delle sante vergini o dei santi che si distinsero nella vita religiosa. 718. In un giorno stabilito, prossimo al rito di consacrazione, o almeno il giorno prima, coloro che devono essere consacrate vergini siano presentate al vescovo per un colloquio pastorale, come è giusto che avvenga tra le figlie e il padre della diocesi. 719. Secondo l'opportunità e soprattutto a lode della castità e per favorire il senso ecclesiale, l'edificazione e il concorso di popolo, i fedeli siano informati per tempo della celebrazione del rito. 720. Ministro del rito di consacrazione delle vergini è il vescovo diocesano. Tuttavia un altro vescovo può presiedere il rito con il consenso dello stesso vescovo diocesano. 721. Nei giorni in cui sono permesse le messe rituali, si può celebrare la messa per la consacrazione delle vergini, con le letture proprie, usando il colore bianco o festivo. Se tuttavia non si celebra la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel "Lezionario" per la medesima messa. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tavola dei giorni liturgici, si celebra la messa del giorno con le sue letture. Si può sempre proclamare la formula della benedizione finale propria della messa rituale. I. La consacrazione verginale delle monache 722. La consacrazione verginale delle monache si compie durante la messa di norma nella chiesa del monastero. Conviene che i sacerdoti che partecipano alla celebrazione concelebrino con il vescovo. Ugualmente conviene che il vescovo sia assistito almeno da un diacono e che nello svolgimento dei rito siano presenti alcuni ministri, rivestiti di camice o di una veste legittimamente approvata per loro. 723. Per lo svolgimento dei rito, oltre alle vesti sacre e a quanto è necessario per la celebrazione della messa, si preparino: a) il "Pontificale Romano"; b) i veli, gli anelli e tutti gli altri simboli di consacrazione o di professione religiosa, secondo le usanze dei luogo e le consuetudini della famiglia religiosa; le lampade o le candele; c) in un luogo opportuno dei presbiterio la sede per la superiora, se è il caso; d) ugualmente in presbiterio le sedi per le vergini consacrande, disposte in modo tale che l'azione liturgica possa essere vista bene dal fedeli; e) un calice di sufficiente grandezza per la comunione sotto le due specie. La consacrazione avviene alla cattedra, ma se la partecipazione dei fedeli lo richiede, la sede del vescovo può essere posta anche davanti all'altare o in un luogo più adatto. 724. Quando il popolo è radunato e tutto è stato predisposto come si conviene, si avvia al solito modo la processione attraverso la chiesa verso l'altare, mentre il coro e il popolo eseguiscono il canto di ingresso della messa. Alla processione prendono parte lodevolmente le vergini consacrande, accompagnate dalla superiora e dalla maestra. 725. Giunte davanti al presbiterio, dopo la debita riverenza all'altare, le vergini consacrande prendono posto nei luoghi loro assegnati nella navata della chiesa. 726. I riti iniziali e la liturgia della parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 727. Dopo il vangelo, il vescovo, ricevuti mitra e pastorale, siede alla cattedra o si reca alla sede preparata; intanto si eseguisce l'antifona: Vergini sagge. Allora le vergini consacrande accendono le lampade o i ceri e, accompagnate dalla maestra e da altre monache deputate a questo ufficio, si avvicinano al presbiterio e rimangono in piedi fuori di esso. Finita l'antifona, il vescovo chiama le vergini consacrande, dicendo o cantando: Venite, figlie, a cui le vergini rispondono eseguendo l'antifona: Ecco, Signore noi siamo pronte a seguirti, e così salgono in presbiterio e si dispongono in modo tale che il rito possa essere visto da tutti. Le candele vengono consegnate ai ministri o collocate su un candelabro adatto. 728. Mentre tutti sono seduti, il vescovo tiene l'omelia nella quale, prendendo lo spunto dal testo delle letture sacre proclamate nella messa, parla al popolo, alle monache e alle vergini consacrande del dono e della funzione della verginità per la santificazione delle elette e per il bene della chiesa e di tutta la famiglia umana. 729. Terminata l'omelia si alzano soltanto le vergini; allora il vescovo domanda loro se sono disposte a consacrarsi a Dio e a praticare la perfetta carità secondo la regola o le costituzioni della loro famiglia religiosa, secondo quanto è indicato nel pontificale. 730. Poi tutti si alzano. Il vescovo, deposti mitra e pastorale, stando in piedi con le mani giunte, dice l'invito: Preghiamo Dio Padre onnipotente. Quindi il diacono dice: Meniamoci in ginocchio, e subito il vescovo e tutti i presenti si inginocchiano. La consuetudine che le vergini consacrande si prostrino, dove è in vigore, può essere conservata. Nel tempo pasquale e nelle domeniche invece, il diacono non dice: Mettiamoci in ginocchio; tutti, eccettuate le vergini consacrande, stanno in piedi mentre si cantano le litanie. A questo punto si cantano le litanie. A luogo opportuno si possono inserire le invocazioni di quei santi che sono venerati in modo particolare dalla comunità; si possono anche aggiungere, secondo l'opportunità, alcune invocazioni più adatte alle singole circostanze; infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. 731. Terminata la preghiera litanica, il vescovo stando in piedi proclama, a mani allargate, l'orazione Ascolta, o Dio. Al termine, il diacono, se prima delle litanie aveva invitato a genuflettere, aggiunge: Alzatevi, e tutti si alzano. 732. Allora si siede solo il vescovo e riceve la mitra e il pastorale. Due suore già professe, secondo la consuetudine della famiglia religiosa o del monastero, si avvicinano alla sede della superiora e, in piedi, adempiono lo speciale ufficio, di testimoni. Le vergini che devono emettere la professione, si presentano, una ad una, davanti alla superiora e alle testimoni, e leggono la formula della professione già scritta opportunamente prima, di propria mano. Quindi ciascuna si reca lodevolmente all'altare e vi depone il foglio della formula della professione; firma poi sullo stesso altare, se si può fare comodamente, il documento della professione. Ciò fatto, ritorna al posto assegnatole. Allora, secondo l'opportunità, le vergini neo-professe, stando in piedi, eseguono l'antifona: Accoglimi, o Signore, o un altro canto adatto che esprima in modo vivamente ispirato i sentimenti della donazione e della gioia. 733. Poi il vescovo, deposti pastorale e mitra, si alza e, con le mani stese sopra le vergini in ginocchio, canta o dice la solenne preghiera di consacrazione, mentre tutta l'assemblea sta in piedi. 734. Terminata la preghiera di consacrazione, il vescovo siede e riceve la mitra. Ugualmente siede il popolo, le vergini invece si alzano e, accompagnate dalla maestra o da un'altra monaca a ciò deputata, si avvicinano al vescovo che dice a tutte insieme: O figlie carissime, ricevete; quindi consegna alle singole vergini il velo e l'anello, o l'anello soltanto. Frattanto il coro insieme con il popolo canta un'antifona, ad esempio A te innalzo l'anima mia, con il salmo 45 o un altro canto adatto. 735. Quindi, se è opportuno, il vescovo consegna a ciascuna vergine anche il libro della liturgia delle ore, dopo aver detto le parole della apposita formula alle quali le vergini tutte assieme rispondono Amen. 736. Allora, se è opportuno, le vergini cantano l'antifona Alleluia, Sono sposa di Cristo, o un'altra adatta. 737. Terminati questi riti, dove è in vigore l'usanza o sembra opportuno, il vescovo o la superiora possono significare con parole adatte che le vergini appena professe e consacrate a Dio, sono aggregate per sempre alla loro famiglia religiosa. Si può manifestare ciò anche con un segno di pace: in questo caso il vescovo lo scambia, in modo conveniente con le vergini neoconsacrate. Quindi la superiora e le altre monache manifestano ad esse il loro amore fraterno secondo le consuetudini della famiglia religiosa o del monastero. Frattanto il coro, canta, assieme al popolo, l'antifona Quam dilecta tabernacula tua, con il salmo 84, o un altro canto adatto. 738. A questo punto le vergini neoprofesse ritornano al posto loro preparato in presbiterio, e si riprende la messa. Il simbolo si dice secondo le rubriche; si omette invece la preghiera universale. Mentre si eseguisce il canto all'offertorio, alcuno vergini neoconsacrate a Dio portano opportunamente all'altare il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione eucaristica. Nelle preghiera eucaristica si aggiungano le intercessioni proprie. Il vescovo, nel modo conveniente, dà la pace alle vergini neoconsacrate a Dio. 739. Dopo che il vescovo si è comunicato con il corpo e il sangue del Signore, le vergini si accostano all'altare per ricevere la comunione sotto le due specie. Dopo di esse, possono ricevere allo stesso modo l'eucaristia le consorelle, i genitori e i parenti. 740. Terminata l'orazione dopo la comunione, le vergini neoconsacrate a Dio si recano davanti all'altare. Allora il vescovo riceve la mitra e il pastorale e saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le braccia stese sulle vergini, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: E su tutti voi, e traccia un segno di croce sul popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121 741. Dopo che il vescovo ha impartito la benedizione, il diacono congeda il popolo dicendo: La messa è finita, andate in pace, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Le vergini, se è il caso, prendono le loro candele; il coro e il popolo cantano un inno adatto o un canto di lode e si ordina la processione, come all'inizio della messa, per riaccompagnare le vergini neoconsacrate alla porta della clausura. II. La consacrazione delle Vergini che conducono vita nel secolo 742. Quando per decisione e sotto l'autorità del vescovo vengono ammesse alla consacrazione vergini che conducono vita nel secolo, soprattutto se sono a servizio di opere diocesane, il rito opportunamente si svolge nella chiesa cattedrale, a meno che le circostanze e gli usi dei posto non consiglino di fare diversamente. 743. Tutto si svolge come è descritto sopra per la consacrazione delle vergini monache, eccettuato quanto è detto nel pontificale e più sotto. 744. Conviene che due vergini già consacrate a Dio o due donne scelte nell'Assemblea dei fedeli, accompagnino le vergini consacrande e le conducano all'altare. 745. Per le domande circa la volontà di consacrarsi a Dio, dopo l'omelia, si usa il testo proprio che si trova nel pontificale. 746. Terminate le litanie con la loro orazione, subito le singole consecrande si avvicinano al vescovo, genuflettono davanti a lui e pongono le loro mani giunte tra le mani dei vescovo, ed emettono il proposito di verginità, dicendo: Accipe, Pater. A questo rito, se esso sembra meno conveniente, si può sostituire un altro stabilito dalla conferenza episcopale. 747. Il segno di pace alle vergini consacrate non viene dato subito dopo la consegna delle insegne ma durante la messa, come di norma. Capitolo IV - La professione perpetua dei religiosi Premesse 748. « La Chiesa non solo erige con la sua sanzione la professione religiosa alla dignità di uno stato canonico, ma anche con la sua azione liturgica la presenta come stato consacrato a Dio. La stessa Chiesa infatti, con l'autorità affidatale da Dio, riceve i voti di quelli che fanno la professione, per loro impetra da Dio con la sua preghiera pubblica i soccorsi della sua grazia, li raccomanda a Dio e impartisce loro la benedizione spirituale, associando la loro oblazione al sacrificio eucaristico ». Sotto l'aspetto ecclesiale, questo è evidente quando il vescovo, come padre e pastore anche dei religiosi, per quanto usi possano essere esenti dal suo governo nell'ordinamento delle loro comunità, presiede alla loro professione perpetua, che si svolge durante la celebrazione della messa con conveniente solennità e partecipazione di popolo. 749. Il rito della professione si compie ordinariamente nella chiesa della famiglia religiosa a cui appartengono coloro che devono emettere la professione. Se poi si riterrà opportuno, per motivi pastorali oppure a lode della vita religiosa e per favorire l'edificazione e il concorso del popolo di Dio, il rito si potrà compiere convenientemente nella chiesa cattedrale o in una chiesa parrocchiale o in un' altra chiesa insigne: ciò sembra da raccomandarsi molto dove membri di due o più famiglie religiose desiderano emettere la professione durante lo stesso sacrificio eucaristico celebrato con la presidenza del vescovo. A questa celebrazione comune partecipino i superiori delle famiglie religiose e, se sono sacerdoti, concelebrino con il vescovo e con tutti gli altri sacerdoti che partecipano alla celebrazione. Il vescovo sia assistito almeno da un diacono e durante lo svolgimento del rito ci siano a disposizione dei ministri. Ciascun candidato pronuncerà i voti davanti al suo superiore. 750. Per compiere il rito della professione perpetua si sceglie lodevolmente una domenica o una solennità del Signore, della beata vergine Maria o di santi che si distinsero nella vita religiosa. 751. Nei giorni in cui sono permesso le messe rituali, si può celebrare la messa nel giorno della professione perpetua, con le letture proprie, usando il colore bianco. Se tuttavia non si dice la messa rituale, una delle letture può essere scelta fra quelle proposte nel "Lezionario" per la medesima messa. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici si celebra la messa dei giorno con le sue letture. Si può sempre proclamare la formula della benedizione finale propria della messa rituale. 752. Oltre alle sacre vesti e a quanto è necessario per la celebrazione della messa, si preparino: a) il rituale della professione religiosa; b) i simboli della professione religiosa, qualora le norme e le consuetudini della famiglia religiosa ne prevedano la consegna; c) un calice di grandezza sufficiente per la comunione sotto le due specie; d) negli istituti laicali, in un luogo adatto del presbiterio, la sede per il superiore; e) nello stesso presbiterio le sedi per i religiosi candidati alla professione, disposti in modo che tutta l'azione liturgica possa essere vista bene dai fedeli. Il rito della professione si svolge alla cattedra o davanti all'altare o in un luogo più adatto. Descrizione del rito 753. All'ingresso la processione si svolge come al solito e ad essa partecipano lodevolmente i candidati alla professione, accompagnati dal loro maestro e, negli istituti laicali, dallo stesso superiore. Giunti in presbiterio e fatta la debita riverenza all'altare, tutti prendono il posto loro assegnato. 754. I riti iniziali e la liturgia della parola fino al vangelo compreso, si svolgono nel modo consueto. 755. Proclamato il vangelo, il vescovo, ricevuti mitra e pastorale, siede alla cattedra o si reca alla sede per lui preparata. Anche il popolo siede; i candidati alla professione invece rimangono in piedi. Allora si tiene l'appello o la richiesta dei candidati. Il diacono o il maestro chiama per nome i singoli candidati ed essi rispondono: Eccomi, o in un altro modo secondo l'uso della famiglia religiosa o del luogo. Poi il vescovo interroga i candidati circa la loro volontà, come è indicato nel rituale. Al posto dell'appello si può fare la richiesta: uno dei candidati, in piedi, chiede a nome di tutti l'ammissione, con la formula prevista nel rituale o con altra simile. Alla fine tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, o in un altro modo. 756. A questo punto anche i candidati siedono e il vescovo, seduto con mitra e pastorale, a meno che non gli sembri opportuno fare diversamente, tiene l'omelia nella quale illustra non solo le letture bibliche, ma anche il dono e la funzione della professione religiosa per la santificazione degli eletti e per il bene della Chiesa e di tutta l'umana famiglia. 757. Terminata l'omelia, i candidati si alzano in piedi e il vescovo chiede loro se sono disposti a consacrarsi a Dio e a praticare la perfetta carità secondo la regola o le costituzioni della famiglia religiosa, ponendo le domande proposte nel "Rituale Romano" o nel proprio rituale; terminate le domande, il vescovo conferma la volontà dei candidati dicendo: Dio, che ha iniziato in voi quest'opera buona, o altre parole simili. 758. Quindi il vescovo depone il pastorale e la mitra e si alza; ugualmente si alzano tutti gli altri. Il vescovo, stando in piedi, a mani giunte, dice l'invito: Fratelli carissimi, preghiamo Dio Padre onnipotente. Poi il diacono pronunzia la monizione: Inginocchiamoci; allora il vescovo, e tutti i presenti si inginocchiano; i candidati invece, secondo la consuetudine del luogo o della famiglia religiosa » si prostrano o si inginocchiano. Nel tempo pasquale e nelle domeniche invece, il diacono non dice: Inginocchiamoci; i candidati si prostrano ugualmente, mentre tutti gli altri restano in piedi. Allora i cantori Iniziano le litanie, a cui tutti rispondono. Al posto adatto si possono inserire le invocazioni di quei santi che sono particolarmente venerati dalla famiglia religiosa o dal popolo; inoltre, secondo l'opportunità, si possono inserire alcune invocazioni più adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. 759. Terminate le litanie, il vescovo, stando in piedi, a mani allargate, proclama l'orazione: Accogli, Signore, le invocazioni del tuo popolo. Quindi il diacono, se prima aveva invitato a genuflettere, dice: Alzatevi, e tutti si alzano. 760. Il vescovo siede e riceve la mitra e il pastorale. Due confratelli già professi, che, secondo la consuetudine della famiglia religiosa, adempiono lo speciale ufficio di testimoni, si avvicinano e stanno presso il superiore. I candidati, si presentano a uno a uno, e leggono, davanti al vescovo, al proprio superiore e ai testimoni, la formula della professione, già scritta opportunamente prima, di propria mano. Quindi il neoprofesso si reca lodevolmente all'altare e vi depone il foglio della formula della professione; firma poi sullo stesso altare, se si può fare comodamente, il documento della professione. Ciò fatto, ritorna al posto assegnatogli. 761. Ciò compiuto, i neoprofessi, in piedi, possono cantare l'antifona Accoglimi, Signore, o un altro canto adatto. 762. Quindi i neoprofessi si inginocchiano. Il vescovo depone la mitra e il pastorale, si alza e, con le mani stese sui neoprofessi inginocchiati davanti a lui, dice la solenne preghiera di benedizione. 763. Terminata la benedizione dei neoprofessi, se, secondo le consuetudini della famiglia religiosa, bisogna consegnare alcuni simboli della professione, i religiosi neoprofessi si alzano e si presentano al vescovo che siede con mitra e consegna a ciascuno i propri simboli, o in silenzio, o con la formula prevista nel proprio rituale. Frattanto tutti siedono e si canta l'antifona: Beato chi abita la tua casa con il salmo 84, o un altro canto adatto. 764. Dopo la consegna dei simboli, diversamente terminata la solenne preghiera di benedizione, dove si usa o sembra opportuno, il vescovo o il superiore, con parole adatte, può indicare l'aggregazione perpetua dei religiosi neoprofessi all'istituto; ciò si può fare anche con lo scambio della pace con il quale il vescovo, il superiore e i confratelli esprimono l'amore fraterno nei confronti dei religiosi neoprofessi, secondo le consuetudini della famiglia religiosa. Frattanto si canta l'antifona: Quant'è buono, con il salmo 133 o un altro canto adatto. 765. Infine i religiosi neoprofessi ritornano al posto loro assegnato. Riprende allora la messa. Il simbolo si dice secondo le rubriche, si omette invece la preghiera universale. Mentre si esegue il canto di offertorio, alcuni religiosi neoprofessi portano opportunamente all'altare il pane, il vino e l'acqua per il sacrificio eucaristico. Nelle preghiere eucaristiche si aggiungano le intercessioni proprie. Il vescovo dà la pace ai singoli religiosi neoprofessi. 766. Dopo che il vescovo si è comunicato al corpo e al sangue del Signore, i neoprofessi si accostano all'altare per ricevere la comunione sotto le due specie. Dopo di loro possono ricevere la comunione nello stesso modo i confratelli, i genitori e i parenti. 767. Terminata l'orazione dopo la comunione, i religiosi or ora consacrati a Dio stanno in piedi davanti all'altare. Allora il vescovo riceve la mitra e saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le mani distese sui professi, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: E su tutti voi, tracciando un segno di croce sul popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120-1121. 768. Dopo che il vescovo ha impartito la benedizione, il diacono congeda il popolo dicendo: La messa è finita: andate in pace, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Capitolo V - La professione perpetua delle religiose Premesse 769. La vita consacrata a Dio con i voti religiosi è sempre stata in grande onore nella Chiesa, che fin dai primi secoli ha ornato di sacri riti la professione religiosa. Anche ai nostri tempi la Chiesa mantiene ininterrotta questa tradizione: infatti essa riceve i voti di coloro che li emettono e per loro chiede a Dio, con la sua preghiera pubblica, l'aiuto della sua grazia, a lui li raccomanda e dà loro la benedizione spirituale, associando la loro offerta al sacrificio eucaristico. Tale aspetto della vita della Chiesa si manifesta soprattutto quando il vescovo, come il grande sacerdote dal quale deriva e dipende la vita dei fedeli nella diocesi, presiede alla professione perpetua delle religiose presenti nella sua diocesi, durante la celebrazione solenne della messa. 770. Il rito della professione si compie ordinariamente nella chiesa della famiglia religiosa a cui appartengono le candidate che devono emettere la professione. Se poi si riterrà opportuno, per motivi pastorali oppure a lode della vita religiosa e per favorire l'edificazione e il concorso del popolo di Dio, il rito si potrà compiere convenientemente nella chiesa cattedrale o in una chiesa parrocchiale o in un'altra chiesa insigne: ciò sembra da raccomandarsi molto dove candidate di due o più famiglie religiose desiderano emettere la professione durante il medesimo sacrificio eucaristico celebrato con la presidenza dei vescovo. Ciascuna candidata pronuncerà i voti davanti alla sua superiora. È opportuno che i sacerdoti che partecipano alla celebrazione concelebrino con il vescovo. Il vescovo sia assistito almeno da un diacono e durante lo svolgimento dei rito ci siano a disposizione dei ministri. 771. Per celebrare il rito della professione perpetua si sceglie lodevolmente una domenica o una solennità dei Signore, della beata vergine Maria o di santi che si distinsero nella vita religiosa. 772. Nei giorni in cui sono permesso le messe rituali, si può dire la messa nel giorno della professione perpetua, con le letture proprie, usando il colore bianco. Se tuttavia non si dice la messa rituale, una delle letture può essere scelta fra quelle proposte nel "Lezionario" per la medesima messa. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici, si dice la messa del giorno con le sue letture. Si può sempre proclamare la formula della benedizione finale propria della messa rituale. 773. Oltre alle sacre vesti e a quanto è necessario per la celebrazione della messa, si preparino: a) il rituale della professione religiosa; b) i simboli della professione religiosa, qualora le norme e le consuetudini della famiglia religiosa ne prevedano la consegna; c) un calice di grandezza sufficiente per la comunione sotto le due specie; d) in un luogo opportuno dei presbiterio la sede per la superiora che deve ricevere la professione delle sorelle; e) le sedi per le candidate alla professione, disposte in modo che tutta l'azione liturgica possa essere vista bene dai fedeli. Il rito della professione si svolge alla cattedra o davanti all'altare o in un luogo più adatto. Descrizione del rito 774. All'ingresso la processione si svolge come al solito e ad essa partecipano lodevolmente le candidate alla professione, accompagnate dalla superiora e dalla maestra. Giunti in presbiterio e fatta la debita riverenza all'altare, tutti prendono il posto loro assegnato. 775. I riti iniziali e la liturgia della parola fino al vangelo compreso, si svolgono nel modo consueto. 776. Proclamato il vangelo, il vescovo, ricevuti mitra e pastorale, siede alla cattedra o si reca alla sede. Anche il popolo siede; le candidate alla professione invece rimangono in piedi. Allora si tiene l'appello o la richiesta delle candidate. Il diacono o la maestra chiama per nome le singole candidate ed esse rispondono: Eccomi, o in un altro modo secondo l'uso della famiglia religiosa o del luogo. Poi il vescovo interroga le candidate circa la loro volontà, come è indicato nel rituale. Al posto dell'appello si può fare la richiesta: una delle candidate, in piedi, a nome di tutte, rivolta verso la superiora, chiede l'ammissione alla professione, con la formula prevista nel rituale o con altra simile. Alla fine tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, o in un altro modo. 777. A questo punto anche le candidate siedono e il vescovo, seduto con mitra e pastorale, a meno che non gli sembri opportuno fare diversamente, tiene l'omelia nella quale illustra non solo le letture bibliche, ma anche il dono e l'ufficio della professione religiosa per la santificazione delle elette, per il bene della Chiesa e di tutta l'umana famiglia. 778. Terminata l'omelia, le candidate si alzano e il vescovo chiede loro se sono disposte a consacrarsi a Dio e a praticare la perfetta carità secondo la regola o le costituzioni della famiglia religiosa, ponendo le domande proposte nel "Rituale Romano" o nel proprio rituale terminate le domande, il vescovo conferma la volontà delle candidate dicendo: Dio, che ha iniziato in voi quest'opera buona, altre parole simili. 779. Quindi il vescovo depone il pastorale e la mitra e si alza; ugualmente si alzano tutti gli altri. Il vescovo, stando in piedi, a mani giunte, dice l'invito: Fratelli carissimi, rivolgiamo umilmente la nostra preghiera. Poi il diacono pronunzia la monizione: Inginocchiamoci; allora il vescovo e tutti i presenti si inginocchiano; le candidate invece, secondo la consuetudine del luogo o della famiglia religiosa, si prostrano o si inginocchiano. Nel tempo pasquale e nelle domeniche invece, il diacono non dice: Inginocchiamoci; le candidate però si prostrano, mentre tutti gli altri restano in piedi. Allora i cantori iniziano le litanie, a cui tutti rispondono. Al posto adatto si possono inserire le invocazioni di quei santi che sono particolarmente venerati dalla famiglia religiosa o dal popolo; inoltre, secondo l'opportunità, si possono inserire alcune invocazioni più adatte alle singole circostanze: infatti le litanie tengono il posto della preghiera universale. 780. Terminate le litanie, il vescovo, stando in piedi, a mani allargate, proclama l'orazione: Accogli, Signore, le invocazioni del tuo popolo. Quindi il diacono, se prima aveva invitato a genuflettere, dice: Alzatevi, e tutti si alzano. 