DiarioFL/Biografie/FMaccono/FMaccono.txt Un apostolo di Gesù Crocifisso P. Francesco Maccono O. F. M. Il Servo di Dio Fr. Leopoldo Maria Musso dell'Ordine dei frati minori (1 850- 1922 ) Prefazione Tratteggiare la cita, delineare le tappe dell'esistenza di chi per soggettiva profonda convinzione stimiamo Santo, prima ancora che la Chiesa col suo infallibile giudizio abbia sanzionato la credenza nostra, è estremamente difficile. Ed il compito diventa anche più arduo quando le prospettive, più che storiche, sono cronacistiche, data la contemporaneità dello scrittore e del descritto, la quale impedisce quella visione nel tempo che dà alle singole figure il rilievo loro proprio nel quadro degli altri personaggi e degli decadimenti a loro estranei ma della loro età. E quando a tutto questo si aggiunga l'essere stato legato da dolce consuetudine d'amicizia con il biografato, il militare nella medesima grande famiglia spirituale e rivestire l'ufficio di Vice Postulatore della causa di beatificazione dello stesso, mi pare si sia resa vivida la posizione del P. Maccono nell'atto d'intraprendere la narrazione di quello che è il ciclo terreno della vita di Fr. Leopoldo M. Musso. Ma è pur garanzia d'impegno più tenace ed affettuoso insieme tale situazione di scrittore. Anch'egli può dire "Amar mi mosse che mi fa parlare ", quell'amore che segue conoscenza ed è alla stessa proporzionato. Non dunque la gelida inquisizione del topo di archivio che dall'inchiostro dilavato delle carte antiche, ingiallite dai secoli, cerca di risuscitare una vita su scarne testimonianze, ma il riandare eventi cui aggiunge suggestione di verità il poter dire: io c'ero, o nella presenza materiale o nella testimonianza direttamente riferita. Ed a suscitare più larga conoscenza e più diffuso amore è ordinata questa cita. Non preziosità letterarie, non curiosità anedottiche - pur essendoci larga messe di particolari meno conosciuti o anche inediti - nel piano discorso che ci mostra il Servo di Dio nelle Varie fasi del suo pellegrinaggio fra gli uomini. È un'anima innamorata di Gesù Cristo quella che ci viene presentala, un religioso francescano che ripete in sé, rivivendolo, quello che fu l'ideale del Poverello d'Assisi, l'imitazione devota del Crocifisso del Golgota. E come sette secoli addietro nel dolce digradante paesaggio umbro, trascorreva Francesco lamentando che l'Amore non è amato, così, nel clima e nelle possibilità del secolo nostro, Fra Leopoldo vuol ricondurre il troppo frastornato novecento all'amore di Colui che solo ha potere di sedare le tempeste degli animi nostri, perché solo è il padrone del cuore degli uomini. Occasione alla stesura di questa vita il venticinquesimo anniversario della morte del Servo di Dio, ed è singolare coincidenza che per un ricorso storico si ripetano oggi le condizioni morali e spirituali di quel tempo, lontano e vicino insieme, perché le sventure l'hanno fatto parere più lungo assai di quanto lo sia stato realmente. Anche allora erano le convulsioni economiche e morali di un mondo nel quale la guerra aveva condotto gli uomini e le istituzioni all'orlo del fallimento, anche allora era una ricerca affannosa di sistemi e di teorie che facessero verzicare a speranza gli animi disincantati e senza più fiducia. Oggi, come allora, Fr. Leopoldo ripropone il suo rimedio, il Crocifisso del Calvario che, avendo conosciuto tutti i dolori, essendo anzi l'uomo dei dolori, ma essendo pure Figlio di Dio, unico può ritornare ai redenti la pace perduta, il cammino della giustizia smarrito. Possa il messaggio dell'umile Fratello Laico avere una risonanza sempre più ampia, possa la devozione al SS. Crocefisso da Lui voluta e propagata essere l'ancora di salvezza a tanti delusi e sconfitti nella quotidiana bufera tormentosa della esistenza. Fra poco le spoglie del modesto Francescano ritorneranno in quella Cappella della Madonna, nella Chiesa Francescana di S. Tommaso in Torino, che fu testimone delle sue trasfigurazioni mistiche, delle sue veglie insonni, delle sue preci ardenti. Là attenderanno il giorno - e auspichiamo che l'attesa sia breve - nel quale la Chiesa confermi la persuasione di molti che lo conobbero e lo stimarono uomo di Dio, dei tanti che ne sperimentarono la potente intercessione presso il Signore. E sia questo l'augurio che toto corde formuliamo al libro di P. Maccono: possa esso, in larga diffusione, essere mezzo cospicuo per la glorificazione di colui che conoscemmo un giorno come Fr. Leopoldo M. Musso e che oggi già salutiamo riverenti quale Servo di Dio. Roma, Festa delle SS. Stimmate, 17 settembre 1947. Fr. Felicissimo M. Tinivella Min. Prov. Una famiglia di " fervidi cristiani " A pochi chilometri da Casale Monferrato, sopra un elevato e ameno poggio, sorge Terruggia, piccolo comune di circa 1000 abitanti. È l'antica Turricula,1 già feudo dei Marchesi di Occimiano e Signoria di varie Case nobili: gli Arborio di Gattinara, i Cozio di Salabue, i Cozio di Montiglio, i Mossi di Morano e altri. La Chiesa parrocchiale, riattata e riccamente decorata con gusto dall'attuale Prevosto D. Giuseppe Rota, domina dall'alto del poggio le case modeste sottostanti. La popolazione, formata quasi tutta di piccoli proprietari dediti all'agricoltura, conserva anche in questi nostri tempi, carattere sereno e tranquillo. I pingui vigneti che coprono la collina, coltivata amorosamente se richiedono da essa un lavoro intenso, la ripagano con generosità di abbondante raccolto, di salute sana e robusta e di gioie familiari. Tra le umili case che si arrampicano su per la breve collina, oggi è visitata con un sentimento di venerazione e di rispetto quella della famiglia Musso. Là viene indicata la camera che fu santificata dalle preghiere e da prime manifestazioni sovrannaturali di F. Leopoldo Maria. Si conservano i suoi mobili, il crocifisso, i quadri e gli altri oggetti che egli amava. Un orticello compie la proprietà. La casetta è quasi al termine della collina e fa gruppo con altre che gravitano su essa, ma non la soffocano, perché da un terrazzino in miniatura sporgente sull'orto essa può respirare su un ampio spazio di pianura verdeggiante. Ma non è in questa casetta che nacque F. Leopoldo. Quando questi venne al mondo a rallegrare i coniugi Musso, la famiglia abitava nella casa colonica dell'lngegner Luigi Noè, presso il quale Giuseppe Musso, il fortunato padre del Servo di Dio, esercitava l'ufficio di giardiniere. Giuseppe Musso era uno di quei cristiani, che sono compresi dei loro doveri, sul quali non transigono quando ne va di mezzo la coscienza. Religioso e lavoratore indefesso, dava esempio di osservanza alle leggi di Dio, e di fedeltà al suo principale, di cui godeva completa fiducia. Di carattere era severo, ma amantissimo della famiglia. La madre, Maria Cavallone, era anch'essa religiosissima, lavoratrice degna del marito, più dolce di carattere, molto gioviale, ma non meno energica nell'educazione dei figli. Quelli che ancora ricordano a Terruggia i genitori di F. Leopoldo sono unanimi nell'affermare che essi erano " buoni e fervidi cristiani ". Aurora radiosa In questo ambiente campagnolo e sano, in questa famiglia di " buoni e fervidi cristiani ", nasceva Luigi Musso, il futuro F. Leopoldo Maria, il 30 gennaio 1850. Siccome il neonato pareva corresse pericolo di vita, i genitori si preoccuparono subito della sua salute eterna e vollero che gli fosse immediatamente amministrato il Battesimo. Il pericolo fu superato e il bimbo si sviluppò e crebbe sano e robusto, con grande gioia dei genitori, gioia che aumentò quando si manifestò l'indole dolce, affettuosa e tendente alla pietà di Luigi. Il nome non fu soltanto un augurio che sotto la protezione e nell'imitazione del Santo della gioventù, sapesse conservare l'innocenza e il candore battesimale, ma fu una realtà. Luigi Musso o Luigino, come lo chiamavano, amò e conservò il fiore più bello e più profumato dell'anima per tutta la sua vita. A fargli apprezzare la bellezza di questa e delle altre virtù cristiane, su cui si eleva il grandioso edificio della perfezione e della santità, concorsero i suoi genitori e l'ambiente in cui passò la sua infanzia. I genitori, la mamma soprattutto a cui è affidata la prima educazione, seppero istillare nell'animo docile e sensibilissimo del piccolo Luigi l'amore alle cose di religione. Gli fecero conoscere il Divin Redentore, la Madre sua santissima, i loro dolori per i peccati degli uomini. Gli parlarono dei Santi, degli Angeli, del paradiso e dell'inferno, con quell'arte che non è imparata sui libri, ma nasce da un cuore pervaso dalla sapienza cristiana e che sa farsi intendere dai piccoli, anche quando insegna le cose più sublimi della religione. Luigino imparò e fu attratto dal bello che la mamma sua gli faceva intravedere nell'esercizio della virtù e nelle preghiere che essa voleva fossero non recitate da lui e dai fratelli, ma cantate. Era arte sapiente anche questa di quella " buona e fervida cristiana ". Voleva che nella preghiera vi fosse l'entusiasmo e non solamente un freddo meccanismo e per i piccoli il canto è il mezzo più naturale per suscitare l'entusiasmo e per imprimere nella mente il significato delle parole, e inoltre la preghiera rivestiva un carattere di bellezza e di festività. Così in casa Musso si iniziava da Luigino e dai suoi fratelli, sotto gli occhi dei genitori, e si finiva la giornata cantando le lodi a Dio. Anche l'ambiente in cui viveva era adatto a sollevare l'anima e la fantasia di Luigino all'amore delle cose belle. Suo padre coltivava il giardino dei signori Noè. In mezzo a quei fiori della natura si trastullava lungo il giorno Luigino, ne imparava i nomi dal padre, il quale di molti gli indicava il simbolo; e i fiori egli amò sempre e per tutta la vita. Più tardi imparerà a formarne anche di finti, e quanti ne usciranno dalle sue abili mani fino agli ultimi giorni della sua vita! Come altri Santi, egli seppe capire il linguaggio del bello naturale per innalzarsi alla conoscenza e all'amore del Padre Celeste. Tra i fiori della natura e tra i canti religiosi Luigi Musso passò la sua infanzia innocente e pura. Ne risultò in lui quel carattere dolce, sorridente, santamente lieto e delicato che non lo abbandonò mai neppure nei momenti di prove dolorose. I genitori vedevano con piacere svilupparsi nel figlio quei germi di virtù che essi andavano inoculando nell'anima sua con la parola e con l'esempio. La mamma soprattutto vigilava e osservava, e un giorno constatò con vera commozione l'effetto che le sue istruzioni religiose facevano sull'animo sensibile e pio del fanciullo. Essa gli aveva parlato della passione del Signore e per meglio imprimergli nella mente il fatto, dovendo attendere ai suoi lavori, mise nelle mani di Luigino immagini che rappresentavano le scene della Via Crucis. Egli aveva allora pochi anni e con la sua fantasia credette di poter trovare il modo di difendere il Salvatore dalle furie del suoi nemici. Prese un ago e si mise a ferire i personaggi che rappresentavano i persecutori. La mamma intervenne subito e gli chiese perché così facesse: " Non voglio che quei cattivi maltrattino Gesù ", rispose. Prudentemente gli tolse le immagini perché non le sciupasse, ma nel cuor suo fu lieta che il bimbo avesse manifestato quei sentimenti di affetto verso il Redentore del mondo. Quale gioia e quale consolazione essa avrebbe allora provato se qualcuno le avesse potuto annunziare che il suo Luigino sarebbe stato un apostolo fervente della devozione del SS. Crocifisso! Possiamo ritenere questo episodio della sua infanzia come un preannunzio della sua vita futura tutta consacrata all'amore della passione del Signore. Un giorno il Crocifisso gli parlerà, lo chiamerà suo amico e gli comunicherà preziosi segreti. Preludi di santità Giunto all'età conveniente frequentò la scuola elementare di Terruggia. Le condizioni povere della famiglia non permisero che egli andasse al di là della terza classe, le uniche che esistessero nel paese. Studiava con profitto perché era sveglio di mente, diligentissimo e di buona memoria. Non amava Invece i giochi chiassosi dei compagni, non che fosse misantropo o rustico, ma perché preferiva nei tempi liberi trovarsi tra i fiori della sua casa o presso gli altarini della Madonna, che egli stesso si era formato, e tra le Immagini sacre. Questi altarini erano sempre adorni di fiori freschi da lui raccolti nel giardino coltivato da suo padre. In modo speciale preferiva trovarsi con la mamma o col padre nella chiesa parrocchiale alle funzioni sacre e là stava raccolto devotamente. Il suo contegno diceva a tutti che egli non compiva fin d'allora quei doveri materialmente, ma con fede viva. Anche in ciò possiamo intravedere un'altra particolarità della sua vita, l'amore all'Eucaristia. Quanto fosse profonda fino dai primi anni la sua fede nel SS. Sacramento dell'altare lo dimostra non solo tutto il suo contegno in Chiesa, ma anche il seguente episodio. Aveva circa dieci anni quando, approfittando della calce e cemento lasciati dai muratori nel cortile della sua casa, modellò un ostensorio che poi fece seccare al sole. Piacque il lavoruccio e i genitori vollero che stesse sui mobili della casa. Cose da nulla, ma che dimostrano come anche nei giochi fanciulleschi prevalesse in Luigino Musso il sentimento religioso. Quando modellava, l'ostensorio egli era già stato ammesso alla mensa eucaristica? Non sappiamo perché mancano testimonianze e documenti al riguardo. In Terruggia vi era però la buona usanza di avvicinare presto i fanciulli ai SS. Sacramenti. Sappiamo che Luigi Musso tu cresimato il 24 maggio 1857 e probabilmente non si tardò molto per ammetterlo alla prima Comunione. Comunque dal giorno in cui si uni a Gesù nel Sacramento di amore, fu notato in lui un progresso meraviglioso in fatto di pietà. Narra un testimone oculare che Luigino dopo la prima Comunione teneva dei discorsi spirituali edificantissimi, tanto che alcuni del vicinato nell'udirlo esclamavano: Ma Queste sono cose da Santi! Il suo fervore non aveva più bisogno di essere stimolato dal genitori; egli stimolava gli altri, e primi fra tutti i suoi fratelli. Questi alle volte non avevano voglia di pregare, ma Luigino, sebbene fosse il terzogenito, si imponeva, coi suoi modi insinuanti e forti nello stesso tempo, li radunava e li faceva pregare devotamente. Ciò narrava alla figlia il fratello primogenito di Luigino. Prima di uscire da questo giardino fiorito e olezzante dell'infanzia di Luigi Musso ricorderemo quella che fu forse la sua prima vittoria. Essa ci prova che la virtù sua era soda. Un giorno si incontrò con un malvagio il quale credendo di approfittare dell'ingenuità di Luigino, cercava di indurlo al male, ma né moine né insinuazioni valsero a far cadere il ragazzo, che resistette fortemente e preferì sopportare gli schiaffi di quel brutale che macchiare la sua innocenza. Se questa fu la prima tentazione che dovette subire, fu pure la sua, prima grande vittoria, preludio di altre non meno gloriose che Dio gli riserbava in futuro. Finiti i poveri studi elementari si presentava a Luigi Musso il problema della scelta di uno stato. Noi non sappiamo se egli allora manifestò desideri suoi ai genitori. Se dobbiamo giudicare da quello che avvenne più tardi e teniamo conto della sua indole e del suoi amori verso le cose religiose si dovrebbe conchiudere che fin d'allora coltivasse l'idea di entrare in, qualche Ordine religioso. Se fu così, dovette attendere lunghissimi anni per vedere realizzati i suoi ideali. Del resto quando egli compiva i sedici anni e sarebbe stato il tempo atto a entrare in qualche noviziato, gli Ordini Religiosi in Italia erano soppressi dal Governo in nome di una libertà che non è facile definire e comprendere. Le porte dunque dei conventi erano per lui e per tutti chiuse né si sarebbero aperte che qualche decennio dopo. Inoltre la sua famiglia era bisognosa e i figli furono collocati qua e là a lavorare appena giunta l'età adatta. Cosi Luigi fu dal padre messo al servizio del Medico condotto di Terruggia, Dott. Boltri. Presso di lui egli fu adibito a parecchi servizi di casa, di cocchiere, di giardiniere ecc. e in tutti con soddisfazione del padrone. Il suo fare disinvolto, modesto, e di una fedeltà, scrupolosa gli attirava le generali simpatie. Non rallentò in nulla le sue pratiche religiose; anzi le aumentò e divenne modello della gioventù del paese. Il divertimento che quasi unicamente si prendeva era nelle ore libere un po' di musica. Suonava discretamente la chitarra come gli altri membri della famiglia. Dopo il lavoro faticoso della giornata i Musso trovavano il loro svago nella dolcezza del canto e nelle armonie del suono; svago sereno, che li manteneva in quella letizia che solleva gli animi e unisce i cuori. Così passò Luigino gli anni, forse i più belli della sua vita, fin quando le necessità familiari non l'obbligarono ad allontanarsi dalla sua casa e dal suo paese. Era giunto all'età di 19 anni. Verso la vita Era ormai un giovanotto. Prestante, ben formato, florido, ricco di tutte le doti che sono proprie di una gioventù mantenutasi costantemente casta, egli si affacciava a quella vita che è spesso piena di pericoli di sviamento e di sconfitte morali per i giovani che la iniziano non preparati da prudente e cristiana educazione, né da sode virtù personali. È l'età dei sogni e delle illusioni, che poi svaniscono al contatto della realtà della vita. Più pericolosa ancora quando la si deve svolgere lontano dalla casa paterna in ambienti sconosciuti. Finora Luigi Musso non si era mai mosso da Terruggia, ove non aveva che amici e ammiratori. Nella famiglia, nella Chiesa parrocchiale non aveva che trovato gioie e soddisfazioni. Ma la necessità di avere un lavoro più redditizio per i suoi lo costrinse a cercare altrove un impiego. Fu trovato a Vercelli presso un padrone che i suoi genitori credettero di ottime qualità. E Luigi parti per la non lontana città. Il distacco dalla famiglia fu doloroso certo per il giovane. Per lui così affezionato ai genitori e specialmente alla mamma e da loro così amato era la perdita di quelle soddisfazioni soavi e pure della vita casalinga. E cambiava per lui anche l'ambiente tranquillo e sereno di campagna con quello movimentato e freddo della città. Sensibilissimo come era, Luigi Musso soffrì nell'allontanarsi da Terruggia. Ma il dovere di aiutare i suoi prevalse e cominciò quella vita che da una città all'altra, attraverso continui ostacoli lo avrebbe condotto alla realizzazione dei suoi sogni di vita religiosa. E cominciò nello stesso tempo il suo apostolato di bene. Sono così misteriose le vie della Provvidenza e non si comprendono che al termine della vita. Ma felice colui che si abbandona con fede, umiltà e amore nelle braccia di essa e da essa si lascia guidare! Fu il caso di Luigi Musso. Nel campo dell'apostolato laico. Prime prove A Vercelli egli ebbe subito la prima delusione. Il padrone non era quello che era stato creduto. La sua vita morale lasciava troppo a desiderare e il Musso era troppo delicato di coscienza per restare con un padrone di tal genere. Cercò dunque subito un altro posto e la Provvidenza lo condusse in casa di Mons. Giuseppe Miglione, Canonico della Collegiata di Trino. Presso di lui egli resta come cuoco e come uomo di casa fino al 1884, anno in cui morì il Canonico. Si era appena collocato in questa casa che un grave dolore venne a colpirlo. Il suo padre, a cui tanto era debitore, per l'educazione fortemente cristiana ricevuta, venne a morte, lasciando la famiglia priva del principale sostegno. Da quel momento egli non penserà che ad aiutare la sua mamma finché il Signore la lascerà in vita. L'impiego che aveva gli facilitava assai questo dovere figliale, tanto più che egli, per la santa vita che conduceva, si accontentava di ben poco e non conosceva lo spreco, così comune ai giovani che amano i divertimenti e la facile vita. Possiamo conoscere la sua condotta in quegli anni che rimase con il Can. Miglione da un suo amico e quasi conterraneo, che si era fatto in Vercelli. Molti sono i monferrini che trovano da sistemarsi in questa città: albergatori, commercianti e addetti a diversi Impieghi. Luigi Musso ne conobbe parecchi in quegli anni e con uno soprattutto strinse amicizia, Giuseppe Necco di Casale Monferrato. Era questi cuoco di una famiglia di Vercelli, e Luigi, andando al mercato per le spese quotidiane lo aveva incontrato ed erano diventati amici. Il Necco gli fece fare conoscenza con altri cuochi, che erano soliti trovarsi insieme dopo il lavoro per passare qualche ora di svago. Dietro invito del Necco anche Luigi intervenne, a quelle riunioni, perché, l'abbiamo già detto, egli non era un misantropo e gli piaceva trovarsi con amici in conversazioni e in schietta letizia. Solo che i suoi gusti non sempre collimavano con quelli degli altri. Egli cercava e gustava l'allegria e le conversazioni cristiane, che mentre sollevano gli animi non debbono avere neppure l'ombra di offesa alla virtù ... In quelle adunanze non tutto gli piaceva e dopo un anno circa ( 1878-1879 ) le lasciò. Ecco quanto scrive il Necco: " Luigi Musso fu sempre nel nostro gruppo di giovani il più moderato nei sollievi che pigliavamo dopo le fatiche dell'impiego. Egli aveva un contegno modesto e non voleva prender parte a tutti i divertimenti, come ad esempio al ballo. Di sentimenti profondamente religiosi, era di grande esempi a tutti noi, imponendosi col suoi modi affabili, ma riservati ". Fin d'allora egli non era fatto per essere rimorchiato da altri. Si sentiva nel suo zelo e nella sua profonda convinzione piuttosto capace di trascinare, come poi avvenne. Per allora il suo apostolato si svolse con l'esempio. Se il Necco fu colpito dal contegno di lui e lo ammirò, altrettanto avranno fatto tutti gli altri compagni. Inutile ricordare che anche a Vercelli egli non solo continuò, ma aumentò le sue pratiche religiose, tra cui la Comunione frequente che riceveva nel Duomo, ove assisteva devotamente alla S. Messa tutte le mattine. La costanza nelle pratiche religiose e il contegno devotissimo che teneva colpirono molti e tra gli altri il Fratello delle Scuole Cristiane Basilio, Direttore della vicina scuola gratuita per i poveri, il quale fatta conoscenza con il Musso e ammiratene le virtù, lo propose a modello dei suoi allievi. Nel diario che F. Leopoldo Musso ci lasciò, vi è un ricordo di quel suo soggiorno a Vercelli che ci illumina intorno i sentimenti che andavano sviluppandosi nella sua anima: " Sbrigati i miei lavori di cucina, mi dedicavo alla lettura, ma quella da me favorita era la Buona Settimana, che nel 1887 pubblicava la vita del Servo di Dio Tommaso Moro, la quale mi confermava vieppiù nella fede e nella pratica delle virtù ". La sua cultura non gli permetteva di leggere libri di alta scienza, ma seppe trovare nelle sue letture quotidiane la scienza dei Santi, che imparò mirabilmente. Alla lettura faceva seguito la meditazione ed è qui che il suo pensiero si illuminava e la sua anima si riempiva di sapienza cristiana. Ne fanno prova i discorsi che teneva con le persone che lo avvicinavano, ed erano molte, perché ormai a Vercelli era conosciuto. Chi parlava con lui si accorgeva immediatamente che egli era un uomo di Dio, che un fuoco interno lo animava e gli faceva uscire dal labbro parole che illuminavano, scuotevano e penetravano nel cuore. A Vercelli Luigi Musso trovò dunque il suo primo campo di apostolato laico, ne fece le prime prove, nel tempo stesso in cui si rendevano sempre più robusti i fondamenti della sua santità. Ed è pure in questa città, che egli conosce la via per la quale il Signore lo chiamava a camminare. La voce di Dio Nel novembre del 1887 Luigi Musso ebbe in sogno una visione. Vide la Vergine SS. Addolorata, in atteggiamento mestissimo con il capo nobilmente chino, e gli disse: Ricordati di ciò che ha sofferto mio figlio! Visione reale e sovrannaturale o semplice sogno, provocato dalle sue meditazioni intense e quotidiane, poco importa. Quelle parole non si cancellarono più dalla sua mente e divennero il programma della sua vita. È bene che ci rendiamo fin d'ora conto delle principali caratteristiche della vita del Servo di Dio. Egli fu un innamorato e un apostolo del SS. Crocifisso. Tutti I giorni ne medita la dolorosa Passione, passa ore ed ore in preghiera dinnanzi alla sua immagine e là effonde i suoi sentimenti e un giorno comincerà a sentire la sua voce che finirà di diventargli famigliare. Ne propagherà la devozione con preghiere da lui stesso composte e, come vedremo, sarà diffusa in tutto il mondo. Oggi che tutto ciò vediamo avverato noi possiamo comprendere il significato della visione avuta a Vercelli. È quella la chiamata di Dio ad un apostolato, specie tra i laici, per richiamare gli uomini alla fonte della vita cristiana. Contro lo spirito del mondo, contro la smodata ricerca dei piaceri e dei divertimenti, contro le infinite offese a Dio, nulla poteva di più che il richiamo alla meditazione e all'amore del SS. Crocifisso, che versa il suo sangue per redimerci dal peccato. Con il suo apostolato, con la sua devozione alle cinque piaghe, F. Leopoldo Maria farà sentire a tutti i cristiani la voce che in sogno gli fece udire Maria SS. Ricordati di ciò che ha sofferto mio Figlio! Nel suo diario, ricordata la visione, egli aggiunge che dopo ciò andava meditando la bontà, la pietà e la misericordia di Maria Santissima in favore dei peccatori. La devozione e l'amore alla Madre di Dio è un'altra caratteristica della vita e dell'apostolato di F. Leopoldo. Al Crocifisso egli unirà sempre la Vergine Santa, la quale lo colmerà di grazie speciali, gli farà udire la sua voce e si farà sua maestra. Tenute presenti queste caratteristiche noi possiamo comprendere meglio lo sviluppo della vita e dell'azione del Servo di Dio. Durissima prova Dobbiamo ancora trattenerci a Vercelli per poco. Luigi Musso forse credeva che il suo soggiorno colà non dovesse finire tanto presto, tanto più quando credette d'aver trovato una sistemazione definitiva. Morto nel 1884 Mons. Miglione, egli aveva trovato nuovo impiego come cuoco nella famiglia dei Conti Arborio Mella, ove rimase fino al 1889. Ma egli desiderava collocarsi definitivamente e stabilmente e gli parve una vera fortuna quando poté entrare come capo cuoco nel Collegio Dal Pozzo. Ma era proprio là che l'attendeva una dura prova, e un dolore gravissimo. Egli era il capo cuoco e con lui erano altri servi. Nel suo zelo di far del bene egli cercò di istillare buoni sentimenti nel cuore di tutti; forse avrà anche pensato di poter formare con quel compagni un gruppo di buoni cristiani e di infervorarli alle pratiche di pietà. E subito cominciò con l'esempio e poi con le esortazioni. Rivolgeva le sue cure specialmente al più giovani. Nelle ore libere questi radunava nella sua camera per farli pregare e per istruirli nel catechismo. Uno di questi, Averone detto " il Biondin " fu del tutto acquistato al bene dal Servo di Dio, lo seguì, lo comprese e lo stimò come suo maestro. L'esattezza con cui il Musso adempiva i suoi doveri nel collegio, l'esemplarità della vita, l'amore alla giustizia dimostrata nel suo ufficio per cui mai volle approfittare anche minimamente della fiducia dei superiori per suo interesse personale, lo indicarono subito come un uomo incorruttibile. Ma queste stesse virtù sono per se stesse rimprovero a chi ne è privo e possono anche diventare cause di danno a chi le possiede, tanto più se esse vengono a turbare abitudini riprovevoli, ma inveterate. Se pertanto la vita esemplare del Musso era già uno dei servi, molto meno loro piacquero le osservazioni e le rimostranze sue contro azioni, sotterfugi e altre marachelle loro. Si cominciò dunque a mormorare contro di lui, tacciandolo di tirchio, di esagerato, di importuno e di censore non autorizzato. Il Musso non badò e continuò a non soddisfare ai capricci loro. Cessarono quindi certi disordini a danno del collegio e cessarono anche per i conservi certi maneggi poco corretti e le altre libertà di prima. Si sa che l'astio quando comincia a prender piede raramente si ferma a parole, ma va accendendosi. Nel caso nostro vi era pericolo ( almeno lo potevano temere i colpevoli ) che il Musso svelasse ai superiori come erano le cose. Meglio era prevenire il pericolo accusando l'innocente e così disfarsi per sempre di lui. Ma il difficile era trovare il capo d'accusa. Il Musso in breve si era fatto conoscere da tutti come un esemplare di proibita in tutto; impossibile quindi intaccarlo da questo lato. La malvagità sa trovare sempre ciò che può colpire anche un innocente. La calunnia è la sua arma. Chi nel caso nostro per primo l'abbia escogitata non si può sapere, ma fu accettata da tutti i nemici di Luigi Musso. Il " Biondin ", ossia l'Averone che, abbiamo detto, seguiva gli insegnamenti del Musso e non faceva lega coi nemici di lui, servi di pretesto. Lo si sapeva il perché andava nelle ore libere nella camera sua, ove davanti all'altarino pregava col suo maestro e poi ne ascoltava la parola buona sulle verità della religione. Si sapeva tutto, ma erano decisi di disfarsi dell'importuno. Ed eccoli i nemici del Musso insinuare prima sospetti su quelle riunioni. Solite forme: mezzi sorrisi, tentennamenti di capo, mezze parole, frizzi e intanto l'insinuazione prende corpo e diventa accusa e l'accusa è portata ai dirigenti del Collegio. La colpa denunziata era gravissima, e appunto per questo si sarebbe dovuto appurare. L'inchiesta non era difficile e, se fosse stata fatta, la verità non avrebbe tardato a palesarsi. Si preferì invece la via più comoda, ma non conforme alla giustizia. Senza entrare in merito dell'accusa, il Musso fu licenziato dal Collegio. Ragioni prudenziali possono aver consigliato una simile soluzione e noi non vogliamo giudicare le intenzioni; ma non possiamo neppure non far rilevare che il povero cuoco usciva dal Collegio almeno con un grande sospetto di gravissima colpa e senza che avesse avuto modo di difendersi e di chiarire la sua condotta. Forse parve cosa così di poca importanza la persona di un cuoco che non valeva la pena di preoccuparsi troppo della sua fama. Il povero, perché non sorretto dalla forza delle ricchezze, degli onori, delle condizioni privilegiate della società, raramente è tenuto in considerazione dal mondo. Chi si preoccupa di far valere i suoi diritti? E neppure il Musso vi pensò. C'erto sentì la ferita. Era stato colpito nella parte più delicata dell'anima sua, proprio in quella virtù a lui così cara e che aveva coltivato con tanta cura e che cercava di far amare da tutti, specialmente dal giovani. Ma egli era già avanzato sulla via della santità e conosceva le vie del Signore, le prove che Egli permette ai suoi servi per purificarli, irrobustirli e sapeva anche che dopo la prova verrà la carezza, la difesa, che compensano ad usura i dolori momentanei. Oggi noi possiamo vedere chiaramente i disegni di Dio. Quella prova venne a rompere i legami che avrebbero tenuto forse per sempre fisso a Vercelli il Servo di Dio, destinato invece dalla Divina Provvidenza a lavorare in altri campi. La difesa del suo onore è immediata, perché nessuno penserà più a lui una volta scomparso dal Collegio, né i Superiori che non credettero con tutta probabilità all'accusa ( i registri del Collegio che non danno alcuna motivazione del licenziamento, - simili licenziamenti erano usuali e frequenti - lasciano supporre con molto fondamento così) né i pochi che erano a conoscenza di essa, ossia i suoi accusatori stessi, molto meno Averone e qualcun altro che ne erano stati il pretesto. Ma non basterà la difesa dell'oblio, né quella che indirettamente verrà data al Servo di Dio in tutta la sua vita con tali esempi di virtù, che non permetteranno di pensare che anche un momento di debolezza abbia potuto offuscare il suo candore e la sua innocenza. La difesa verrà nel modo più solenne. Dio conserva in vita i testimoni più sicuri del fatto doloroso. Il " Biondin " già prima del processo per la beatificazione di F. Leopoldo e poi nel processo stesso svelò ogni cosa e difese l'innocenza del Servo di Dio durante la sua permanenza al Collegio Del Pozzo e con lui un altro pure testimonio oculare. La grave calunnia non servì se non a mettere bene e definitivamente in luce la liliale anima di Luigi Musso prima di rendersi Religioso. È proprio qui il caso di applicare il detto che le ombre di un quadro servono a farne risaltare le luci. Luce piena sulla sua purezza, luce piena sulla sua fortezza d'animo, su l'eroica carità, che perdona, che sa soffrire lietamente, sulla sua fede e abbandono in Dio. Quasi tutti i Santi dovettero attraversare la via delle calunnie e l'averla attraversata con tanta magnanimità anche il nostro Servo di Dio è prova che anche egli appartiene all'eletta schiera degli eroi della santità. A Torino Quando Luigi lasciò la sua casa e il suo paese per recarsi a Vercelli aveva il cuore pieno di amarezza perché si allontanava da affetti cari, ma era cosa naturale e facilmente superabile. A Vercelli aveva avuto delle grandi soddisfazioni umane e sovrannaturali, ma terminarono in dolori ben più gravi. Lasciando quella città per avviarsi a Torino il cuore sanguinava e solo la sua virtù di santo poté lenirlo. Ognuno lo può immaginare. Quando giunse a Torino nel 1890 nessuno si accorse che era arrivato un nuovo santo ad accrescere la schiera dei tanti che la metropoli del Piemonte ha avuto anche nei tempi moderni. Neppure lo immaginò la nobile famiglia del Conti Caisotti di Chiusano, che lo aveva accettato come cuoco. Era un semplice cuoco, ma si conobbe subito di qual valore fosse in tale arte. In essa si era perfezionato a Vercelli e ben pochi seppero come lui dimostrarsi artista di cucina, specialmente