781. Il vescovo siede e riceve la mitra e il pastorale. Due sorelle già professe, che, secondo la consuetudine della famiglia religiosa, adempiono lo speciale ufficio di testimoniano si avvicinano e stanno presso la superiora. Le candidate si presentano, a una a una, alla superiora e leggono la formula della professione, già scritta opportunamente prima, di proprio pugno. Quindi, la neoprofessa si reca lodevolmente all'altare e vi depone il foglio della formula della professione; firma poi sullo stesso altare, se si può fare comodamente, il documento della professione. Ciò fatto, ritorna al posto assegnatole. 782. Ciò compiuto, le neoprofesse, in piedi, possono cantare l'antifona Accoglimi, Signore, o un altro canto adatto che esprima il senso della loro consacrazione e la loro gioia. 783. Quindi le religiose neoprofesse si inginocchiano. Il vescovo depone la mitra e il pastorale, si alza e, con le mani stese sulle neoprofesse inginocchiate davanti a lui, dice la solenne preghiera di benedizione. 784. Terminata la benedizione delle neoprofesse, se, secondo le consuetudini della famiglia religiosa, bisogna consegnare alcuni simboli della professione, le religiose neoprofesse si alzano e si presentano al vescovo che siede con mitra e consegna a ciascuna i propri simboli, o in silenzio, o con la formula prevista nel proprio rituale. Cosi, per esempio, se devono essere consegnati gli anelli, le neoprofesse si alzano e si presentano al vescovo che li consegna a ognuna di esse, dicendo la formula prevista. Se poi le religiose neoprofesse sono molte o quando vi è una giusta causa, il vescovo può dire una volta sola per tutte la formula della consegna dell'anello. Le neoprofesse si presentano poi al vescovo per ricevere l'anello. Frattanto il coro, insieme con l'assemblea, esegue l'antifona Il mio sposo è Cristo con il salmo 45, o un altro canto adatto. 785. Ciò compiuto, dove si usa o sembra opportuno, il vescovo o la superiora, con parole adatte, può indicare l'aggregazione perpetua delle sorelle neoprofesse alla famiglia religiosa; ciò si può fare anche con lo scambio della pace con il quale il vescovo, in modo conveniente, e poi la superiora e, le consorelle esprimono l'amore fraterno nei confronti delle religiose neoprofesse. Frattanto si canta l'antifona: Quanto sono amabili le tue dimore, con il salmo 84 o un altro canto adatto. 786. Infine le religiose neoprofesse ritornano al posto loro assegnato. Riprende allora la messa. Il simbolo si dice secondo le rubriche, si omette invece la preghiera universale. Mentre si esegue il canto di offertorio, alcune religiose neoprofesse portano opportunamente all'altare il pane, il vino e l'acqua per il sacrificio eucaristico. Nelle preghiere eucaristiche si aggiungano le intercessioni proprie. Il vescovo dà la pace in modo conveniente alle religiose neoprofesse. 787. Dopo che il vescovo si è comunicato al corpo e al sangue del Signore, le neoprofesse si accostano all'altare per ricevere la comunione sotto le due specie. Dopo di loro possono ricevere la comunione nello stesso modo le consorelle, i genitori e i parenti. 788. Terminata l'orazione dopo la comunione, le religiose or ora consacrate a Dio stanno in piedi davanti all'altare. Allora il vescovo riceve la mitra e saluta il popolo dicendo: Il Signore sia con voi. Allora uno dei diaconi può dire l'invito alla benedizione e il vescovo, con le mani distese sulle neoprofesse, proclama le invocazioni della benedizione. Quindi riceve il pastorale e dice: E su tutti voi, tracciando un segno di croce sul popolo. Il vescovo può impartire la benedizione anche con le formule proposte più sotto ai nn. 1120 -1121. 789. Dopo che il vescovo ha impartito la benedizione, il diacono congeda il popolo dicendo: La messa è finita: andate in pace, e tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Capitolo VI - L'istituzione dei lettori e degli accoliti Premesse 790. I ministeri dei lettore e dell'accolito devono essere conservati nella Chiesa latina; essi possono essere conferiti a cristiani laici di sesso maschile, in modo che non siano più considerati come riservati ai candidati al sacramento dell'ordine. Tuttavia i candidati al diaconato e al presbiterato debbono ricevere i ministeri del lettore e dell'accolito, se non l'hanno già fatto, ed esercitarli per un conveniente periodo di tempo, perché meglio si dispongano ai futuri servizi della Parola, e dell'altare. 791. I ministeri dei lettore e dell'accolito non possono essere conferiti assieme in una sola volta alle medesime persone, so non sono stati rispettati fra i due gli interstizi stabiliti dalla Sede apostolica o dalla conferenza episcopale. 792. I ministeri sono conferiti dal vescovo o, negli istituti clericali di perfezione, dal superiore maggiore, durante la messa o durante una celebrazione della Parola di Dio. 793. Il vescovo, nello svolgimento del rito, abbia presso di sé un diacono o un presbitero per l'appello dei candidati e gli altri ministri necessari. Il rito si svolge alla cattedra o alla sede, a meno che, per favorire la partecipazione dei popolo, non sembri più opportuno preparare un'altra sede davanti all'altare. Se il rito è celebrato durante la messa, il vescovo indossa le vesti sacre richieste per la celebrazione eucaristica e porta la mitra e il pastorale; se invece il rito è celebrato al di fuori della messa, può indossare la croce pettorale, la stola e il piviale di colore conveniente sopra il camice, oppure può assumere soltanto la croce e la stola sopra il rocchetto e la mozzetta: in questo caso non porta la mitra e il pastorale. I. L'istituzione dei lettori 794. Il lettore è istituito per l'ufficio, a lui proprio, di proclamare la Parola di Dio nell'assemblea liturgica. Pertanto, nella messa e nelle altre azioni sacre proclama le letture della sacra scrittura, eccettuato il vangelo. Inoltre al tenore viene affidato il particolare compito, nel popolo di Dio, di educare i fanciulli e gli adulti nella fede e di guidarli a ricevere degnamente i Sacramenti. 795. Per lo svolgimento dei rito si preparino: a) se il ministero viene conferito durante la messa, tutto quanto è necessario per la celebrazione della messa; diversamente le vesti indicate più sotto al n. 804; b) il "Pontificale Romano"; c) il libro della sacra scrittura; d) la sede per il vescovo; e) le sedi di coloro che devono essere istituiti lettori, disposte in un luogo adatto del presbiterio, in modo che l'azione liturgica possa essere vista bene dai fedeli; f) se il rito è celebrato durante la messa e si distribuisce la comunione sotto le due specie, un calice di sufficiente grandezza. 796. L'istituzione dei lettori durante la messa Si può dire la messa per i ministri della Chiesa, con le letture proprie del rito di istituzione, usando il colore bianco o festivo. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-9 della tabella dei giorni liturgici, si dice la messa dei giorno. Quando non si dice la messa per i ministri della Chiesa, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel "Lezionario" per il rito di istituzione, a meno che non ricorrano i giorni indicati ai nn. 1-4 delle tabella dei giorni liturgici. 797. I riti iniziali e la liturgia della Parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 798. Dopo la proclamazione del vangelo, il vescovo siede alla cattedra o alla sede preparata nel luogo più adatto, riceve la mitra e, convenientemente, il pastorale. Mentre tutti stanno seduti, il diacono o il presbitero a ciò incaricato, chiama li candidati, dicendo: Si presentino i candidati al ministero di lettori. I candidati vengono chiamati per appello nominale. Ognuno risponde: Eccomi. Quindi va davanti al vescovo, gli fa riverenza e torna la proprio posto. 799. Allora il vescovo tiene l'omelia, nella quale vengono spiegati al popolò sia i testi della sacra scrittura appena proclamati, sia il ministero di lettore. Il vescovo conclude l'omelia rivolgendosi direttamente ai candidati con le parole indicate nel pontificale, o con altre simili. 800. Terminata l'esortazione il vescovo, senza mitra e pastorale, si alza, e tutti si alzano con lui. I candidati si inginocchiamo davanti a lui. Il vescovo invita i fedeli alla preghiera, dicendo, a mani giunte: E ora supplichiamo Dio Padre. Allora tutti pregano per breve tempo in silenzio; quindi il vescovo, stando in piedi e tenendo le mani allargate, recita sui candidati la preghiera di benedizione: O Dio, fonte di bontà e di luce. 801. Quindi tutti siedono. Il vescovo siede e riceve la mitra. I candidati si alzano e si accostano al vescovo, che consegna ad ognuno di loro il libro della sacra scrittura, dicendo: Ricevi il libro delle sacre scritture. Frattanto, specialmente se i candidati sono molti, si canta il salmo 19 o un altro canto adatto. 802. Terminati questi riti, la messa prosegue nel modo consueto o con il simbolo, se si deve recitarlo, o con la preghiera universale, nella quale si fanno particolari suppliche per i lettori appena istituiti. 803. I lettori e i loro genitori e parenti possono ricevere la comunione sotto le due specie. 804. L'istituzione dei lettori con la celebrazione della Parola di Dio Il vescovo può indossare la croce pettorale, la stola e il piviale di colore conveniente, sopra il camice; oppure può assumere soltanto la croce e la stola sopra il rocchetto e la mozzetta; in questo caso non porta la mitra e il pastorale. 805. Prima del saluto dei vescovo, la celebrazione può iniziare con un'antifona o un canto adatto; quindi si può proclamare l'orazione colletta dalla messa per i ministri della Chiesa. La liturgia della Parola si svolge nel medesimo modo in cui si svolge durante la messa, inserendo opportunamente alcuni canti fra le letture. 806. L'istituzione del lettori si svolge nel modo indicato più sopra ai nn. 799-801. 807. Il rito dell'istituzione si conclude con la preghiera universale e la preghiera dei Signore. Quindi il vescovo benedice i presenti nel modo consueto, come è Indicato più sotto ai nn. 1120-1121; il diacono poi li congeda, dicendo: Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, e si allontanano. II. L'istituzione degli accoliti 808. L'accolito è istituito per aiutare il diacono e prestare servizio al sacerdote, dunque suo compito curare il servizio dell'altare, aiutare il diacono e il sacerdote nelle azioni liturgiche, specialmente nella celebrazione della santa messa; inoltre distribuire, come ministro straordinario, la santa comunione. Inoltre in circostanze straordinarie potrà essere incaricato di esporre pubblicamente all'adorazione dei fedeli la santa eucaristia e poi di riporla, ma non di impartire la benedizione con il santissimo sacramento. 809. L'istituzione degli accoliti si svolge soltanto durante la messa. 810. Per lo svolgimento del rito, oltre alle vesti sacre, si preparino: a) quanto è necessario per la celebrazione della messa; b) il "Pontificale Romano"; c) la patena con il pane o il calice con il vino da consacrare; d) la sede per il vescovo; e) le sedi di coloro che devono essere istituiti accoliti, disposte in un luogo adatto del presbiterio, in modo che l'azione liturgica possa essere vista bene dal fedeli; f) un calice di sufficiente grandezza per la comunione sotto le due specie. 811. Si può dire la messa per i ministri della Chiesa, con le letture proprie del rito di istituzione, usando il colore bianco o festivo. Quando invece ricorrono i giorni indicati ai nn. 1-9 della tabella dei giorni liturgici, si dice la messa del giorno. Quando non si dice la messa rituale, una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel lezionario per il rito di istituzione, a meno che non ricorrano i giorni indicati ai nn. 1-4 delle tabella dei giorni liturgici. 812. I riti iniziali e la liturgia della Parola, fino al vangelo incluso, si svolgono nel modo consueto. 813. Dopo la proclamazione del vangelo, il vescovo siede alla cattedra o alla sede preparata nel luogo più adatto, riceve la mitra e, convenientemente, il pastorale. Mentre tutti stanno seduti, il diacono o il presbitero a ciò incaricato, chiama i candidati, dicendo: Si presentino i candidati al ministero di accoliti. I candidati vengono chiamati per appello nominale. Ognuno risponde: Eccomi. Quindi va davanti al vescovo, gli fa riverenza e torna al proprio posto. 814. Allora il vescovo tiene l'omelia, nella quale vengono spiegati al popolo sia i testi della sacra scrittura appena proclamati, sia il ministero di accolito. Il vescovo conclude l'omelia rivolgendoci direttamente ai candidati con le parole indicate nel pontificale, o con altre simili. 815. Terminata l'esortazione il vescovo, senza mitra e pastorale, si alza, e tutti si alzano con lui. I candidati si inginocchiamo davanti a lui. Il vescovo invita i fedeli alla preghiera, dicendo, a mani giunte: E ora preghiamo umilmente Dio nostro Padre. Allora tutti pregano per breve tempo in silenzio; quindi il vescovo stando in piedi e tenendo le mani allargate, recita sui candidati la preghiera di benedizione: Padre clementissimo, che per mezzo del tuo unico Figlio. 816. Quindi tutti siedono. Il vescovo siede e riceve la mitra. I candidati si alzano e si accostano al vescovo, che con a ciascuno di loro la patena con il pane o il calice con il vino da consacrare, dicendo: Ricevi il vassoio con il pane [ il calice con il vino ]. Frattanto, specialmente se i candidati sono molti, si canta un salmo o un altro canto adatto. 817. Terminati questi riti, la messa prosegue nel modo consueto o con il simbolo, se si deve recitarlo, o con la preghiera universale, nella quale si fanno particolari suppliche per gli accoliti appena istituiti. 818. Gli accoliti o, se sono in molti, alcuni di essi, durante la preparazione dei doni portano la patena con il pane e il calice con il vino. 819. Gli accoliti e i loro genitori e parenti possono ricevere, la comunione sotto le due specie. Gli accoliti ricevono la comunione subito dopo i diaconi. 820. Il vescovo può disporre che l'accolito, come ministro straordinario dell'eucaristia, nella messa della sua istituzione lo aiuti a distribuire ai fedeli la santa comunione. Capitolo VII - "I Funerali che Presiede il Vescovo" Premesse 821. È molto opportuno che il vescovo, in quanto annunciatore della fede e ministro della consolazione, presieda, secondo la possibilità, i funerali che si svolgono con grande presenza di popolo, soprattutto quando si tratta di un vescovo di un presbitero defunto. 822. Per celebrare il funerale siano fatti questi preparativi: a) in sacrestia o nel luogo più adatto: - le vesti sacre di colore destinato al funerale; - per il vescovo: la veste bianca, la stola, la croce pettorale, il piviale per la processione e la celebrazione della parola Dio, la casula per la messa, la mitra semplice, il bastone pastorale; - per i concelebranti: le vesti per la messa; - per i diaconi: le vesti bianche, le stole ( dalmatiche ); - per gli altri ministri: le vesti bianche o altre vesti legittimamente approvate. b) in casa del defunto: - il Rituale Romano; - la croce da portare in processione ed i candelabri; - il contenitore dell'acqua benedetta con l'aspersorio; - Il turibolo con la navicella dell'incenso ed il cucchiaio. c) In presbiterio: - ciò che è richiesto per la celebrazione della Messa o per la celebrazione della Parola di Dio. d) Presso il luogo dove viene deposto il feretro: - il cero pasquale; - ciò che è richiesto per il rito della raccomandazione, se non è stato portato nella processione dalla casa del defunto. 823. Nella celebrazione del funerale non vi sia alcuna menzione di persone o situazioni private tanto nella cerimonia quanto nella processione esterna, eccetto la distinzione che deriva dall'ufficio liturgico e dall'ordine sacro ed eccetto gli onori dovuti alle autorità civili a norma delle leggi liturgiche. Si deve lodevolmente mantenere la consuetudine di deporre il defunto in quella posizione che gli fu abituale nell'assemblea liturgica, cioè il ministro ordinato con il volto rivolto al popolo, il laico con il volto rivolto all'altare. 824. Nella celebrazione del funerale sia assolutamente mantenuta una nobile semplicità. Il feretro è dunque lodevolmente posto sopra il pavimento e vicino al feretro è collocato il cero pasquale. Sopra il feretro viene posto il Vangelo, oppure il libro delle Sacre Scritture oppure la croce. Se il defunto è un ministro ordinato, si possono deporre le insegne del suo ordine, secondo la tradizione locale. L'altare non sia ornato di fiori. Il suono dell'organo e degli altri strumenti è permesso solo per accompagnare i canti. II. Descrizione del rito 825. Soprattutto quando un altro ( vescovo ) svolge il funerale di un vescovo, tenuto conto delle consuetudini locali e delle ragioni di opportunità, è preferibile il primo tipo di funerale previsto nel Rituale Romano, il quale è composto da tre stazioni, cioè in casa del defunto, in chiesa e nel cimitero, con due processioni intermedie. Questo nel caso in cui un vescovo presieda lodevolmente anche la stazione in casa del defunto e la prima processione. Qualora il vescovo non si rechi personalmente alla casa del defunto e sia comunque necessario fare questa stazione, sia celebrata da uno dei presbiteri cui compete ciò; il vescovo aspetti in chiesa alla cattedra o in sacrestia. 826. Nel caso in cui il vescovo presiede la stazione in casa del defunto e la processione verso la chiesa, indossa nel luogo più adatto la veste bianca, la stola, la croce pettorale, il piviale del colore del funerale e prende la mitra semplice e il bastone pastorale. I concelebranti, qualora siano presenti alla messa, fin dall'inizio indossano le vesti richieste. I diaconi ed i ministri indossano le proprie vesti. 827. In casa del defunto il vescovo saluta con umanità i presenti, esprimendo loro la consolazione della fede. Poi viene detto un salmo adatto in forma responsoriale secondo l'opportunità. Quindi il vescovo, lasciati il pastorale e la mitra, aggiunge un'orazione adatta fra quelle che sono indicate nel Rituale Romano. 828. Se il trasporto del defunto alla chiesa avviene in processione, secondo l'uso per primo cammina il turiferario con il turibolo fumante, poi il ministro con la croce in mezzo a due accoliti che portano i candelabri, quindi i chierici ed i diaconi, che indossano la veste talare e la sopra il pelliceo, i presbiteri, vestiti del loro proprio abito corale, quindi i concelebranti, qualora siano presenti, ed il vescovo con la mitra ed il pastorale accompagnato da due diaconi, quindi i ministranti destinati al libro ed al pastorale che precedono il feretro. Frattanto si cantano salmi o altri canti adatti secondo la norma del Rituale Romano. 829. Se non viene fatta la stazione alla casa del defunto, il vescovo oppure uno fra i presbiteri alla porta della chiesa svolge tutto come sopra indicato nella casa del defunto. 830. All'ingresso in chiesa e all'inizio della messa, secondo l'uso, sia fatto un solo canto, come nel messale; tuttavia, qualora una speciale ragione pastorale lo richieda, si può aggiungere uno fra i responsori che sono indicati nel Rituale Romano. 831. Dopo che è arrivato all'altare, il vescovo depone il pastorale e la mitra, compie un gesto di venerazione all'altare e, secondo l'opportunità, ( lo ) incensa e si dirige alla sede dove lascia il piviale ed indossa la casula. Qualora ciò sembri più opportuno, il vescovo può lasciare il piviale e prendere la casula dopo essere arrivato all'altare e prima di venerarlo. Nel frattempo il defunto è deposto nel luogo adatto davanti all'altare nella posizione a lui dovuta, come detto sopra al n. 823. 832. La messa funebre è celebrata al modo consueto di tutte le messe. Nella seconda e terza preghiera eucaristica siano aggiunte le intercessioni proprie. 833. Dopo aver detto l'orazione dopo la comunione, anche qualora non abbia celebrato il vescovo, o, se non ha avuto luogo il sacrificio eucaristico, dopo la conclusione della liturgia della Parola, il vescovo, indossata la casula ( se è stata celebrata la messa ) o il piviale ( se è stata celebrata la liturgia della Parola ), prende la mitra, il pastorale e si dirige verso il feretro, dove, stando rivolto al popolo, avendo presso di sé un diacono e i ministri con l'acqua benedetta e l'incenso, compie il rito dell'estrema raccomandazione e saluto. Se il sepolcro si trova nella stessa chiesa, questo rito si svolge opportunamente al sepolcro. Poi avviene la processione e frattanto vengono fatti i canti come nel Rituale Romano. 834. Poi il vescovo stando di fronte al feretro, deposti pastorale e mitra, pronuncia l'invito Debitum humani corporis ( Dovuto del corpo umano ) o un altro invito simile. Tutti per un po' di tempo pregano in silenzio, poi il vescovo asperge ed incensa il corpo. Nel frattempo si canta venite santi di Dio o un altro responsorio come indicato nel Rituale Romano. L'aspersione e l'incensazione possono avvenire anche dopo il canto. In fine il vescovo dice l'orazione nelle tue mani o un'altra adatta. 835. Se il corpo viene portato dalla chiesa al cimitero, il vescovo aspetta alla cattedra mentre il corpo viene portato via dalla chiesa, oppure ritorna subito in sacrestia. Qualora il vescovo accompagni di persona in processione il funerale, allora la processione avviene come nella prima stazione e si possono cantare salmi e antifone, fra quelli che si trovano nel Rituale Romano. 836. Dopo essere arrivato al cimitero, il vescovo, se è il caso, benedice il sepolcro dopo aver deposto il pastorale e la mitra, e dopo aver detto l'orazione che si trova nel Rituale Romano, qualora ci sia l'abitudine, asperge con l'acqua benedetta e poi incensa la tomba ed il corpo del defunto. 837. La tumulazione avviene subito a alla fine del rito, secondo al consuetudine locale. Mentre il corpo è deposto nel sepolcro, o in un altro momento opportuno, il vescovo può dire l'ammonizione poiché piacque, che si trova nel Rituale Romano. 838. Poi il vescovo può dire la preghiera dei fedeli che si conclude con l'orazione fac quaesumus Domine ( fa', ti preghiamo, o Signore ), dicendo lui l'ammonizione, mentre un diacono pronuncia le intenzioni, o un'altra quelle che sono proposte nel Rituale Romano. In fine si aggiunge il versetto l'eterno riposo e si può fare qualche canto, secondo le abitudini locali. 839. Se il vescovo non celebra personalmente, presieda la liturgia della parola dalla cattedra mantenendo il piviale. Egli fa lo stesso se, non essendo svolto il sacrificio eucaristico, si svolge la liturgia della parola come indicato nel Rituale Romano. Nello svolgere i funerali di bambini o di adulti secondo altre forme previste nel Rituale Romano, il vescovo si comporta nel modo sopra descritto, adottate le opportune variazioni. Capitolo VIII - La Posa della Prima Pietra o l'Inizio dei Lavori per la Costruzione di una Chiesa Premesse 840. Quando si inizia la costruzione di una nuova chiesa è opportuno che sia celebrato il rito con il quale venga implorata la benedizione di Dio sulla realizzazione dell'opera e i fedeli siano ammoniti che il tempio da costruire in pietra abbia ad essere un segno visibile di quella chiesa o costruzione di Dio, ( Cf. 1 Cor 3,9 ) che essi stessi costituiscono. Secondo l'uso liturgico, questo rito è costituito dalla benedizione del sito della nuova chiesa e dalla benedizione e posa della prima pietra. Nel caso in cui, per la particolare tecnica e progetto costruttivo, non venga posata la prima pietra, è comunque opportuno che sia celebrato il rito della benedizione del sito della nuova chiesa per consacrare a Dio l'inizio dell'opera. 841. Si può compiere il rito della posa della prima pietra o dell'inizio di una nuova chiesa in qualsiasi giorno ed ora eccetto che nel triduo pasquale; si scelga piuttosto il giorno in cui i fedeli possano riunirsi in maggior numero. 842. Il rito è regolarmente celebrato dal vescovo della diocesi; se egli non può compierlo, affidi l'incarico ad un altro vescovo o presbitero, particolarmente a quello che ha come vicario o collaboratore nella cura pastorale della diocesi o della comunità per la quale la è costruita la nuova chiesa. 843. I fedeli siano per tempo informati sul giorno e sull'ora della celebrazione e siano istruiti, dal parroco a da altri ai quali spetta, sul senso del rito nonché sulla venerazione cui sarà destinata la chiesa che viene costruita per loro. È opportuno che anche i fedeli siano invitati a provvedere all'opera in modo spontaneo e volenteroso nell'edificazione della chiesa. 844. Si faccia in modo che, per quanto possibile, il sito della costruzione della chiesa sia ben delimitato e si possa facilmente girargli intorno. 845. Nel luogo in cui sarà eretto l'altare sia fatta una croce di legno di altezza opportuna. 846. Per la celebrazione del rito siano preparati: a) il Pontificale Romano, il Lezionario; b) la sede per il vescovo; c) la prima pietra, se è possibile, che secondo tradizione è quadrata e angolare, nonché il cemento e gli strumenti per porre la pietra nelle fondamenta; d) il vaso dell'acqua benedetta con l'aspersorio; e) il turibolo con la navicella dell'incenso ed il cucchiaio; f) la croce processionale con le torce per i ministri. Siano disposti gli opportuni strumenti tecnici affinché il popolo riunito possa ascoltare chiaramente le letture, le preghiere, le esortazioni. 847. Per celebrare il rito siano utilizzati sacri paramenti di colore bianco o festivo. Siano in oltre preparati: a) per il vescovo: la veste bianca, la stola, la croce pettorale, il piviale, la mitra, il bastone pastorale; b) per i diaconi: le vesti bianche, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; c) per gli altri ministri: le vesti bianche o altre vesti regolarmente approvate. I. Arrivo al luogo dove saà costruita la chiesa 848. La riunione del popolo e l'arrivo al luogo dove si deve compiere il rito, secondo le caratteristiche dei tempi e dei luoghi, vengono opportunamente svolti secondo uno dei due modi che sono sotto descritti. 849. Primo modo: La processione All'ora stabilita avviene la riunione in un luogo adatto da dove i fedeli si recheranno in processione al luogo stabilito. 850. Il vescovo, vestito delle sacre vesti, portando mitria e pastorale, o, secondo il caso, vestito con rocchetto, mozzetta, croce pettorale e stola ( in questo caso senza mitria e pastorale ), raggiunge con i ministri il popolo riunito e, deposti mitria e pastorale, lo saluta dicendo la grazia del Signore nostro Gesù Cristo o altre parole. Poi il vescovo parla brevemente ai fedeli per prepararli alla celebrazione e spiegare il senso del rito. 851. Completata la monizione il vescovo dice: Preghiamo. Tutti pregano per un po' di tempo in silenzio. Poi il vescovo prosegue: Dio, che la santa Chiesa. 852. Completata l'orazione il vescovo prende la mitria e il pastorale ed il diacono, se possibile, ammonisce: procediamo in pace. Si svolge la processione: per primo il ministro con il turibolo fumante, segue il portatore della croce in mezzo a due ministri con le torce accese, il clero, poi il vescovo con i diaconi assistenti e gli altri ministri, infine i fedeli. Mentre si sviluppa la processione viene cantato il salmo 84 con l'antifona l'anima mia desidera o un altro canto adatto, poi avviene la lettura della parola di Dio, come descritto sotto nn. 855-857. 