quando l'arte doveva supplire alla mancanza della materia prima, le sue mani parevano fatate. Ma alle volte l'arte non bastava e vi suppliva la santità. Un testimonio che conobbe bene Luigi Musso ed ebbe amicizia con lui a Torino narra che " essendo la spesa giornaliera per il vitto fissa per ognuno delle persone della famiglia ( padroni e personale di servizio ) dovendo accontentare i padroni e trovandosi qualche volta nel pericolo di scontentare gli altri famigli, egli, in tali circostanze, sacrificava la parte sua e si nutriva del solo stretto necessario per aver modo di accontentare le persone di servizio ". A Torino trovò presto amici, direzione spirituale adatta, persone che lo compresero, lo aiutarono e lo seguirono nei suoi propositi di bene e finalmente trovò la realizzazione dei suoi desideri di rendersi religioso. Torino era il campo che Dio gli affidava per il suo apostolato, che durò 32 anni. Fino al 1890 tutto era stato soltanto preparazione. In principio egli affittò una camera in via Mazzini 44 e poté subito occuparsi nelle ore libere dal servizio di un ufficio che a lui stette sempre molto a cuore e che aveva già tentato a Vercelli quando si trovava nel Collegio Dal Pozzo, ma che era riuscito a lui doloroso, come dicemmo. Egli radunava nella sua camera i ragazzi del vicinato e li faceva pregare e ripassare il catechismo, secondo le lezioni loro assegnate dal Parroco di S. Massimo. La sua cultura non andava oltre il catechismo, ma come è di tutti i santi, alla scienza acquisita vengono in aiuto lo zelo, la fede viva, e una intelligenza delle cose divine attinte dalle meditazioni, letture adatte e da Dio stesso, che si fa loro Maestro. Luigi Musso, pur non avendo mal avuto nella sua profonda umiltà, pretese di sapere umano e non, uscendo mai dal suo campo di uomo incolto, insegnò per tutta la vita e raggiunse una sapienza altissima. Verrà tempo che non saranno più soltanto i ragazzi che ascoltano le sue lezioni catechistiche, le sue esortazioni, i suoi consigli, ma uomini di ogni condizione sociale. Sacerdoti, Professori ricorreranno ai lumi e alle lezioni dell'umile cuoco e del modesto fabbricatore di fiori artificiali. Dopo tre anni di apostolato tra i piccoli della parrocchia di S. Massimo Luigi si trasportò in via della Consolata n. 1 presso la Famiglia Vacca. Fu una fortuna, perché i Vacca, monferrini, erano ottimi cristiani, e la madre Carolina esercitava un santo apostolato tra la gioventù monferrina stanziata a Torino. Di più trovandosi sotto la giurisdizione della Parrocchia di S. Dalmazzo, Luigi trovò un sapiente Direttore spirituale nella persona del P. Giulio Giuseppe Cozzi, dell'Ordine dei Barnabiti, ai quali è affidata la cura di quella Parrocchia. Verso il P. Cozzi, che fu poi Provinciale del suo Ordine, il Musso ebbe sempre stima e venerazione somma. Egli si mise completamente nelle mani di lui che seppe guidarlo sapientemente nella via della perfezione e della santità. Dietro consiglio del Cozzi, Luigi prese a comunicarsi quotidianamente, ciò che fino allora non aveva osato. Ne aveva il desiderio, confessa nel suo diario, ma al consiglio del Direttore suo aveva risposto da principio: " Sono tanto peccatore che non avrei osato ". Ma fu felice di poter finalmente ogni giorno unirsi a Gesù in Sacramento e non tralascerà mai più la pia pratica, se non impedito da malattia. Sotto la direzione sapiente del Cozzi, non solo si perfezionò nella devozione eucaristica, ma anche in quella del SS. Crocifisso. L'Illustre Barnabita si accorse ben presto quale anima aveva tra le mani e ne prese cura con amore. Vedendolo assiduo alla chiesa e servizievole in tutto, finì di considerarlo quasi uno della casa. Luigi Musso serviva sempre la prima Messa che si celebrava in S. Dalmazzo alle ore 5 di mattino, e si prestava anche per altri servizi di culto. Una mattina il sagrestano F. Giuseppe, lo pregò di portare l'ombrello sacro per accompagnare il S. Viatico ad una ammalata. ( In quel tempo si portava ancora solennemente il Viatico agli infermi ). Cosa strana! Luigi Musso che non ebbe mal rispetto umano, all'invito del sagrestano, scrive egli stesso nel suo Diario, ebbe un momento di titubanza. " Restai lì muto quasi che il rispetto umano mi volesse sorprendere, ma subito feci l'ubbidienza ". Strada facendo e recitando le preghiere di rito la sua mente piena sempre di fede viva, si elevò e rivolse al Dio Sacramentato presso il quale si trovava questa invocazione: " Gesù dolcissimo, per la tua infinita misericordia, fa che dopo la mia morte io mi trovi vicino a tè lassù nel bei paradiso, come mi trovo presentemente ". È ancora nella chiesa di S. Dalmazzo che Luigi Musso, secondo quanto egli narra, provò delizie ineffabili durante la Comunione e la preghiera, che sentì i misteriosi inviti ad un'intimità di colloquio con Dio e che udì la prima volta la parola del SS. Crocifisso. Ecco quanto si legge nel suo Diario: " Un giorno attratto dolcemente ai piedi di un gran Crocifisso, scolpito in legno, nel coro della chiesa di S. Dalmazzo, là solo col mio Gesù, e inebriata la mente nei gaudi del paradiso, mi scioglievo tutto in lacrime, né sapevo come allontanarmi dalla Croce. In quel momento il buon Gesù crocifisso mi disse: " Va a servire la Santa Messa. Non ti fare aspettare ... Non era ancora passato un minuto che il P. Cozzi si presenta dicendomi di andare a servire subito la S. Messa, e mi fece come un dolce rimprovero del mio ritardo ". Questi favori divini lo spinsero a darsi interamente al Signore e di mettere sotto i piedi il rispetto umano, le derisioni e le beffe degli uomini, " pensando, scrive, che non sono essi che devono giudicarmi in punto di morte, ma Dio solo ". Nell'Azione Cattolica Il fuoco che si accendeva nell'anima sua ai piedi del Crocifisso di S. Dalmazzo, nella Comunione quotidiana e nelle altre preghiere e pie pratiche si effondeva negli altri. Ormai a Torino Luigi si era formato un gruppo di amici, tra i quali divenne il principale agitatore e propulsore. Si ascrisse all'Unione Uomini cattolici, che era una delle forme di quel tempo dell'Azione Cattolica e che tanto bene ottenne nell'organizzazione delle forze cattoliche contro i nemici della religione. Luigi frequentava con assiduità le riunioni nella Parrocchia di San Dalmazzo e vi portava il suo contributo apparentemente modesto, ma attivìssimo. La sua cultura non gli permetteva di scrivere sui giornali o far conferenze pubbliche, ma in quei piccoli gruppi parrocchiali egli divenne l'anima. Il suo zelo, la sua convinzione, i suoi discorsi privati, il suo esempio trascinavano. Era l'azione, l'apostolato che poco si vede, non fa molto rumore, ma mantiene vivo e perenne il fuoco nelle anime. Il Cav. Luigi Vacca, che gli tu amico e compagno in quegli anni scrive: " Negli anni nei quali avevamo la grande fortuna di ospitare nella nostra casa quel sant'uomo, abbiamo imparato a vivere bene ". Quando vi era nella Chiesa della SS. Trinità in via Garibaldi, l'adorazione notturna del SS. Sacramento eucaristico, Luigi Musso non mancava mai. Vi partecipavano sempre molti e spesso anche l'Arcivescovo di Torino, Mons. Davide Riccardi. Il Cav. Vacca aveva allora vent'anni e confessa che gli sembrava duro alzarsi da letto all'una o alle due dopo mezzanotte, dopo un lavoro faticoso; ma il Musso lo svegliava e con i suoi bei modi lo costringeva sempre a partecipare a quella bellissima devozione, in cui si pregava e si cantava lodi a Dio come contrappeso alle offese e ai peccati degli uomini. E come con questo signore così con altri. Era l'apostolato spicciolo, individuale, ma efficace e continuo. Propagava pure nello stesso modo la devozione al S. Cuore di Gesù e parecchi ne indusse a consacrarsi al medesimo. Egli stesso lo volle fare in compagnia del Vacca nella chiesa della SS. Annunziata in Via Stampatori 1, nelle mani del P. Zampieri S. J., celebre predicatore in quel tempo e sant'uomo. Nella Chiesa di Nostra Signora della Salute, che si stava allora costruendo, era stato commesso un furto sacrilego. I Cattolici organizzarono un pellegrinaggio di espiazione e Luigi Musso non solo vi intervenne, ma si occupò perché i suoi amici non mancassero. Insomma, nell'umile strato sociale in cui si svolgeva la sua vita il Musso fu di un'attività sorprendente e del bene ne fece moltissimo. La madre del Cav. Luigi Vacca, lo abbiamo già accennato, si occupava con zelo per il bene dei Monferrini in Torino. Di questi molti venivano in casa sua e anche a costoro Luigi Musso comunicava i suoi ardori di fede. È prezioso quanto ci ha lasciato scritto il Cav. Vacca, testimonio oculare e quotidiano delle azioni del Musso, e che inoltre ci dà una conferma del carattere del Servo di Dio fatto di gioconda amabilità che formava una delle sue più forti attrattive. " Era sempre dì buon umore" e gioviale con i nostri compatrioti e con tutti; osservava veramente il motto: Servite Domino in laetitia. La sua serenità aveva sovente belle manifestazioni e fra le altre ricordo che il buon Luigi fece arrivare da Terruggia un piano a coda, una specie di vecchia spinetta, che egli stesso, nelle ore di riposo, suonava facendo sentire melodie religiose. La nostra casa era frequentata da bravi amici del Monferrato, che ascoltavano volentieri la parola di Luigi e restavano edificati dai suoi esempi e dalle sue esortazioni tendenti ad eccitare l'amor di Dio, la devozione alla Madonna, la frequenza ai SS. Sacramenti e la preghiera assidua. " Egli era poi di una eccezionale gentilezza ed elevatezza di modi e sapeva fare le esortazioni con tanto garbo che tutti gli volevano bene e l'obbedivano con grande venerazione. " Diffondeva la fede e faceva conoscere a quanti lo avvicinavano la bontà e la misericordia di Dio " Questo continuo apostolato del Musso è tanto più da ammirare in quanto egli non poteva esercitarlo se non nelle ore libere dal lavoro di cucina presso i Conti Caisotti, lavoro che egli adempiva con la massima diligenza ed esattezza, come assicurano i Conti stessi e i compagni di cucina del Servo di Dio. Trovava tempo per tutto, perché del tempo non ne perdeva mai in cose inutili, ed era ordinatissimo. In Torino, città vasta e popolosa il lavoro di apostolato del Musso non risalta molto ai nostri occhi: si restringe a quei gruppi di uomini che poteva avvicinare nell'ambito non vasto di una parrocchia centrale e con quelli che frequentavano alcune famiglie con le quali era in relazione. Appare invece molto meglio se lo osserviamo in centri minori. Qui lo vediamo vero trascinatore e dominatore. È bene che ci fermiamo un po' a lungo ad esaminare quanto operò a Viale e a Terruggia negli ultimi anni di vita secolare. Apostolo nella " fortunata regione di Viale " Parlando di Viale nel suo Diario, il Servo di Dio chiama quel paesello la " fortunata regione di Viale ". Non so per quale ragione abbia scritto tale frase, se per puro caso o con intenzione, ma noi oggi la possiamo usare nel narrare le opere sue di apostolato in questo paese. Luigi Musso fu la fortuna di Viale. Come cuoco dei Conti Caisotti egli passava colà ogni anno nel castello col suoi padroni quattro mesi di villeggiatura. Trovò presto degli amici e nel Parroco, D. Antonio Gambino, il suo direttore spirituale per quei mesi. " Anima cara e pia, che sempre lo incoraggiò al bene, alla virtù ". A questa lode che gli dà nel Diario il Musso, possiamo aggiungere che D. Gambino lo comprese, ne ebbe alta stima, e gli agevolò sempre tutte le iniziative. Appena giunto a Viale trovò amici e poi ammiratori. La sua anima calda di amor di Dio sentiva il bisogno di trascinare altri a seguire i suoi ideali e il suo zelo era sempre in moto. Non gli bastavano gli esercizi ordinari religiosi che alla domenica si compivano nella chiesa parrocchiale e al quali era naturalmente assiduo. Ed ecco una sua prima iniziativa. Poco lontano dal paese esiste una cappella dedicata a S. Rocco, una di quelle cappelle che la pietà degli avi avevano edificato, forse in riconoscenza di benefici ricevuti, e che col tempo vengono se non abbandonate, un po' neglette. Luigi Musso chiede il permesso all'arciprete D. Gambino di poter radunare colà quelle persone che volessero unirsi a lui nella preghiera, fuori delle funzioni parrocchiali, ciò che l'arciprete concede molto volentieri. Ed ecco ogni domenica alle ore due pomeridiane, il Servo di Dio suonare la campanella della chiesetta e in breve questa riempirsi di fedeli. Vi si recitava il rosario in onore della SS. Vergine. Fin dal primo anno della sua andata a Viale egli conquista un ascendente assoluto sulla popolazione, che volentieri ascolta i suoi consigli, e segue le sue iniziative. La cappella di S. Rocco però era disadorna e povera, ma Luigi aveva tra i suoi seguaci anche un ricco benestante, che egli ricorda con riconoscenza e affetto nel suo diario, il Signor Pietro Conti. Con lui quando potevano intrattenersi insieme parlava sempre delle cose della nostra Religione. Il Conti era generoso e " nulla risparmiava quando si trattava di concorrere ad abbellire la casa del Signore ". Un giorno il Servo di Dio gli suggerì di rendere più decorosa la cappella di S. Rocco. Il Conti immediatamente gli rispose: " Va dal mercante Andrea Fausone e prendi quanta stoffa ti occorre senza lesinare, che per il Signore bisogna esser larghi, tanto più che quanto posseggo me lo ha dato Lui ". " Così feci, narra il Musso nel suo diario, pigliai quanta tela era necessaria e me la portai a casa. Finiti i lavori di cucina mi mettevo a lavorare intorno a quella tela per prepararla il meglio che potevo. Mi posi a lavorare in una stanza del castello quasi nascosta, dove non fossi veduto da nessuno; impiegavo tre ore al giorno, quelle che erano di mia libertà. Incontrai molte difficoltà, ma come Dio volle, l'opera, fu finita. Prima di lasciare la campagna, la chiesa di S. Rocco era addobbata nel miglior modo che si era potuto ". Le difficoltà incontrate si devono certamente ricercare nella sua imperizia in quei lavori di taglio e di cucitura perché non consta che si fosse fino allora esercitato in simile arte. Ma la buona volontà, lo zelo per la gloria di Dio e anche il suo ingegno lo aiutarono molto bene. A questo punto viene spontaneo alla mente un confronto tra il Servo di Dio e S. Francesco d'Assisi. Questi al principio della sua conversione ristora la Porziuncola, cappellina campestre e abbandonata e poi altre due; chiede soccorsi per l'impresa al suoi concittadini. Luigi Musso non è ancora Francescano e forse non pensava ancora neppure di esserlo un giorno, ma il Signore che lo guida pare voglia fargli calcare in qualche modo fin da principio le orme del suo futuro Padre. Gli comunica le devozioni caratteristiche del Santo Poverello, l'amore al Crocifisso, all'Eucaristia, alla SS. Madre di Dio e infine l'amore alle chiese povere. Se sì aggiunge poi l'amabilità, la gentilezza e la sensibilità di Luigi Musso verso gli uomini, la serena letizia sempre inalterabile, l'amore verso le cose belle, la virtuosità nel suonare strumenti musicali e nel canto, il confronto si fa più sintomatico e ci porta a dire che egli era già Francescano prima che ne vestisse l'abito. L'andata di Luigi Musso a Viale tu dunque un avvenimento per la popolazione. Egli vi portò un nuovo soffio di spiritualità e un movimento salutare di pratiche cristiane. È naturale che tutti parlassero e ammirassero il buono e santo cuoco dei Conti Caisotti, che rincrescesse la sua partenza al termine della stagione, e desiderassero che ritornasse presto. Vi ritornò l'anno seguente e fu quello un anno speciale di grazia per essi che servì ad aumentare la loro venerazione verso il Servo di Dio. Appena ritornato la seconda volta a Viale egli sì reca dal suo ricco amico Pietro Conti e tra essi si parla di nuovo della cappella di S. Rocco. Il Musso aveva già il suo progetto, subito condiviso dall'amico: mettere in S. Rocco in apposita nicchia la statua della Madonna di Lourdes. Ottenuto dalle autorità il permesso, fu stabilita l'inaugurazione per il 5 agosto di quell'anno ( 1895 ) con una festa solenne. In quel giorno la Chiesa commemora Maria SS. sotto il titolo di Madonna della Neve. L'Arciprete aveva invitato la popolazione a intervenirvi e questa rispose nella sua totalità. Lasciamo la narrazione al Servo di Dio come la troviamo nel suo Diario. " Si benedisse il simulacro della SS. Vergine secondo il rito e si cantò la Messa solenne ... L'anima esulta di gioia, di soavità e di allegrezza nel vedere glorificato Iddio e la gran Madre del Signore venerata da molte centinaia di suoi servi fedeli; certamente quanti amavano la nostra cara Mamma celeste piangevano di consolazione nel vedere tanti devoti piegarsi a onorarla e benedirla. Ma la Vergine gloriosissima non tardò a premiare la fede dei suoi figli che la invocavano. " In quell'anno giugno e luglio non avevano visto goccia d'acqua; un sole cocente e un caldo soffocante. Quei cari popolani avrebbero ritenuto come grazia straordinaria se la Madonna avesse loro mandato un po' di pioggia: l'avrebbero ricevuta come gli Ebrei la manna del deserto. Ma per ora è impossibile, andavano dicendo. Si muore dal caldo! Ahi se questa Madonna facesse un miracolo e ci mandasse un po' di pioggia! Si, dicevo loro, abbiate fiducia nella gran Madre del Salvatore; Ella è madre pietosa è non tarda a venire in aiuto a chi confida in Lei e La invoca. " Ed ecco che il medesimo giorno della gran festa alle ore cinque del pomeriggio, si vide in lontananza come una nuvoletta, e a poco a poco si alzò un gran temporale, che pareva il finimondo, ma senza danno, perché cadde beneficamente tant'acqua da riempire fossati e ogni cosa. " È un fatto molto notabile che la pioggia cadde solo sul territorio di Viale. Quei buoni parrocchiani nel vedersi così favoriti, accrebbero la devozione a Maria SS. che nelle calamità sempre invocano come loro Patrona ". Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane, autore della prima biografia del Musso ebbe una conferma di quanto è narrato nel Diario dall'Arciprete D. Gambino, che interrogato da lui nel 1917, disse verissimi tutti i particolari, aggiungendo che avendo egli invitato a Viale diversi Parroci dei comuni vicini per una festa occorsa alcuni giorni dopo quella pioggia benefica, furono tutti sorpresi da meraviglia nel vedere la campagna fresca e rigogliosa, mentre nel loro paesi per la siccità tutto era arido e cadente. " Fortunata regione di Viale "! In quell'anno 1895 Luigi Musso fece provare ad essa le carezze della Madre celeste. Ma non le provarono soltanto i vivi. Ristorata, abbellita e fatta diventare un piccolo Santuario la chiesa di S. Rocco, Luigi pensò pure ai morti. Il Camposanto di Viale era pieno di erba da sembrare un prato ( la frase è sua ). Verso il 1875 ivi era stata edificata una cappella in onore di S. Andrea, ma dopo vent'anni non si era ancora pensato a farla benedire. Era trascurata come il cimitero. Ciò spiaceva non solo al Servo di Dio ma a tutti. Ed ecco Luigi in moto per provvedere a togliere lo sconcio. Coi suoi modi entranti ne parlò più volte all'arciprete, esponendogli anche i desideri del parrocchiani, ma invano. Finalmente un giorno tra il serio e il faceto gli disse: " Per Lei, Signor arciprete, quando sarà morto non verrà anima viva a recitare un Requiem: il camposanto è pieno d'erba da sembrare un prato e la chiesa è inutile perché non benedetta ". D. Gambino fu colpito da queste parole. Scrisse al Vescovo e in tre giorni arrivò la delegazione a lui stesso di benedire la cappella. La lieta novella si sparse subito per il paese e il Conti diede l'incarico a Luigi di fare come per la cappella di S. Rocco. Questi si mise al lavoro e preparò una completa tappezzeria in nero per l'addobbo per la chiesa del camposanto. " Venne poi il giorno in cui si benedì la Chiesa di S. Andrea, narra il Servo di Dio nel Diario. Si andò in processione al camposanto; si fece una bella funzione che fu certo di giubilo per le anime del purgatorio, perché molte preghiere s'innalzarono quel giorno per le anime dei poveri trapassati. Bello e consolante fu il giorno di Ognissanti di quell'anno 1896; per la prima volta dacché esiste quel paese, si compì un tanto bene. Il buon Arciprete per onorare e ringraziare Dio dei benefizi ricevuti, per rendere più solenne la festa e per suffragare le anime dei defunti, aveva esortato e preparato la popolazione ad accostarsi ai SS. Sacramenti. Un numero grandissimo di fedeli si accostò a ricevere il pane degli Angeli: intanto le Figlie di Maria cantavano inni dedicati alla loro Patrona e al suo Divin Figlio. Furono momenti di Paradiso! Quante anime saranno salite alla gloria celeste per le preghiere di quei semplici popolani! Si chiuse la festa con la predica nel camposanto fatta dal Signor Arciprete che strappò lacrime di commozione. Certamente è rimasta nel cuore degli abitanti di Viale eterna memoria di quel giorno di Ognissanti ". Certo è rimasto il ricordo della festa, ma insieme anche è rimasto vivissimo quello dell'autore di tutto il movimento spirituale suscitato nel paese in quei due anni che lo ebbero tra loro. E ricorrevano a lui per ogni loro bisogno, perché trovavano sempre parole e fatti che li sollevavano. Non erano soltanto le feste religiose, le preghiere fatte loro recitare nelle due cappelle ristorate o in chiesa parrocchiale, che gli attiravano l'ammirazione e l'affetto del paese intero, ma le infinite altre minute azioni di carità, di cui egli era prodigo. Come il Divino Maestro, Luigi illuminava le menti, richiamava alla virtù le anime, ma anche curava i corpi e sentiva pietà delle miserie umane, di cui è ricca la terra. I poveri e gli infermi furono i suoi prediletti. Tra essi si trovava bene, sia per la sua condizione sociale umile e quindi in grado di capirli meglio, sia per l'altezza di perfezione spirituale a cui era giunto. Abbiamo la fortuna di conoscere alcuni episodi!, attestati da persone che videro coi loro occhi e testimoniarono. Luigi Musso curava e se era necessario assisteva di notte i malati, ci viene assicurato da molti di Viale, e spesso otteneva guarigioni che paiono miracolose. Vi era a Viale un pover'uomo che da parecchio tempo teneva il letto per una ferita. Luigi si fece mandare dell'acqua della Madonna di Lourdes e curandolo nell'anima e nel corpo, ne ottenne la guarigione. Per i poveri poi faceva dei veri sacrifici. Egli che non solo non era ricco, ma aveva a suo carico la mamma, alla quale mandava tutti i suoi risparmi, trovava modo di soccorrere i poveri e di fare elemosina. La carità è industriosa. A Viale viveva in una specie di grotta sotto una pietra una certa Occhiena Teresa e Luigi le portava ogni giorno una porzione del suo cibo. " Io aveva in famiglia la nonna Angela, scrive Clara Conti da Viale. Essa era bisognosa di aiuto e il buon cuoco Musso Luigi tutti i giorni la visitava, portandole minestra, pietanza ed altre cibarie, privandosene per amor di Dio ". Se a questo intenso apostolato di bene a Viale, a questa continua predicazione spicciola fatta di esortazioni, di inviti alla preghiera, di carità e di buon esempio d'ogni genere, uniamo l'intensità della vita sua interiore che in un così piccolo campo non potava sfuggire all'osservazione generale, noi possiamo renderci conto dei successi ottenuti. In lui aumentava sempre più vivo, più robusto l'amor di Dio che lo portava all'esercizio di tutte le virtù. Se questo movimento divino delle anime dei Santi sfugge all'occhio esterno, ha pure delle manifestazioni che ne indicano l'esistenza e ne danno la misura. Il fervore interno che ardeva il cuore del Servo di Dio nel momenti della preghiera, nell'assistere e servire alla S. Messa, nel ricevere la Comunione, era intuito da quanti lo vedevano. Benché nascondesse col suo fare faceto le sue mortificazioni, pure quei che vivevano con lui finivano di scoprire i suoi segreti. Francesco Nebiolo, che per sei anni fu suo aiutante di cucina in casa Caisotti, se ne accorse molto bene e ci lasciò questa dichiarazione, che moltissimi altri sottoscriverebbero se ne avessero avuto l'occasione: " Quando nel castello di Viale e a Torino il signor conte Caisotti indiceva feste. Il cuoco ( Luigi ) presenziava per quanto era necessaria la sua presenza, ma cessata la necessità, tosto si ritirava. La sua parola era sempre affabile con tutti; col suoi compagni di lavoro non accampava mai pretese di sorta. Riguardo al cibo, egli dava sempre la parte migliore agli altri e, or con un pretesto or con un altro, trovava sempre modo di mortificazioni, facendoci restare edificati della sua virtù. Da lui non ho mai sentito parola sdegnosa o che sia stata men che cristiana e santa ". Non vi è dunque da stupire se la sua parola era ascoltata anche dal Parroco del paese. Egli trovava nel Musso un ausiliario efficace per il suo ministero pastorale. Non era un aiuto ingombrante e pretenzioso quello di Luigi Musso. Se anche molte iniziative erano sue, egli faceva in modo che partissero dal Parroco. Era troppa la venerazione e l'ubbidienza sua verso i ministri di Dio per permettersi anche solo l'ombra di volersi imporre. L'insistenza e la perorazione di una causa santa era fatta senza urtare mai; era preghiera, non imposizione importuna e la preghiera finiva sempre di essere esaudita. È cosi che Luigi poté organizzare le feste che abbiamo ricordato e se riuscirono splendide e di comune soddisfazione è perché furono volute e indette dal Parroco, benché tutto il lavoro preparatorio se lo fosse addossato il Servo di Dio. Altre manifestazioni religiose furono organizzate in Viale dal Musso in accordo perfetto con l'Arciprete. Cosi quelle in riparazione del peccati. L'odio che Luigi sentiva per l'offesa fatta a Dio era grande e si manifesterà sempre in ogni occasione. E come avviene nei Santi egli desiderava aver dei compagni nella lotta contro quello che è davvero l'unico male di questo mondo. A Viale d'Asti dunque egli indusse l'Arciprete a indire funzioni speciali in riparazione dei peccati, che importavano come conclusione la confessione e la comunione. Forse se fosse stato sacerdote e avesse potuto predicare avrebbe fatto sentire tutto il suo zelo ardente; ma il predicatore lo faceva lo stesso. In quelle occasioni " passava nelle case a esortare, consigliare, spingere i fedeli alla santa opera di espiazione ". L'aver mantenuto sempre il suo posto umile di laico, il suo apostolato tu di efficacia grande e salutare. D. Antonio Gambino, sacerdote pio, aveva trovato nel Musso il cooperatore laico, il vero modello di uomo di azione cattolica. Con la permanenza di questi nella sua parrocchia egli vide passare sui suoi figli spirituali un soffio nuovo di spirito cristiano, una pioggia di grazie d'ogni genere. La sua parrocchia era diventata " la fortunata regione di Viale ". Apostolato a Terruggia Il 19 novembre 1896, dopo le funzioni solenni al camposanto di Viale, Luigi Musso tornò a Torino con i conti Caisotti. Ma in questa nobile e cristianissima casa non rimase che ancora sette mesi. La mamma di Luigi era inferma ed egli dovette portarsi al paese natio per assisterla. Prima però volle provvedersi di una grande immagine di Maria SS. della Consolata e farla benedire personalmente da S. Em. il Card. Agostino Richelmy, Arciv. di Torino, e perché la benedizione avesse per così dire la conferma da Dio e dalla Madonna, volle deporta sull'altare del Santuario mentre egli serviva la S. Messa. Nel maggio 1897 eccolo di nuovo nel tranquillo suo paese. Vi ritornava in primavera e Terruggia l'accolse tra il verde delle sue campagne e tra la festa dei suoi fiori. Ma il motivo che conduceva là Luigi era triste. La sua mamma era grave e egli non pensava che a dedicarsi completamente ai suoi doveri filiali. Si era portato con sé l'immagine grande della Consolata e l'aveva posta nella sua camera. A Torino, mentre serviva la Messa e l'immagine stava sull'altare, egli aveva rivolta alla Madre di Dio una fervente preghiera, chiedendole aiuto e protezione. Vedremo fra breve come la preghiera sia stata esaudita. Adesso egli si trovava più libero, non avendo più legami con dei padroni e perciò tutto il tempo che gli rimaneva a disposizione dalle cure della madre inferma poteva dedicarlo alle sue devozioni e al suo apostolato; ma sul principio trovò ostacoli proprio là dove meno si dovevano aspettare. Il Prevosto di Terruggia di allora, Mons. Gerolamo Robba, non era D. Antonio Gambino di Viale. Bravo Sacerdote, che fu benemerito del paese, ove edificò l'asilo infantile e rimodernò la casa parrocchiale, zelante anche, ma di carattere un po' strano, difficile e impaziente; carattere dovuto in parte a debolezze fisiche e a nevrastenia. Non amava che lo disturbassero troppo o che si portassero novità. Luigi Musso invece era arrivato pieno di entusiasmo religioso e desideroso di esercitare un apostolato attivo in mezzo ai suoi compaesani. L'acqua stagnante e la sonnolenza delle anime non erano di suo gusto. E sapeva che a Terruggia si poteva fare del gran bene se si portava un po' di movimento spirituale. Ormai da anni egli faceva la Comunione quotidiana, dopo il consiglio avuto dal P. Cozzi. Non poteva più farne a meno, e fu proprio su questo punto che ebbe le prime contraddizioni. A Terruggia vigeva ancora l'uso che Luigi aveva visto prima della sua partenza per Vercelli. Il paese non aveva fatto alcun progresso al riguardo, diversamente - da altri luoghi, ove la Comunione frequente e quotidiana era diventata uso normale. Fosse idea errata, avanzo d'un sbiadito giansenismo, fosse spirito di contraddizione, effetto della stranezza nervosa del parroco, o fosse semplicemente una prova a cui il Signore volle sottoporre il suo Servo, come è forse più probabile, il fatto è che Mons. Robba non volle che facesse la Comunione quotidiana. Gli portò come motivo questa singolare e curiosa ragione: " Se vuoi fare la Comunione quotidiana va a farti religioso! ". La prova fu dura assai per Luigi, ma non si lamentò, non mormorò, ma con la sua inalterabile serenità e tranquillità di spirito ogni mattina se ne andava nella parrocchia di S. Germano, distante circa tre chilometri, a fare le sue devozioni e la sua Comunione e ciò durò oltre un anno. Il fatto fu in sostanza provvidenziale, perché servì non solo a far crescere nei compaesani la stima verso di lui e a provarne la sodezza di virtù, ma anche a suscitare in molte anime desideri di imitarlo. E fu apostolato dell'esempio che trascina. Umile e rispettoso dell'autorità, in cui riconosceva la volontà di Dio, anche nelle contraddizioni ( chi può conoscere i suoi imperscrutabili giudizi? ), Luigi Musso si accontentò di questo apostolato silenzioso dell'esempio. Solo con le persone che lo avvicinavano parlava delle cose di religione e dava consigli a seguire la virtù. Si raccoglieva spesso nella cappella di S. Grato a metà costa del paese, non lontano dalla sua casa e dove è venerato un Crocifisso ritenuto miracoloso. Là al piedi del Crocifisso passava lungo tempo in meditazioni e in preghiere e spesso anche di notte. Se vi era qualche malato in paese si prestava ad assisterlo specialmente se era povero. Quando occorreva volentieri portava la sua abilità di cuoco nelle famiglie che lo richiedevano, ma rifiutando ogni onorario. Neppure in questo periodo di prova e in cui era preoccupato della malattia della mamma lo si vide alterato. Sempre sorridente, affabile, gentile con tutti, si poteva constatare quanto la vita interiore fosse robusta. I compaesani lo ammiravano e lo tenevano per santo, ma egli neppure si accorgeva. Nella sua umiltà si diceva peccatore, frase comune ai santi, ma che essi dicono non per falsa modestia, ma per convinzione, perché con verità sanno che l'uomo davanti a Dio è sempre un nulla e che se qualche cosa hanno è opera di Dio e non dell'uomo. Queste lodi e altre sono testimoniate da quelli che a Terruggia hanno conosciuto il Servo di Dio. Lo hanno testimoniato per iscritto e a voce prima e durante il processo di beatificazione. Il bene finisce sempre di trionfare e di imporsi. Mons. Robba, che se era nevrastenico e strano, desiderava il bene del suoi parrocchiani, vide nel Musso la virtù soda e ne fu convinto ( convinzione che non cambierà più e gli farà rilasciare delle dichiarazioni scritte in lode di lui ). Gli concesse la sua fiducia e se ne servì in tutte le occasioni. Da allora Luigi riprende il suo apostolato attivo tra i suoi compaesani, come aveva fatto a Torino e a Viale. Esisteva in Terruggia la Compagnia dei dodici Apostoli o del SS. Sacramento. Essa languiva se pure ancora viva ufficialmente. Il Parroco incarica il Musso di risvegliarla ed egli immediatamente si mette all'opera. Raccoglie un gruppo di giovani e di uomini a cui comunica il suo fuoco. Con essi pratica opere di pietà. Egli stesso li prepara alla S. Comunione per la terza domenica del mese: fa loro tutte le domeniche assistere Insieme alla Messa durante la quale fa loro recitare il Rosario e cantare delle lodi. Alle funzioni vespertine ancor in gruppo per i vespri, la benedizione e l'istruzione parrocchiale. La Compagnia non è più cosa morta, ma nelle sue mani diventa a sua volta un gruppo di apostoli del buon esempio, tanto necessario nei paesi per rompere le barriere del rispetto umano. Con gli uomini e i giovani eccolo anche in mezzo al ragazzi. Come a Viale, come a Torino, come a Vercelli egli sente attrattiva verso l'innocenza e quanto sta in lui cerca di avvicinarli per insegnare loro il catechismo e l'amore al bene. A Terruggia è felice di avere l'incarico di fare il catechismo in parrocchia. Fa imparare le lezioni con cura, le spiega con quel suo metodo umile e piacevole, intercalando, quando ne ha occasione, esortazioni spicciole adatte e opportune. Al bambini come, agli adulti inculca continuamente la preghiera fervente. Ripeteva loro: Pregate di cuore! ( preghè 'd coeur! ). Per ottenere ciò eccolo in moto come a Viale. Non basta quanto si fa nella chiesa parrocchiale; chiede al Parroco il1 permesso di radunare la gente nella cappella di S. Grato, che era di una Confraternita, e nel camposanto. Alla domenica dopo le funzioni vespertine conduceva quanti volevano seguirlo prima al Camposanto e poi in S. Grato. Si recitava il Rosario, il Miserere e il De profundis. Vi accorreva sèmpre molta gente, specialmente in S. Grato, cappella molto comoda e in paese. Sebbene le donne fossero maggioranza, vi andavano anche molti uomini e giovani, perché il Musso aveva quella forza di attrattiva propria dei Santi. Erano sempre circa 200 che partecipavano a questo suo pellegrinaggio domenicale. Era questa attività di preghiere, di canti, di istruzioni catechistiche, oltre che di buon esempio un mezzo che adoperava il Servo di Dio per soddisfare all'incarico, che il Parroco gli aveva dato di Presidente dell'Azione Cattolica del paese. L'incarico lo prese come un comando e un dovere di vero apostolato, come lo è in realtà, e non come un titolo di onore. Senza cultura non poteva tenere adunanze e recitare conferenze, necessarie anche queste per illuminare e dirigere. Le conferenze egli le ascoltava dagli altri e ne traeva le conseguenze pratiche secondo le sue capacità. Insegnava anche lui col suoi discorsi privati, con le sue esortazioni alla preghiera e al ben vivere, che è poi il fine di ogni azione cattolica. Si trovava bene e a suo agio tra i semplici come lui, tra i contadini, tra la gente umile. E tra questa gente a Terruggia, come già a Viale, operò del gran bene. " Era davvero un uomo tutto di Dio " dice un teste, " quando lo incontravo mi parlava sempre di Religione ". " Non era possibile urtarsi con lui, era sempre tutto dolcezza ". Tutto questo lavoro di apostolato continuo, insistente avveniva senza che nulla trascurasse dei suoi affettuosi unici presso la madre inferma. E non si dimostrava mai stanco, impaziente, annoiato. Vegliava di notte, mangiava poco, sempre in moto e sempre esatto e preciso nei suoi impegni. Niente presunzione in lui. Se gli chiedevano consigli e non sapeva rispondere subito " si appartava per chiedere a Dio ispirazione con la preghiera " dice un altro teste che ne fece l'esperienza. Nessuna meraviglia che tale apostolato umile in apparenza, ma che giunge ai più profondi strati delle anime, abbia avuto benefìci risultati, che lo fanno ricordare a Terruggia ancor oggi come un grande benefattore. Quelli che lo hanno conosciuto e vivono ancora, se interrogati, non sanno che rispondere: Era un Santo! ... E vi mostrano la grande statua che egli comprò e mise sopra un altare appositamente costruito nella chiesa di S. Grato, i fiori di carta lavorati dalle sue mani e tutto quel po' che ricorda il suo soggiorno in paese ... Ma soprattutto vi ricordano il suo apostolato di bene fra gli uomini. " Parlava solo per attirare persone alla fede, ovvero per dire parole di conforto ". " Ispirava negli altri moltissima confidenza cristiana e innumerevoli sono le persone attirate da lui a Dio. ". Tornano gli ostacoli Tanta attività non piacque al nemico del bene. Sempre in agguato si serve di ogni occasione per distruggere quanto viene edificato. Terruggia non aveva mai visto, da tempo immemorabile, così cristianamente santificata la festa. Luigi Musso si vedeva circondato ogni domenica da folla nel cimitero e nella chiesa di S. Grato. Lo seguiva sovente anche il Vice Curato D. Bertana, il quale al termine del pio esercizio, rivolgeva parole di circostanza, ciò che il Musso non poteva fare, ma desiderava sempre che si facesse. La popolazione avrebbe certo ascoltato forse più volentieri lui, del quale si conosceva e si ammirava la virtù e che era difatti l'anima di quelle adunanze. Ma egli conosceva la sua condizione di laico e mai ne trasgredì i limiti. Aveva troppa venerazione verso i sacerdoti e verso la loro missione divina. Ad essi l'insegnamento, a lui il banco dello scolaro. Tutto dunque procedeva con ordine, con entusiasmo, con soddisfazione generale. Quand'ecco intervenire il nemico del bene e mettere il Servo di Dio a nuova dura prova. Tra il Parroco di Terruggia e alcuni membri della Confraternita di S. Grato esisteva della ruggine per divergenze di vedute e per altri motivi e sovente gli urti si erano manifestati vivacemente. Qui non interessa esaminare chi avesse torto o ragione. Il fatto fu che fra i partecipanti alle pie pratiche introdotte da Luigi Musso nella chiesa di S. Grato vi erano anche individui che il Parroco credeva a sé ostili, per cui temeva che ne derivassero abusi. Agendo sotto l'impulso del suo carattere, né tenuto conto che egli stesso aveva autorizzato quelle riunioni, bruscamente si fece portare le chiavi della cappella e proibì le riunioni. Se il gesto del parroco sollevò mormorazioni, lagnanze, commenti poco benevoli in paese, come si può immaginare, fece risaltare la sodezza della santità del Musso. Non solo immediatamente tralasciò quelle pie pratiche che gli avevano dato tante soddisfazioni per il bene che facevano alla popolazione, non solo non prese parte alle dimostrazioni ostili al Parroco organizzate da molti, ma ne dimostrò disgusto, prese a difendere la condotta e l'autorità di lui davanti ai dimostranti e davanti a quanti lo biasimavano. " Non voleva sentire assolutamente mormorare in qualsiasi modo ... di persone ecclesiastiche e religiose " lasciò scritto Luigia Musso, che fu presente a quegli episodi incresciosi. Nessuna ribellione dunque, nessun ripicco, nessuna lagnanza, nessun atteggiamento di vittima da parte del Servo di Dio. Tranquillo, continua a esplicare il suo apostolato catechistico tra i fanciulli e i giovani della parrocchia e a compiere le sue mansioni di presidente degli Uomini Cattolici. Solo non raduna più la popolazione a S. Grato in ossequio all'ubbidienza. Non era proibito di radunarla, nel camposanto e al camposanto continua come prima per la recita del rosario, del Miserere e del De profundis. In Luigi Musso il nemico del bene aveva avuto completa sconfitta e nella popolazione una ben magra vittoria. Il premio AI principio dell'anno 1899 Luigi Musso cadde gravemente ammalato e per quaranta giorni tenne il letto tra la vita e la morte. La febbre non lo lasciava mai e Io consumava lentamente. Ammalata contemporaneamente è pure sua mamma, la quale il 6 maggio è moribonda e viaticata e Luigi è fuori del sensi. Il 7 maggio, approfittando di un momento che egli ha mente lucida, D. Ernesto Bertana Viceparroco gli amministra il viatico. Il giorno seguente il Dottor Fano, che lo curava disse agli uomini della Società Cattolica che lo assistevano nel corso della notte: " State attenti che questa notte muore non c'è più speranza alcuna! ". Pure in quello stato, Luigi che agli astanti pareva privo del sensi ( lo dice nel suo Diario ), ha momenti in cui ricorda la madre moribonda, l'Immagine della Consolata, che aveva portato con sé da Torino, la preghiera che Le aveva rivolto nel suo Santuario. E chiede a Lei che gli conceda ancora di vedere la madre prima che muoia. Dopo ciò si addormenta e riposa dalle 8 alle 9 di sera, beneficio che non provava, più da quaranta giorni. Durante quel sonno gli appare la Madre di Dio, piccole parole sue nel Diario: " Vidi maestosamente avvicinarsi Maria SS. tenendo in braccio il suo Divin Figlio Gesù e mi disse queste parole: " Alzati, la grazia della tua guarigione è fatta! ". Appena fattosi giorno si alzò; senza aiuto di alcuno andò ad inginocchiarsi davanti all'Immagine della Consolata, a ringraziare. Tutto il male era scomparso. La grazia fu doppia. Non solo guarì improvvisamente lui, ma anche la mamma sua si riprese e visse ancora un anno intero. Nel Diario, dopo aver ricordato la grande grazia ottenuta, Luigi Musso ha delle espressioni entusiastiche di riconoscenza verso Maria SS. È bene riportarle come sono uscite dalla sua penna. " Ah! se potessi avere la penna di un angelo per scrivere e narrare le grazie e le meraviglie che la Gran Madre di Dio ottiene dal suo Divin Figlio Gesù a chi a Lei con viva fede ricorre! Date ascolto a questo povero peccatore, a quanto io scrivo. Io invito il mondo intero a tener per nostra gemma preziosa la Gran Madre del nostro Salvatore, Madre di misericordia, di bontà, di gaudio infinito; e nelle nostre necessità alziamo gli occhi al cielo e invochiamo la Vergine SS. confidandole tutte le nostre miserie. Le nostre preghiere giungeranno certo al trono dell'Altissimo se le faremo passare per le mani della Madre di Gesù Crocifisso, piena di grazia, di gloria, di soavità celeste ". Verso il chiostro La lunga malattia di Luigi e della, sua madre aveva ridotto agli estremi il bilancio familiare, per cui egli dovette cercare lavoro per provvedervi. Lo trovò a Casale nel convento dei PP. Camillinl, che ufficiano la chiesa signorile di S. Paolo. Ivi esercitò di nuovo la sua arte di cuoco, che non gli dava grande lavoro trattandosi di una piccola Comunità, ma all'ufficio principale univa pure quello di portinaio e altri secondo il bisogno del convento. Là rimase dal 1899 al 1900. Fu in detto periodo che cominciò a frequentare i Francescani nel vicino convento di S. Antonio in via Leardi, ove essi tengono lo studentato liceale del loro Chierici. Vi andava per confessarsi ogni otto giorni e fece conoscenza con parecchi religiosi, tra cui P. Pietro Falena e F. Bernardo Farotto, che poi testimoniarono nel processo informativo diocesano. Con quest'ultimo strinse una speciale amicizia. F. Bernardo era il cuoco del convento di S. Antonio, ma alle prime armi e non aveva avuto grandi maestri, che lo avessero iniziato ai segreti di quell'arte. Maestro provetto era invece il Musso, come abbiamo già fatto osservare. Un giorno, dopo essersi trattenuto con il Musso e avergli fatto visitare il convento ( vecchio convento allora tetro, melanconico, esausto dalle ferite che le vicende di tre secoli gli avevano inferte ). F. Bernardo lo pregò di dargli scuola di cucina. Ben volentieri il Servo di Dio si prestò e cosi F. Bernardo fu il primo Francescano che entrò nell'amicizia santa di Luigi Musso. Chi scrive ricorda di aver visto il Musso durante il mese di ottobre del 1900, quando veniva a S. Antonio per insegnare a F. Bernardo e già aveva manifestato il desiderio di entrare nell'Ordine di S. Francesco. Vestiva un abito grigio, con un cappello di paglia. Aria sorridente, modesto, disinvolto, distinto e gentilissimo di modi. Noi Chierici, lo osservavamo con un po' di curiosità, perché, oltre aver saputo che egli sarebbe forse entrato nell'Ordine, ci avevano detto che era un cristiano fervente e F. Bernardo non aveva parole bastanti per cantarne le lodi. Lodi più precise avrei allora sentito se avessi potuto parlare coi vicini Figli di S. Camillo di Leilis. Avrei trovato tra altri, F. Carlo Reali, Sagrestano, che conviveva con lui e sentirmi narrare quanto poi scrisse nella sua breve relazione e più ancora. F. Carlo andò nel convento di S. Paolo di Casale dopo cha il Musso era già nel suo ufficio di cuoco. Fu il Servo di Dio ad aprirgli la porta al suo arrivo. " La prima volta che lo vidi Luigi Musso, egli scrive, ne ebbi subito ottima impressione per l'affabilità con cui mi accolse appena arrivato. Ricordo pure in modo speciale che egli un giorno mi disse: Fortunato lei che è entrato in religione così giovane! ... Egli mi edificava per la sua devozione, specialmente nel servire la S. Messa. Luigi Musso mi dava sovente consigli come un confessore, consigli che mi giovarono assai. Notai pure la grande ed ilare pazienza del Musso nel disimpegno dei suoi uffici di cuoco di portinaio e di altre incombenze. Era pure scrupolosissimo in ciò che riguardava la spesa per la casa " ... Nella condizione in cui si trovava Luigi Musso poteva, con sua grande soddisfazione, attendere alle sue devozioni preferite. Nella chiesa di S. Paolo, che in antico era del PP. Barnabiti, vi è una grande cappella rappresentante la S. Casa di Loreto e il Servo di Dio ivi si raccoglieva in preghiera ogni volta che era libero. Della devozione alla Madonna continuava ad essere un propagatore fervente presso quanti lo avvicinavano. Anche F. Carlo Reali ne provò l'influsso. Egli fu consigliato dal Musso ad iscriversi nella Compagnia del Rosario, e fece egli stesso le pratiche per l'iscrizione presso la chiesa di S. Domenico in Torino. È meravigliosa l'attività del Musso ovunque si trovi. Senza scomporsi, in modo naturalissimo, egli trova tempo a disimpegnare con perfezione, con soddisfazione di tutti i suoi doveri d'ufficio, le sue devozioni, che erano, si può dire, continue e nello stesso tempo essere apostolo presso il prossimo. Anche in quel breve anno che rimase a Casale fu di un'attività instancabile; tanto più che doveva continuamente far la spola tra questa città e Terruggia per assistere e confortare la sua madre, di salute sempre precaria. Mangiava poco, dormiva poco, sempre in moto e sempre calmo, fresco come se il lavoro intenso non lo toccasse. Non si comprende ciò se non ammettendo in lui quel fuoco interno che è data dalla grazia di Dio, che dona la perfezione e la santità. È il fenomeno che si nota in tutti i Santi. In loro anche le cose difficili diventano facili e naturali. È il sovrannaturale che innestato alla natura umana, la eleva, la perfeziona e la rende capace di atti abituali superiori al normali e anche di eroismi. Si tenga presente la pazienza e la calma umile ed ilare del Servo di Dio nei diversi contrasti e prove dure che incontrò nella vita e che abbiamo ricordato, l'attività a getto continuo del suo apostolato laico, l'intensità della vita sua interiore e si avrà una prova dei passi da gigante che egli fece nella via della santità prima di rendersi Religioso. \ Egli non è unicamente un Santo dei Chiostri, è un Santo del Laicato Cattolico. Nel chiostro egli si eleverà alla vita mistica con più facilità e giungerà a gradi elevatissimi, senza cessare di lavorare ancora per la santificazione dei laici. È questo il suo campo di azione, nel quale lavora per 50 anni. Quando entra in Religione egli è già santo. Non fugge dal posto che Dio gli aveva assegnato, ma si pone in posizione più autorevole per continuare a dirigere, a potenziare il suo apostolato nel secolo, e lavorerà ancora così per ventidue anni. Una morte preziosa Il legame che teneva Luigi Musso avvinto alla vita secolare sta per spezzarsi. La mamma era giunta al termine del suo pellegrinaggio terreno. Dalla morte del padre egli si era dato tutto a lei che negli ultimi anni aveva sofferto molto. Per una plaga alla gamba l'aveva condotta a Torino nel 1895, ove egli allora si trovava. Poi ricondotta a Terruggia e impossibilitata al lavoro, tutto gravò sul figlio, che amorevolmente si prodigò in cure, assistenza e quanto l'amor figliale d'un santo suggeriva. Quella " fervida cristiana " ebbe agio di osservare i progressi del suo Luigi, del suo beniamino come lo chiamava. Nei suoi continui dolori fisici era allietata da consolazioni che solo la fede sa dare. Luigi traeva da lei il carattere lieto, calmo, entusiastico. Chi la conobbe, oltre dirci che era " una fervida cristiana ", ci assicura pure che " anche sofferente, era paziente, calma. rassegnata alla volontà di Dio e dello stesso carattere allegro del figlio ". Il premio della sua santa vita giunse l'11 maggio 1900. Era l'anno santo, del giubileo indetto da Leone XIII e che fu di una solennità eccezionale. La morte è narrata dal Musso nel suo Diario con accenti che sono fuori dei comuni. Certi periodi fanno pensare al colloquio di S. Agostino con la madre sua, S. Monica, avvenuto ad Ostia alla vigilia della morte di lei ... Se è vero quanto Luigi Musso narra, e non abbiamo motivi per doverne dubitare, si tratta di morte privilegiata. " Alle ore sette di quella mattina 11 maggio, dopo che il giorno prima aveva ricevuto i carismi della nostra santa religione, con la mente e voce chiara disse: Caro Luigi, prima di notte lo sarò passata all'eternità. E perché, buona mamma, mi dici così? Ho visto in questi momenti Gesù Crocifisso con una grande moltitudine di Angeli, i quali mi hanno fatto cenno di seguirli. A tali parole lo prendo il Crocifisso e glielo dò a baciare dicendole: Guarda un po' come è buono Gesù Crocifisso; preghiamolo che ti assista negli ultimi momenti della carriera, al passo dell'eternità felice. " Ci mettemmo discorrere delle cose celesti, del Paradiso e delle anime che hanno amato molto Gesù; oh! come sono dolci gli ultimi momenti della vita di queste anime! Ti ricordi mamma, le dicevo, che quando i tuoi dolori erano insopportabili, invece di lamentarti. Cantavi inni alla gran Madre di Dio e così calmavi le tue sofferenze? L'incoraggiavo a morire contenta facendo la volontà del Signore ". E continuò a parlarle così, ricordando l'Angelo Custode, che come l'ha