853. Altro modo: stazione al luogo in cui deve essere costruita la nuova chiesa Se la processione non può essere svolta o non pare opportuna, i fedeli siano riuniti nel luogo in cui la nuova chiesa deve essere costituita. Dopo che il popolo si è riunito si canta l'acclamazione L'eterna pace o un altro canto adatto. Nel frattempo il vescovo, indossando la veste bianca, la croce pettorale, la stola ed il piviale, o, secondo l'opportunità, il rocchetto, la mozzetta, la croce pettorale e la stola ( in questo caso senza mitria e pastorale ), raggiunge il popolo e, deposti mitria e pastorale, lo saluta dicendo: la grazia del Signore nostro Gesù Cristo o altre parole adatte. Il popolo risponde e con il tuo spirito o altre parole adatte. Poi il vescovo dice poche parole ai fedeli per prepararli alla celebrazione e spiegare il senso del rito. 854. Completata la monizione il vescovo dice: Preghiamo. Tutti pregano per un po' di tempo in silenzio. Poi il vescovo prosegue: Dio, che la santa Chiesa. II. Lettura della parola di Dio 855. Poi il vescovo siede e prende il pastorale e la mitra. Quindi vengono letti uno o più testi adatti della sacra scrittura, fra quelli che sono proposti nel lezionario per il rito della dedicazione di una chiesa, con l'intermezzo del salmo responsoriale stabilito o di un altro canto adatto. 856. Completate le letture il vescovo, sedendo con pastorale e mitra, qualora non gli sembri opportuno fare altrimenti, tiene l'omelia, nella quale illustra opportunamente le letture bibliche e spiega il senso del rito: che Cristo è la pietra angolare della sua Chiesa e che il tempio che la chiesa viva dei fedeli sta per costruire, sarà la casa di Dio e, contemporaneamente, la casa del popolo di Dio. 857. Dopo l'omelia, secondo la tradizione locale, si può leggere l'atto della benedizione della prima pietra e di inizio di costruzione della chiesa, che deve essere firmato dal vescovo e dai rappresentanti di coloro che si adopereranno per la realizzazione della chiesa, e deve essere posto nelle fondamenta insieme alla prima pietra. III. Benedizione del sito della nuova chiesa 858. Completata l'omelia, il vescovo depone il pastorale e la mitria, si alza e benedice il sito della nuova chiesa dicendo, con le mani aperte, l'orazione Dio, che nella tua santità. Poi, ripresa la mitria e accompagnato dai diaconi, asperge con l'acqua benedetta il sito della nuova chiesa che può attraversare oppure stando in mezzo, oppure passando in processione attorno alle fondamenta; in questo caso si canta l'antifona pietre preziose con il salmo 48, o un altro canto adatto. IV. Benedizione e posa della prima pietra 859. Conclusa la benedizione del sito, se bisogna posare la prima pietra, viene benedetta e posata qui, come si dice di seguito nn. 860-861; altrimenti si svolge la conclusione del rito, come indicato di seguito nn. 862-863. 860. Il vescovo con i diaconi assistenti si reca sul luogo dove va posta la prima pietra e, deposta la mitra, benedice la pietra stessa dicendo l'orazione signore, Padre santo e, secondo l'opportunità, asperge la pietra con l'acqua benedetta e la incensa. Poi riprende la mitra. 861. Conclusi questi riti, il vescovo posa la prima pietra nelle fondamenta in silenzio o, secondo l'opportunità, dicendo al formula nella fede di Gesù Cristo o altre parole adatte. Poi il muratore mura la pietra con il cemento mentre, se è il caso, si fa l'acclamazione è ( stata ) ben fondata o un altro canto adatto. V. Conclusione del rito 862. Concluso il canto, il vescovo ascia la mitra. Quindi viene fatta la preghiera universale, come è indicato nel pontificale o con parole simili. Segue l'orazione dominica che il vescovo introduce. Poi aggiunge l'orazione ti magnifichiamo. 863. Quindi il vescovo, presi mitra e pastorale, benedice il popolo nel modo consueto indicato di seguito nn. 1120-1121. Poi il diacono congeda il popolo dicendo andate in pace e tutti rispondono rendiamo grazie a Dio. Capitolo IX - Dedicazione di una Chiesa Premesse 864. Fin dall'antichità, il nome « chiesa » è stato esteso all'edificio in cui la comunità cristiana si riunisce per ascoltare la parola di Dio, pregare insieme, ricevere i sacramenti e celebrare l'eucaristia. La chiesa, venendo costruita come edificio destinato in modo esclusivo e permanente a riunire il popolo di Dio e alla celebrazione dei santi misteri, diventa casa di Dio e conviene che sia dedicata al Signore con un rito solenne, secondo l'antichissima consuetudine della Chiesa. Se invece la chiesa non viene dedicata, almeno viene benedetta con il rito descritto più sotto ai nn. 954-971. Quando viene dedicata una chiesa, tutto ciò che si trova in essa, come il fonte battesimale, la croce, le immagini, l'organo, le campane, le stazioni della « Via crucis », sia ritenuto benedetto ed inaugurato con il rito stesso della dedicazione, così che non è necessaria una nuova benedizione o inaugurazione. 865. Ogni chiesa per essere dedicata deve avere un titolo: la ss. Trinità; nostro Signore Gesù Cristo, con riferimento a un mistero della sua vita o a un titolo già ammesso nella sacra liturgia; lo Spirito Santo; la beata vergine Maria anch'essa con un appellativo già accolto nella sacra liturgia; i santi Angeli oppure un santo iscritto nel "Martirologio Romano" o nella sua appendice debitamente approvata; non invece un beato, senza indulto della Sede Apostolica. Il titolo della chiesa deve essere uno solo, a meno che non si tratti, di santi che il Calendario riporta uniti. 866. Sarà opportunamente conservata la tradizione della liturgia romana di deporre sotto l'altare reliquie di martiri o di altri santi. Si tengano però presenti questo avvertenze: a) Le reliquie che devono essere deposte siano di grandezza tale da lasciar intendere che si tratta di parti del corpo umano. Si deve quindi evitare la deposizione di reliquie troppo minuscole di uno o più moti. b) Ci si assicuri con la massima diligenza, che le reliquie siano autentiche, meglio dedicare un altare senza reliquie, che deporre sotto di esso reliquie la cui autenticità non sia comprovata. c) Il cofano delle reliquie non si deve sistemare sull'altare né includere nella mensa dell'altare, ma si deve deporre sotto la mensa stessa, tenuta presente la struttura dell'altare. 867. Spetta al vescovo, a cui è affidata la cura di una Chiesa particolare, dedicare a Dio le nuove chiese erette nella sua diocesi. Se tuttavia il vescovo diocesano si trova nell'impossibilità di presiedere lui stesso il rito, ne affiderà il compito ad un altro vescovo, specialmente se suo coadiutore o ausiliare nella cura pastorale dei fedeli per i quali la nuova chiesa è stata costruita; in circostanze dei tutto particolari, il vescovo potrà, con speciale mandato, delegare un presbitero. 868. Per la dedicazione di una nuova chiesa si scelga un giorno in cui i fedeli possano accorrere numerosi, preferibilmente la domenica. Trattandosi di un rito nel quale tutto è riferito alla dedicazione e al suo significato, non si può dedicare una nuova chiesa in quei giorni nei quali ricorre un mistero la cui celebrazione non conviene affatto omettere: triduo pasquale, natale, epifania, ascensione, pentecoste, mercoledì delle ceneri, ferie della settimana santa, commemorazione di tutti i fedeli defunti. 869. La celebrazione della messa è intimamente legata al rito della dedicazione della chiesa; si omettono quindi i testi della liturgia dei giorno e si usano in loro vece, sia per la liturgia della Parola che per quella eucaristica, i testi propri del rito della dedicazione. È bene che il vescovo concelebri la messa con i presbiteri che lo coadiuvano nel rito della dedicazione e con quelli ai quali è affidata la cura pastorale della parrocchia o della comunità per la quale la chiesa è stata costruita. 870. Si celebra l'ufficio della dedicazione di una chiesa. L'ufficio comincia dai primi vespri. Là dove si svolge il rito della deposizione delle reliquie di un martire o di un santo, è molto opportuno celebrare la veglia dinanzi alle reliquie stesse che verranno poi deposte sotto l'altare. Ottima cosa è celebrare l'ufficio delle letture, preso dal comune o dal proprio rispettivo. Ferme restando le norme stabilite in "Principi e norme della liturgia delle ore", la veglia sia opportunamente adattata, allo scopo di favorire la partecipazione del popolo. 871. Per ottenere una fruttuosa partecipazione dei fedeli al rito della dedicazione, è bene che il rettore della chiesa che deve essere dedicata, coadiuvato da esperti nell'attività pastorale, li istruisca sull'importanza della celebrazione e sul suo significato spirituale, ecclesiale e missionario. 872. Spetta al vescovo e a coloro che curano lo svolgimento del rito: a) stabilire il modo dell'ingresso nella chiesa ( cf. più sotto i nn. 879-891 ); b) determinare le modalità della consegna della nuova chiesa al vescovo ( cf più sotto in. 883, n. 888, n. 891 ); c) decidere sull'opportunità della deposizione delle reliquie dei santi; a questo proposito si tenga anzitutto presente il bene spirituale dei fedeli e si osservino le norme prescritte più sopra al n. 866. Spetta al rettore della chiesa e ai suoi collaboratori nell'attività pastorale stabilire e preparare tutto ciò che riguarda le letture, i canti, come anche i sussidi pastorali per favorire la fruttuosa partecipazione dei popolo e per assicurare il decoro della celebrazione. 873. Per celebrare il rito della dedicazione si preparino: a) Nel luogo fissato per il raduno: - il "Pontificale Romano" - la croce processionale; - se si devono portare processionalmente le reliquie dei santi, tutto ciò che è indicato al n. 876 a. b) Nel secretarium o nel presbiterio o nella navata della chiesa che deve essere dedicata, a seconda dei singoli oggetti: - il "Messale Romano"e il "Lezionario" - il secchiello con l'acqua che deve essere benedetta con l'aspersorio; - i vasetti del sacro crisma; - le tovaglie per astergere la mensa dell'altare; - se è il caso, una tela incerata o impermeabile della misura dell'altare; - un catino e una brocca con l'acqua, alcune tovaglie e tutto il necessario per lavare e astergere le mani dei vescovo e dei presbiteri dopo l'unzione delle pareti della chiesa; - un grembiale di lino; - un piccolo braciere per bruciarvi l'incenso e gli aromi; oppure i grani d'incenso con le candeline da bruciare sull'altare; - i turiboli, con la navicella dell'incenso e il cucchiaino; - un calice di sufficiente grandezza, il corporale, i purificatoi e il manutergio; - il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione della messa; - la croce dell'altare, a meno che non vi sia già una croce in presbiterio o venga collocata presso l'altare la croce della processione introitale; - il velo omerale, se deve essere inaugurata la cappella del ss. sacramento; una tovaglia, le candele e i candelieri; - il piccolo cero che il diacono dovrà consegnare al vescovo; - secondo l'opportunità, dei fiori. 874. Verrà lodevolmente conservata l'antica consuetudine di collocare delle croci di pietra, di bronzo o di altra materia adatta nelle stesse pareti della chiesa, o di scolpirle in esse. Si preparino pertanto dodici o quattro croci, secondo il numero delle unzioni e siano ben distribuite lungo le pareti della chiesa ad altezza conveniente. Sotto ogni croce si predisponga un sostegno su cui rissare un piccolo candeliere con la candela da accendere. 875. Nella messa della dedicazione della chiesa le sacre vesti sono di colore bianco o festivo. Si preparino poi: - per il vescovo: il camice, la stola, la croce pettorale, la dalmatica, la casula, la mitra, il pastorale e il pallio, se ne ha diritto; - per i presbiteri concelebranti: le vesti per la concelebrazione della messa; - per i diaconi: i camici, le stole e le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. 876. Se si devono collocare sotto l'altare le reliquie dei santi, si preparino: a) Nel luogo del raduno: - il cofano delle reliquie, circondato da fiori e lumi. Se si fa l'ingresso semplice, il cofano si può collocare, prima dell'inizio dei rito, in un luogo adatto nell'ambito del presbiterio; - per i diaconi incaricati di portare le reliquie: i camici e le stole di color rosso nel caso di reliquie di un martire, di color bianco negli altri casi e, se ve ne sono disponibili, le dalmatiche. Se le reliquie vengono portate dai presbiteri, in luogo delle dalmatiche si preparino per essi le casule. Tuttavia le reliquie possono essere portate anche da altri ministri, che indossano il camice o la cotta sopra la veste talare, oppure le altre vesti legittimamente approvate. b) In presbiterio: - una mensola per deporvi il cofano delle reliquie durante la prima parte dei rito della dedicazione. c) Nel secretarium: - malta o cemento per fissare la copertura dell'incavo. Vi sia anche a disposizione un muratore, che a suo tempo chiuda il sepolcro delle reliquie. 877. Si redigano in due esemplari gli atti della dedicazione debitamente firmati dal vescovo, dal rettore della chiesa e dai fiduciari della comunità locale; essi verranno conservati uno nell'archivio diocesano e l'altro nell'archivio della chiesa dedicata. Quando si fa la deposizione delle reliquie, si prepari un terzo esemplare e lo si includa nel cofano delle reliquie stesse. Negli atti si indichino l'anno, il mese, il giorno della dedicazione, il nome del vescovo celebrante, il titolo della chiesa e anche, se è il caso, i nomi dei martiri o dei santi le cui reliquie vengono deposte sotto l'altare. Si collochi inoltre in un luogo adatto della chiesa un'iscrizione che rechi la data del giorno, mese e anno della compiuta dedicazione, il titolo della chiesa e il nome dei vescovo celebrante. 878. Perché abbia maggior risalto l'importanza e la dignità della Chiesa particolare, l'anniversario della dedicazione della chiesa cattedrale si dovrà celebrare con il grado di solennità nella stessa cattedrale e con il grado di festa nelle altre chiese della diocesi; il giorno sarà quello corrispondente alla data della dedicazione. Se questo giorno fosse impedito in perpetuo, la celebrazione venga assegnata al primo giorno libero. Il giorno anniversario della propria chiesa si celebra con il grado di solennità. Ingresso in chiesa 879. L'ingresso nella chiesa di cui si fa la dedicazione si svolge, secondo le circostanze di tempo e di luogo, in uno dei tre modi qui sotto descritti. 880. Primo modo: Processione La porta della chiesa di cui si fa la dedicazione deve essere chiusa. A ora conveniente, il popolo si riunisce in una chiesa vicina o in altro luogo adatto, da cui si muove la processione verso la chiesa. Se si devono deporre sotto l'altare le reliquie di martiri o di santi, queste si preparano nel luogo stesso in cui si raduna il popolo. 881. Il vescovo e i presbiteri concelebranti, i diaconi e i ministri, indossata la veste a loro propria, si recano al luogo dove è radunato il popolo. Il vescovo, deposti pastorale e mitra, rivolto verso il popolo dice: Nel nome del Padre. Poi saluta il popolo, dicendo: La grazia e la pace o altre simili parole tolte preferibilmente dalla sacra scrittura. Il popolo rispondo: E con il tuo spirito o altre parole adatte. Quindi il vescovo si rivolge al popolo, dicendo: Una grande gioia pervade il nostro animo, o pronunziando un'altra monizione simile a questa. 882. Quindi il vescovo riprende la mitra e il pastorale, e incomincia a muoversi la processione verso la chiesa da dedicare. Non si usano candele, fatta eccezione per quelle che circondano le reliquie dei santi. Non si brucia incenso né durante la processione né durante la messa, prima dei rito dell'incensazione e dell'illuminazione dell'altare e della chiesa ( cf. più sotto i nn. 905 ss. ). Precede il ministro che porta la croce, senza i ceri che di solito la accompagnano; seguono prima i ministri poi i diaconi o i presbiteri con le reliquie dei santi; ai lati ministri o fedeli con ceri accesi; vengono poi i presbiteri concelebranti, quindi il vescovo, seguito da due diaconi, infine i ministri che prestano servizio al libro e alla mitra e i fedeli. Mentre si svolge la processione si canta il salmo 122 con l'antifona: Andiamo con gioia, o un altro canto adatto. 883. Alla soglia della chiesa tutti si fermano. I rappresentanti di coloro che hanno collaborato alla costruzione della chiesa ( fedeli della parrocchia o della diocesi, benefattori, architetti, operai ) consegnano l'edificio al vescovo offrendogli, secondo le circostanze e gli usi locali, gli strumenti giuridici del possesso dell'edificio: o le chiavi o il plastico della chiesa o il libro nel quale è descritto lo svolgimento dei lavori con i nomi di coloro che li hanno diretti e degli operai che li hanno eseguiti. Uno dei rappresentanti rivolge brevi parole al vescovo e alla comunità, illustrando, se è il caso, i criteri artistici e funzionali secondo i quali è stata costruita la nuova chiesa. Quindi il vescovo, rivolgendosi al presbitero al quale è affidata la cura pastorale della chiesa, lo invita ad aprirne la porta. 884. Aperta la porta, il vescovo invita il popolo ad entrare in chiesa, dicendo: Varcate le porte del Signore o altre parole adatte. Quindi, preceduto dal crocifero, il vescovo e con lui tutti gli altri, entrano in chiesa. Mentre entra la processione, si canta il salmo 24 con l'antifona: Sollevate, o porte, i vostri frontali o un altro canto adatto. 885. Il vescovo, omettendo il bacio dell'altare, va alla sede; i concelebranti, i diaconi e i ministri si recano ai posti loro assegnati nel presbiterio. Le reliquie dei santi vengono disposte in luogo adatto del presbiterio circondate da candele accese. Quindi si benedice l'acqua secondo il rito descritto più sotto ai nn. 892 ss. 886. Secondo modo: Ingresso solenne Se la processione non può aver luogo, o non è ritenuta opportuna, i fedeli si radunano presso la porta della chiesa da dedicare, dove, se è il caso, sono già state predisposte, in forma privata, le reliquie dei santi. Il vescovo e i presbiteri concelebranti, i diaconi e i ministri, indossata la veste a loro propria, preceduti dal crocifero, si dirigono verso la porta della chiesa, la porta della chiesa sia chiusa e che il vescovo, i concelebranti, i diaconi e gli altri ministri si accostino ad essa dall'esterno. Se ciò non si può fare, il vescovo con coloro che lo accompagnano, esce dalla chiesa stessa, la cui porta rimane aperta. 887. Il vescovo, deposti pastorale e mitra, saluta i presenti dicendo: Nel nome del Padre. Poi saluta il popolo, dicendo: La grazia e la pace o altre simili parole tolte preferibilmente dalla sacra scrittura. Il popolo risponde: E con il tuo spirito o altre parole adatte. Quindi il vescovo si rivolge al popolo, dicendo: Una grande gioia pervade il nostro animo, o pronunziando un'altra monizione simile a questa. 888. Terminata la monizione, il vescovo riprende la mitra e secondo l'opportunità si canta il salmo 122 con l'antifona: Andiamo con gioia, o un altro canto adatto. Allora i rappresentanti di coloro che hanno collaborato alla costruzione della chiesa ( fedeli della parrocchia o della diocesi, benefattori, architetti, operai ) consegnano l'edificio al vescovo offrendogli, secondo le circostanze e gli usi locali, gli strumenti giuridici del possesso dell'edificio: o le chiavi o il plastico della chiesa o il libro nel quale è descritto lo svolgimento dei lavori con i nomi di coloro che li hanno diretti e degli operai che li hanno eseguiti. Uno dei rappresentanti rivolge brevi parole al vescovo e alla comunità, illustrando, se è il caso, i criteri artistici e funzionali secondo i quali è stata costruita la nuova chiesa. Quindi il vescovo, se la porta è chiusa, rivolgendosi al presbitero al quale è affidata la cura pastorale della chiesa, lo invita ad aprirne la porta. 889. Allora il vescovo, ricevuto il pastorale, invita il popolo a entrare in chiesa, dicendo: Varcate le porte del Signore con inni di grazia, o altre parole adatte. Quindi si svolge la processione di ingresso come è detto più sopra ai nn. 884-885, e tutti si recano al loro posto. Le reliquie dei santi vengono disposte in luogo adatto del presbiterio circondate da candele accese. Quindi si benedice l'acqua secondo il rito descritto più sotto ai nn. 892 ss. 890. Terzo modo: Ingresso semplice Se non può avere luogo l'ingresso solenne, si fa l'ingresso semplice. Quando il popolo si è radunato in chiesa, il vescovo e i presbiteri concelebranti, i diaconi e i ministri, indossata la veste a loro propria, preceduti dal crocifero, si avviano dal secretarium, attraverso la chiesa, verso il presbiterio. Se si devono deporre sotto l'altare le reliquie dei santi, esse vengono prelevate dal secretarium o dalla cappella, nella quale fin dalla vigilia sono state esposte alla venerazione dei fedeli e vengono portate in presbiterio nella stessa processione introitale. Per un giusto motivo le reliquie si possono però predisporre, prima dell'inizio del rito, in un luogo adatto dei presbiterio circondate da candele accese. Mentre si svolge la processione si canta l'antifona di ingresso: Ecco la santa dimora di Dio oppure: Andiamo con gioia, con il salmo 122 o un altro canto adatto. 891. Giunta la processione in presbiterio, le reliquie dei santi vengono deposte in luogo adatto, circondate da candele accese. I concelebranti i diaconi e i ministri si recano ai posti loro assegnati. Il vescovo, omettendo il bacio dell'altare, va alla cattedra. Quindi, deposti pastorale e mitra, saluta il popolo, dicendo: La grazia e la pace, o altre simili parole tolte preferibilmente dalla sacra scrittura. Il popolo risponde: E con il tuo spirito o dicendo altre parole adatte. Allora i rappresentanti di coloro che hanno collaborato alla costruzione della chiesa ( fedeli della parrocchia o della diocesi, benefattori, architetti, operai ) consegnano l'edificio al vescovo offrendogli, secondo le circostanze e gli usi locali, gli strumenti giuridici dei possesso dell'edificio: o le chiavi o il plastico della chiesa o il libro nel quale è descritto lo svolgimento dei lavori con i nomi di coloro che li hanno diretti e degli operai che li hanno eseguiti. Uno dei rappresentanti rivolge brevi parole al vescovo e alla comunità, illustrando, se è il caso, i criteri artistici e funzionali secondo i quali è stata costruita la nuova chiesa. Benedizione dell'acqua e aspersione 892. Terminato il rito di ingresso, il vescovo benedice l'acqua per aspergere il popolo in segno di penitenza e in ricordo del battesimo, e aspergere poi le pareti e l'altare della nuova chiesa. I ministri portano al vescovo, che sta in piedi alla cattedra, il secchiello con l'acqua. Il vescovo invita tutti alla preghiera, dicendo: Fratelli carissimi, prima di dedicare con rito solenne o altre parole simili. Tutti pregano per un breve tempo in silenzio. Quindi il vescovo prosegue: Padre santo, luce e vita di ogni creatura. 893. Il vescovo, accompagnato dai diaconi, percorre la navata della chiesa e asperge con l'acqua benedetta il popolo e le pareti; tornato quindi in presbiterio, asperge l'altare. Frattanto si canta l'aprirono: Ecco l'acqua che sgorga, oppure, in quaresima: Su di voi verserò acqua pura o un altro canto adatto. 894. Dopo l'antifona il vescovo torna alla cattedra e, terminato il canto, stando in piedi e a mani giunte, dice: Dio, Padre di misericordia. Quindi si canta l'inno: Gloria a Dio e il vescovo canta o dice la colletta della messa, secondo il rito consueto. Liturgia della parola 895. Poi il vescovo si siede e riceve la mitra. Ugualmente si siedono tutti gli altri. La proclamazione della parola di Dio si celebra convenientemente in questo modo: due lettori, uno dei quali porta il Lezionario della messa preso dalla credenza, e il salmista si presentano al vescovo. Il vescovo, in piedi, con mitra, riceve il Lezionario, lo mostra al popolo e dice: Risuoni sempre in questo luogo. Quindi il vescovo consegna il Lezionario al primo lettore. I lettori e il salmista vanno all'ambone portando il Lezionario in modo ben visibile da tutti. 896. Si proclamano tre letture, delle quali la prima è sempre tratta dal libro di Neemia ( Ne 8,2-4.5-6.8-10 ), seguita dal salmo 19; la seconda lettura e il vangelo si prendono dai testi proposti nel Lezionario per la messa della dedicazione della chiesa. Al vangelo non si portano ne ceri né incenso. 897. Dopo il vangelo il vescovo siede e, ricevuti di norma pastorale e mitra, tiene l'omelia, illustrando non solo le letture bibliche ma anche il significato del rito con il quale si dedica un edificio a Dio e si promuove la crescita della Chiesa. 898. Terminata l'omelia, il vescovo depone la mitra e il pastorale, tutti si alzano e si canta o si dice il simbolo. Si omette invece la preghiera universale, perché si cantano in suo luogo le litanie dei santi. Preghiera di dedicazione e unzioni 899. Litanie dei santi Terminato il simbolo, il vescovo invita il popolo alla preghiera con la monizione: Figli carissimi, supplichiamo Dio Padre onnipotente, o con altre parole simili. Si cantano le litanie dei santi, a cui tutti rispondono. In domenica e nel tempo di pasqua stanno tutti in piedi; invece negli altri giorni in ginocchio; in questo caso il diacono dice: Mettiamoci in ginocchio. Nelle litanie si aggiungono, al posto dovuto, le invocazioni del titolare della chiesa, del patrono del luogo e, se è il caso, dei santi le cui reliquie vengono deposte sotto l'altare. Si possono anche aggiungere altre invocazioni, riferite alla natura particolare del rito e alle condizioni dei fedeli. Terminato il canto delle litanie, il vescovo, stando in piedi e con le braccia allargate, dice: Accogli con bontà, o Signore, le nostre preghiere. Il diacono, se è necessario, dice: Alzatevi. E tutti si alzano. Il vescovo riprende la mitra, per compiere la deposizione delle reliquie. Dove non si compie la deposizione delle reliquie, il vescovo dice subito la preghiera di dedicazione, come è indicato più sotto al n. 901. 900. Deposizione delle reliquie Quindi, se si depongono sotto l'altare le reliquie dei martiri o di altri vescovo va all'altare. Un diacono o un presbitero presenta le reliquie al vescovo che colloca nel sepolcro opportunamente preparato. Frattanto si canta l'antifona: Santi Dio che dimorate sotto l'altare, oppure: I corpi dei santi dormono nella pace, con salmo 15 o un altro canto adatto. Frattanto un muratore chiude il sepolcro, mentre il vescovo ritorna alla cattedra. 901. Preghiera di dedicazione Terminati questi riti, il vescovo, stando in piedi e senza mitra, alla cattedra presso l'altare, con le braccia allargate, canta o dice a voce alta: O Dio, che reggi santifichi la tua Chiesa. 902. Unzione dell'altare e delle pareti della chiesa Quindi il vescovo, deposta, se è necessario, la casula e cinto un grembiale di va all'altare con i diaconi e con gli altri ministri, uno dei quali porta il vasetto crisma, e procede all'unzione dell'altare stesso e delle pareti della chiesa. Se poi il vescovo vuole associarsi, per l'unzione delle pareti della chiesa, alcuni dei presbiteri che concelebrano con lui il sacro rito, terminata l'unzione dell'altare, consegna loro altrettanti vasetti del crisma e va con loro a compiere le unzioni. Il vescovo può anche affidare ai soli presbiteri il compito di ungere le pareti della chiesa. 903. Il vescovo, in piedi dinanzi all'altare, con mitra, dice ad alta voce: Santifichi il Signore con la sua potenza. Quindi versa il sacro crisma al centro dell'altare e ai suo quattro angoli e ne unge lodevolmente tutta la mensa. Aiutato poi, secondo l'opportunità, da due o da quattro presbiteri, unge con i crisma le pareti della chiesa, segnando con esso dodici o quattro croci ordinatamente distribuite. Se le unzioni delle pareti sono state dal vescovo affidate ai presbiteri, questi attendono che il vescovo abbia terminato di ungere l'altare e poi vanno ad ungere le pareti, segnando le croci con il crisma. Frattanto si canta l'antifona: Ecco la dimora di Dio con gli uomini o Santo è il tempio del Signore con il salmo 84 o un altro canto adatto. 