accompagnata per tutta la vita, la condurrà dinanzi alla Maestà Divina, la gloria del Cielo, la bellezza di Dio, della Madonna, degli Angeli e del Beati. Le manifestò che, dopo la morte di lei, egli si sarebbe fatto Religioso e quindi non avesse alcun timore per lui ( la moribonda gli aveva espresso il suo rincrescimento di lasciarlo solo nel mondo ). Confortata dal figlio così, " ella incrociò le mani sul petto e senza fare il minimo movimento chiuse serenamente gli occhi per riaprirli in Paradiso, per i meriti di Nostro Signore Gesù Crocifisso ". È la morte preziosa del giusto! Quella donna forte era vissuta nella condizione umile dal povero, aveva sofferto molto in vita, ma lasciava al mondo un'eredità ricchissima, un tesoro più prezioso dell'oro; lasciava l'esempio di una vita cristiana perfetta e un figlio Santo! Tra i figli di S. Francesco Adempiuti tutti i suoi doveri filiali verso la madre defunta, Luigi Musso poteva finalmente soddisfare al suoi desideri di entrare in un Ordine Religioso. Che il desiderio lo avesse sempre avuto lo confessa lui stesso alla madre moribonda: " Fin da fanciullo ho sempre agognato questo stato così sublime; soprattutto le mie speranze sono fondate sulla protezione di Maria SS. Madre del mio Gesù Crocifisso ". Le circostanze di famiglia, come abbiamo visto, non gli permisero di realizzare questo suo desiderio prima della morte della mamma e da ragazzo non gli sarebbe stato possibile per la soppressione degli Ordini religiosi. Adesso era completamente libero da ogni ostacolo. Con parecchi Ordini Religiosi egli ebbe relazioni intime, nel diversi tempi della sua vita. Verso i Barnabiti ebbe venerazione speciale, perché è presso la loro Chiesa di S. Dalmazzo in Torino che provò consolazioni straordinarie nello spirito e per la prima volta sentì la voce del Crocifisso. Inoltre là trovò un sapiente maestro di anime nel P. Cozzi, nelle mani del quale mise per molti anni la direzione della sua coscienza. Conosceva bene anche i Camillini, presso i quali a Casale prestò servizio per più di un anno e, morta la mamma, presso la casa loro di S. Giuseppe. Vi si trovava molto bene ed era stimato assai e ben voluto da tutti i Religiosi, specialmente dal Superiore, P. Patrucco Questi anzi sperava di annoverarlo per sempre tra i suoi nello stato di Fratello Converso. Relazioni così intime e durature non ebbe con altri Ordini, benché ne abbia conosciuto parecchi durante il suo lavoro di apostolato a Vercelll, Casale e Torino. A Casale, come fu detto, fece conoscenza col Francescani nel Convento di S. Antonio Abate, ma non è possibile conoscere quando sia in lui nata la vocazione di seguire le orme di S. Francesco. Nel suo diario nulla egli svela al riguardo. Narra subito che, dopo la morte della madre " la Provvidenza lo portò a Torino " e che qui giunto si recò dal Superiori dei Francescani a S. Antonio, via S. Quintino, e chiese di essere accettato. Certo è ( lo abbiamo già fatto osservare ) che le sue aspirazioni ascetiche e devozionali, i suoi ideali, lo stesso suo carattere umile, modesto, semplice, ilare, armonizzavano ottimamente con lo spirito e l'ambiente Francescano. Guardando alle sue manifestazioni di pietà e di devozione a Gesù Crocifisso, al SS. Sacramento, a Maria SS., fin da quando era ancor fanciullo, al suo apostolato tra il popolo, che conduce a far ristorare delle chiese abbandonate, al suo amore ai poveri più bisognosi, agli infermi, si può dire che egli seguisse già la vita francescana, nell'imitazione del Santo Fondatore prima ancora di abbracciarla. Anche senza saperlo Luigi Musso fu sempre francescano. Fu per così dire naturale a lui, quando poté finalmente realizzare i suoi santi propositi di servire Dio in un Ordine Religioso, la scelta dell'Istituto. Non fu l'amicizia con qualche Religioso, né il legame con un Direttore di spirito e altri motivi più o meno umani. Se mai questi motivi esistevano in favore di altri Ordini. Fu veramente la voce di Dio, che come lo aveva guidato sapientemente fino allora nel mondo, lo chiamò tra i figli del Poverello di Assisi. Quando si presentò al Ministro Provinciale di quel tempo, p. Luigi M. Borgialli, da poco eletto a quell'ufficio, il Musso non fu immediatamente accettato. Gli fu detto di tornare più tardi ed egli vi ritornò e fu ammesso tra i postulanti laici, in qualità di Terziario. Durante l'attesa, ossia da quando da Casale venne a Torino, aveva continuato il suo ufficio di cuoco presso i PP. Camillini della casa di S, Giuseppe.Fr. Leopoldo Maria Nel vestire le lane di S. Francesco, come è uso, Luigi Musso cambiò nome. Fu chiamato F. Leopoldo Maria. Quest'uso proprio di quasi tutti gli Ordini Religiosi, è nato da diversi motivi: per evitare troppi nomi identici nel territorio di una provincia religiosa e quindi la confusione; per ricordare a chi entra in un Ordine che egli ormai non appartiene più al secolo, che lo deve anzi dimenticare per essere totalmente di Dio, al quale si consacra: e anche per mettere il novizio sotto la protezione speciale di un santo, dandoglielo come modello di imitazione. Dopo la vestizione di Terziario tu messo di famiglia nel convento di S. Tommaso, ove rimarrà fino alla morte. Il suo arrivo In convento non fu preceduto da alcuna fama speciale. Si conobbe solo presto che era persona di preghiera, ubbidiente, affabile, sbrigativo, non di molte parole, ma gentilissimo e delicato con tutti, sempre sorridente e scrupoloso osservatore delle regole. Come cuoco era un'eccezione davvero per un convento ove non si è soliti ad avere artisti in cucina. Si credette di aver acquistato un buon elemento, ma nessuno pensò che era entrato In S. Tommaso un Santo. Ne egli allora e neppure in seguito cercò di far cambiare opinione ai confratelli. Eppure molto cammino egli aveva già percorso nella via della santità, come si disse. Ma i veri Santi amano nascondersi e se poi vengono in luce le loro virtù è Dio che le manifesta nelle opere che in essi crea la sua grazia. In realtà anche in quegli anni di postulandato, F. Leopoldo continuava le sue ascensioni spirituali e il Signore lo spingeva sempre più. È di quel tempo un episodio che egli ha fissato, nei suoi quaderni e che merita di essere ricordato. Dopo qualche anno che dimorava a S. Tommaso il Guardiano lo incaricò di andare a distribuire i foglietti dell'Adorazione Quotidiana Universale nelle case religiose ed in educandati. Continuò questa propaganda per tutti i mesi di giugno, luglio, agosto del 1904. Alla fine di luglio era andato a distribuire i foglietti nelle case religiose di Valsalice. " Nel ritorno, narra F. Leopoldo, strada facendo fui sorpreso da malore e oppresso dal caldo soffocante, tanto che non potevo reggermi in piedi: mi portai a stento nella chiesa detta delle Sacramentine, là dove si trova ogni giorno Gesù Sacramentato esposto in forma di quarantore ... Come Dio volle mi portai in convento, ove mi ricordai che dovevo ancora soddisfare l'obbligo della preghiera. Mentre recitavo il vespro mi prese il sonno contro la mia volontà. Rimasi così dieci minuti; ad un tratto sento spingermi fortemente: mi desto; apro gli occhi e vedo un frate che sale in alto con grande rapidità. La figura rassomigliava in tutto a quella di S. Francesco. Mi scomparve ogni malanno e stanchezza; mi trovai cosi bene come se nulla fosse accaduto, cosicché il giorno appresso continuai di bei nuovo a distribuire i foglietti della visita a Gesù Sacramentato, opera voluta da Dio per mezzo delle sorelle Teresa e Giuseppina Comoglio terziarie Francescane, morte ambedue in concetto di santità ". Noviziato e S. Voti Fu per F. Leopoldo una grande gioia quando ricevette la notizia che i Superiori lo ammettevano all'anno della prova per la emissione del S. Voti. La desiderava da tempo quella notizia e non è a dire con quale fervore fece gli esercizi spirituali che precedono la vestizione dell'abito serafico. Finalmente le sue aspirazioni si avveravano realmente. Avrebbe dovuto trascorrere l'anno della prova nel convento di Belmonte presso Valperga Canavese, nel Santuario così antico, devoto e frequentato del Canavese, ove da secoli è la casa di noviziato della Provincia Francescana del Piemonte; ma per un privilegio speciale si ottenne che lo potesse compiere in quello di S. Tommaso. Le ragioni erano di semplice necessità di servizio quindi di convenienza puramente umana; ma considerato quanto si manifestò nella vita del servo di Dio, bisogna ammettere che fu volontà della Divina Provvidenza, la quale lo destinava a missioni particolari che solo stando dov'era poteva compiere senza troppi ostacoli. Chi ebbe la fortuna ( oggi la dobbiamo chiamare così ) di compiere il rito della vestizione religiosa di F. Leopoldo fu il P. Vincenzo Vallaroe, Curato di S. Tommaso e allora anche Definitore Provinciale. Egli era stato a ciò delegato dal Ministro Prov. P. Lodovico Ber tana. La cerimonia avvenne il 1 aprile 1905. Come Maestro di Noviziato gli fu assegnato per qualche mese lo stesso P. Vallaro e poi il P. Stefano Panizzini, allora Vice-curato e che sarà poi uno del testi nel processo di Beatificazione. Al novizio di 55 anni e provetto, anche in santità ben poco ebbe da insegnare il Maestro venticinquenne; ebbe tutt'al più da poter constatare meglio la sodezza delle virtù, per poter poi renderne la dovuta testimonianza al tempo opportuno. Poté ammirare con quanta umiltà, ossequio, docilità, ubbidienza accettava le istruzioni del giovane maestro. Continuò come prima nel suo ufficio di cuoco e a creare fiori finti con la sua non comune arte. Nulla di speciale in quell'anno di prova; tutte le formalità furono osservate e senza alcun contrasto arrivò il giorno del S. Voti. Quell'anno però fu per lui, come egli stesso scrive, " per protezione di Maria SS. un anno di ritiro, di preghiere e di meditazione ". Con suo giubilo, facilmente immaginabile, F. Leopoldo Maria pronunziò i suoi voti temporanei nelle mani del Ministro Provinciale, P. Lodovico Bertana il 6 aprile 1906 e sarà ancora lo stesso Provinciale che lo ammetterà alla professione dei voti solenni e perpetui il 26 aprile 1909. A questa data F. Leopoldo era già sulla via delle comunicazioni divine e della familiare amicizia col Crocifisso e la sua SS. Madre. Si era preparato con un fervore grande a quella data che segna per il Religioso un patto eterno con Dio. Consegnò alle pagine del Diario i suoi sentimenti a questo riguardo. Al principio di aprile, scrive di essersi sfogato cosi con Maria SS. : " Mamma santissima, non ne posso più, tanto desideroso di scrivere a mio fratello che definitivamente si prenda la casa e la terra che da anni gli ho lasciato godere. La Regola comanda di rinunciare a tutto, e ciò è per me il gaudio anticipato. Così sarò libero dalle molestie della roba del mondo e respirerò aria molto libera e potrò amare più da vicino il mio caro Gesù e la sua SS. Madre ". E Maria SS. il 5 aprile gli risponde: " Svincolati dal tuoi parenti affinché sia compiuto il tuo e mio desiderio di rendere strettamente e doppiamente sacra l'unione tra me, il mio Divin Figlio e te ". Il 17 aprile cominciò la novena in onore di Maria SS. sotto il titolo del Buon Consiglio, che coincideva con il giorno della sua Professione solenne. " Quello sarà il giorno più bello della mia vita, scrive nel diario, facendo lo per grazia di Dio, la mia Professione solenne. Degnati, Vergine Santissima, di prendermi sotto il tuo manto ed essermi Consigliera sapientissima per tutto il tempo di mia vita ". Alla vigilia della professione, 25 aprile, egli chiede a Nostra Signora un " pensiero " per il giorno seguente e sente questa risposta: " Domani, Mamma del Buon Consiglio ti otterrà l'anima bianca come il giglio e per il giorno tuo della solenne professione avrai il dono dell'orazione ". Qualunque interpretazione si voglia dare al diario di F. Leopoldo, certo è che le sue parole esprimono nel miglior modo possibile con ardenti accenti di fede, con sentimenti nobilissimi l'entusiasmo che lo invadeva al pensiero del grande atto della sua consacrazione a Dio. In quel giorni, nei quali egli faceva gli esercizi spirituali comandati dalle leggi, non vede, non sente che la grandezza dell'atto sublime, che lo distacca dalla terra, anche dai parenti e gli fa intravedere le inenarrabili bellezze e dolcezze dell'anima che si sposa con Dio, vestita del candore del giglio e innalzata alla potenza dell'orazione. La gioia sua continua nei giorni seguenti. Si sente diventato grande, perché più vicino a Dio e scrive nel diario il 14 maggio che Maria SS. gli fa un dono promessogli per la recita del Rosario privato con farlo " sposo del SS. Crocifisso ", cosicché l'anima sua rimanga per sempre unita al suo Divin Figlio. F. Leopoldo è dunque conscio della portata dei voti fatti, ne sente e ne gusta tutto il sapore celeste, ne misura tutta l'altezza e dignità che la fede e l'amore svelano alle anime privilegiate ed elette. Fin da quel tempo F. Leopoldo si manifesta un mistico provetto. Santo tra Santi, Apostolo fra Apostoli Per conoscere e valutare più esattamente possibile l'opera di F. Leopoldo dopo che si consacrò a Dio nell'Ordine di S. Francesco, occorre dare uno sguardo all'ambiente che si era venuto formando da più decenni nella Parrocchia di S. Tommaso, dove egli esercitava il suo umile ufficio di cuoco. Quando egli vi arrivò conosceva già parecchi uomini, zelanti dell'onore di Dio, apostoli dell'Azione cattolica, coi quali strinse maggiormente i vincoli dell'amicizia, e altri conobbe in seguito. Era in pieno sviluppo ascendente la devozione dell'Adorazione Quotidiana, Universale Perpetua, di cui parlammo propagata con fervore di apostolo, con la stampa, con relazione ai Congressi, con l'esempio e la parola dal Servo di Dio Paolo Pio Perazzo. Fioriva - nello stesso tempo in modo consolantissimo la devozione a N. S. del S. Cuore di Gesù. Fioriva di vita esuberante e fattiva il Terz'Ordine Francescano, sotto lo impulso dato dalle Sorelle Comoglio dal Perazzo, che ne era il Ministro e da altri amici suoi, come lui animati da zelo ardente. Sono anni quelli ( ultimi decenni del 1800 e primi del 1900 ) ricchi di opere e pieni di attività religiosa. La chiesa di S. Tommaso era diventata la meta delle anime che desideravano darsi alla santità, o ritornare alla vita cristiana, centro di vita Eucaristica e Mariana, di azione cattolica svariata e attivissima. Di qui partivano iniziative di ogni genere oppure si attuavano con sollecita cura Quelle che erano prese dalle autorità ecclesiastiche. Anima del movimento salutare era oltre gli zelantissimi Parroci P. Luca Turbiglio ( il salvatore della chiesa, il propagatore della devozione a N. Signora, e costruttore della Cappella-Santuario ), P. Bonaventura Enrietti, troppo presto rapito dalla morte, il P. Vincenzo Vallaro, un'accolta di santi laici, sul quali eccelleva e dominava Paolo Pio Perazzo. Questo grande Servo di Dio fu amicissimo di F. Leopoldo. Le loro anime, sitibonde di bene fecero presto a comprendersi. Si conoscevano già prima che F. Leopoldo vestisse le lane di S. Francesco; si erano spesso trovate ai piedi del SS. Sacramento nelle adorazioni notturne, nelle adunanze del movimento cattolico; si erano parlato e intese. Ora da Religioso la conversazione fu più frequente e la conoscenza più intima. Abbiamo detto che F. Leopoldo appena giunto a S. Tommaso fu subito incaricato di distribuire qua e là i foglietti dell'Adorazione quotidiana. Egli non aveva bisogno di essere spinto ad amare e propagare simile devozione, di cui aveva piena l'anima fin da fanciullo, ma fu felice di trovare nel suo convento un ambiente eucaristico ideale; conoscere e vivere con l'apostolo principale della nuova forma devozionale. Un altro apostolo dell'Eucaristia vi trovò F. Leopoldo col quale pure contrasse una santa amicizia: Giovanni Caneparo. Di carattere erano diversissimi. Tanto era mite, tutto soavità F. Leopoldo, quanto ardente, nervoso, pugnace, tutto fuoco anche esteriore il Cane paro. Affrontava con furia gli ostacoli e sprizzava dagli occhi quanto gli si agitava nell'anima. Non aveva paura di nulla e di nessuno quando si trattava della causa di Dio. Un giorno durante la processione del SS. Sacramento, visto che un carrozzone del tram non si fermava e avrebbe disturbato il sacro corteo, si gettò attraverso i binari e così lo costrinse a fermarsi. Ma questa natura forte, pronta, guerresca quando si trovava dinnanzi all'Eucaristia o alla SS. Vergine diventava immobile, estatica, si commoveva. Allora era come un bimbo che riposa fra le braccia del padre e della madre. L'amore all'Eucaristia lo portò poi, quando tu libero dalla famiglia a farsi Sacramentino e in tale stato mori nel 1919. Prima era valente falegname e di lui si hanno ancora nel convento di S. Tommaso gli armadi, di ottima fattura, ove si conservano gli archivi dell'Adorazione, quotidiana, universale perpetua. Nel laboratorio che aveva aperto professava senza alcun rispetto umano la sua fede e insieme a molti del suoi operai recitava le preghiere prima e dopo il lavoro. Inoltre aveva voluto che là vi campeggiassero le Immagini della Madonna e di S. Giuseppe. Il Caneparo si fece propagandista dell'Adorazione notturna presso i PP. Sacramentini, promosse funzioni, pellegrinaggi opere di beneficenza e sempre con quel fare energico, deciso, appassionato che gli era proprio e che lo faceva chiamare dagli amici il Santo terribile. Anch'egli capi F. Leopoldo e si strinse con lui in amicizia santa, Io aiutò a propagare la Devozione del SS. Crocifisso, anzi fu lui che col P. Fedele Provera diede l'ultimo tocco alle preghiere della Devozione. Fu pure il Caneparo a spingere e a decidere F. Leopoldo a scrivere il suo Diario. Un'altra anima santa, innamorata dell'Eucaristia, propagatore della Devozione delle Comoglio, e che fu pure Presidente dell'opera conobbe a S. Tommaso F. Leopoldo, Luigi Cullino, Cav. dell'Ordine di S. Gregorio Magno. Consigliere comunale di Torino, Presidente della Società degli Operai Cattolici di Torino. Attivissimo in ogni opera di carità vi portava il contributo delle sue preclari doti di intellettuale, di organizzatore, di cattolico fervente. Sopravisse a F. Leopoldo perché non mori che nel 1929 dopo essere stato costretto all'immobilità a causa di una trombosi al piede. Altri amici di F. Leopoldo furono Agostino Balma, ancor vivente, il Cav. Enrico Balbo e altri ancora. Tutti costoro, Terziari francescani della Congregazione di S. Tommaso, formavano come il corpo di stato maggiore di un esercito combattente per il trionfo del Re Eucaristico e di N. S. del S. Cuore; uomini che mentre cercavano di santificare il prossimo, santificavano prima se stessi con una vita davvero esemplare, ricca di fede vivissima, di ardori veramente serafici, anelanti a crescere nella perfezione, nel raffinamento spirituale dell'anima. Furono anni di movimento intenso per la pratica delle devozioni all'Eucaristia, della Comunione frequente e quotidiana. Questi Laici di SS. Tommaso erano presenti a tutti i congressi, adunanze, circoli con la loro parola, con le loro iniziative, con il loro fuoco. Nessun'ambizione li muoveva, ma solo lo zelo della causa di Dio e della salute delle anime. Questo l'ambiente che trovò F. Leopoldo al suo arrivo nel convento di S. Tommaso. Non poteva desiderare di meglio. Lasciava nel secolo molti simili amici col quali aveva lavorato nell'azione cattolica fino allora e ne trovava altri. Veramente non perdette alcuno di quelli che aveva nel secolo, perché essi continuarono ad avere stretta relazione con lui andandolo a trovare nel convento, molto frequentemente. Cosi il Ferraris, il Necco, il Vacca, dei quali abbiamo già fatto qualche cenno, e che si potrebbero chiamare i suoi discepoli, certo suoi volenterosi cooperatori nell'apostolato laico. Tra tutti questi uomini, che condivisero l'amicizia con F. Leopoldo, che con lui zelarono la gloria di Dio, e la salute del prossimo, egli per cultura, per condizione sociale era l'ultimo. Se il nuovo stato di Religioso lo elevava nell'ordine della perfezione cristiana al di sopra dei laici, l'ufficio di cuoco non gli dava una posizione troppo eminente, né lo raccomandava all'ammirazione degli uomini. Eppure senza che egli lo cercasse, senza sforzi, senza maneggi, anzi contro il sentire umile e basso di sé, F. Leopoldo divenne quasi subito il centro intorno al quale si muoveranno gli antichi e recenti amici, mentre altri si aggiungeranno in seguito. È da notarsi il fatto che F. Leopoldo sia nel secolo come in convento mai sia stato il discepolo di un uomo, un trascinato, ma sempre un maestro e un trascinatore. Nel secolo ciò appare da quanto abbiamo narrato. Così ancora da quando si fece Francescano. Chi dominava allora il movimento religioso era certo il Perazzo che aveva con se uomini eminenti, come quelli che abbiamo nominato. Ma neppure ora il Servo di Dio sarà un dominato. Senza intralciare l'opera altrui, anzi coadiuvandola alacremente, senza rumore eccolo nuovamente Iniziatore e mente di diverse opere sante, eccolo maestro di discepoli affezionati. Lo vedremo nelle pagine seguenti, ma è necessario fissare fin d'ora questo fatto che è costante in tutta la sua vita. Non è spiegabile se non ammettendo in lui l'intervento speciale dello Spirito di Dio, che spira dove vuole e come vuole, che esalta gli umili e da la sapienza agli ignoranti del mondo. Si narra di un altro cuoco francescano, S. Pasquale Baylon, che senza alcuna cultura umana ragionava di cose altissime di Teologia, per cui un giorno due Dottori dell'Università di Salamanca vollero metterlo alla prova. Andarono a trovarlo nel suo convento intento ai suoi lavori di cucina. Parlarono a lungo con lui e partirono non solo edificati della sua conversazione, ma ammirati della sua sapienza, profondità ed esattezza di dottrina. Qualcosa di simile si, avvererà anche in F. Leopoldo. Alla scuola di Fr. Leopoldo La vita che il Servo di Dio trascorreva in convento era in apparenza molto ordinaria. Lo si sapeva religioso esemplare, molto pio, assiduo agli esercizi comuni: lo si vedeva sempre calmo e sorridente, mai impaziente, o imbronciato, ognora pronto a soddisfare i desideri dei confratelli. Attendeva alla sua cucina e sovente alla portineria. Con tutti aveva sempre una parola buona da dire e se occorreva anche buoni consigli. Molto premuroso coi religiosi forestieri che venivano a S. Tommaso, che riceveva con grande cordialità e gentilezza. Insomma un buon religioso, un buon Fratello Laico, come si desidera trovare nei conventi. Nessuna cosa straordinaria si era mai sentita narrare di lui nel ventennio che rimase a S. Tommaso. Neppure quelli che convivevano con lui notarono cose eccezionali. Vedevano sì persone secolari andare a conversare con lui nel parlatorio, ma non si diede mai importanza, anche perché a S. Tommaso i secolari sono di casa e specialmente in quegli anni di grande movimento e lavoro, come abbiamo accennato nel capo precedente. Solo verso la fine della vita qualcosa trapelò, ma non tutto. La rivelazione avvenne solo dopo la sua morte. Allora si seppe che in quel via vai di gente che passava a S. Tommaso maturarono cose grandiose di santità individuale per lui e di apostolato per le anime. Si svelò che il cuoco di S. Tommaso aveva saputo salire alle altissime vette della santità e aveva diretto sapientemente altri per le vie del bene e dell'azione. Bisognerebbe poter narrare quanto infinite persone affermarono al riguardo, per comprendere tutta l'importanza dell'azione di F. Leopoldo come maestro di vita spirituale. Per circa venti anni al povero cuoco dei Frati persone di ogni condizione sociale, umili ed alte, ignoranti e dotte, vennero a proporre i loro dubbi, a chiedere consigli pratici, a chiedere perfino come ad un santo, di intercedere presso Dio per loro. Quello che colpisce, secondo la testimonianza degli Interessati, è che nessuno mai trovò F. Leopoldo disorientato, qualunque fosse l'argomento che gli si proponeva. Nessun stento, nessuna tergiversazione che servisse a prender tempo per dare una risposta. Questa veniva subito, semplice, chiara, a proposito. Solo quando lo spirito interiore che gli dettava le risposte, non lo illuminava, rispondeva che avrebbe pregato e risposto un'altra volta. E anche in questi casi la risposta che poi dava era decisiva, chiara come un comando. Non si scomponeva mai; parlava con naturalezza, senza enfasi, come se le parole non fossero che ripetizioni di altri che parlasse per mezzo suo. Ma incatenava subito e il tempo passava troppo presto per chi ascoltava. Narra un tale che lo conobbe molto, che ebbe le sue confidenze e che detiene i suoi manoscritti come reliquie, uomo di alta cultura, di carattere vivo, sbrigativo e non uso ad ascoltare altri a lungo, che quando era con F. Leopoldo resisteva al miracolo di stare due ore di seguito con lui senza difficoltà o impazienze, anzi gli rincresceva quando la conversazione era terminata. Per questo signore era una specie di miracolo e ciò dice quanto di poco umano vi fosse nei colloqui col Servo di Dio. Il suo grande discepolo, quello che ne ereditò lo spirito e ne continua la missione, quello che fu il primo suo biografo, Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane, confessa che le più belle meditazioni sulle cose di spirito le faceva quando andava a conversare col Servo di Dio. Sentiva cose che non si trovano sui libri e le sentiva dette con semplicità, con la massima naturalezza. Cose che facevano pensare, che penetravano l'anima e che gli lasciavano per una settimana un grande conforto e sollievo spirituale. Perciò vi ritornava sovente non solo per parlargli delle opere che aveva per le mani e delle quali, come diremo, F. Leopoldo è come l'intermediario presso Dio, ma per gustare una nuova meditazione. Fratel Teodoreto è quello che più di tutti penetrò nell'anima privilegiata di F. Leopoldo, che può parlare con vera cognizione di causa, quindi il più sicuro testimonio della santità di lui. Due uomini di cultura dunque che si fanno discepoli ferventi del cuoco di S. Tommaso. Un altro ammiratore di F. Leopoldo fu il prof. Luigi Rostagno, che recentemente e troppo presto la morte ha rapito alla scuola e all'apostolato cattolico. Quando si trovava ancora a Torino spesso faceva lunghe conversazioni con il Servo di Dio, verso il quale aveva stima e venerazione senza limiti. Esaminò gli scritti di lui e ne fece rilevare certe particolarità che non si possono spiegare, a suo giudizio, se non ammettendone la veridicità assoluta. Non fu soltanto ammirazione la sua, ma cooperazione fattiva alle opere consigliate e patrocinate da F. Leopoldo. La Casa di carità arti e mestieri, lo ebbe tra i primi e più ferventi sostenitori, prestando l'opera sua di professore. Anche questo insigne intellettuale si inchinava al santo cuoco, ubbidiva ai suoi consigli, lo consultava come un maestro e credeva a lui come ad un messaggero del cielo. Non è possibile passare in rassegna, anche solo accennando quanti altri delle stesse condizioni correvano alla scuola di F. Leopoldo. La fama di lui come di un privilegiato della grazia si dilatava sempre più fuori del convento e vi attirava ogni sorta di persone anche ecclesiastiche. Ricorderò soltanto il caso del conte Sacconi Federico. Questo illustre patrizio romano era stato inviato a Torino da Benedetto XV per consegnale i doni che aveva mandato alla Consolata. Sentito parlare di F. Leopoldo volle fargli una visita per conoscerlo e provare se la fama era esatta. Bastò il primo colloquio per suscitare un vero entusiasmo in lui. Fin che rimase a Torino non passò giorno senza che passasse a S. Tommaso a conversare col povero cuoco e ritornato a Roma continuò ad avere con lui una nutrita corrispondenza. Non fu il solo della nobiltà che si inchinasse al Servo di Dio. Il conte Alessandro Arborio Mella di Torino, lo frequentò con assiduità, gli scriveva, si raccomandava alle sue preghiere e gli fu amico sempre, venerandolo come un santo. Entusiasta di lui era e fu sempre il grand'uff. Achille, Cavallotti, allora al servizio del Card. Agostino Richelmy, Arciv. di Torino. Lo aiutò assai in certe circostanze e lo difese, persuaso com'era della santità di lui. Ho ricordato alcuni e solo del ceto maschile. Non sono che un saggio molto ristretto degli innumeri discepoli che ebbe F. Leopoldo in tutte le categorie di uomini e di donne. E fu appunto quando le visite continue cominciarono, verso la fine della sua vita, a essere notate dal Religiosi, che il Guardiano di S. Tommaso disse un giorno tra il faceto e il serio: " Che è questo, F. Leopoldo, che tanta gente viene a cercare di te e a consultarti, mentre nessuno viene da me che sono il Guardiano? ". La risposta fu quella che diede già un giorno S. Francesco a F. Masseo il quale gli aveva chiesto il perché il mondo corresse dietro di lui, mentre non era nobile, non bello, non dotto. " Sai ", rispose il Santo, " il perché? Perché Dio si serve sempre degli strumenti che il mondo stima più inadatti e più vili ". Più o meno Identica fu la risposta di F. Leopoldo al suo Superiore: " Che vuole, Padre? la gente non sa che io sono uno sciocco ". Ma quale meraviglia e quale confusione per lui che si credeva così da poco quando un giorno venne in persona a visitarlo e a parlare con lui confidenzialmente lo stesso Cardinale Arcivescovo Richelmy? Il grande e santo Porporato non lo fece chiamare al suo palazzo ( e sarebbe già stata non, comune degnazione ) ma con una umiltà che lo rende più grande ancora, volle concedergli un onore che non si concede se non a personaggi qualificati. Questa volta era anche la porpora che cedeva dinanzi al cuoco santo. Questi onori mettevano a prova la sua umiltà. È doveroso assicurare che egli non li cercò, ma fece tutto il possibile per evitarli. Se i suoi Confratelli furono tanto in ritardo nel sapere che avevano un santo tra di loro, in gran parte lo si deve alla sua santa industria. Presso i secolari cercò in tutti i modi di occultarsi. Se per propagare la sua Devozione al SS. Crocifisso dovette servirsi di persone del secolo, aveva proibito che si palesasse il suo nome e il luogo dove abitava. Ne abbiamo una prova nel caso di Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane. Lo narra egli nella biografia del Servo di Dio. Egli aveva sentito parlare di un frate privilegiato da alcune persone, ma con molto riserbo perché non si doveva fare il nome di lui ne indicarne la residenza. Questo nel 1911-12. In una sepoltura che aveva riunito i principali propagatori della Devozione a Gesù Crocifìsso, egli sentì un signore che diceva ad un gruppo di persone: " Sono stato a S. Tommaso, ma F. Leopoldo non ha potuto venire ". Quelle parole fecero pensare a Fratel Teodoreto che F. Leopoldo fosse il Frate privilegiato, di cui gli avevano parlato e sentì il desiderio di conoscerlo. E così cominciò, come diremo, quella conoscenza e amicizia che produrranno frutti inaspettati. Non egli dunque cercava, ma Dio mandava a lui le anime e per mezzo suo S. Tommaso, già centro di devozione al SS. Sacramento e a N. S. del S. Cuore di Gesù, divenne pure quello della Devozione al SS. Crocifisso e scuola di santità. Ancor una volta F. Leopoldo si trovò non discepolo, ma guida e maestro. Può ciò spiegarsi considerate le sue doti soltanto naturali, o non piuttosto siamo costretti a riconoscere che qui vi è il dito di Dio? Lo " sposo " del Crocifisso Il dono fatto a F. Leopoldo da Maria SS. è una realtà. Già prima di farsi religioso si rivela in lui un amore speciale per il Redentore Crocifisso e man mano che egli avanza nella virtù si fa sempre più intima, più familiare la relazione tra la sua anima e il Divino Paziente. Leggendo il suo diario si resta sorpresi della degnazione di Gesù verso il suo Servo e della confidenza e amore filiale di questi verso Colui, che gli si fa guida e Maestro. Gli insegnamenti che F. Leopoldo riceve, le espressioni, la dottrina, le rivelazioni, i colloqui che la sua penna imperita fissa nel suoi quaderni sono così esatti, così alti, così profondi che non possono essere frutto di fantasia o scienza umana: non parto di un uomo che scienza umana non ebbe, che è in continuata colpa verso la grammatica, la sintassi e l'ortografia quando scrive espressioni sue e non lo è quasi affatto quando riporta le parole del Maestro. Ma, ripetiamo, qualunque interpretazione si voglia dare al Diario, il fatto è che F. Leopoldo fu per tutta la vita, l'amante e l'apostolo del Divin Crocifisso. Quando divenne francescano e nel convento di S. Tommaso poté con più tranquillità e agio dare sfogo alla sua devozione, questa prese la forma che poi propagò nel mondo intero e che la Chiesa arricchì di molte indulgenze. Chi guarda superficialmente non vede che una preghiera comune e ordinarla alle piaghe del Redentore Divino. Ma esaminando la sostanza, lo scopo e il metodo della preghiera vede che sapientemente il Servo di Dio pose al centro di tutta la sua vita spirituale e delle sue ascensioni mistiche la fonte e il fondamento di ogni devozione dalla quale scaturiscono tutte le altre. " Anche il Sacrificio Eucaristico non è forse il memoriale della Passione e morte di Cristo? Richiamare gli uomini alla meditazione, alla contemplazione, all'amore dell'Uomo-Dio che soffre e muore per uccidere il peccato e per liberarci dalla sua schiavitù è mettere subito davanti agii occhi loro l'amore Immenso di Dio, l'ingratitudine degli uomini e il dovere della riparazione. Fu questo il pensiero costante di F. Leopoldo. Man mano che egli cresceva nella cognizione del grande mistero, dietro la stessa guida del Crocifisso, aumentava il desiderio di infondere nella mente e nel cuore del prossimo i suoi sentimenti dì affetto, di riparazione, di espiazione. Quindi la sua insistenza di propagare per mezzo di foglietti