904. Terminata l'unzione dell'altare e delle pareti della chiesa, il vescovo torna alla cattedra e siede; i ministri gli portano il necessario perché si lavi le mani. Quindi il vescovo depone il grembiale e indossa la casula. Anche i presbiteri, dopo l'unzione delle pareti, si lavano le mani. 905. Incensazione dell'altare e della chiesa Dopo il rito dell'unzione, si pone sull'altare un piccolo braciere per farvi ardere l'incenso con gli aromi; se si preferisce, si uniscono insieme sull'altare, a mucchietto, incenso e candeline. Il vescovo pone l'incenso nel braciere e lo benedice, oppure con un piccolo cero datogli da un ministro, accende il mucchietto dell'incenso, dicendo: Salga a te, Signore. Quindi il vescovo pone l'incenso in alcuni turiboli e lo benedice; poi incensa l'altare. Quindi torna alla cattedra, riceve la mitra, viene incensato e siede. A loro volta i ministri, attraversando la navata della chiesa, incensano il popolo e le pareti. Frattanto si canta l'antifona: Presso l'altare è l'angelo santo o: Dalle mani dell'angelo, con il salmo 138 o un altro canto adatto. 906. Illuminazione dell'altare e della chiesa Terminata l'incensazione, alcuni ministri astergono con delle tovaglie la mensa dell'altare e, se è il caso, vi stendono sopra una tela impermeabile; quindi ricoprono l'altare con una tovaglia e, secondo l'opportunità, lo adornano di fiori; vi dispongono poi i candelieri con relative candele, come è richiesto per la celebrazione della messa, e, se è il caso, collocano al suo posto la croce. 907. Poi il diacono si avvicina al vescovo, il quale, in piedi, gli consegna un piccolo cero acceso, dicendo ad alta voce: Risplende nella Chiesa la luce di Cristo. Quindi il vescovo siede. Il diacono si reca all'altare e accende le candele per la celebrazione dell'eucaristia. La chiesa si illumina a festa; si accendono in segno di gioia tutti i ceri, tutte le candele già predisposte in corrispondenza con le unzioni e tutte le lampade della chiesa. Frattanto si canta l'antifona: La luce è venuta per te, oppure, in quaresima: Gerusalemme, città di Dio, con il cantico di Tobia o un altro canto adatto, specialmente in onore di Cristo, luce del mondo. Liturgia eucaristica 908. I diaconi e i ministri preparano l'altare nel modo consueto. Quindi alcuni fedeli portano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione del sacrificio del Signore. Il vescovo riceve i doni alla cattedra. Mentre vengono portati i doni, opportunamente si canta l'antifona: Signore Dio, o un altro canto adatto. Quando tutto è stato preparato il vescovo va all'altare e, deposta la mitra, lo bacia. La messa prosegue come di consueto; tuttavia non si incensano le offerte né l'altare. 909. Si dice la preghiera eucaristica I o III, con il prefazio proprio che fa parte del rito della dedicazione della chiesa. Nella preghiera eucaristica I si dice l'Hanc igitur proprio; nella preghiera eucaristica III si inserisce l'intercessione propria. E tutto si svolge come di consueto, fino alla comunione inclusa. Inaugurazione della cappella del SS. Sacramento 910. L'inaugurazione della cappella destinata alla custodia della ss. eucaristia, si fa convenientemente in questo modo. Dopo la comunione, la pisside con il ss. Sacramento si lascia sulla mensa dell'altare; il vescovo va alla cattedra e tutti pregano per qualche tempo in silenzio. Quindi il vescovo proclama l'orazione dopo la comunione. 911. Terminata l'orazione, il vescovo ritorna all'altare, mette l'incenso nel turibolo e lo benedice, e in ginocchio incensa il ss. sacramento. Quindi, ricevuto il velo omerale, prende la pisside con le mani coperte dal velo stesso. Allora si avvia la processione attraverso la navata della chiesa, per accompagnare il ss. sacramento alla cappella della reposizione. Precede il crocifero, accompagnato da accoliti che portano candelieri con ceri accesi; seguono il clero, i diaconi, i presbiteri concelebranti, il ministro che tiene il bastone del vescovo, due turiferari con i turiboli fumiganti, il vescovo che porta il ss. sacramento, seguito un poco indietro dai due diaconi che lo assistono, quindi i ministri che prestano servizio al libro e alla mitra. Tutti portano candele accese e attorno al ss. sacramento vengono portate torce. Mentre si svolge la processione si canta l'antifona: Glorifica il Signore Gerusalemme, con il salmo 147 o un altro canto adatto. 912. Giunta la processione alla cappella della reposizione, il vescovo consegna la pisside al diacono che la depone sull'altare o nel tabernacolo, lasciandone aperta la porticina; il vescovo incensa genuflesso il ss. sacramento. Quindi, dopo un congruo tempo in cui tutti pregano in silenzio, il diacono ripone la pisside nel tabernacolo o chiude la porticina; un ministro accende poi la lampada, che rimarrà costantemente accesa presso il ss. Sacramento. 913. Se la cappella del ss. sacramento è bene in vista dei fedeli, il vescovo dà subito la benedizione finale della messa. In caso contrario, la processione ritorna per la via più breve in presbiterio e il vescovo dà subito la benedizione o dall'altare o dalla cattedra; poi la messa si conclude come è indicato più sotto al n. 915. 914. Se la cappella del ss. sacramento non deve essere inaugurata, terminata la comunione dei fedeli, il vescovo proclama l'orazione dopo la comunione e la messa si conclude come segue. Benedizione e congedo 915. Per la benedizione il vescovo proclama la formula proposta nel pontificale. Il diacono congeda il popolo nel modo consueto. Capitolo X - Dedicazione di una chiesa nella quale già si celebrano i santi misteri 916. Per comprendere in modo adeguato il valore dei simboli e il senso dei riti, è necessario che l'inaugurazione di una nuova chiesa si faccia contemporaneamente alla sua dedicazione: per questo, si deve evitare per quanto è possibile di celebrare la messa in una nuova chiesa prima che questa sia dedicata. Quando tuttavia si dedicano chiese nelle quali già si celebrano i divini misteri, si deve usare il rito proposto ainn. 864-915. Inoltre vanno distinte, non senza motivo, le chiese costruite di recente, il motivo della cui dedicazione è più evidente, da quelle costruite da tempo. Per la dedicazione di queste chiese si richiede: - che l'altare non sia ancora dedicato; infatti la consuetudine e la norma liturgica giustamente proibiscono la dedicazione di una chiesa senza quella dell'altare; la dedicazione dell'altare è infatti la parte principale di tutto il rito; - che nell'edificio vi sia qualcosa di nuovo o di notevolmente cambiato nella sua struttura architettonica ( ad es. se la chiesa è stata radicalmente cambiata o il suo presbiterio è stato ristrutturato secondo le norme date più sopra ai nn. 48-51 ) o nel suo stato giuridico ( ad es. se la chiesa è stata eretta in parrocchia ). 917. Le indicazioni contenute più sopra ai nn. 864-878 si applicano anche a questo rito, a meno che, per una particolare condizione prevista da questo rito, esse non siano applicabili o sia notato diversamente. Questo rito differisce da quello descritto nel capitolo IX soprattutto per le particolarità seguenti: a) si omette il rito dell'apertura delle porte della chiesa ( cf. più sopra i n. 884 o n. 889 ), perché la chiesa è già aperta ai fedeli; quindi l'ingresso si fa sull'esempio dell'« ingresso semplice » ( cf. più sopra i nn. 890-891 ). Se però si tratta di dedicare una chiesa che è stata a lungo chiusa e ora di nuovo si apre al culto, si può fare il rito di apertura della porta, perché in questo caso il rito mantiene il suo significato; b) il rito di consegnare la chiesa al vescovo ( cf più sopra i n. 883, n. 888, n. 891 ), si mantenga o si ometta o si adatti secondo la condizione della chiesa da dedicare ( per es. è conveniente mantenerlo nella dedicazione di una chiesa edificata da poco; ometterlo nella dedicazione di una vecchia chiesa nella cui struttura non è cambiato nulla; adattarlo nella dedicazione di una vecchia chiesa radicalmente restaurata ); c) si omette il rito di aspersione con l'acqua benedetta delle pareti della chiesa ( cf. più sopra i nn. 892-894 ), al quale è legato il significato della purificazione; d) si omettono le particolarità riguardanti la prima proclamazione della parola di Dio ( cf. più sopra il n. 896 ) e pertanto la liturgia della parola si compie nel modo solito; al posto di Neemia ( Ne 8,2-4.5-6.8-10 con il salmo 19 e il suo responsorio ( cf. più sopra il n. 896), si sceglie un'altra lettura adatta. Capitolo XI - Dedicazione di un altare Premesse 918. L'altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la messa; l'altare è il centro dell'azione di grazie che si compie con l'eucaristia 919. È opportuno che in ogni chiesa ci sia un altare fisso e dedicato. Negli altri luoghi destinati alle sacre celebrazioni, l'altare può essere fisso o « mobile ». In conformità alla tradizione della Chiesa e al simbolismo dell'altare, la mensa dell'altare fisso deve essere di pietra e precisamente di una pietra naturale intera. A giudizio però delle Conferenze Episcopali, può essere consentito l'uso di un'altra materia, purché sia degna, solida e ben lavorata. 920. Si conservi opportunamente l'uso di deporre sotto l'altare da dedicare reliquie di santi anche non martiri ( cf. più sopra il n. 866 ). 921. Per sua stessa natura, l'altare è dedicato a Dio soltanto, perché a Dio soltanto viene offerto il sacrificio eucaristico. È questo il senso della dedicazione dell'altare secondo la consuetudine della Chiesa. Lo esprime assai bene sant'Agostino: « Non ai martiri, ma al Dio dei martiri dedichiamo altari, anche se lo facciamo nelle memorie dei martiri ». Tuttavia la consuetudine di dedicare altari a Dio in onore dei santi, dove è ancora viva, può essere conservata, purché venga spiegato con chiarezza ai fedeli che l'altare è dedicato soltanto a Dio. Nelle nuove chiese non si devono collocare sull'altare né statue, né immagini di santi. Ugualmente non si devono deporre sulla mensa dell'altare le reliquie dei santi, esposte alla venerazione dei fedeli. 922. L'altare diventa sacro soprattutto con la celebrazione dell'eucaristia. È quindi un'esigenza della verità del rito che non si celebri la messa sul nuovo altare prima della sua dedicazione, in modo che la messa della dedicazione sia anche la prima eucaristia celebrata su quell'altare. 923. Spetta al vescovo, a cui è affidata la cura di una Chiesa particolare, dedicare a Dio i nuovi altari eretti nella sua diocesi; se tuttavia il vescovo diocesano si trova nell'impossibilità di presiedere lui stesso il rito, ne affiderà il compito ad un altro vescovo, specialmente se suo coadiutore o ausiliare nella cura pastorale dei fedeli per i quali il nuovo altare è stato costruito; in circostanze dei tutto particolari, il vescovo potrà, con speciale mandato, delegare un presbitero. 924. Per la dedicazione di un nuovo altare, si scelga un giorno in cui i fedeli possano partecipare numerosi, specialmente la domenica, a meno che ragioni pastorali non suggeriscano diversamente. Il rito della dedicazione dell'altare non si può celebrare nel triduo pasquale, nel mercoledì delle ceneri, nelle ferie della settimana santa e nella commemorazione di tutti i fedeli defunti. 925. Poiché la celebrazione dell'eucaristia è intimamente legata al rito della dedicazione dell'altare, si dice la messa nella dedicazione dell'altare. Tuttavia nei giorni di natale, epifania, ascensione, pentecoste e nelle domeniche di avvento, quaresima e pasqua, si dice la messa del giorno, fatta eccezione per la preghiera sulle offerte e il prefazio, che sono intimamente legati al rito. 926. Conviene che il vescovo concelebri la messa con i presbiteri presenti e specialmente con quelli ai quali è affidata la cura pastorale della parrocchia o della comunità per la quale è stato costruito l'altare. 927. Spetta al vescovo e a coloro che curano lo svolgimento del rito, decidere sull'opportunità della deposizione delle reliquie dei santi; a questo proposito, osservate le norme indicate più sopra al n. 866, si tenga anzitutto presente il bene spirituale dei fedeli e il senso autentico della liturgia. 928. I fedeli non solo vengano tempestivamente informati della dedicazione del nuovo altare, ma siano anche opportunamente preparati a parteciparvi attivamente. Di qui la necessità di istruirli sul significato e sullo svolgimento dei singoli riti. Si istillerà così nei fedeli una bene intesa e doverosa devozione verso l'altare. Al rettore della chiesa nella quale viene dedicato l'altare spetta stabilire e preparare, con l'aiuto dei collaboratori nell'attività pastorale, ciò che riguarda le letture, i canti, come anche i sussidi pastorali per favorire la fruttuosa partecipazione del popolo e promuovere il decoro della celebrazione. 929. Per celebrare il rito della dedicazione dell'altare, si preparino: a) il "Messale Romano" il "Lezionario" e il "Pontificale Romano"; b) la croce e l'evangeliario da portare in processione; c) il secchiello con l'acqua benedetta e l'aspersorio; d) il vasetto del sacro crisma; e) le tovaglie per astergere la mensa dell'altare; f) se è il caso, una tela incerata o impermeabile, della misura dell'altare; g) un catino e una brocca con l'acqua, una tovaglia e tutto il necessario perché il vescovo si lavi le mani; h) un grembiale di lino; i) un piccolo braciere per bruciare gli incensi o gli aromi; oppure i grani di incenso con le candeline da bruciare sull'altare; j) un turibolo con la navicella dell'incenso e il cucchiaino; k) un calice di sufficiente grandezza, il corporale, i purificatoi e il manutergio; l) il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione della messa; m) la croce dell'altare, a meno che non ci sia già una croce predisposta in presbiterio o venga collocata presso l'altare la croce della processione introitale; n) la tovaglia, i candelieri e le candele; o) secondo l'opportunità, dei fiori. 930. Nella messa della dedicazione dell'altare le sacre vesti sono di colore bianco o festivo. Si preparino inoltre: a) per il vescovo: il camice, la stola, la croce pettorale, la casula, la mitra, il pastorale e il pallio, se il vescovo ne ha diritto; b) per i presbiteri concelebranti: le vesti per la concelebrazione della messa; c) per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; d) per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. 931. Se si devono collocare sotto l'altare le reliquie dei santi, si preparino: a) Nel luogo da cui ha inizio la processione: - il cofano delle reliquie, circondato da fiori e lumi. Secondo l'opportunità, il cofano si può collocare, prima dell'inizio del rito, in un luogo adatto nell'ambito del presbiterio; - per i diaconi incaricati di portare le reliquie: i camici e le stole di color rosso nel caso di reliquie di un martire, di color bianco negli altri casi e, - se ve ne sono disponibili, le dalmatiche. Se le reliquie vengono portate dai presbiteri, in luogo delle dalmatiche si preparino altrettante casule. Tuttavia le reliquie possono essere portate anche da altri ministri, che indossano il camice o la cotta sopra la veste talare, oppure le altre vesti legittimamente approvate. b) In presbiterio: - una mensola per deporvi il cofano delle reliquie durante la prima parte del rito della dedicazione. c) Nel secretarium: - malta o cemento per fissare la copertura dell'incavo; vi sia anche a disposizione un muratore, che a suo tempo chiuda il sepolcro delle reliquie. 932. Opportunamente si conserverà l'usanza di racchiudere nel cofano delle reliquie una pergamena che riporti il giorno, il mese e l'anno della dedicazione dell'altare, il nome del vescovo celebrante, il titolo della chiesa, come pure i nomi dei martiri o degli altri santi le cui reliquie vengono deposte sotto l'altare. Si stenda il verbale della dedicazione in duplice copia, una per l'archivio diocesano e l'altra per quello della chiesa, con la firma del vescovo, del rettore della chiesa e dei rappresentanti della comunità locale. Ingresso in chiesa 933. Quando il popolo si è radunato, il vescovo, i presbiteri concelebranti, i diaconi e i ministri, indossata la veste a loro propria, si avviano dal secretarium, attraverso la chiesa, verso il presbiterio. 934. Se si devono deporre sotto l'altare le reliquie dei santi, esse vengono prelevate dal secretarium o dalla cappella, nella quale fin dalla vigilia sono state esposte alla venerazione dei fedeli e vengono portate in presbiterio nella stessa processione introitale. Per un giusto motivo però le reliquie si possono predisporre, prima dell'inizio del rito, in un luogo adatto del presbiterio circondate da candele accese. 935. Mentre si svolge la processione si canta l'antifona di ingresso: O Dio, nostro scudo oppure: Verrò all'altare di Dio, con il salmo 43 o un altro canto adatto. 936. Giunta la processione in presbiterio, le reliquie dei santi vengono deposte in luogo adatto, circondate da candele accese. I concelebranti, i diaconi e i ministri si recano ai posti loro assegnati. Il vescovo, omettendo il bacio dell'altare, va alla cattedra. Quindi, deposti pastorale e mitra, saluta il popolo, dicendo: La grazia e la pace, o altre simili parole tolte preferibilmente dalla sacra scrittura. Il popolo risponde: E con il tuo spirito o altre parole adatte. Benedizione dell'acqua e spersione 937. Terminato il rito di ingresso, il vescovo benedice l'acqua per aspergere il popolo in segno di penitenza e in ricordo del battesimo, e asperge poi l'altare. I ministri portano al vescovo, che sta in piedi alla cattedra, il secchiello con l'acqua. Il vescovo invita tutti alla preghiera, dicendo: Fratelli carissimi, siamo qui riuniti nella gioia o altre parole simili. Tutti pregano per un breve tempo in silenzio. Quindi il vescovo proclama l'orazione: Padre santo, luce e vita di ogni creatura. 938. Terminata l'invocazione sull'acqua, il vescovo, accompagnato dai diaconi, asperge con l'acqua benedetta il popolo, percorrendo la navata della chiesa; tornato quindi in presbiterio, asperge l'altare. Frattanto si canta l'antifona: Ecco l'acqua che sgorga, oppure, in quaresima: Su di voi verserò acqua pura o un altro canto adatto. 939. Dopo l'aspersione il vescovo torna alla cattedra e, terminato il canto, stando in piedi e a mani giunte, dice: Dio, Padre di misericordia. Quindi si canta l'inno: Gloria a Dio, a meno che non ricorra una domenica di avvento o di quaresima. Finito l'inno, il vescovo, stando in piedi, canta o dice normalmente la colletta della messa. Liturga della parola 940. Nella liturgia della parola tutto si svolge come di consueto. Le letture e il vangelo si prendono, secondo le rubriche, o dai testi proposti nel lezionario per il rito della dedicazione dell'altare o dalla messa del giorno. 941. Letto il vangelo, il vescovo, seduto di norma con mitra e pastorale, tiene l'omelia nella quale illustra sia le letture bibliche sia il significato dei rito. 942. Si dice sempre il simbolo. Si omette invece la preghiera universale, perché si cantano in suo luogo le litanie dei santi. Preghiera di dedicazione e unzioni Litanie dei santi 943. Terminato il simbolo, il vescovo invita il popolo alla preghiera dicendo: Fratelli carissimi, eleviamo le nostre preghiere, o un'altra monizione simile a questa. Si cantano le litanie dei santi, a cui tutti rispondono. In domenica e nel tempo di pasqua stanno tutti in piedi; invece negli altri giorni in ginocchio; in questo caso il diacono dice: Mettiamoci in ginocchio. Nelle litanie si aggiungono, al posto dovuto, le invocazioni del titolare della chiesa, del patrono del luogo e, se è il caso, dei santi le cui reliquie vengono deposte sotto l'altare Si possono anche aggiungere altre invocazioni, riferite alla natura particolare del rito e alle condizioni dei fedeli. Terminato il canto delle litanie, il vescovo, stando in piedi e con le braccia allargate, proclama l'orazione: Accogli con bontà, o Signore, le nostre preghiere. Il diacono, se è il caso, dice: Alzatevi. E tutti si alzano. Il vescovo riprende la mitra, per compiere il rito della deposizione delle reliquie. Dove non si fa la deposizione delle reliquie, il vescovo dice subito la preghiera di dedicazione, come è indicato più sotto al n. 945. Deposizione delle reliquie 944. Quindi, se si depongono sotto l'altare le reliquie dei martiri o di altri santi, il vescovo va all'altare. Un diacono o un presbitero presenta le reliquie al vescovo, che le colloca nel sepolcro opportunamente preparato. Frattanto si canta l'antifona: Santi di Dio che dimorate sotto l'altare, oppure: I corpi dei santi dormono nella pace, con il salmo 15 o un altro canto adatto. Frattanto un muratore chiude il sepolcro, mentre il vescovo ritorna alla cattedra. Preghiera di dedicazione 945. Terminati questi riti, il vescovo, stando in piedi e senza mitra all'altare, con le braccia allargate, canta o dice: Ti lodiamo e ti benediciamo, Padre santo. Unzione dell'altare 946. Quindi il vescovo, deposta, se necessario, la casula, e cinto un grembiale di lino, va all'altare insieme con il diacono o con un altro ministro, che porta il vasetto del sacro crisma. Il vescovo, in piedi dinanzi all'altare, con mitra, dice ad alta voce: Santifichi il Signore con la sua potenza. Quindi versa il sacro crisma al centro dell'altare e ai suoi quattro angoli e ne unge lodevolmente tutta la mensa. Durante l'unzione, fuori del tempo di pasqua, si canta l'antifona Dio, il tuo Dio con il salmo 45, mentre nel tempo di pasqua si canta l'antifona La pietra scartata dai costruttori con il salmo 118 o un altro canto adatto. Terminata l'unzione dell'altare, il vescovo torna alla cattedra, siede, si lava le mani e depone il grembiale. Incensazione dell'altare 947. Dopo il rito dell'unzione, si pone sull'altare un piccolo braciere per farvi ardere l'incenso con gli aromi; se si preferisce, si uniscono insieme sull'altare, a mucchietto, incenso e candeline. Il vescovo pone l'incenso nel braciere, oppure con una piccola candela datagli da un ministro, accende il mucchietto dell'incenso, dicendo: Salga a te, Signore. Quindi il vescovo pone l'incenso nel turibolo e lo benedice; poi incensa l'altare. Quindi torna alla cattedra, viene incensato e siede; il ministro incensa il popolo. Frattanto si canta l'antifona: Presso l'altare è l'angelo santo o: Dalle mani dell'angelo, con il salmo 138 o un altro canto adatto. Copertura e illuminazione dell'altare 948. Terminata l'incensazione, alcuni ministri astergono con delle tovaglie la mensa dell'altare e, se è il caso, vi stendono sopra una tela impermeabile; quindi ricoprono l'altare con una tovaglia e, secondo l'opportunità, lo adornano di fiori; vi dispongono poi i candelieri con relative candele, come è richiesto per la celebrazione della messa, e, se è il caso, collocano al suo posto la croce. 949. Poi il diacono si avvicina al vescovo, il quale, in piedi, gli consegna una candelina accesa, dicendo ad alta voce: La luce di Cristo. Quindi il vescovo siede. Il diacono si reca all'altare e accende le candele per la celebrazione dell'eucaristia. 950. Quindi la chiesa si illumina a festa; si accendono, in segno di gioia, tutte le luci intorno all'altare. Frattanto si canta l'antifona: In te, Signore, è la sorgente della vita o un altro canto adatto, specialmente in onore di Cristo, luce dei mondo. Liturgia eucaristica 951. I diaconi e i ministri preparano l'altare come di consueto. Quindi alcuni fedeli portano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione del sacrificio dei Signore. Il vescovo riceve i doni alla cattedra. Mentre vengono portati i doni, opportunamente si canta l'antifona: Se presenti la tua offerta all'altare oppure Mosè dedicò un altare al Signore, o un altro canto adatto. Quando tutto è stato preparato il vescovo va all'altare e, deposta la mitra, lo bacia. La messa prosegue come di consueto; tuttavia non si incensano le offerte né l'altare. 952. Si proclamano sempre l'orazione sulle offerte Scenda su questo altare e il prefazio proprio, come sono notati anche sul "Pontificate Romano", perché intimamente connessi al rito della dedicazione dell'altare. Si dice la preghiera eucaristica I o III. 953. Alla fine della messa il vescovo impartisce la benedizione proclamando la formula proposta nel pontificale. Quindi il diacono congeda il popolo come di consueto. Capitolo XII - Benedizione di una chiesa Premesse 954. Conviene che i sacri edifici o le chiese, che sono destinati in modo permanente alla celebrazione dei divini misteri, siano dedicati a Dio secondo il rito della dedicazione, che si distingue per l'espressiva incisività della sua struttura e del suo simbolismo. Tuttavia se non vengono dedicati, siano almeno benedetti secondo il rito qui sotto descritto. Quanto agli oratori, alle cappelle o ai sacri edifici che per motivi particolari sono destinati al culto solo temporaneamente, conviene che siano benedetti, secondo il rito qui sotto descritto. Quando vengono benedette chiese, oratori o cappelle, tutto ciò che si trova in esse, come la croce, le immagini, l'organo, le campane, le stazioni della « Via Crucis », si deve ritenere benedetto e inaugurato con lo stesso rito della benedizione, così che non ci sia bisogno di una nuova benedizione o inaugurazione. 955. Per quanto riguarda il loro ordinamento liturgico, la scelta del titolare e la preparazione dei fedeli, si osservino, con i dovuti adattamenti, le norme indicate più sopra ai nn. 864-871 e n. 877 per il rito della dedicazione di una chiesa. 956. La benedizione di una chiesa o di un oratorio viene compiuta dal vescovo diocesano o da un presbitero da lui delegato. Essa si può compiere in qualsiasi giorno, fatta eccezione per il triduo pasquale; si scelga però di preferenza un giorno in cui i fedeli possano partecipare più numerosi, specialmente la domenica, a meno che ragioni pastorali non suggeriscano diversamente. 957. Nei giorni indicati ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici si dice la messa del giorno; negli altri giorni, invece, si può dire la messa dei giorno o quella del Titolare della chiesa o dell'oratorio. 958. Per il rito di benedizione di una chiesa o di un oratorio si prepari tutto ciò che è necessario per la celebrazione della messa. L'altare, anche se già benedetto o dedicato, deve rimanere spoglio fino all'inizio della liturgia eucaristica. Si preparino inoltre, in un luogo adatto del presbiterio: a) il secchiello con l'acqua e l'aspersorio; il turibolo con la navicella dell'incenso e il cucchiaino; b) il "Pontificale Romano"; c) una croce d'altare, a meno che non ci sia già una croce predisposta in presbiterio o venga collocata presso l'altare la croce della processione introitale; d) la tovaglia, le candele, i candelieri e, secondo l'opportunità, dei fiori. 959. Se alla benedizione della chiesa si deve unire la benedizione dell'altare, si prepari tutto ciò che è indicato più sopra al n. 929 e, se si fa la reposizione delle reliquie dei santi, anche quelle indicate al n. 931. 960. Nella messa della benedizione di una chiesa, si indossano le sacre vesti di colore bianco o festivo. Si preparino: a) per il vescovo: il camice, la stola, la croce pettorale, la casula, la mitra e il pastorale; b) per i presbiteri concelebranti: le vesti per la concelebrazione della messa; c) per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; d) per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. Descrizione del rito 961. Quando il popolo si è radunato, mentre si eseguisce il canto introitale, il vescovo, i presbiteri concelebranti, i diaconi e i ministri, indossata la veste a loro propria, preceduti dal crocifero, si avviano dal secretarium, attraverso l'aula della chiesa, verso il presbiterio. Giunta la processione in presbiterio, il vescovo, omettendo il bacio e l'incensazione dell'altare, va subito alla cattedra; tutti gli altri si dispongono nei luoghi loro assegnati. 962. Terminato il canto, il vescovo, deposti pastorale e mitra, saluta il popolo, dicendo: La grazia e la pace o altre parole simili tolte preferibilmente dalla sacra scrittura. Il popolo risponde: E con il tuo spirito o altre parole adatte. 963. Quindi il vescovo benedice l'acqua per aspergere il popolo, in segno di penitenza e in ricordo del battesimo, e le pareti della nuova chiesa o dell'oratorio. I ministri portano al vescovo, che sta in piedi alla cattedra, il secchiello con l'acqua. Il vescovo invita tutti alla preghiera, dicendo: Fratelli carissimi, qui raccolti in gioiosa assemblea o un'altra monizione simile a questa. Tutti pregano per un breve tempo in silenzio. Quindi il vescovo prosegue con l'orazione: Padre santo, luce e vita di ogni creatura. 964. Terminata l'invocazione sull'acqua, il vescovo, accompagnato dai diaconi, percorre la navata della chiesa e asperge con l'acqua benedetta il popolo e le pareti; tornato quindi in presbiterio, asperge l'altare, a meno che non sia già benedetto o dedicato. Frattanto si canta l'antifona: Ecco l'acqua che sgorga, oppure, in quaresima: Su di voi verserò acqua pura o un altro canto adatto. Dopo l'aspersione, il vescovo ritorna alla cattedra e, terminato il canto, stando in piedi e a mani giunte, dice: Dio, Padre di misericordia. 965. Quindi, fatta eccezione per le messe domenicali e feriali d'avvento e di quaresima, si canta l'inno Gloria a Dio. Il vescovo proclama quindi l'orazione colletta della messa. 966. La messa prosegue nel modo consueto. Tuttavia: - le letture si prendono, secondo le rubriche, o dalla liturgia dei giorno o dai testi proposti nel "Lezionario" per il rito della dedicazione della chiesa; - al vangelo non si portano né candele né incenso; - dopo il vangelo il vescovo tiene l'omelia, nelle quale illustra le letture bibliche e il significato del rito; - si recita il simbolo secondo le rubriche; si dice la preghiera universale nel modo consueto. 967. Quindi il vescovo, se si deve benedire l'altare, si avvicina ad esso. Frattanto si canta l'antifona: Come virgulti d'olivo o un altro canto adatto. Terminato il canto, il vescovo, stando in piedi senza mitra, si rivolge ai fedeli, dicendo: La nostra comunità è in festa, o un'altra monizione simile a questa. Tutti pregano per breve tempo in silenzio. Quindi il vescovo, con le braccia allargate, canta o proclama ad alta voce l'orazione: Benedetto sei tu, Dio grande e misericordioso. Poi il vescovo mette l'incenso in alcuni turiboli, lo benedice e incensa l'altare. Quindi, ricevuta la mitra, ritorna alla cattedra, viene incensato e siede. I ministri, passando attraverso la chiesa, incensano il popolo e l'aula della chiesa. 968. Se per caso si deve fare la dedicazione dell'altare, detto il simbolo e tralasciata la preghiera universale, si osservi quanto è detto più sopra ai nn. 943-950. Se invece l'altare non deve essere benedetto o dedicato ( nel caso, per es., che fosse stato trasportato nella nuova chiesa un altare già benedetto o dedicato ), dopo la preghiera universale la messa prosegue come è indicato più sotto al n. 969. 969. Terminata la preghiera universale, il vescovo siede e riceve la mitra. I ministri stendono sull'altare una tovaglia e, secondo l'opportunità, lo adornano di fiori; dispongono convenientemente i candelieri con le candele richiesti per la celebrazione della messa e, se occorre, la croce. Preparato l'altare, alcuni fedeli portano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione del sacrificio del Signore. Il vescovo riceve i doni alla cattedra. Mentre vengono portati i doni, opportunamente si canta l'antifona: Se presenti la tua offerta oppure: Mosè dedicò un altare o un altro canto adatto. 970. Quando tutto è stato preparato, il vescovo va all'altare e, deposta la mitra, lo bacia. La messa prosegue come di consueto; tuttavia non si incensano le offerte né l'altare. Se invece in questa celebrazione non è stato benedetto o dedicato l'altare, l'incensazione si fa come di consueto. Se si deve inaugurare la cappella dei ss. sacramento, terminata la comunione dei fedeli, tutto si svolge come è descritto più sopra ai nn. 910-913. 971. Per la benedizione il vescovo proclama la formula proposta nel pontificale. Il diacono congeda il popolo nel modo consueto. Capitolo XIII - La benedizione dell'altare Premesse 972. L'altare si dice mobile, quando non è congiunto con il pavimento, così che lo si può spostare. Ad esso si deve un religioso rispetto, perché è la mensa destinata in modo esclusivo e permanente al convito eucaristico. Conviene pertanto che prima dell'uso venga, se non dedicato, almeno benedetto. 973. L'altare mobile può essere costruito con qualsiasi materiale solido, conveniente all'uso liturgico, secondo le tradizioni e le usanze delle diverse regioni. 974. Nella costruzione di un altare mobile si osservi, con gli opportuni adattamenti, ciò che è stabilito nei libri liturgici; non è però consentito racchiudere nel suo basamento reliquie di santi. 975. L'altare mobile viene opportunamente benedetto dal vescovo diocesano o dal presbitero rettore della chiesa. 976. L'altare mobile si può benedire in qualunque giorno, fatta eccezione per il venerdì santo e il sabato santo; si scelga però di preferenza un giorno in cui i fedeli possano partecipare numerosi, specialmente la domenica, a meno che ragioni pastorali non suggeriscano diversamente. 977. Nel rito della benedizione si dice la messa del giorno. Invece nella liturgia della parola, tranne che nei giorni indicati ai nn. 1-9 della tabella dei giorni liturgici, si possono proclamare una o due letture fra quelle proposte nel "Lezionario" per la dedicazione dell'altare. 978. Fino all'inizio della liturgia eucaristica l'altare sia completamente spoglio. Pertanto la croce, se occorre, la tovaglia, le candele e tutte le altre cose necessarie per la preparazione dell'altare, si dispongono in un luogo opportuno del presbiterio. Descrizione del rito 979. Nella messa tutto si svolge come di consueto. Terminata la preghiera universale, il vescovo si avvicina per benedire l'altare. Nel frattempo si canta l'antifona Come virgulti d'ulivo o un altro canto adatto. 980. Poi il vescovo, stando in piedi senza mitra, si rivolge ai fedeli, dicendo: La nostra comunità è in festa o un'altra monizione simile a questa. E tutti pregano per qualche momento di silenzio. Quindi il vescovo, con le braccia allargate, canta o proclama ad alta voce l'orazione Benedetto sei tu, Dio grande e misericordioso. Quindi il vescovo asperge l'altare con l'acqua benedetta e lo incensa. Poi ritorna alla cattedra, riceve la mitra, viene incensato e siede. Il ministro incensa poi il popolo. 981. I ministri stendono sull'altare una tovaglia e, secondo l'opportunità, lo adornano di fiori; dispongono poi i candelieri con le candele richieste per la celebrazione della messa e, se occorre, anche la croce. 982. Preparato l'altare, alcuni fedeli portano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione del sacrificio dei Signore. Il vescovo riceve i doni alla cattedra. Frattanto opportunamente si canta l'antifona Se presenti la tua offerta all'altare o un altro canto adatto. 983. Quando tutto è stato preparato, il vescovo va all'altare e, deposta la mitra, lo bacia. La messa prosegue come di consueto; non si incensano però le offerte né l'altare. Capitolo XIV - Benedizione del calice e della patena Premesse 984. Il calice e la patena che sono usati nella messa per l'offerta, la consacrazione e la comunione del pane e del vino, diventano « vasi sacri » in forza della loro destinazione esclusiva e permanente alla celebrazione dell'eucaristia. 985. L'intenzione di destinare questi vasi unicamente alla celebrazione dell'eucaristia viene manifestata dinanzi alla comunità dei fedeli con una particolare benedizione. Tale benedizione viene lodevolmente impartita durante la messa. 986. Qualunque sacerdote può benedire il calice e la patena, purché l'uno e l'altro siano fatti secondo le disposizioni date in "Principi e norme per l'uso dei Messale Romano". 987. Se si deve benedire soltanto il calice o la patena, si adattino opportunamente i testi del "Pontificale Romano". Descrizione del rito 988. Si dice la messa del giorno. Nella liturgia della parola invece, tranne che nei giorni indicati ai nn. 1-9 della tabella dei giorni liturgici, si possono proclamare una o due letture fra quelle proposte nel "Lezionario". 989. Dopo la proclamazione della parola di Dio si tiene l'omelia nella quale il vescovo spiega le letture bibliche e il significato della benedizione del calice e della patena usati nella celebrazione eucaristica. 990. Terminata la preghiera universale, i ministri o alcuni rappresentanti della comunità che offre il calice e la patena, collocano l'uno e l'altra sull'altare. Il vescovo con i diaconi assistenti si reca all'altare, mentre si canta l'antifona: Alzerò il calice della salvezza, o un altro canto adatto. 991. Terminato il canto, il vescovo dice: Preghiamo. E tutti pregano per qualche momento in silenzio. Poi il vescovo prosegue con l'orazione: Sul tuo altare, Dio nostro Padre. 992. Poi i ministri dispongono sull'altare il corporale. Alcuni fedeli portano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione del sacrificio dei Signore. Il vescovo mette sulla patena e nel calice poco prima benedetti rispettivamente il pane e il vino con l'acqua e fa l'offertorio nel modo consueto. Frattanto opportunamente si canta l'antifona: Alzerò il calice della salvezza con salmo 116 o un altro canto adatto. 993. Detta la preghiera Umili e pentiti, opportunamente si incensano i doni e l'altare. La messa quindi prosegue nel modo consueto. 994. Tenute presenti le circostanze e le modalità della celebrazione, è bene che i fedeli ricevano il sangue di Cristo dal calice poco prima benedetto. Capitolo XV - Benedizione di un nuvo fonte battesimale Premesse 995. Il battistero, il luogo cioè nel quale zampilla o è conservata l'acqua del fonte battesimale, sia riservato al sacramento dei battesimo e del tutto dignitoso. In esso si rinasce cristiani per mezzo dell'acqua e dello Spirito Santo. Sia che trovi collocazione in una qualche cappella all'interno o all'esterno della chiesa, sia in qualche parte della chiesa alla vista dei fedeli, per l'avvenire è opportuno che venga costruito in modo da favorire la partecipazione di molti. Il fonte battesimale, o il recipiente nel quale, secondo l'opportunità, si prepara l'acqua quando il rito è celebrato in presbiterio, splenda per pulizia e per decoro. 996. Il rito è compiuto convenientemente dal vescovo diocesano o dal parroco o dal rettore della chiesa. 997. Se questa benedizione è congiunta con la celebrazione del battesimo, durante la veglia pasquale o al di fuori di essa si osservano le norme descritte più sopra ai nn. 356-367, n. 427, n. 430, nn. 440-448. Tuttavia al posto della formula consueta della benedizione dell'acqua il vescovo, a mani allargate e rivolto verso il fonte, proclama l'orazione: Dio, creatore dell'universo. Dopo la benedizione del fonte la celebrazione del battesimo prosegue nel modo consueto. 998. Invece la benedizione del fonte battesimale senza la celebrazione del battesimo può essere compiuta in qualunque giorno e ora, ad esclusione del mercoledì delle ceneri, della settimana santa e della commemorazione di, tutti i fedeli defunti. Venga scelto soprattutto un giorno in cui i fedeli possano intervenire più numerosi. 999. Per lo svolgimento del rito si preparino: a) il "Rituale Romano" e il "Lezionario"; b) il turibolo e la navicella con l'incenso; c) il secchiello nel quale versare l'acqua attinta al fonte poco prima benedetto, con l'aspersorio; d) il cero pasquale e il candelabro, su cui collocarlo, nel mezzo del presbiterio o presso il fonte; e) le sedi per il vescovo e gli altri ministri; f) le vesti liturgiche di colore bianco o festivo: - per il vescovo: il camice, la croce pettorale, la stola, il piviale ( o la casula, celebra anche la messa ), la mitra e il pastorale; - per i presbiteri: le vesti per la celebrazione della messa; - per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. Riti iniziali 1000. Quando il popolo è riunito si forma la processione che dal secretarium, attraverso la navata della chiesa, si dirige verso il battistero. Precede il turiferario con il turibolo fumigante; seguono l'accolito che porta il cero pasquale, i ministri, i diaconi, i presbiteri e il vescovo, ognuno indossando la propria veste. 1001. Frattanto si canta l'antifona: Attingerete acqua oppure In te, Signore, è la sorgente della vita, con ilsalmo 36 o un altro canto adatto. 1002. Quando la processione è giunta al battistero, tutti si dispongono nei luoghi loro assegnati. Il cero pasquale viene collocato sul candelabro predisposto in mezzo al presbiterio o presso il fonte battesimale. Terminato il canto, il vescovo depone la mitra e il pastorale e saluta il popolo dicendo: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo o altre parole adatte, scelte soprattutto dalla sacra scrittura. Il popolo risponde: E con il tuo spirito o in un altro modo adatto. Quindi il vescovo dispone i fedeli alla celebrazione con la monizione: Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti per una celebrazione piena di gioia, o con un'altra espressa con parole Simili. 1003. Terminata la monizione, il vescovo, a mani giunte, dice: Preghiamo. E tutti pregano per qualche momento in silenzio. Allora il vescovo, a mani allargate, proclama l'orazione: O Dio, che nel sacramento della rinascita. Liturgia della parola 1004. Terminati i riti iniziali, il vescovo siede e riceve la mitra. Quindi si proclamano uno o più testi della sacra scrittura, scelti fra quelli proposti nel lezionario per la celebrazione del sacramenti dell'iniziazione cristiana intercalando alle letture salmi responsoriali adatti, o brevi intervalli di sacro silenzio. Sempre però si riservi il posto d'onore alla lettura del vangelo. 1005. Dopo la proclamazione della parola di Dio il vescovo tiene l'omelia, nella quale illustra le letture bibliche, in modo che i presenti percepiscano più pienamente l'importanza del battesimo e il segno del fonte. Benedizione del nuovo fonte 1006. Quindi il vescovo, deposta la mitra, invita i fedeli alla preghiera, dicendo: Carissimi, è giunto il momento di benedire questo fonte, o con un altro invito simile a questo. E tutti pregano per qualche momento in silenzio. Allora il vescovo, rivolto verso il fonte, proclama l'orazione: Dio, creatore dell'universo. 1007. Terminata la preghiera sul fonte, mentre il fonte viene incensato, è opportuno eseguire un canto, ad esempio: Voce del Signore sulle acque, oppure Risuona sulle acque la voce del Padre, oppure Questo è il fonte della nuova vita. Terminato il canto, secondo l'opportunità, stando in piedi con mitra rivolto verso il popolo, il vescovo riceve la rinnovazione delle promesse battesimali e asperge il popolo con l'acqua attinta dal fonte. Conclusione del rito 1008. A questo punto si dice la preghiera universale, o nel modo consueto come nella celebrazione della messa, o nel modo proposto nel rituale. Segue la preghiera dei Signore, che il vescovo opportunamente introduce con la monizione: Obbedienti alla parola del Salvatore, e memori del battesimo, o con un'altra espressa con simili parole. Poi il vescovo proclama l'orazione: O Dio, che hai infuso nelle acque battesimali. 1009. Infine il vescovo benedice il popolo nel modo consueto, come è indicato più sotto ai nn. 1120-1121. Infine il diacono lo congeda, dicendo: Andate in pace; tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. 1010. Se questa benedizione è celebrata durante la messa, si dice la messa dei giorno o quella votiva secondo le rubriche e una delle letture può essere presa fra quelle proposte nel lezionario per il conferimento dei sacramenti dell'iniziazione cristiana. Capitolo XVI - Benedizione di una nuova croce da esporre alla pubblica venerazione Premesse 1011. Fra le immagini sacre tiene il primo posto quella della « preziosa e vivifica croce », essendo essa il simbolo di tutto il mistero pasquale. Nessuna immagine è più cara al popolo cristiano, nessuna è più antica. Per mezzo della santa croce viene rappresentata la passione di Cristo e il suo trionfo sulla morte e nello stesso tempo, come i santi Padri ci hanno insegnato, viene annunziata la sua seconda gloriosa venuta. 1012. La benedizione di una nuova croce può farsi in qualunque giorno ed ora, tranne che nel mercoledì delle ceneri, nel triduo pasquale e nella commemorazione di tutti i fedeli defunti; si scelga però soprattutto un giorno in cui i fedeli possano intervenire più numerosi. Essi siano opportunamente preparati a partecipare attivamente al rito. 1013. I riti descritti in questo capitolo riguardano soltanto due casi: a) quando si deve benedire solennemente una croce eretta in un luogo pubblico, separato dalla chiesa; b) quando si deve benedire la croce principale, che ha un posto eminente nella navata della chiesa, in cui si riunisce la comunità dei fedeli; in questo caso il rito della benedizione comincia come è indicato più sotto al n. 1020. 1014. Per lo svolgimento del rito si preparino: a) il "Rituale Romano e il "Lezionario"; b) il turibolo con la navicella dell'incenso e il cucchiaino; c) i candelieri per gli accoliti. Per la celebrazione del rito si indossano le vesti di colore rosso o festivo. Si preparino poi: - per il vescovo: il camice, la croce pettorale, la stola, il piviale, la mitra e il pastorale; - per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. Descrizione del rito 1015. Dove è possibile, è opportuno che la comunità dei fedeli si rechi processionalmente dalla chiesa o da un altro luogo adatto al luogo dove è eretta la croce che deve essere benedetta. Se la processione non si può fare o la si ritiene non opportuna, i fedeli si radunano nel luogo dove è stata eretta la croce che deve essere benedetta. Quando il popolo è riunito, il vescovo, che ha indossato il camice, la croce pettorale, la stola e il piviale, incede con mitra e pastorale, assieme ai ministri; quindi, deposti mitra e pastorale, saluta i fedeli, dicendo: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, appeso per noi sulla croce, o un altro saluto simile a questo. Il popolo risponde: E con il tuo spirito o in un altro modo adatto. 1016. Quindi il vescovo parla brevemente ai fedeli per disporre i loro animi alla celebrazione e spiegare loro il senso del rito, dicendo, se vuole, le parole proposte nel rituale. Terminata la monizione, il vescovo invita alla preghiera e, dopo qualche momento di preghiera silenziosa, a mani allargate proclama l'orazione colletta: Padre di misericordia. 1017. Dopo l'orazione colletta il vescovo riceve la mitra e il pastorale; allora il diacono, se è opportuno, dice: Avviamoci in pace, e la processione si avvia ordinatamente verso il luogo dove la croce è stata eretta. Durante la processione si canta l'antifona Nostra gloria con il salmo 98, o un altro canto adatto. Se invece non si compie la processione, subito dopo la colletta si proclama la parola di Dio. 1018. Dopo l'orazione il vescovo riceve la mitra, siede e si proclama la parola di Dio: vengono proclamati uno o più testi della sacra scrittura, intercalando alle letture un conveniente salmo responsoriale. I testi vengono presi fra quelli indicati nel lezionario per la messa del mistero della santa croce. 1019. Quindi il vescovo tiene l'omelia, nella quale illustra non solo le letture bibliche ma anche la potenza della croce del Signore. 1020. Terminata l'omelia, il vescovo toglie la mitra e, stando in piedi davanti alla croce, la benedice, proclamando l'orazione Ti benediciamo, Signore Padre santo, oppure Signore, Padre santo. Al termine pone l'incenso nel turibolo. E mentre tutti cantano l'antifona Adoriamo la tua croce, Signore oppure Per il segno della croce o un altro canto adatto in onore della santa croce, il vescovo, stando davanti alla nuova croce, la incensa. 1021. Terminata l'incensazione, se si può fare comodamente, il vescovo,i ministri e i fedeli venerano la nuova croce: ognuno si reca processionalmente davanti ad essa la onora o genuflettendo o baciandola o compiendo un altro gesto di venerazione, secondo l'uso del luogo. Se, per il grande concorso del popolo o per qualche altra ragionevole causa non tutti possono singolarmente avvicinarsi alla croce per venerarla, il vescovo con brevi parole invita il popolo a venerare la santa croce ed esso la venera o con alcuni istanti di silenzio o con una acclamazione adatta. 1022. Terminata l'adorazione della croce, si dice la preghiera universale o nel modo solito della celebrazione della messa o nel modo proposto nel rituale. Essa si conclude con la preghiera dei Signore, cantata o recitata da tutti, e con l'orazione dei vescovo. Quindi il vescovo, presi mitra e pastorale, benedice il popolo nel modo consueto; il diacono poi lo congeda, dicendo: Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio; e opportunamente si eseguisce un canto adatto per glorificare la croce del Signore. Capitolo XVII - Benedizione della campana Premesse 1023. Nella Chiesa latina si è diffusa l'usanza, opportunamente conservata ancor oggi, di benedire le campane prima di sistemarle sulla torre campanaria. Il rito è opportunamente celebrato dal vescovo della diocesi o dal parroco o dal rettore della chiesa. Secondo le circostanze di luogo e di situazioni, la campana viene benedetta durante la celebrazione della parola di Dio. 1024. La benedizione della campana può farsi in qualunque giorno ed ora, tranne che nel mercoledì delle ceneri, nella settimana santa e nella commemorazione di tutti i fedeli defunti; si scelga però soprattutto un giorno in cui i fedeli possano intervenire più numerosi, specialmente la domenica. 1025. È opportuno che la campana sia sospesa o collocata nel luogo designato in modo che, se è il caso, si possa comodamente girare intorno ad essa e suonarla. Inoltre per il rito si preparino: a) il "Rituale Romano" e il "Lezionario"; b) il secchiello dell'acqua benedetta con l'aspersorio; c) la croce processionale e le torce per i ministri; d) il turibolo e la navicella con l'incenso. Per la celebrazione del rito si indossano le vesti sacre di colore bianco o festivo. Si preparino poi: - per il vescovo: il camice, la stola, la croce pettorale, il piviale, la mitra e il pastorale; - per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. Descrizione del rito 1026. Quando il popolo è riunito, il vescovo, con mitra e pastorale, si reca processionalmente alla sede o al luogo dove è collocata la campana che deve essere benedetta: precede il crocifero fra due ministri con le torce accese, seguono i ministri, i diaconi, i presbiteri e il vescovo; frattanto si eseguisce un canto adatto. 1027. Terminato il canto, il vescovo, deposti pastorale e mitra, saluta il popolo dicendo: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo; quindi opportunamente parla brevemente ai fedeli, per disporne gli animi alla celebrazione. 1028. Al termine, il vescovo riceve la mitra e siede. Si proclama la parola di Dio: vengono proclamati uno o più testi della sacra scrittura fra quelli indicati nel rituale, intercalando un conveniente salmo responsoriale. 1029. Dopo la proclamazione della parola di Dio, il vescovo tiene l'omelia, nella quale illustra non solo le letture bibliche ma anche il senso e l'uso della campana nella tradizione e nella vita della Chiesa. 1030. Terminata l'omelia, il vescovo depone il pastorale e la mitra e, stando in piedi davanti alla campana, la benedice, proclamando l'orazione: Ti benediciamo, Signore, Padre santo, oppure Gloria a te, o Padre. Poi asperge la campana con l'acqua benedetta e la incensa. Frattanto si può cantare l'antifona: Cantate al Signore, con il salmo 149 o un altro canto adatto. 1031. Terminato il canto si dice la preghiera universale o nel modo consueto della celebrazione della messa o nel modo indicato nel rituale. La preghiera universale si conclude con la preghiera del Signore, cantata o recitata da tutti, e con l'orazione dei vescovo. Quindi il vescovo, presi mitra e pastorale, benedice il popolo nel modo consueto o nel modo indicato nel rituale; il diacono poi lo congeda, dicendo: Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Se lo si ritiene opportuno, il vescovo e i fedeli, prima di andarsene, suonano la campana benedetta in segno di gioia. 1032. Se le benedizione della campana si svolge durante la messa, si osservi quanto segue: a) si dice la messa del giorno; b) le letture, tranne che nelle solennità, nelle feste e nelle domeniche, possono essere prese o dalla messa del giorno o fra quelle proposte nel rituale della benedizione della campana; c) la benedizione della campana si compie dopo l'omelia, secondo il rito descritto più sopra al n. 1030; d) non si suoni la campana se non a messa conclusa. Capitolo XVIII - Rito dell'incoronazione di un'immagine della beata Vergine Maria Premesse 1033. Una speciale venerazione viene prestata alle immagini della beata vergine Maria ornando con una corona regale il capo dell'augusta Madre e, se è il caso, quello del suo Figlio. Con questo rito i fedeli professano che la beata Vergine, assunta alla gloria celeste in corpo ed anima, giustamente è ritenuta e invocata come regina, dal momento che è Madre e Collaboratrice di Cristo, re dell'universo, il quale con il suo sangue prezioso si è acquistato in eredità tutte le genti. 1034. Spetta al vescovo diocesano, insieme con la comunità locale, giudicare sull'opportunità di incoronare l'immagine della beata vergine Maria. Si tenga tuttavia presente che è opportuno incoronare soltanto quelle immagini che, essendo oggetto di venerazione per la grande fiducia dei fedeli nella Madre del Signore, godono di una certa celebrità, e il luogo in cui sono venerate è diventato sede e quasi centro di genuino culto liturgico e di attività cristiana. È anche opportuno che i fedeli che desiderano che un'immagine della beata vergine Maria sia incoronata, siano istruiti sul senso del rito, perché lo comprendano pienamente e rettamente lo interpretino. 1035. Per il diadema o la corona da imporre all'immagine, si usi una materia atta ad esprimere la dignità singolare della beata Vergine; si eviti tuttavia una eccessiva magnificenza o sontuosità che disdica alla sobrietà del culto cristiano o possa suscitare una sgradevole sorpresa nei fedeli del luogo a causa del loro umile tenore di vita. 1036. È opportuno che il rito venga officiato dal vescovo diocesano. Qualora questi non possa farlo di persona, ne affiderà il compito o a un altro vescovo o anche a un presbitero, che è stato suo attivo collaboratore nella cura pastorale dei fedeli nella cui chiesa si venera l'immagine da incoronare. Se l'immagine viene incoronata a nome del Romano Pontefice, si osservino le norme indicate nel Breve Apostolico. 1037. Il rito dell'incoronazione si compie opportunamente nelle solennità e feste della beata vergine Maria e in altri giorni festivi. Non si svolga però nella maggiori solennità del Signore e nemmeno nei giorni a carattere penitenziale. Secondo le circostanze, l'incoronazione dell'immagine della beata vergine Maria si può compiere durante al messa, ai vespri nella liturgia delle ore o in una celebrazione adatta della parola di Dio. 1038. Oltre a quanto è necessario per la celebrazione dell'azione liturgica in cui si inserisce il rito dell'incoronazione, si preparino: a) il rito dell'incoronazione; b) il "Lezionario"; c) la corona o le corone collocate in luogo adatto; d) il secchiello dell'acqua benedetta con l'aspersorio; e) il turibolo con la navicella dell'incenso e il cucchiaino. Si indossano le vesti sacre di colore bianco o festivo, a meno che non si celebri una messa che richieda vesti di un altro colore. Se si celebra la messa si preparino: - per il vescovo: il camice, la croce pettorale, la stola, la casula, la mitra e il pastorale; - per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. I. Rito dell'incoronazione durante la celebrazione dell'Eucaristia 1039. Se lo rubriche lo consentono, è opportuno celebrare la messa della beata vergine Maria regina ( 22 agosto ) o una messa che corrisponda al titolo proprio dell'immagine che viene incoronata. 1040. Nella messa tutto si svolge come al solito, fino al vangelo compreso. Terminato il vangelo, il vescovo tiene l'omelia, nella quale illustra sia le letture bibliche, sia la funzione materna e regale della beata vergine Maria nel mistero della Chiesa. 1041. Rendimento di grazie e invocazione Dopo l'omelia, i ministri portano al vescovo le corone ( o la corona ) con cui cingere le immagini di Cristo e della Madre sua. Allora il vescovo, deposta la mitra, si alza e, stando in piedi alla sede, dice la preghiera: Benedetto sei tu, Signore, nella quale, se si deve incoronare soltanto l'immagine della beata vergine Maria, il versetto all'immagine del Cristo e della Madre sua viene cambiato con il versetto all'immagine della Madre del Cristo tuo Figlio, come è notato a suo luogo. 1042. Imposizione della corona Terminata l'orazione, il vescovo asperge con l'acqua benedetta le corone ( o la corona ) e, senza dire nulla, la impone all'immagine della beata vergine Maria. Se la beata Vergine è raffigurata con Gesù Bambino, viene incoronata prima l'immagine del Figlio, e poi quella della Madre. Compiuta l'incoronazione si canta l'antifona: Gloriosa regina del mondo, o un altro canto adatto. Frattanto il vescovo incensa l'immagine della beata vergine Maria. Terminato il canto, si dice la preghiera universale nel modo proposto dal "Rito" o in un altro modo adatto. Se pare opportuno, il vescovo, dopo l'incensazione delle offerte, dell'altare e della croce, incensa anche l'immagine della beata vergine Maria. 1043. Quindi la messa prosegue come al solito. Dopo la messa si canta l'antifona Salve Regina, o Ave, regina dei cieli o, nel tempo pasquale Regina dei cieli, rallegrati o un altro canto adatto in onore della beata vergine Maria. II. Rito dell'incoronazione durante la celebrazione dei vespri 1044. Se le rubriche lo consentono, conviene celebrare vespri della beata vergine Maria regina ( 22 agosto ), oppure i vespri che corrispondono al titolo proprio dell'immagine che viene incoronata. 1045. I vespri cominciano nel modo consueto. Prima dell'inno, il vescovo, secondo l'opportunità, rivolge ai fedeli la parola in forma di monizione per disporre i loro animi alla celebrazione. Segue il canto dei salmi con le loro antifone. Terminata la salmodia, è bene proclamare una lettura più lunga, scelta fra quelle assegnate nel lezionario per le celebrazioni della beata vergine Maria. Quindi il vescovo tiene l'omelia. 1046. Dopo l'omelia, secondo l'opportunità, tutti sostano per un po' di tempo in meditazione silenziosa della parola di Dio. Poi si canta il responsorio breve Santa Maria, regina del mondo, o un altro canto simile. 1047. Terminato il canto, il vescovo, tolta la mitra, si alza; ugualmente si alzano tutti gli altri. Stando in piedi alla cattedra, benedice la corona o le corone con l'orazione Benedetto sei tu, Signore, e le asperge con l'acqua benedetta. Poi il vescovo si avvicina all'immagine e la incorona senza dire nulla. 1048. Fatta la imposizione della corona, si canta il Magnificat, con una delle antifone indicate nel Rito. Durante il cantico evangelico, il vescovo, dopo aver incensato l'altare e la croce, incensa anche l'immagine della beata vergine Maria. 1049. Terminato il cantico, si dice la preghiera universale in uno dei modi proposti nel Rito. Dopo la preghiera del Signore, il vescovo proclama l'orazione indicata nel Rito O Padre che ci hai dato come nostra Madre e Regina, a meno che l'ufficio del giorno non ne richieda un'altra. Quindi il vescovo benedice il popolo nel modo consueto; il diacono poi lo congeda, dicendo: Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio. Quindi si canta opportunamente un'antifona della beata vergine Maria. III. Rito dell'incoronazione durante una celebrazione della parola di Dio 1050. Il vescovo, nel secretarium o in un altro luogo adatto, indossa sul camice: la croce pettorale, la stola e il piviale di colore bianco o festivo e prende la mitra e il pastorale. Quindi si compie nel modo solito l'ingresso in chiesa, mentre si canta l'antifona Alla tua destra è assisa la Regina con il salmo 45 o un altro canto adatto. Giunto all'altare, il vescovo depone il pastorale e la mitra, bacia l'altare e va alla cattedra, dove, terminato il canto, saluta il popolo, dicendo: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo o altre simili parole. 1051. Quindi il vescovo rivolge brevemente ai fedeli la parola per disporre i loro animi alla celebrazione e spiegare il significato del rito. Terminata la monizione, invita alla preghiera e, dopo qualche momento di silenzio, proclama l'orazione: O Dio che ci hai dato come madre e regina. 1052. Terminata l'orazione, tutti siedono. Il vescovo riceve la mitra e prende inizio la celebrazione della parola di Dio, che si svolge nel modo consueto. Le letture vengono scelte fra quelle proposte nel lezionario per le celebrazioni della beata vergine Maria, specialmente della beata vergine Maria Regina, intercalandovi il salmo responsoriale o pause di sacro silenzio. Tuttavia alla lettura del vangelo si riservi sempre il posto di onore. 1053. Terminate le letture il vescovo tiene l'omelia e tutto si svolge come è descritto più sopra ai nn. 1041-1042. Poi si dice la preghiera litanica nel modo indicato nel rito o in altra forma adatta. Terminate le litanie, il vescovo benedice il popolo e il diacono lo congeda. Infine si canta l'antifona mariana secondo il tempo liturgico o un altro canto adatto. Capitolo XIX - La benedizione di un cimitero Introduzione 1054. La Chiesa considera il cimitero come luogo sacro; raccomanda quindi e si adopera perché i nuovi cimiteri, costruiti dalla comunità cattolica o dalla pubblica amministrazione nei paesi cattolici, vengano benedetti, e si eriga in essi la croce dei Signore, segno per tutti di speranza e di risurrezione. Tuttavia i discepoli di Cristo « né per territorio, né per lingua, né per civili istituzioni si distinguono dagli altri uomini » con i quali conducono la loro esistenza; per tutti i defunti quindi rivolgono al Padre celeste la loro preghiera: per i « fratelli che sono morti nella pace di Cristo, e per tutti i defunti, dei quali Dio solo ha conosciuto la fede ». I cristiani pertanto seppelliscono e onorano nei cimiteri non solo i corpi dei loro fratelli di fede, ma anche quelli di coloro con i quali hanno condiviso la stessa natura umana: Cristo infatti ha redento tutti sulla croce, spargendo per tutti il suo sangue. 1055. La benedizione di un cimitero può svolgersi in qualsiasi giorno, fatta eccezione per il mercoledì delle ceneri e la settimana santa; si scelga però di preferenza un giorno in cui i fedeli possano intervenire numerosi, e specialmente la domenica, perché la memoria settimanale della pasqua del Signore esprime meglio il senso pasquale della morte cristiana. 1056. È opportuno che il rito della benedizione del cimitero venga celebrato dal vescovo diocesano. Se non gli è possibile, ne affidi lo svolgimento a un presbitero, specialmente se è associato come suo collaboratore nella cura pastorale della diocesi o di quegli stessi fedeli che hanno voluto la costruzione del cimitero ( ad esempio, il rettore o il parroco del cimitero ). Fatti i debiti adattamenti di cui più sopra al n. 877, si rediga il verbale dell'avvenuta benedizione, di cui una copia sia conservata nella curia diocesana, un'altra nell'archivio del cimitero. 1057. Per compiere il rito della benedizione del cimitero, si preparino: a) il "Rituale" e il "Lezionario"; b) la croce processionale e le torce che i ministri devono portare nella processione dalla chiesa al cimitero; c) il secchiello dell'acqua benedetta con l'aspersorio, il turibolo e la navicella con l'incenso; d) se l'altare della cappella del cimitero deve essere dedicato o benedetto, tutto ciò che è richiesto per il suo ornamento, nonché necessario per il rito di dedicazione o di benedizione; e) se dopo la benedizione si celebra il sacrificio eucaristico nel cimitero, tutto ciò che è necessario per la celebrazione della messa. Per lo svolgimento dei rito si usino le sacre vesti di colore adatto. Si preparino anche: - per il vescovo: il camice, la stola, la croce pettorale, secondo l'opportunità il piviale, la casula, la mitra e il pastorale; - per i presbiteri concelebranti: le vesti per la concelebrazione della messa; - per i diaconi: i camici, le stole, e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. Ingresso al cimitero 1058Laddove è possibile, è bene che la comunità dei fedeli si rechi ordinatamente dalla chiesa o da un altro luogo adatto al cimitero che deve essere benedetto. Se la processione non si può compiere o non si ritiene opportuna, i fedeli si riuniscono all'entrata dei cimitero. Il vescovo, rivestito di camice, stola e piviale ( oppure rivestito di casula, se si deve celebrare la messa nel cimitero e lo consigliano le circostanze ), con mitra e pastorale, si avvicina con i ministri all'assemblea dei fedeli. Quindi, deposti mitra e pastorale, saluta i fedeli dicendo: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, che donando la vita, o altre simili parole. Il popolo risponde: E con il tuo spirito, o in un altro modo adatto. 1059. Quindi il vescovo dispone opportunamente gli animi dei fedeli alla celebrazione con la monizione: Fratelli e sorelle, la pietà cristiana ci ha riuniti, o con un'altra monizione espressa con parole simili. Terminata la monizione, invita alla preghiera, e dopo qualche momento di preghiera silenziosa, proclama l'orazione colletta: O Padre, che fai di noi tuoi fedeli. 1060. Terminata l'orazione, il diacono, se è opportuno, dice: Avviamoci in pace. E si avvia la processione verso il cimitero secondo questo ordine: precede il crocifero in mezzo ai due ministri con le torce accese; seguono i ministri e il vescovo, con mitra e pastorale, quindi i fedeli. Frattanto si può cantare il salmo 118 con l'antifona Avrò la tua pace o un'altra indicata nel rituale o altri canti adatti. Se invece non si compie la processione, subito dopo la preghiera, il vescovo, con mitra e pastorale, entra nel cimitero con i ministri e i fedeli, mentre si canta l'antifona: Udii una voce con il salmo 134 o un altro canto adatto. Proclamazione della parola di Dio 1061. La processione si dirige al luogo dove è eretta la croce, e li si compie la proclamazione della parola di Dio; se lì ciò non si può compiere comodamente, si va alla cappella del cimitero o in un altro luogo adatto. 1062. Quindi si proclamano uno o più testi della sacra scrittura. Se poi il rito prosegue con la celebrazione della liturgia eucaristica, vengono proclamate, intercalando il salmo responsoriale adatto, almeno due letture scelte dal lezionario dei defunti, delle quali la seconda è quella dei vangelo. 1063. Al termine il vescovo tiene l'omelia, nella quale illustra non solo le letture bibliche ma anche il senso pasquale della morte cristiana. Benedizione della Croce e dell'area cimiteriale 1064. Terminata l'omelia, il vescovo, sostando senza mitra davanti alla croce eretta in mezzo al cimitero, benedice la croce stessa e l'area cimiteriale, proclamando l'orazione: Ti benediciamo, Dio giusto e santo. Quindi pone l'incenso nel turibolo e incensa la croce. Asperge poi con l'acqua benedetta il cimitero e i presenti. L'aspersione del cimitero si può compiere o restando al centro dell'area cimiteriale, o percorrendo il perimetro del recinto: in questo caso opportunamente si canta l'antifona: Esulteranno nel Signore con il salmo 51. Liturgia eucaristica o preci 1065. Terminati questi riti, se si deve celebrare il sacrificio del Signore per i defunti, il vescovo, se è il caso, indossa la casula e si reca all'altare preparato per la celebrazione: fatta con i ministri la debita riverenza, bacia l'altare. Il diacono o i ministri collocano sull'altare il corporale, il purificatoio, il calice e il "Messale Romano"; quindi portano il pane, il vino e l'acqua, e la messa prosegue come di consueto. 1066. Se invece si dovesse dedicare o benedire l'altare della cappella del cimitero, si devono osservare le indicazioni date più sopra per la dedicazione dell'altare ( nn. 943 ss ) o della sua benedizione ( nn. 979 ss ). 1067. Se invece non si celebra l'eucaristia, terminata l'aspersione del cimitero, si dice la preghiera universale, o nel modo consueto della messa o nel modo indicato nel rituale. Essa si conclude con la preghiera del Signore, cantata o recitata da tutti, e con l'orazione del vescovo. Quindi il vescovo, prendendo la mitra e il pastorale, benedice il popolo nel modo consueto, mentre il diacono lo congeda dicendo: Andate in pace. Tutti rispondono: Rendiamo grazie a Dio, e si ritirano. 1068. Rito della benedizione del cimitero, comune a più confessioni cristiane Nel caso poi di un cimitero costruito o dall'amministrazione pubblica o dalla comunità cristiana, cioè da fratelli separati e da cattolici, per seppellirvi di preferenza i defunti delle comunità cristiane, è bene farne l'inaugurazione con una celebrazione ecumenica, alla cui preparazione collaborino tutte le parti interessate. Per la parte che riguarda i cattolici, l'ordinamento della celebrazione spetta all'ordinario del luogo. 1069. Circa la presenza dei cattolici nel rito di inaugurazione di un cimitero di una religione non cristiana o che abbia un'indole prettamente laicale Se la comunità cattolica viene invitata all'inaugurazione di un cimitero che abbia caratteristiche o proprie di una religione non cristiana, o prettamente laicali, la Madre Chiesa non rifiuta di partecipare al rito o di pregare per tutti i defunti. Spetta tuttavia all'ordinario del luogo dare direttive sulla presenza dei cattolici. Qualora siano debitamente autorizzati, il sacerdote cattolico e i fedeli scelgano letture della sacra Scrittura, salmi e preghiere che esprimano in tutta chiarezza la dottrina della Chiesa sulla morte e sul fine dell'uomo, che tende di sua natura a Dio, vivo e vero. Capitolo XX - Pubblica supplica in caso di una grave profanazione di una chiesa Premesse 1070. I delitti che vengono compiuti in una chiesa in qualche modo turbano e ledono tutta la comunità dei fratelli credenti in Cristo, di cui l'edificio sacro è segno ed immagine. Devono considerarsi delitti e scelleratezze di tal genere quelle che recano grave ingiuria ai sacri misteri, soprattutto alle specie eucaristiche, e vengono commesse in disprezzo della Chiesa, oppure offendono gravemente la dignità dell'uomo e della società umana. Una chiesa dunque viene profanata se in essa si compiono con scandalo dei fedeli azioni gravemente ingiuriose, che, a giudizio dell'ordinario del luogo, sono tanto gravi e contrarie alla santità del luogo da non essere più lecito esercitare in essa il culto finché l'ingiuria non venga riparata con un rito penitenziale. 1071. All'ingiuria recata ad una chiesa si deve porre riparo il più in fretta possibile con un rito penitenziale; finché tale rito non sia stato compiuto, non si celebrino in essa né l'eucaristia, né gli altri sacramenti o riti liturgici. È veramente opportuno preparare gli animi dei fedeli al rito penitenziale con la predicazione della parola di Dio e con pii esercizi; è meglio ancora proporre loro il rinnovamento interiore mediante la celebrazione del sacramento della penitenza. In segno di penitenza l'altare resti spoglio e venga tolto ogni segno che di solito serve ad esprimere letizia e gioia: luci accese, fiori e altre cose del genere. 1072. Conviene che il rito penitenziale sia presieduto dal vescovo diocesano, per esprimere che non solo la comunità locale ma tutta la Chiesa diocesana si associa a tale rito e si dispone alla conversione e alla penitenza. Secondo le circostanze il vescovo, insieme al rettore della chiesa della comunità locale, stabilisca se si debba compiere la celebrazione del sacrificio eucaristico oppure la celebrazione della parola di Dio. 1073. Il rito penitenziale può essere compiuto in qualsiasi giorno, tranne che nel triduo pasquale, nelle domeniche e nelle solennità. Nulla impedisce tuttavia, anzi è opportuno affinché i fedeli non ne riportino un danno spirituale, che il rito penitenziale venga celebrato alla vigilia della domenica o delle solennità. 1074. Per la celebrazione del rito penitenziale si preparino: a) il "Rituale Romano" e il "Lezionario"; b) il secchiello con l'acqua che deve essere benedetta e con l'aspersorio; c) il turibolo con la navicella dell'incenso e il cucchiaino; d) la croce processionale e le torce per i ministri; e) la tovaglia, i ceri e gli altri oggetti necessari per l'ornamento dell'altare; f) quanto è necessario per la celebrazione della messa, se essa si celebra. Durante il rito penitenziale si indossano le vesti sacre di colore violaceo o penitenziale, secondo le consuetudini locali, a meno che non si celebri una messa che richieda vesti di altro colore. Si preparino: - per il vescovo: il camice, la croce pettorale, la stola, il piviale o la casula, la mitra e il pastorale; - per i concelebranti: le vesti per la messa; - per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. I. Rito penitenziale congiunto alla celebrazione eucaristico 1075. Il rito che più opportunamente si può usare per riparare ad un'offesa recata ad una chiesa è quello in cui l'azione penitenziale si compone in modo adatto con la celebrazione eucaristica. Infatti, come una nuova chiesa viene dedicata soprattutto con la celebrazione dell'eucaristia, così è buona cosa che una chiesa profanata venga nuovamente reintegrata con la medesima celebrazione. 1076. Per la comunione con la quale i sacerdoti sono associati al vescovo nella celebrazione dei rito penitenziale, è opportuno che il vescovo concelebri la messa con i presbiteri presenti e soprattutto con quelli che esercitano il loro ufficio pastorale nella chiesa che ha subito la profanazione. 1077. I testi propri richiesti per la celebrazione della messa sono indicati, ciascuno a suo luogo, nel rituale. Tuttavia si può dire la messa che sembri più adatta ad esprimere la riparazione dell'ingiuria recata: ad esempio la messa della ss.ma eucaristia se è stato profanato gravemente il santissimo sacramento, o la messa per promuovere la concordia se, all'interno della chiesa stessa, si è verificata una grave lite tra fratelli della comunità. Ingresso in chiesa 1078. La riunione del popolo e l'ingresso, secondo le circostanze di tempo e di luogo, si compiono in uno dei due modi descritti più sotto. 1079. Primo modo: la processione All'ora fissata il popolo sì raduna in una chiesa vicina o in un altro luogo adatto, dal quale convenientemente la processione, con a capo il crocifero, si dirige verso la chiesa profanata per il rito di riparazione. Il vescovo, con mitra e pastorale, i presbiteri concelebranti, il diacono e i ministri, ciascuno indossando la veste propria, si recano al luogo dove il popolo è radunato. Il vescovo, deposti mitra e pastorale, saluta il popolo. 1080. Quindi il vescovo dispone opportunamente con una monizione gli animi dei fedeli alla celebrazione; poi invita alla preghiera e, dopo un breve momento di preghiera silenziosa, proclama l'orazione colletta. 1081. Allora, dopo che il diacono, secondo l'opportunità, ha proclamato: Andiamo in pace, si ordina la processione verso la chiesa che deve essere reintegrata: precede il crocifero in mezzo a due accoliti con i candelieri accesi, seguono i ministri, i presbiteri concelebranti, il vescovo con mitra e pastorale, accompagnato dai diaconi, e i fedeli. Mentre si svolge la processione, si cantano nel modo consueto le litanie dei santi, nelle quali, al punto più adatto, si aggiungono le invocazioni del patrono del luogo e del titolare della chiesa che deve essere reintegrata. Prima dell'invocazione: Gesù, Figlio del Dio vivente, si aggiunge un'invocazione che si riferisca al rito che si deve celebrare; si possono aggiungere altre invocazioni che rispondano alle necessità della comunità 1082. Dopo essere entrato in chiesa, il vescovo, senza compiere alcun atto di venerazione all'altare, si reca alla sede; i concelebranti, i diaconi, i ministri si dispongono ai posti loro assegnati in presbiterio. Quindi il vescovo, deposti mitra e pastorale, benedice l'acqua e compie l'aspersione, come è descritto più sotto ai nn. 1085-1086. 1083. Secondo modo: l'ingresso Se non si può compiere la processione o non si ritiene opportuna, i fedeli si riuniscono direttamente in chiesa. Il vescovo, con mitra e pastorale, i presbiteri concelebranti, i diaconi, i ministri, ciascuno indossando la veste propria, preceduti dal crocifero fra due ministri con le torce, dal secretarium attraverso l'aula della chiesa si dirigono verso il presbiterio. Frattanto si canta un'antifona con il salmo 130 o un altro canto adatto. 1084. Quando la processione è giunta al presbiterio, i ministri, i diaconi, i presbiteri concelebranti si dispongono ai posti loro assegnati; il vescovo, omessa la venerazione dell'altere, si reca alla sede dove, deposti mitra e pastorale, saluta il popolo. Benedizione e aspersione dell'acqua 1085. Terminato il rito di ingresso, il vescovo benedice l'acqua per aspergere il popolo in ricordo del battesimo, in segno di penitenza e per purificare l'altare e le pareti della chiesa profanata. I ministri portano il secchiello con l'acqua al vescovo che sta in piedi alla sede. Egli poi con una monizione invita tutti alla preghiera; quindi, dopo un breve momento di preghiera silenziosa, proclama l'orazione di benedizione. 1086. Dopo aver proclamato l'invocazione sull'acqua, il vescovo, accompagnato dai diaconi, asperge con l'acqua benedetta l'altare e, se vuole, passando attraverso l'aula della chiesa, il popolo e le pareti. Frattanto si canta un'antifona. 1087. Terminati questi riti, il vescovo ritorna alla sede; quindi, a mani giunte, invita alla preghiera e, dopo un breve istante di preghiera silenziosa, proclama, a mani allargate, l'orazione colletta. Liturgia della parola 1088. Nella liturgia della parola le letture, il salmo responsoriale, il versetto prima del vangelo si prendono fra quelli proposti nel lezionario della messa per la remissione dei peccati a meno che, per le circostanze, non sembrino più adatte altre letture. Dopo la proclamazione del vangelo, il vescovo di norma, seduto alla sede con mitra e pastorale, a meno che non ritenga opportuno fare diversamente, tiene l'omelia, nella quale spiega non solo le letture bibliche ma anche la necessità di ripristinare la dignità della chiesa e di promuovere la santità della Chiesa locale. 1089. Se all'inizio della celebrazione sono state cantate le litanie dei santi, si omette la preghiera universale; diversamente è opportuno che essa sia compiuta in modo tale che assieme alle consuete invocazioni, vi sia una pressante richiesta di conversione e di perdono, tenendo presenti i modelli proposti nel rituale. Liturgia eucaristica 1090. Terminata la preghiera universale, il vescovo, ricevuta la mitra, siede. Il diacono e i ministri coprono l'altare con la tovaglia e, secondo l'opportunità, lo adornano di fiori; dispongono bene i candelieri con le candele che sono richieste per la celebrazione della messa e, se è il caso, la croce. Preparato l'altare, alcuni fedeli portano il pane, il vino e l'acqua per la celebrazione dell'eucaristia. Il vescovo riceve i doni alla sede. Mentre si portano i doni si può cantare un'antifona o un altro canto adatto. Quindi il diacono e i ministri collocano sull'altare il corporale, il purificatoio, il calice e il "Messale Romano". Quando tutto è pronto, il vescovo, deposta la mitra, si reca all'altare e lo bacia. La messa prosegue nel modo consueto. Dopo la preghiera Umili e pentiti, si incensano le offerte e l'altare. Si dice la preghiera sulle offerte. 1091. Dove è stata recata una grave offesa alle specie eucaristiche, omessi i riti di conclusione, segue, secondo l'opportunità, l'esposizione e la benedizione eucaristica, come è descritto più sotto al n. 1105. Per impartire la benedizione finale nel modo consueto, il vescovo può proclamare una delle formule di benedizione solenne; al termine il diacono congeda il popolo nel modo consueto. II. Rito penitenziale congiunto alla celebrazione della parola di Dio 1092. Se invece si deve fare soltanto una celebrazione della parola di Dio, tutto si svolge come è indicato più sopra ai nn. 1079-1089. Poi si invoca la misericordia di Dio con la supplica proposta nel rituale o con un'altra supplica penitenziale adatta. Quindi i ministri o i fedeli stendono la tovaglia sull'altare, e, secondo l'opportunità, lo adornano di fiori, mentre si illumina a festa l'aula della chiesa. Il vescovo si reca all'altare, e come segno di venerazione lo bacia e lo incensa. Terminata l'incensazione, stando in piedi all'altare, introduce con una monizione adatta la preghiera del Signore, che tutti cantano insieme. Subito il vescovo proclama l'orazione adatta indicata nel rituale. Il popolo viene benedetto e congedato nel modo consueto. Capitolo XXI - Le processioni 1093. Dall'antica consuetudine attestata dai santi padri la Chiesa cattolica ha ereditato la tradizione di compiere pubbliche e sacre processioni o solenni celebrazioni di supplica, compiute dal popolo cristiano, sotto la guida del clero, camminando ordinatamente soprattutto da un luogo sacro ad un altro luogo sacro, con preghiere e con canti, sia per risvegliare la pietà dei fedeli, sia per commemorare i benefici di Dio e rendergli grazie, sia per implorare l'aiuto divino: per questo esse devono essere celebrate con quel senso di religiosità che si conviene. Infatti tali celebrazioni contengono grandi divini misteri e coloro che vi partecipano piamente ottengono da Dio frutti salutari di cristiana pietà. Di tutto ciò spetta ai pastori d'anime informare ed istruire i fedeli. 1094. Le processioni possono essere: ordinarie, quando si tengono in giorni stabiliti durante l'anno secondo le norme dei libri liturgici e le consuetudini delle varie Chiese; oppure straordinarie, quando vengono indette in giorni particolari per un motivo di carattere pubblico. 1095. Tra le processioni ordinarie hanno il primo posto quelle nella festa della presentazione del Signore, nella domenica delle palme "nella passione del Signore" nella veglia pasquale, perché in esse si commemorano i misteri del Signore; inoltre anche la processione del ss. Sacramento dopo la messa nella solennità del corpo e del sangue del Signore. 1096. La processioni straordinarie vengono indette dalla Conferenza episcopale, come le rogazioni, oppure dall'ordinario di luogo, come le processioni per una qualche necessità pubblica o quelle con sacre reliquie o immagini, e altre simili. 1097. Eccettuate le processioni con il ss. Sacramento, che seguono la messa, dovendosi consacrare nella stessa messa l'ostia da portare in processione, le altre processioni, di norma, devono precedere la messa, a meno che, per qualche grave motivo, l'ordinario non ritenga che si debba fare diversamente. 1098. Le processioni, soprattutto se si svolgono per le pubbliche strade, siano organizzate ed ordinate in modo tale da essere di edificazione a tutti. Si adattino anche alle tradizioni dei popoli e all'indole della città e del luogo. 1099. Nell'ordinare le processioni si osservi il rito descritto per ciascuna di esse in questo Cerimoniale e negli altri rispettivi libri liturgici. In testa alle processioni si rechi sempre la croce fra due candelieri con le candele accese; se si usa l'incenso, davanti alla croce proceda il turiferario con il turibolo fumigante, tranne che nelle processioni del ss. Sacramento. 1100. Nelle processioni del ss. Sacramento, del legno della s. croce, delle reliquie, delle immagini, ed altre simili, quando alla processione partecipa il vescovo, conviene sempre che sia lui a presiedere, rivestito di piviale e portando il ss. Sacramento o l'oggetto sacro. Se invece il vescovo, rivestito di piviale, non porta personalmente il ss. Sacramento o l'oggetto sacro, precede sempre chi lo porta; tuttavia, se partecipa alla processione in abito corale, viene dopo il ss. Sacramento o l'oggetto sacro. Gli altri vescovi che per caso partecipano alla processione, quando indossano l'abito corale, seguono il ss. sacramento o l'oggetto sacro, in modo tale che i primi in dignità siano più vicini al ss. Sacramento; quando invece indossano il piviale, precedono il vescovo che presiede, in modo tale che sempre i primi in dignità siano più vicini al ss. Sacramento o all'oggetto sacro. 1101. Tranne che per le processioni del ss. Sacramento e con le reliquie della s. croce, il vescovo, se indossa le sacre vesti, porta la mitra ed anche il pastorale, a meno che non debba tenere qualcosa in mano, come, ad esempio, la candela o la palma e il pastorale. Quando il pastorale non è retto dal vescovo, esso è tenuto davanti a lui da un ministro. Capitolo XXII - Esposizione e benedizione eucaristica 1102. L'esposizione della santissima eucaristia porta a riconoscere in essa la mirabile presenza di Cristo e invita alla comunione di spirito con lui, unione che trova il suo culmine nella comunione sacramentale. Per questo, nelle esposizioni, si deve porre attenzione che il culto del ss. sacramento appaia con chiarezza nel suo rapporto con la messa. 1103. Dinanzi al ss. sacramento esposto alla pubblica adorazione, si genuflette con un solo ginocchio. 1104. Per l'esposizione dei ss. sacramento con l'ostensorio si preparino: a) Sull'altare o presso di esso, secondo quanto è richiesto dalle circostanze: - l'ostensorio e, secondo l'opportunità, il corporale; - quattro o sei candele; - secondo l'opportunità, dei fiori; - il "Rituale Romano"; - il velo omerale; - le sedi e gli inginocchiatoi, quando e dove sono richiesti, per il vescovo e i ministri. b) Nel secretarium: - il turibolo con la navicella dell'incenso e il cucchiaino; - le vesti sacre di colore bianco o festivo; - per il vescovo: il camice, la croce pettorale, la stola, il piviale, la mitra e il pastorale; - per i presbiteri: i camici, le stole e i piviali; - per i diaconi: i camici, le stole e, secondo l'opportunità, le dalmatiche; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. I. L'esposizione prolungata 1105. L'esposizione Se l'esposizione è solenne o prolungata, l'ostia per l'adorazione si consacra nella messa che precede immediatamente l'esposizione stessa e si colloca nell'ostensorio sull'altare dopo la comunione. La messa termina con l'orazione dopo la comunione. Si tralasciano quindi i riti di conclusione. Prima di ritirarsi, il vescovo incensa il sacramento secondo il rito descritto più sotto al n. 1109. 1106. Se l'esposizione si fa al di fuori della messa ed è presieduta dal vescovo, questi venga accolto nel modo descritto più sopra al n. 79; nel secretarium o in un altro luogo opportuno indossa sopra il camice la croce pettorale, la stola e il piviale di colore conveniente e, di norma, riceve la mitra e il pastorale. Lo assistono due diaconi, o almeno uno, che indossano le vesti sacre dei loro ordine. Tuttavia se non vi sono diaconi, il vescovo sia assistito da presbiteri rivestiti di piviale. 1107. Il vescovo, giunto all'altare, dopo aver consegnato il pastorale e deposto la mitra, insieme ai diaconi che lo assistono fa un inchino profondo all'altare, oppure la genuflessione se nel presbiterio è conservato il ss. Sacramento, e resta in ginocchio davanti all'altare. 1108. Subito il diacono, indossando il velo omerale, accompagnato da accoliti con candele accese, va a prelevare il sacramento dal luogo in cui è conservato, e lo colloca nell'ostensorio sulla mensa dell'altare, coperta con una tovaglia e, secondo l'opportunità, con il corporale. Quindi genuflette e torna al lato del vescovo. Se invece il sacramento è conservato sull'altare dell'esposizione, il diacono sale all'altare, apre il tabernacolo, genuflette, e pone il sacramento nell'ostensorio sulla mensa dell'altare. 1109. Il vescovo si alza e, dopo che gli si è avvicinato il turiferario, mette l'incenso nel turibolo e lo benedice, mentre il diacono presta servizio per la navicella. Quindi il vescovo, in ginocchio, riceve il turibolo dal diacono, fa inchino con i diaconi che lo assistono e incensa il ss. sacramento. Dopo aver ripetuto l'inchino al ss. sacramento, consegna il turibolo al diacono. 1110. Poi, nel caso di esposizione prolungata, il vescovo può ritirarsi. Se invece rimane, può recarsi alla cattedra o in un altro luogo adatto del presbiterio. 1111. L'adorazione Durante l'esposizione, orazioni, canti e letture, si devono disporre in modo che i fedeli in preghiera orientino e incentrino la loro pietà su Cristo Signore. Per favorire l'intimità della preghiera, si predispongano letture della sacra scrittura con omelia, o brevi esortazioni, che portino i fedeli a una migliore stima del mistero eucaristico. È bene che alla parola di Dio i fedeli rispondano con il canto e che in momenti opportuni si osservi il sacro silenzio. Dinanzi al ss. sacramento esposto per un tempo prolungato, si può anche celebrare qualche parte della liturgia delle ore, specialmente se si tratta delle ore principali. Con essa infatti si estende alle varie ore della giornata la lode e il rendimento di grazie che si rivolgono a Dio nella celebrazione eucaristica e la Chiesa rivolge a Cristo, e per mezzo suo al Padre, preghiere e suppliche a nome del mondo intero. 1112. La benedizione Verso la fine dell'adorazione, il vescovo si accosta all'altare. Se invece giunge all'altare per la prima volta, si osservano le norme descritte sopra al n. 1107. Giunto all'altare, consegna al ministro il pastorale e depone la mitra. 1113. Il vescovo genuflette insieme ai diaconi e resta in ginocchio davanti all'altare. Frattanto si canta la strofa: Tantum ergo o un altro canto eucaristico. Dopo aver messo l'incenso nel turibolo e averlo benedetto, il vescovo, in ginocchio, incensa il sacramento, come è descritto sopra. Quindi si alza e dice: Preghiamo. E tutti pregano per breve tempo in silenzio. Poi il vescovo, a mani allargate, dice: Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento, o un'altra orazione proposta nel rituale. 1114. Detta l'orazione, il vescovo riceve il velo omerale e sale all'altare, genuflette e, aiutato dal diacono, prende l'ostensorio, tenendolo elevato con entrambe le mani coperte dal velo, si volta verso il popolo e traccia su di esso un segno di croce, senza dire nulla. Terminata la benedizione, il diacono riceve l'ostensorio dalle mani del vescovo e lo colloca sull'altare. Il vescovo e il diacono genuflettono. Quindi, mentre il vescovo, dopo aver deposto il velo omerale, resta in ginocchio davanti all'altare, il diacono porta con riverenza il sacramento nella cappella in cui viene conservato, lo ripone nel tabernacolo, genuflette e chiude il tabernacolo. Frattanto il popolo proferisce, secondo l'opportunità, qualche acclamazione. Quindi si ritorna nel secretarium nel modo consueto. II. L'esposizione breve 1115. Se si fa l'esposizione breve con la pisside, e la presiede il vescovo, si preparino: - almeno due candele; - secondo l'opportunità, il turibolo con la navicella dell'incenso; - per il vescovo: il camice, la croce pettorale, la stola e il piviale; - per il diacono o il presbitero: il camice e la stola; - per gli altri ministri: i camici o le altre vesti legittimamente approvate. Quando il vescovo giunge all'altare, fa la debita riverenza e resta in ginocchio davanti all'altare. Il diacono o il presbitero espone il ss. sacramento. Se si usa l'incenso si osservi quanto detto sopra ai n. 1109 e n. 1113. Verso la fine dell'adorazione si canta la strofa: Tantum ergo o un altro canto eucaristico. Quindi il vescovo si alza e dice: Preghiamo. E tutti pregano per breve tempo in silenzio. Poi, a mani allargate, proclama un'orazione adatta dal rituale. Dopo aver ricevuto il velo omerale, sale all'altare, genuflette, prende la pisside con entrambe le mani coperte dal velo e, rivolto verso il popolo, traccia su di esso un segno di croce, senza dire nulla. Poi colloca la pisside sull'altare, genuflette e, dopo aver deposto il velo omerale, resta in ginocchio davanti all'altare finché il diacono o il presbitero abbia riposto il ss. sacramento nel tabernacolo. Dopo la debita riverenza tutti tornano nel secretarium. Capitolo XXIII - Le benedizioni impartite dal Vescovo Premessa 1116. Il ministero delle benedizioni è connesso a un esercizio particolare dei sacerdozio di Cristo, secondo il ruolo specifico che compete a ciascuno secondo il luogo e l'ufficio nel popolo di Dio. Conviene pertanto che sia il vescovo a presiedere soprattutto le celebrazioni che riguardano l'intera comunità diocesana e che quindi egli può riservarsi, pur potendo generalmente delegare anche un presbitero, che le presieda in suo nome. Il vescovo inoltre avrà cura di istruire il popolo di Dio sul genuino significato dei riti e delle preghiere di cui la Chiesa si avvale nell'impartire la benedizione, affinché non si insinuino nelle sacre celebrazioni elementi di superstizione o di vana credulità dannosi alla purezza della fede 1117. La celebrazione tipica della benedizione nei libri liturgici presenta due parti principali: la prima è la proclamazione della parola di Dio, la seconda la lode della bontà di Dio e l'implorazione dell'aiuto celeste. Tuttavia, pur salvaguardando la struttura e l'ordine di queste parti principali, vengono concesse nei vari riti speciali facoltà per la retta osservanza delle principali norme riguardanti la consapevole, attiva e conveniente partecipazione. Si deve quindi prestare sempre sollecita attenzione all'annunzio della salvezza, alla comunicazione della fede, alla lode e all'invocazione di Dio, elementi tutti congiunti alla celebrazione della benedizione, anche se essa si deve compiere con il solo segno di croce. I. La benedizione ordinaria 1118. Al termine della messa stazionale il vescovo benedice il popolo come è descritto sopra al n. 169. 1119. In altre messe e azioni liturgiche ( ad esempio, a conclusione dei vespri e delle lodi, o di una processione senza il ss. sacramento, ecc. ), oppure anche al di fuori di azioni liturgiche, il vescovo può impartire la benedizione proclamando l'una o l'altra delle seguenti formule. 1120. Prima forma Il vescovo mette la mitra, se la usa, e, allargate le braccia, saluta il popolo, dicendo: Il Signore sia con voi, a cui tutti rispondono: E con il tuo spirito. Quindi il vescovo, tenendo le mani stese sui fedeli da benedire, prosegue: La pace di Dio, che sorpassa ogni sentimento, custodisca il vostro cuore e il vostro spirito nella conoscenza e nell'amore di Dio e del suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo. E tutti rispondono: Amen. Quindi il vescovo, preso il pastorale, se lo usa, dice: Vi benedica Dio onnipotente e, tracciando un triplice segno di croce sul popolo, prosegue: Padre, e Figlio, e Spirito santo. 1121. Seconda forma Al vescovo, dopo aver salutato il popolo, come è descritto sopra al n. 1120, dice: Sia benedetto il nome del Signore; e tutti rispondono: Ora e sempre. Quindi prosegue: Il nostro aiuto è nel nome del Signore, a cui tutti rispondono: Egli ha fatto cielo e terra. Infine dice: Vi benedica Dio onnipotente, come descritto sopra al n. 1120. II. La benedizione apostolica 1122. Il vescovo nella sua diocesi ha la facoltà di impartire la benedizione apostolica con annessa indulgenza plenaria tre volte l'anno nelle festività solenni di sua scelta, anche nel caso che egli assista soltanto alla messa. Gli altri prelati equiparati dal diritto ai vescovi diocesani, anche se privi della dignità episcopale, possono, fin dall'inizio del loro servizio pastorale, impartire la benedizione apostolica con l'annessa indulgenza nell'ambito dei loro territorio tre volte l'anno, nelle festività solenni di loro scelta. La benedizione apostolica viene impartita alla fine della messa al posto della benedizione consueta. Ad essa si fa riferimento nell'atto penitenziale all'inizio della celebrazione eucaristica. 1123. Nella esortazione all'atto penitenziale, il vescovo avverte i fedeli che al termine della messa sarà impartita la benedizione papale con l'indulgenza plenaria e li invita a pentirsi dei loro peccati per disporsi a ricevere l'indulgenza. Al posto della formula con cui si conclude normalmente l'atto penitenziale, si proclama la seguente: Per i meriti e per l'intercessione della beata sempre vergine Maria, dei santi apostoli Pietro e Paolo e di tutti i santi, Dio onnipotente e misericordioso vi conceda un tempo favorevole per un sincero e fruttuoso pentimento, la continua conversione del cuore, il rinnovamento della vita, la perseveranza nelle opere buone, perdoni i vostri peccati e vi conduca alla vita eterna. R. Amen. 1124. Nella preghiera universale non si ometta un'intenzione per tutta la Chiesa; se ne aggiunga una speciale per il Romano Pontefice. 1125. Terminata l'orazione dopo la comunione, il vescovo mette la mitra. Il diacono annunzia la benedizione con queste o simili: Il nostro venerato Padre N., per grazia di Dio e designazione della Sede Apostolica vescovo di questa santa Chiesa che è in N., a nome del Romano Pontefice impartirà la benedizione con l'indulgenza plenaria a tutti i fedeli che, animati da sincero pentimento, confessati e comunicati, hanno partecipato a questa celebrazione. Pregate Dio per il beatissimo nostro Papa N., per il nostro Vescovo N., per la santa Madre Chiesa e impegnatevi a vivere santamente in piena comunione con Dio e con i fratelli. 1126. Allora il vescovo, in piedi con mitra, allargando le braccia saluta il popolo, dicendo: Il Signore sia con voi, a cui si risponde: E con il tuo spirito. Il diacono allora può invitare a ricevere la benedizione con queste o con altre simili parole: Inchinatevi per la benedizione. Il vescovo, tenendo le mani stese sul popolo, pronunzia la formula della benedizione solenne che si trova nel "Messale Romano". Quindi prende il pastorale e conclude la benedizione con questa formula: Per l'intercessione dei santi apostoli Pietro e Paolo vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen. E mentre pronunzia queste ultime parole, traccia un segno di croce sul popolo. III. Le altre benedizioni 1127. Quando il vescovo deve celebrare qualche benedizione in forma comunitaria e in una grande assemblea di fedeli, il rito venga ordinato nel modo prescritto per le singole benedizioni nel "Rituale Romano" o nel libro liturgico proprio. Il vescovo indossi sopra il camice la croce pettorale, la stola, il piviale del colore conveniente e porti la mitra e il pastorale. 1128. È conveniente che il vescovo sia assistito da un diacono con camice, stola e, secondo l'opportunità, con la dalmatica, o da un presbitero che indossa il camice o, sopra la veste talare, la cotta e la stola; gli altri ministri indossano la veste legittimamente approvata per loro. Il vescovo, di norma, durante la celebrazione, riservi a sé: il saluto, una breve omelia nella quale spiega le letture bibliche e il significato della benedizione che si deve impartire, la preghiera di benedizione che egli dice stando in piedi, senza mitra, l'introduzione e la conclusione della preghiera universale, se lodevolmente viene detta e, prima del congedo, la benedizione dei fedeli impartita nel modo consueto. Parte VII - Giorni memorabili nella vita del Vescovo Capitolo I - L'elezione del Vescovo 1129. Non appena la Chiesa locale è stata ufficialmente informata dell'avvenuta provvista canonica, su convocazione dell'amministratore diocesano, si celebri opportunamente nella chiesa cattedrale un'azione liturgica per rendere grazie a Dio e per pregare per l'eletto. 1130. L'eletto in persona deve quanto prima: a) se si trova a Roma al momento della sua elezione, recarsi dal Romano Pontefice, altrimenti inviargli una lettera per esprimergli comunione ed ossequio e affidargli la sua Chiesa; b) emettere la professione di fede e il giuramento di fedeltà verso la Sede Apostolica, se si trova a Roma alla presenza di un cardinale a ciò deputato, diversamente alla presenza del delegato della stessa Sede Apostolica. c) Recarsi dal metropolita o dal più anziano fra i vescovi della provincia, per essere informato da lui circa lo stato della sua diocesi e, se è il caso, per concordare con lui il giorno della propria ordinazione episcopale; d) lasciare gli impegni a cui attendeva precedentemente per prepararsi al suo nuovo ministero, dedicandosi alla preghiera e alla meditazione; e) chiedere il pallio al Romano Pontefice, se ne ha diritto. 1131. Entro il tempo determinato dal diritto l'eletto deve ricevere l'ordinazione episcopale e prendere il possesso canonico della sua diocesi, come è detto più sotto ai nn. 1133-1140. 1132. L'eletto potrà indossare le vesti e le insegne episcopali soltanto dal momento dell'ordinazione, secondo le prescrizioni liturgiche. Capitolo II - L'ordinazione del Vescovo 1133. Se non è legittimamente impedito, chi è promosso all'episcopato deve ricevere l'ordinazione episcopale entro tre mesi dalla ricezione della lettera apostolica e, comunque, prima che prenda possesso del suo ufficio. 1134. L'ordinazione del vescovo si compie nella celebrazione solenne della messa secondo il rito e le norme descritte nel "Pontificale Romano" ( cf. più sopra n. 483, n. 517 ). 1135. È assai conveniente che l'ordinazione del vescovo avvenga nella sua chiesa cattedrale. In questo caso la presa di possesso della diocesi avviene con il rito stesso dell'ordinazione, durante il quale viene presentata e letta la lettera apostolica e il vescovo neo-ordinato siede sulla sua cattedra, come è detto più sopra ai n. 493 e n. 509. 1136. Per antichissima tradizione della Chiesa, per esprimere l'indole collegiale dell'ordine episcopale, non siano meno di tre i vescovi concelebranti che consacrano l'eletto, a meno che su tale questione non ci sia stata dispensa da parte della Sede Apostolica. Conviene tuttavia che tutti i vescovi presenti siano consacranti. 1137. Di norma l'ordinante principale di un vescovo suffraganeo sia il metropolita; di un vescovo ausiliare sia il vescovo del luogo, a meno che non sia stato previsto diversamente dal Romano Pontefice nella bolla di nomina. Capitolo III - La presa di possesso della Diocesi 1138. Chi è promosso all'ufficio di vescovo di una Chiesa particolare deve prendere il possesso canonico della sua diocesi, a meno che non sia legittimamente impedito, entro quattro mesi dal giorno in cui ha ricevuto la lettera apostolica, se non è ordinato, o entro due mesi, se è già ordinato. 1139. Se il vescovo viene ordinato nella sua chiesa cattedrale, prende il possesso della diocesi con il rito di ordinazione, durante il quale viene presentata e letta la lettera apostolica e l'ordinato siede sulla sua cattedra, come è detto più sopra ai n. 493 e n. 509. 1140. Se il vescovo è trasferito da un'altra Chiesa o non ha ricevuto l'ordinazione nella sua chiesa cattedrale, prende il possesso della diocesi, entro i termini stabiliti dal diritto, con il rito di accoglienza, come è descritto più sotto ai nn. 1141-1144. In questi casi, il vescovo può prendere possesso della diocesi, per una giusta causa, anche per mezzo di un procuratore. È tuttavia opportuno che il vescovo prenda possesso personalmente. Capitolo IV - L'accoglienza del Vescovo nella sua chiesa cattedrale 1141. Se il vescovo è stato trasferito da un'altra Chiesa, o non ha ricevuto l'ordinazione episcopale nella sua chiesa cattedrale, in occasione della sua prima venuta nella sua Chiesa, viene convocata la comunità diocesana e si accoglie il vescovo celebrando la messa stazionale. 1142. Il vescovo viene ricevuto alla porta della chiesa cattedrale dalla prima dignità del capitolo oppure, se manca il capitolo, dal rettore della stessa chiesa, rivestito dei piviale. Questi presenta al bacio del vescovo l'immagine del crocifisso; quindi gli porge l'aspersorio con l'acqua benedetta e con essa il vescovo asperge sé stesso e i presenti. Successivamente il vescovo viene condotto alla cappella del ss. sacramento, dove, genuflesso, fa una breve adorazione, poi al secretarium, dove il vescovo, i presbiteri concelebranti, i diaconi e gli altri ministri indossano le vesti sacre per la messa, che viene celebrata con il rito stazionale. 1143. Dopoché, venerato l'altare, il vescovo ha raggiunto la cattedra, al termine del canto di ingresso, il vescovo saluta il popolo, quindi si siede e riceve la mitra. Uno dei diaconi o dei presbiteri concelebranti esibisce la lettera apostolica al collegio dei consultori, alla presenza dei cancelliere della curia che redigerà il verbale. Quindi la legge dall'ambone; tutti la ascoltano seduti e alla fine acclamano, dicendo: Rendiamo grazie a Dio, o un'altra acclamazione adatta. Invece nelle diocesi di nuova erezione, la comunicazione della lettera apostolica viene fatta al clero e al popolo presenti nella chiesa cattedrale, mentre il presbitero più anziano tra i presenti redige il verbale. Quindi, se il vescovo ha diritto al pallio, gli viene imposto, con il rito descritto più sotto ai nn. 1149-1155. Poi, secondo le consuetudini, il vescovo riceve il saluto dalla prima dignità del capitolo, oppure, se manca il capitolo, dal rettore della chiesa. Quindi, secondo le consuetudini locali, il capitolo o almeno parte del clero nonché alcuni fedeli e, secondo l'opportunità, anche l'autorità civile eventualmente presente, si avvicinano al loro vescovo per manifestargli obbedienza e riverenza. Omesso poi l'atto penitenziale e, secondo l'opportunità, il Kyrie, il vescovo, deposta la mitra, si alza e canta: Gloria a Dio nell'alto dei cieli, secondo le rubriche. 1144. Il vescovo nell'omelia dopo il vangelo parla per la prima volta al suo popolo. La messa prosegue nel modo consueto. 1145. Se è il metropolita a introdurre il vescovo nella sua chiesa cattedrale, è lui a presentare alla porta della chiesa il vescovo alla prima dignità del capitolo, a presiedere la processione di ingresso, a salutare il popolo dalla cattedra e a chiedere che venga esibita e letta la lettera apostolica. Terminata la lettura e dopo l'acclamazione del popolo, il metropolita invita il vescovo a sedere sulla cattedra. Quindi il vescovo si alza e si canta: Gloria Dio nell'alto dei cieli, secondo le rubriche. 1146. Se il vescovo, per una giusta causa, ha preso possesso della diocesi per mezzo del procuratore, il rito di accoglienza si svolge come è descritto più sopra, omessa però la presentazione e la lettura della lettera apostolica. 1147. Dal giorno della presa di possesso dei vescovo, tutti i sacerdoti che celebrano la messa nella sua diocesi, anche nelle chiese e negli oratori degli esenti, devono inserire il suo nome nella preghiera eucaristica. 1148. Il vescovo ausiliare o coadiutore, che abbia ricevuto l'ordinazione in un'altra chiesa diversa dalla cattedrale della diocesi, viene presentato convenientemente al popolo dal vescovo residenziale durante una celebrazione liturgica. Capitolo V - L'imposizione del pallio 1149. L'imposizione del pallio si compie, tutte le volte che è possibile, durante l'ordinazione dei vescovo, subito dopo la consegna dell'anello episcopale, prima che sia imposta al vescovo la mitra. L'ordinante principale impone il pallio dicendo: A gloria di Dio onnipotente, come è indicato più sotto al n. 1154. Quando non si può compiere durante l'ordinazione, l'imposizione del pallio opportunamente si unisce al rito di accoglienza del vescovo nella sua chiesa cattedrale. L'imposizione del pallio da parte del vescovo che ne ha ricevuto il mandato dalla sede apostolica, ha luogo durante la celebrazione dell'eucaristia nella chiesa cattedrale del vescovo o in un'altra chiesa più adatta del suo territorio con il rito qui sotto proposto. 1150. La messa si celebra con il rito stazionale. Il pallio, portato da un diacono durante la processione d'ingresso, viene collocato sull'altare. 1151. In presbiterio si prepara un seggio adeguato al vescovo a cui la sede apostolica ha conferito il mandato di consegnare il pallio. A lui compete presiedere la celebrazione fino all'imposizione del pallio. 1152. Terminato il canto d'ingresso, il vescovo a cui è stato delegato il compito di imporre il pallio, saluta il popolo nel modo consueto e con brevi parole spiega il senso del rito che sta per compiere. Quindi, se la consegna del pallio è unita all'accoglienza del vescovo nella sua chiesa cattedrale, il diacono si reca all'ambone e legge il mandato apostolico. Tutti ascoltano stando seduti. Alla fine della lettura tutti acclamano dicendo: Rendiamo grazie a Dio, o in un altro modo più adatto secondo le consuetudini locali. 1153. Letto il mandato apostolico o, se la consegna del pallio non viene fatta durante l'accoglienza del vescovo nella sua chiesa cattedrale, subito dopo la monizione di colui che presiede, l'eletto si presenta davanti al vescovo che ha il mandato di imporre il pallio e, inginocchiato davanti a lui, che siede con mitra, fa la professione di fede e il giuramento, secondo il modello trasmesso nella lettera apostolica. 1154. Dopo questi adempimenti, il prelato prende dal diacono il pallio e lo pone sulle spalle dell'eletto, proclamando la formula seguente: A gloria di Dio onnipotente, a lode della beata sempre vergine Maria, dei santi apostoli Pietro e Paolo, nel nome del Romano Pontefice il Papa N. e della santa Romana Chiesa, a onore della sede N. a te affidata, come segno dell'autorità di metropolita, ti consegno il pallio, preso dall'altare della confessione di fede del beato Pietro. Questo pallio, da portare entro i confini della tua provincia ecclesiastica, sia per te simbolo di unità e tessera di comunione con la Sede Apostolica, vincolo di carità e richiamo alla fortezza evangelica, perché nel giorno della venuta e della rivelazione del grande Dio e principe dei pastori, Gesù Cristo, insieme con il gregge a te affidato, tu sia rivestito della stola dell'immortalità e della gloria. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. R. Amen. 1155. Poi, omesso l'atto penitenziale e, secondo l'opportunità, il Kyrie eleison, l'arcivescovo che ha ricevuto il pallio inizia l'inno: Gloria a Dio, se deve essere detto. Quindi la messa prosegue come al solito. Capitolo VI - Il tasferimento del Vescovo ad altra sede o la sua rinuncia 1156. È opportuno che il vescovo promosso ad un'altra sede o la cui rinuncia è stata accettata dal Romano Pontefice, convochi il suo popolo per una celebrazione liturgica, per salutarlo e rendere grazie con esso dei benefici ricevuti da Dio durante il suo episcopato. Capitolo VII - La morte e le esequie del Vescovo 1157. In caso di malattia, il vescovo, offrendo esempio al proprio popolo, riceva i sacramenti della penitenza e dell'eucaristia, e, nel caso che la malattia sia grave, anche il sacramento dell'unzione degli infermi. 1158. Quando poi sia vicino alla morte e ne sia consapevole, chieda e riceva il santo viatico secondo il rito descritto nel "Rituale Romano". 1159. Stia a cuore al presbiterio e in modo particolare al collegio dei consultori o del capitolo della chiesa cattedrale, prestare assistenza spirituale al vescovo durante l'agonia, soprattutto curando che siano recitate presso di lui le preghiere della raccomandazione dei moribondi e che in tutta la diocesi i fedeli preghino per lui. 1160. Non appena il vescovo è spirato, si dicano le preghiere prescritte nel rituale. Quindi il defunto venga rivestito degli abiti di colore paonazzo, delle insegne proprie della messa stazionale, ed anche del pallio, se ne aveva diritto; non si pone invece il pastorale. Se il vescovo, traslato da altre sedi, aveva ricevuto più pallii, questi vengono posti nella cassa stessa dei defunto, a meno che il vescovo stesso, mentre era in vita, non abbia disposto diversamente. Poi, finché non venga trasferito nella chiesa cattedrale per la celebrazione delle esequie, il corpo del vescovo sia esposto in un luogo adatto, dove i fedeli possano visitarlo e pregare per lui. Presso il feretro o nella chiesa cattedrale si celebri una veglia o la liturgia delle ore per i defunti. 1161. Nel giorno e nell'ora più opportuni, si convochi il clero e il popolo per celebrare le esequie del vescovo nella chiesa cattedrale. Le esequie siano presiedute dal vescovo presidente della conferenza episcopale regionale o dal metropolita e con lui concelebrino gli altri vescovi e i presbiteri della diocesi. 1162. Le esequie si celebrano come è descritto più sopra ai nn. 821-838. 1163. Solo il vescovo celebrante principale presiede il rito dell'ultima raccomandazione. 1164. Il corpo del vescovo diocesano defunto sia seppellito in chiesa, che di norma sia la chiesa cattedrale della sua diocesi. Il vescovo che ha rinunciato alla sede, sia seppellito nella chiesa cattedrale della sua ultima sede, a meno che egli non abbia predisposto diversamente. 1165. Tutte le comunità della diocesi elevino preghiere per il vescovo defunto, celebrando sia la messa, sia la liturgia delle ore per i defunti, o in altro modo, secondo le proprie possibilità. Capitolo VIII - La sede vacante 1166. Durante la sede episcopale vacante, il clero e il popolo sia invitato dall'amministratore diocesano ad elevare frequentemente preghiere perché venga scelto un pastore che possa venire incontro alle necessità della Chiesa. In tutte le chiese della diocesi si celebri, almeno una volta, la messa per l'elezione del vescovo, purché non ricorra un giorno indicato ai nn. 1-4 della tavola dei giorni liturgici. Capitolo IX - Celebrazione di alcuni anniversari 1167. Tutti gli anni nella chiesa cattedrale e nelle altre chiese e comunità della diocesi si celebri il giorno anniversario dell'ordinazione del vescovo con la messa per il vescovo, purché non ricorra un giorno indicato ainn. 1-6 della tavola dei giorni liturgici. 1168. Secondo una venerabile tradizione ogni anno si celebra anche l'anniversario dell'ultimo vescovo defunto, a meno che non sia stato trasferito ad altra sede, con la celebrazione della messa presieduta lodevolmente dal vescovo del luogo nella chiesa cattedrale. Si esortino i fedeli e soprattutto i sacerdoti a ricordarsi nel Signore dei loro pastori che ad essi hanno annunziato la parola di Dio ( Cf. Eb 13,7 ) Parte VIII - Celebrazioni liturgiche connesse con gli ati solenni del governo episcopale Capitolo I - I concili plenari o provinciali e il sinodo diocesano 1169. Secondo un'antica tradizione della Chiesa, sia i concili sia il sinodo diocesano comprendono anche azioni liturgiche, sull'esempio di quelle celebrazioni di cui si ha riferimento negli Atti degli Apostoli ( At 15,6-29 ). Infatti il governo della Chiesa non deve mai essere ritenuto un atto puramente amministrativo, ma quando simili assemblee si radunano nel nome e a lode di Dio e della sua gloria, sotto l'azione dello Spirito Santo, manifestino quell'unità del Corpo di Cristo che risplende soprattutto nella sacra liturgia. Infatti coloro che hanno una comune cura pastorale, devono avere anche una comune preghiera. 1170. Le assemblee abbiano inizio con la celebrazione della messa, alla quale sia chiamato a partecipare il popolo e nella quale conviene che concelebrino tutti i membri del concilio o del sinodo con il suo presidente: coloro che non concelebrano, possono comunicarsi sotto le due specie. Si celebra la messa per il concilio o il sinodo, che si trova nel "Messale Romano"fra le messe per varie necessità, con le sacre vesti di colore rosso, a meno che non ricorra un giorno indicato ai nn. 1-4 della tabella dei giorni liturgici. 1171. Se prima di questa messa, secondo le circostanze di luogo o di situazione, si fa la processione al luogo dove si tiene l'adunanza, si canta l'antifona: Exaudi nos, o un altro canto adatto. Quindi il presidente saluta il popolo e, dopo una breve monizione rivolta da lui stesso o da uno dei concelebranti o da un diacono, proclama una delle orazioni che si trovano nel messale per le riunioni spirituali o pastorali, o per la Chiesa, soprattutto locale. Dopo l'infusione dell'incenso e, secondo l'opportunità, l'invito del diacono: Andiamo in pace, si ordina la processione nella quale un diacono porta onorevolmente il libro dei vangeli; si procede verso la chiesa mentre si cantano le litanie dei santi, nelle quali, prima dell'ultima invocazione, si aggiunge: Degnati di visitare e di benedire questo sinodo. Inoltre nel punto adatto si possono inserire le invocazioni del santo patrono o fondatore, e dei santi della Chiesa locale. Quando la processione è giunta alla chiesa, dopo che i concelebranti hanno venerato l'altare, tutti occupano i posti loro assegnati; il presidente invece venera l'altare e lo incensa; poi si reca alla cattedra dove, omessi tutti gli altri riti iniziali, dice la colletta della messa. 1172. Se invece questa processione non ha luogo, la messa inizia nel modo consueto secondo il rito della messa stazionale. Dopo il vangelo, il libro dei vangeli viene posto aperto su un leggio idoneo nel mezzo del presbiterio. 1173. Dopo l'omelia tenuta dal presidente, sempre si dice o si canta il simbolo, a cui segue il giuramento dei membri del concilio o dei sinodo e dello stesso presidente. Proclamata l'orazione dopo la comunione, il presidente impartisce la benedizione; poi il diacono congeda il popolo. Quindi il presidente comincia l'orazione Adsumus o un'altra, che tutti proseguono. 1174. Durante il concilio o il sinodo, conviene che prima dell'assemblea di ciascun giorno si concelebri la messa o si canti l'ora della liturgia delle ore corrispondente al tempo, oppure si faccia una celebrazione della parola di Dio. Se si celebra la messa, il libro dei vangeli viene portato onorevolmente all'ingresso dei concelebranti e deposto sull'altare, come nella messa stazionale. Dopo la proclamazione del vangelo, il libro viene posto aperto su un idoneo leggio nel mezzo del presbiterio. Se invece si celebra un'ora della liturgia delle ore, al termine della celebrazione il libro dei vangeli viene portato onorevolmente da un diacono accompagnato da accoliti con i ceri accesi: si proclama allora un testo adatto del vangelo con lo stesso rito che si segue nella messa; al termine della proclamazione, il diacono pone il libro aperto su un leggio idoneo, come è indicato più sopra. Se infine si compie una celebrazione della parola di Dio, tutto si svolge come indicato ai nn. 221-226, osservando quanto è detto circa l'onore che si deve tributare al libro dei vangeli. 1175. Al termine dell'ultima assemblea si canta l'inno: Te Deum e si conclude con la benedizione del presidente e il congedo. Se invece in tale occasione si celebra la messa, il canto dell'inno Te Deum viene eseguito prima dell'orazione dopo la comunione. Secondo l'opportunità, dopo il congedo si possono cantare anche le lodi cosiddette « regie » o « caroline ». 1176. Le norme qui indicate per i concili e il sinodo diocesano, che costituiscono le adunanze più solenni, valgono anche, una volta fatti i debiti adattamenti, per quelle assemblee più frequenti che di solito vengono convocate per l'ordinario governo delle Chiese, come, ad esempio, le adunanze della conferenza episcopale, del consiglio presbiterale ed altre simili. Capitolo II - La visita pastorale 1177. Il vescovo, nell'adempiere il dovere di visitare le parrocchie e le comunità della sua diocesi, non dia l'impressione di compiere un dovere puramente amministrativo, ma si faccia chiaramente conoscere dai propri fedeli come annunziatore del vangelo, dottore, pastore e gran sacerdote dei proprio gregge. 1178. Perché si possa più efficacemente ottenere ciò, la visita del vescovo avvenga, per quanto è possibile, in quei giorni in cui i fedeli possano partecipare più numerosi; essi inoltre, a tempo debito, siano preparati dai loro presbiteri con una catechesi adeguata. La visita poi sia sufficientemente protratta, in modo che il vescovo possa esaminare, promuovere, favorire e indirizzare ad unità di azione l'apostolato dei presbiteri e dei laici e le opere di carità ed inoltre presiedere le celebrazioni liturgiche. 1179. Il vescovo, dopo aver indossato le vesti descritte più sopra al n. 63, venga accolto convenientemente, secondo le circostanze di luogo e situazione. Se sembra opportuno, venga accolto e salutato solennemente alla porta della chiesa o nella chiesa stessa dal clero e dal popolo. Dove poi si può fare e sembra opportuno, sia anche condotto alla chiesa con un canto festivo. La sobria solennità con cui viene accolto il vescovo sia segno dell'amore e della devozione del popolo fedele verso il buon pastore. 1180. Alla porta della chiesa il vescovo viene ricevuto dal parroco, rivestito di piviale, che presenta al bacio del vescovo l'immagine del crocifisso; quindi gli porge l'aspersorio con l'acqua benedetta. Il vescovo asperge sé stesso e i fedeli. Quindi il vescovo, dopo una breve adorazione in silenzio al ss. sacramento, si reca al presbiterio, dove il parroco, stando davanti all'altare, invita i fedeli a pregare per il vescovo e dopo una breve preghiera in silenzio, proclama l'orazione colletta O Dio, pastore eterno oppure: O Dio, pastore e guida di tutti credenti, come si trovano nel "Messale Romano". Quindi il vescovo saluta il popolo e spiega quali siano le incombenze in occasione della visita; infine proclama l'orazione del titolo della chiesa o del patrono del luogo e benedice il popolo nel modo consueto. Il parroco infine congeda l'assemblea. 1181. Quando invece segue la messa, subito dopo l'orazione per il vescovo, egli indossa alla sede le vesti sacre per la messa; la concelebrino con il vescovo i presbiteri che hanno la cura pastorale della parrocchia o che dimorano nel suo territorio, e ad essa partecipino attivamente i fedeli. Bisogna soprattutto procurare che ciò avvenga in quelle distaccate regioni della diocesi i cui abitanti raramente o mai possono partecipare alla messa stazionale del vescovo nella loro città. 1182. Affinché poi appaia più chiaramente ai fedeli che il vescovo è il principale dispensatore dei misteri di Dio, come anche il moderatore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa a lui affidata, è desiderabile che egli amministri, durante la visita pastorale, non solo il sacramento della confermazione, ma talvolta anche gli altri sacramenti, soprattutto nella visita agli infermi. 1183. Se poi la visita si protrae, si tenga in chiesa qualche celebrazione della liturgia delle ore o della parola di Dio, con l'omelia dei vescovo e le preghiere per la Chiesa sia universale, sia diocesana. 1184. Secondo l'opportunità, il vescovo si rechi anche al cimitero con il popolo e li elevi preghiere per i fedeli defunti, osservando le norme date più sopra ai nn. 399ss. circa l'aspersione dei sepolcri. Capitolo III - Ingresso di un nuovo parroco 1185. Prima dell'ingresso nella sua parrocchia o nell'atto stesso della sua presa di possesso, il parroco, a norma dei diritto, deve emettere la professione di fede alla presenza dell'ordinario del luogo o di un suo delegato. 1186. L'ingresso del nuovo parroco è presieduto dal vescovo stesso o dal suo delegato nel giorno e nell'ora più adatta, dopo aver convocato i fedeli, secondo le consuetudini locali oppure, opportunamente, come è descritto più sotto. 1187. Conviene che l'ingresso sia compiuto con la celebrazione della messa, che sarà la messa del giorno, o quella votiva dei titolo della chiesa, o dello Spirito Santo, secondo le rubriche. La messa sia presieduta dal vescovo e vi concelebrino il nuovo parroco e gli altri presbiteri della parrocchia o della zona. 1188. Se invece il vescovo, per un giusto motivo, partecipa alla messa senza tuttavia celebrarla, è opportuno che presieda lui stesso almeno la liturgia della parola e benedica il popolo alla fine della messa, come è detto più sopra ai nn. 175-185. 1189. Siano osservate, qualora vi siano, le usanze locali. Altrimenti si possono compiere, in tutto o in parte, i riti qui sotto descritti. 1190. Dove le circostanze lo permettono, il vescovo e il nuovo parroco possono essere accolti ai confini della parrocchia e condotti processionalmente alla porta della chiesa, dove il vescovo presenta brevemente il nuovo parroco e gli consegna la chiave della chiesa. La presentazione tuttavia si può fare anche all'inizio della messa, dopo il saluto, specialmente quando all'inizio della messa, dopo il saluto del vescovo, si legge il decreto dì nomina e il parroco emette il giuramento a norma del diritto. 1191. Il vangelo viene letto convenientemente dallo stesso parroco che prima si avvicina al vescovo, riceve da lui l'evangeliario e chiede la benedizione. 1192. Nell'omelia il vescovo illustra ai fedeli la missione del parroco e spiega il significato dei riti particolari che si svolgeranno subito dopo. 1193. Terminata l'omelia, il nuovo parroco rinnova lodevolmente le promesse fatte nel giorno della sua ordinazione. Il vescovo lo interroga con queste parole: Figlio carissimo, davanti al popolo affidato alle tue cure rinnova le promesse fatte al momento dell'ordinazione. Vuoi esercitare con perseveranza il tuo ufficio come fedele cooperatore dell'ordine dei vescovi nel servizio del popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo. Sì, lo Voglio. Vuoi celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo, secondo la tradizione della Chiesa? Sì lo voglio. Vuoi adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola nella predicazione del vangelo e nell'insegnamento della fede cattolica? Sì, lo voglio. Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che si è offerto come vittima pura a Dio Padre per noi, consacrando te stesso insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini? Sì, con l'aiuto di Dio, lo voglio. Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza? Sì, lo prometto. Dio che ha iniziato in te la sua opera, la porti a compimento. 1194. Quindi, secondo l'opportunità, si può svolgere una processione con i ministri, tra i quali coloro che portano il turibolo, la croce e le candele. In essa il vescovo, girando per la chiesa, consegna al parroco i luoghi affidati al suo ministero, secondo l'ordine con cui li incontrano girando per essa: la sede del presidente, la cappella del ss. Sacramento, il battistero, il confessionale. Può anche invitare il parroco ad aprire la porticina del tabernacolo e ad incensare il ss. Sacramento. L'incensazione può essere fatta anche al battistero. Inoltre, se si può fare facilmente, invita il parroco a suonare la campana. Tutti questi riti, secondo le circostanze, possono essere compiuti anche prima della messa. 1195. Nella preghiera universale si formulino speciali intenzioni per il vescovo e il nuovo parroco. 1196. Al rito della pace il parroco dia la pace ad alcuni fedeli che rappresentano la comunità parrocchiale. 1197. Terminata l'orazione dopo la comunione, il vescovo invita il parroco a rivolgere brevi parole alla comunità. 1198. Lodevolmente il parroco, con il vescovo e il popolo, si reca al cimitero, e lì eleva preghiere per i fedeli defunti, osservando, secondo l'opportunità, i riti descritti più sopra ai nn. 399ss. circa l'aspersione dei sepolcri. Appendici Appendice I - Gli abiti dei prelati I. Gli abiti dei Vescovi 1199. Gli abiti corali Il vescovo porta sempre l'anello, simbolo della fedeltà e dell'unione sponsale con la Chiesa sua sposa ( cf. più sopra n. 58 ). La veste corale dei vescovi, sia in diocesi come fuori diocesi, è composta da: veste talare paonazza; fascia di seta paonazza, con frange di seta alle due estremità ( senza fiocchi ); rocchetto di lino o tessuto simile; mozzetta paonazza ( senza cappuccetto ); croce pettorale sostenuta sopra la mozzetta da un cordone di colore verde intessuto d'oro; zucchetto anch'esso paonazzo; berretta del medesimo colore con fiocco. Si usano anche le calze paonazze. 1200. La cappa magna paonazza, senza ermellino, può essere usata soltanto in diocesi e nelle festività più solenni. 1201. Le scarpe siano comuni, di colore nero e senza fibbie. 1202. Gli abiti sopra descritti sono usati dal vescovo tutte le volte in cui si reca pubblicamente in una chiesa o da essa se ne parte, quando è presente alla liturgia o ad una azione sacra senza presiederla, e negli altri casi previsti in questo Cerimoniale. 1203. Gli abiti nelle circostanze solenni al di fuori delle celebrazioni liturgiche L'abito del vescovo nelle circostanze solenni al di fuori delle celebrazioni liturgiche è composto da: veste talare nera con orlo, lembi, cuciture, occhielli e bottoni di colore rosso, ma senza soprammaniche; sopra questa veste si può portare la mantelletta, anch'essa filettata; fascia di seta paonazza, con frangia anch'essa di seta alle due estremità; croce pettorale sostenuta da una catenella; zucchetto e collare paonazzi. L'uso delle calze paonazze è del tutto libero. Il cappello di felpa nera, se è il caso, può essere ornato con cordone e fiocchi verdi. Alle circostanze più solenni è riservato l'uso dei ferraiolo di seta paonazza. Sopra questi abiti si può portare un decoroso mantello nero, anche con mantelletta. 1204. Gli abiti di uso quotidiano L'abito comune, o di uso quotidiano, può essere la veste talare nera, senza filettatura paonazza. I vescovi assunti da famiglie religiose possono usare l'abito del loro ordine. Insieme a questa veste talare si usano le calze nere; si possono invece portare il collare, lo zucchetto e la fascia di colore paonazzo. La croce pettorale è sostenuta da una catenella. Si porta sempre l'anello. II. Gli abiti dei Cardinali 1205. Tutto ciò che è stato detto sopra per gli abiti dei vescovi vale anche per i cardinali, osservando quanto segue: a) gli abiti e gli accessori che per i vescovi sono di collare paonazzo, per i cardinali sono di colore rosso; b) la fascia, lo zucchetto e il ferraiolo sono di seta ondulata; c) il cordone per sostenere la croce pettorale e il cordone e i fiocchi dei cappello sono di colore rosso e d'oro; d) la berretta, di seta ondata rossa, può essere usata soltanto con l'abito corale, non invece come comune copricapo. III. Gli abiti degli altri prelati 1206. I prelati equiparati dal diritto ai vescovi diocesani, anche se privi del carattere episcopale, possono usare i medesimi abiti dei vescovi. 1207. A prelati superiori dei dicasteri della curia romana non insigniti della dignità episcopale; gli uditori della Sacra Romana Rota; il promotore generale di giustizia e il difensore del vincolo del supremo tribunale della Segnatura apostolica; i protonotari apostolici di numero; i chierici della Camera apostolica: a) come abito corale usano la veste talare paonazza, fascia paonazza con frange di seta, il rocchetto, la mantelletta paonazza e la berretta nera con fiocco rosso; b) nelle circostanze solenni al di fuori della liturgia usano la veste talare nera con orlo e altri ornamenti di colore rosso senza mantelletta, la fascia paonazza come sopra, il ferraiolo paonazzo ( che tuttavia non necessariamente deve essere usato ). Le calze siano nere e le scarpe siano comuni senza fibbie. 1208. I protonotari apostolici soprannumerari e i prelati d'onore di Sua Santità: a) come abito corale usano la veste talare paonazza con fascia di seta del medesimo colore, con frange, la cotta non arricciata e la berretta nera con fiocco nero; b) nelle circostanze solenni al di fuori delle celebrazioni liturgiche usano la veste talare nera con orlo e altri ornamenti di colore rosso senza mantelletta e la fascia paonazza come sopra. I protonotari apostolici soprannumerari conservano il mantello paonazzo, anche se non è prescritto; non invece i prelati d'onore. 1209. I cappellani di sua santità, sia come abito corale sia nelle solenni circostanze al di fuori delle celebrazioni liturgiche, usano la veste talare nera con orlo e altri ornamenti e fascia di seta di colore paonazzo. Come abito corale, sopra la veste talare indossano la cotta. IV. Gli abiti dei canonici 1210. Nelle celebrazioni liturgiche, come abito corale, i canonici che non siano vescovi, sopra la veste talare che ad essi compete, indossano soltanto la cotta e la mozzetta nera o di color cenere con orlo paonazzo; i beneficiati invece soltanto la cotta e la mozzetta nera o di color cenere. Al di fuori delle celebrazioni liturgiche, indossano gli abiti che competono ad essi secondo la loro condizione. Appendice II - Tabella dei giorni liturgici disposta secondo l'ordine di precedenza I 1. Triduo pasquale della passione e risurrezione dei Signore. 2. Natale del Signore, epifania, ascensione e pentecoste. Domeniche di avvento, di quaresima e di pasqua. Mercoledì delle ceneri. Ferie della settimana santa, dal lunedì al giovedì incluso. Giorni fra l'ottava di pasqua. 3. Solennità del Signore, della beata vergine Maria e dei santi elencate nel calendario comune. Commemorazione di tutti i fedeli defunti. 4. Solennità proprie, cioè: a) Solennità del patrono principale del luogo o del paese o della città. b) Solennità della dedicazione e anniversario della dedicazione della propria chiesa. c) Solennità del titolo della propria chiesa. d) Solennità del titolo, o del fondatore, o del patrono principale dell'ordine o della congregazione. II 5. Feste del Signore elencate nel calendario comune. 6. Domeniche del tempo di natale e domeniche « per annum ». 7. Feste della beata vergine Maria e dei santi del calendario comune. 8. Feste proprie, cioè: a) Festa del patrono principale della diocesi. b) Festa dell'anniversario della dedicazione della chiesa cattedrale. c) Festa del patrono principale della regione o della provincia, della nazione, di un territorio più ampio. d) Festa del titolo, del fondatore, del patrono principale di un ordine o di una congregazione e della provincia religiosa, salvo quanto stabilito al n. 4. e) Altre feste proprie di qualche chiesa. f) Altre feste elencate nel calendario di ogni diocesi, ordine o congregazione. 9. Ferie di avvento dal 17 al 24 dicembre compreso. Giorni dell'ottava di natale. Ferie di quaresima. III 10. Memorie obbligatorie del calendario comune. 11. Memorie obbligatorie proprie, cioè: a) Memorie dei patrono secondario del luogo, della diocesi, della regione o della provincia religiosa. b) Altre memorie proprie elencate nel calendario di ogni diocesi, ordine o congregazione. 12. Memorie facoltative, che tuttavia possono essere celebrate anche nei giorni elencati al n. 9, tuttavia nel modo particolare descritto in Principi e norme del Messale Romano e della Liturgia delle Ore. Per questa stessa ragione si possono celebrare come memorie facoltative le memorie obbligatorie che eventualmente ricorrono nelle ferie di quaresima. 13. Ferie d'avvento fino al 16 dicembre compreso. Ferie del tempo di natale dal 2 gennaio al sabato dopo l'epifania. Ferie del tempo pasquale dal lunedì dopo l'ottava di pasqua al sabato prima della domenica di pentecoste compreso. Ferie « per annum ». Appendice III - Tabella per le messe rituali, per varie necessità, votive e dei defunti Sigle V1 = Messe rituali ( Messale Romano, Principi e norme, n. 330 ). Messe per varie necessità e votive, su mandato o licenza dell'ordinario del luogo, in caso di grave necessità o di utilità pastorale ( Ibidem, n. 332 ). V2 = Messe per varie necessità e votive a giudizio del rettore della chiesa o dello stesso celebrante, se una vero necessità o utilità pastorale lo richieda ( Ibidem, n. 333 ). V3 = Messe per varie necessità e votive per la pietà dei fedeli, a scelta del sacerdote celebrante ( ibidem, n. 329 b e c ). D1 = Messa esequiale ( Ibidem, n. 336 ). D2 = Messa alla notizia della morte, alla sepoltura definitiva del defunto e nel primo anniversario ( ibidem, n. 337 ). D3 = Messa quotidiana ( ibidem, n. 337 ). Quando sono proibite le messe indicate a D1 e D2, evidentemente sono proibite anche quelle indicate a D3. + = sono permesse - = sono proibite 1. Solennità di precetto (V1 -) (D1 -) 2. Domeniche di avvento, (V1 -) di quaresima e di pasqua (D1 -) 3. Triduo pasquale e (V1 -) ferie della settimana santa (D 1 –) 4. Solennità non di precetto. (V1 -) Commemorazione di tutti i fedeli defunti (D1 +) 5. Mercoledì delle ceneri. Lunedì, martedì e (V1 -) mercoledì della settimana santa (D1 +) 6. Giorni dell'ottava di pasqua (V1 -) (D1 -) 7. Domeniche dei tempo di natale (V1 +) (V2 -) e « per annum » (D1 +) (D2 -) 8. Feste (V1 +) (V2 -) (D1 +) (D2 -) 9. Ferie di avvento dal 17 al 24 dicembre (V1 +) (V2 -) (D1 +) (D2 -) 10. Giorni tra l'ottava di natale (V1 +) (V2 -) (D1 +) (D2 -) 11. Ferie di quaresima (V1 +) (V2 -) (D1 +) (D2 +) 12. Memorie obbligatorie (V1 +) (V2 +) (D1 +) (D2 +) 13. Ferie di avvento fino al 16 dicembre (V1 +) (V2 +) (D1 +) (D2 +) 14. Ferie dei tempo di natale fino al 2 gennaio (V1 +) (V2 +) (D1 +) (D2 +) 15. Ferie dei tempo pasquale (V1 +) (V2 +) (D1 +) (D2 +) 16. Ferie « per annum » (V1 + (V2 +) (V3 +) (D1 +) (D2 +) (D3 +)