le preghiere che a lui sgorgavano dal cuore, la preoccupazione di farle approvare dall'autorità ecclesiastica, perché prendessero valore, rassicurazione che avrebbero recato alle anime benefici immensi di santificazione, di conversione. Possiamo datare l'origine della Devozione a Gesù Crocifisso nell'anno 1905-1906, quando il Servo di Dio era Novizio. Intendo dire la devozione come è stata formulata e diffusa, non quella personale di F. Leopoldo, che, come si è visto, occupa la sua vita fin dal primi suoi anni. Tra gli oggetti fuori uso in Convento, egli aveva trovato un vecchio Crocifisso, guasto e rotto. Lo prese, lo riparò in modo che al Venerdì Santo del 1906 fu esposto in Chiesa all'adorazione dei fedeli. Dopo quel giorno il Crocifisso tu appeso nel corridoio del convento e proprio in faccia alla cella di F. Leopoldo. Passando vicino ad esso quando andava nella sua camera egli si fermava, lo guardava e recitava qualche giaculatoria. Si sentiva attrarre in modo speciale, dice egli nel diario, e un giorno si rivolse al Superiore del Convento dicendogli: " Quanto desidero quel caro Crocifisso! ". Gli fu concesso volentieri e " da quell'epoca, in poi, scrive, non lasciai passare giorno senza fare l'adorazione a Gesù Crocifisso, alimento dolcissimo dell'anima mia ". Alle ore 4 di mattino si alzava e davanti al Crocifisso restava in preghiera e meditazione fino alle ore 6 circa quando si celebrava la prima Messa. Passava la sua meditazione da una all'altra piaga del Salvatore con quella devozione che conoscono soltanto i santi. Alla adorazione del Crocifisso univa preghiere e affetti verso la Madre di Dio. Egli non disgiungeva mai i due nomi santissimi. Dopo la Messa in cui faceva la sua Comunione, finito il ringraziamento ordinario in comune, ripeteva in mattinata l'adorazione come ringraziamento particolare. Alla sera poi prima di coricarsi un'altra adorazione, che si prolungava sempre fin verso la mezzanotte. Questa intensa meditazione fatta con fervore di sentimento, con pietà, amore e desiderio di comprenderò le lezioni che emanano dalla Croce divina, da quella Passione, da quel dolori che ci redensero condusse F. Leopoldo ad una particolare confidenza e familiarità con Gesù Crocifisso. Dopo alcuni mesi egli cominciò a sentire quella voce che gli parlerà fino al termine della sua vita e i cui detti egli raccoglie nel suo diario. Quella voce del Crocifisso lo spingeva a scrivere, lo illuminava, quasi gli conduceva la mano che anche grammaticalmente diventava più abile. Contemporaneamente cominciarono i colloqui con Maria SS., che egli chiama la sua Maestra. Il fatto colpì il Servo di Dio. Comprese egli stesso che era necessario consigliarsi, per evitare un'illusione. Presentò dunque alcuni foglietti, ove aveva notato i colloqui avuti, ad un sacerdote, il quale esaminò lo scritto e la condotta di lui. Nulla trovò nello scritto che fosse errato in dottrina, trovò invece grande rispetto alla Chiesa, al Papa ai superiori e molto zelo di apostolato. La condotta poi del Servo di Dio era quella di un perfetto religioso, per nulla esaltato. Prima di proseguire è bene che diciamo qualcosa del carattere di F. Leopoldo appunto perché è necessario conoscere se vi erano in lui elementi che lo inclinassero all'esaltazione, alla mistificazione o ad altre forme psicologicamente morbose. Chi lo ha conosciuto, e sono ancora molti vivi, sa che P. Leopoldo era fisicamente e moralmente normale. Carattere calmo, mente sveglia, aperto, piuttosto gioviale, gentile di modi quasi signorile, semplice, ma della semplicità delle anime pure e schive da ogni inganno; sano di corpo, tanto che solo al termine della vita, nella vecchiaia in somma, soffrì di cuore; nulla si trovava in lui che potesse far credere ad un uomo non normale. Inoltre conosceva molto bene gli uomini e sapeva distinguere chi era ben intenzionato e chi no. Non lo si ingannava tanto facilmente, anche se, come è dei santi, egli non potesse supporre che chi gli parlava, specialmente se erano persone sacre, potessero avere intenzioni meno che "rette. Il tatto stesso che egli seppe tenere per circa vent'anni quasi nell'oscurità i Religiosi coi quali conviveva, intorno al suoi grandi progressi nella via della santità, è segno che egli non aveva il sistema degli illusi e degli psicopatici di fare ostentazione di virtù o di doni straordinari. Gli scritti poi che egli ci lasciò, sono, per dottrina esatta, per altezza di concetti, per serietà e sincerità ineccepibili, tanto più quando si pensa che sono di un illetterato, che tutto il giorno lavorava tra pentole e in altre opere manuali e solo in camera, nelle poche ore che vi si trovava, poteva scrivere. È da notarsi in proposito che egli in cella ordinariamente scriveva in ginocchio e una sedia gli serviva da scrittoio. La spinta a scrivere gli veniva dalla voce interna durante la preghiera e la meditazione, spinta irresistibile, e così fissava il colloquio, le parole del Crocifisso o di Maria SS. senza alzarsi dalla posizione di preghiera. Quel Diario poi dimostra non un'intenzione prestabilita, organica di chi ha idee fisse, ma è di getto immediato come di chi raccoglie in quel momento delle frasi, delle sentenze, delle risposte di un Maestro che ascolta le conversazioni del discepolo e di quando in quando lo corregge, gli risponde, gli manifesta qualcosa del futuro. Vedremo poi a suo luogo che F. Leopoldo scrisse alle volte cose che riguardavano opere avvenute molti anni dopo e che mentre scriveva forse egli stesso non sapeva bene di che si trattasse. Ritornando all'" Adorazione ", F. Leopoldo, tra una meditazione e l'altra quasi senz'accorgersi venne a comporre una nuova formula di preghiere alle SS. Piaghe di Gesù Crocifisso. Quando le ebbe composte, le propagò tra le persone di sua conoscenza. Ma non era contento di questo apostolato privato. Voleva che l'autorità ecclesiastica l'approvasse e concedesse indulgenze. Per mezzo del Can. Pons ottenne un'udienza dal Card. Arcivescovo Agostino Richelmy, il quale per il momento non volle esaudirlo; ma, fermo nel suo proposito, il Servo di Dio non si scoraggiò. Poco dopo difatti poteva avere la soddisfazione di vedere le sue preghiere approvate dal Vicario Gen. Mons. Castrale. Da allora, stampate in parecchie migliaia di copie, cominciò la propaganda della Devozione che andò meravigliosamente aumentando e finalmente fu approvala da Benedetto XV nel 1915 e inserita con lieve modifica nel volume " Preces et pia opera " della S. Penitenzieria Apostolica nell'edizione del 1938. Annualmente sono state stampate 800 mila foglietti in quattordici lingue e distribuite dal Catechisti gratuitamente. Lo scopo che si era prefisso F. Leopoldo con questa devozione è espresso molto chiaramente nel suo Diario con queste parole: " Esorto le anime pie di fare questa devozione ; in qualunque luogo possono farla, in chiesa, in casa, specialmente nella loro camera prima di andai e a riposo, implorando la misericordia di Dio, affinché le persone che passano all'eternità in quella notte, principalmente i moribondi ostinati che non vogliono riconciliarsi con Dio, bontà infinita, con la preghiera delle anime giuste vadano salvi per i meriti di Gesù Crocifisso ". E ancora: " Domandiamo la grazia di fare con grande desiderio questa santa Devozione per fare riparazione di tante inique bestemmie che si scagliano contro la divina Maestà di Dio, Gesù Crocifisso e nel medesimo tempo mettiamo l'intenzione di adorarlo in tutte le Croci che sono nelle chiese e nel mondo ". Per la diffusione della Devozione F. Leopoldo volle che fossero incaricati i Fratelli delle Scuole Cristiane, i quali avendo procurato al foglietto che la contiene, l'immagine e le spiegazioni occorrenti, ne hanno tuttora la proprietà artistico-letteraria. Anima di tutto fu ed è il Fratello Teodoreto Giovanni Garberoglio, l'interprete fedele del pensiero e dell'anima del Servo di Dio, del quale scrisse amorosamente la vita nella quale ci svela in gran parte le intimità del Diario. L'immagine del Crocifisso con l'anima elevata dalla terra e che abbraccia i piedi del Redentore corrisponde ad una visione che il Servo di Dio ebbe in sogno nel 1893 nel castello di Viale, parecchi tentativi furono fatti per riprodurre il più possibile la descrizione che ne faceva F. Leopoldo e finalmente egli accettò la figura attuale, che fu perfezionata dal pittore Luigi Guglielmino, continuatore della scuola del Reffo. I Fratelli delle Scuole Cristiane, in unione con i Catechisti del SS. Crocifisso, dei quali parleremo fra poco, la diffusero in tutto il mondo, scritta in tutte le principali lingue, in milioni di copie e continuano a diffonderla. Solo nella Russia bolscevica non ha potuto penetrare. Tutte le copie che un fervente zelatore, l'Ammiraglio a riposo Gian Pietro Sery, aveva cercato di inviare in quel vasto paese furono ripetutamente respinte. Fin dal 1909 F. Leopoldo ebbe una prova dell'efficacia della sua Devozione per la conversione del peccatori ostinati. Il suo amico Caneparo gli aveva raccomandato di pregare per la conversione di uno di costoro, indurito nel male. Egli fece la sua adorazione e scongiurò il Signore a voler toccare il cuore del poveretto. L'11 luglio di quell'anno il Caneparo va dal Servo di Dio e gli narra che quell'uomo dopo 45 anni di traviamento e di vita scorrettissima, guidato dallo stesso Caneparo aveva fatto la sua confessione generale nel Santuario della Consolata. Fu giorno di gioia per entrambi, che bedirono Dio e la sua Madre SS., e inizio di una vita cristiana per il convertito. Quattro anni prima di questa conversione straordinaria, il Crocifisso aveva fatto intendere a P. Leopoldo " quante anime si sarebbero salvate per questa santa adorazione, principalmente peccatori ". Il Diario è riboccante di espressioni sull'efficacia della Devozione. Dal Crocifisso, da Maria SS, che è la patrona dell'opera, riceve continue esortazioni a propagarla in tutto il mondo per mezzo del S.mmo Pontefice; riceve assicurazioni che per mezzo di essa molte anime si salveranno, i peccatori si convertiranno e i giusti faranno grandi progressi nella via della santità. Alle divine voci F. Leopoldo ubbidì. Sì diede tutto alla propaganda sia tra le persone che conosceva, sia per mezzo della stampa, dopo che la diffusione fu affidata al Fratelli delle Scuole Cristiane. E fu felice quando nel 1915 seppe che Benedetto XV aveva approvato la " Devozione ". Vedeva così avverato Quanto gli era stato rivelato nelle sue meditazioni. Fu così che nell'ambiente francescano del convento di S. Tommaso, dove le Terziarie Teresa e Giuseppina Comoglio e IL Terziario Paolo Pio Perazzo avevano fatto sorgere e prosperare la Devozione Eucaristica dell'" Adorazione Quotidiana, Universale, Perpetua " nacque quella del SS. Crocifisso per opera di F. Leopoldo. Vero figlio di S. Francesco ne visse lo spirito, ne comprese gli ideali, gli amori e il rinnovò portando se stesso e riconducendo gli altri ai piedi di quel Crocifisso, che impresse visibilmente le SS. Stimmate nel corpo del Padre Serafico, alla fonte di ogni devozione. Come S. Paolo, come S. Francesco F. Leopoldo per tutta la vita amò e predicò Christum et hunc Cruciflxum. Il " Segretario della Madonna " Abbiamo avuto occasione di constatare come il Servo di Dio fin da fanciullo fu devoto della Madre di Dio. Anzi, confessa egli stesso nel diario che da principio era più intensa la sua devozione verso la Madonna che verso il suo Divin Figlio. Illuminato e guidato da Lei correggerà in seguito tale difetto, ma nello stesso tempo si farà più perfetto, più ardente, più tenero ancora il suo attaccamento a Maria SS. Prove di materna protezione e predilezione ne ebbe nella vita secolare più d'una. Oltre l'apparizione a Vercelli, basterebbe la miracolosa guarigione che ottenne a Terruggia e che fu narrata più sopra. A Torino da secolare la sua chiesa prediletta era il Santuario della Consolata, ove poteva anche servire alla S. Messa. Entrato in Religione e collocato a S. Tommaso, trovò ancor più agio per elevarsi e salire nella perfezione anche in questo importantissimo particolare della santità. Fiorentissima era allora a S Tommaso la " Pia Unione di N. S. del Sacro Cuore di Gesù ". Il P. Luca Turbiglio, tanto benemerito della parrocchia, attribuiva ad, una grazia particolare di Maria SS. venerata sotto questo titolo se aveva potuto salvare la chiesa dell'abbattimento già decretato dal Municipio. Come ringraziamento, volle che sorgesse accanto alla chiesa la bella cappella che è il primo Santuario che sia sorto in Torino sotto il titolo di N. S. del S. Cuore. Non riuscì soltanto un vero gioiello di arte, dovuta alla mente dell'Ing. Gallo, ma un centro di devozione viva. Infinite grazie si ottennero e ne fanno ancor oggi fede le centinaia di tavolette in marmo, murate accanto alla cappella. In questa, devota, accogliente, popolata da figure di Santi lungo le pareti e più in alto da una graziosa teoria di statuette di Angeli osannanti, si conserva il SS. Sacramento; è funzionata come santuario indipendente ed ivi volentieri, più che altrove le persone pie si raccolgono in preghiera.27 Ed è qui che F. Leopoldo per circa vent'anni si raccolse in preghiera, in meditazione; qui dove ottenne segnalati favori per sé e per le persone che si raccomandavano a lui. Qui al piedi di Gesù Sacramentato e della Vergine Madre l'anima sua trovò li paradiso in terra, passò le ore più belle della sua vita. Finiti i suoi lavori di cucina, dopo la cena, quando tutti i Religiosi si erano già ritirati nelle loro celle egli vegliava in contemplazione delle cose divine: conversava famigliarmente, nella sua fede viva e col suo cuore ardente, con Dio e con Maria SS. Esponeva i suoi desideri e quelli degli altri, chiedeva ed era esaudito. Vi portava anche fiori lavorati dalle sue mani, felice di poter ornare come meglio gli fosse possibile l'altare. Vegliava fino a tarda ora e poi si ritirava nella sua celletta a fare l'adorazione al SS. Crocifisso. Ora è appunto a causa di queste visite serali che capitò al Servo di Dio quanto narra nel Diario e che confidò negli ultimi anni della sua vita a qualche persona del convento. Il Fratello Sagrestano Fra Guido voleva che F. Leopoldo dopo la visita alla Cappella chiudesse a più giri la porta che dalla sacrestia mette nel corridoio del convento, e per la quale si deve assolutamente passare per portarsi al Santuario di N. Signora. Il Servo di Dio non lo poteva fare perché la chiave che aveva non serviva; più volte egli aveva chiesto al Superiore che gliene desse un'altra adatta ma non l'ottenne. Il sagrestano un giorno rimproverò F. Leopoldo e gli ripeté che doveva chiudere a più giri, e visto che ciò non si otteneva, chiuse egli stesso senza darsi pena delle abitudini del confratello e così fece ogni sera prima di ritirarsi in camera. Ma ecco che con sua gioia e meraviglia ogni sera la porta si apre e si chiude al suo passaggio nonostante i diversi giri di chiave. Ciò durò per circa un anno. Ma non sempre la " Divina Portinaia " apriva e chiudeva. Parecchie volte F. Leopoldo trovò la porta chiusa e non poté andare nel Santuario e allora di accontentava di fare la sua visita dall'esterno. Poi dopo queste prove, di nuovo aveva la grazia. La Madonna non si faceva vedere visibilmente, " ma, come egli scrive, nell'avvicinarsi la sento perché in quei momenti, come avanguardia, riempie il mio cuore e l'anima mia di santi affetti e di soavità dolcissima ". Stando al Diario fu questo un premio che la Madre Divina volle dargli " perché egli apre alle anime la via per avvicinarle a Dio con la Devozione del SS. Crocifisso ". Finalmente per Intervento dello stesso F. Guido, F. Leopoldo ottenne la chiave, e poté senza disturbare alcuno continuare le sue visite. Maria SS. occupa una gran parte del Diano. Vi si leggono consigli, ammaestramenti, rimproveri, assicurazioni, promesse che Ella fa scrivere al Servo di Dio. Nulla vi si nota di meschino, di erroneo o che in qualche modo sia disdicevole. Un giorno la Divina Madre gli dice? " Sei contento di essere il mio Segretario? " Ed egli risponde: " Dammi una penna d'oro, onde guidata la mano mia dagli Angioli, li possa scrivere le meraviglie operate nelle anime colla tua potenza, colla tua carità, colla tua immensa bontà: tu sola sei Madre di misericordia per il mondo ". E due giorni dopo, il 26 ottobre, la Madonna gli dice : " Ora che ti ho confermato mio segretario sei contento? " Sono tanto peccatore, avete fatto una povera scelta". E da allora egli scrive sotto la dettatura della sua Maestra. Egli non lasciava passare alcuna festa della Madonna senza qualche ossequio particolare. Anche da Religioso continuò a frequentare, quando poteva, il Santuario della Consolata. Festeggiava in modo speciale l'Immacolata e lo nota nel suoi scritti, perché è la Patrona del Francescani. Così pure il S. Cuore di Maria, di cui ripeteva sovente nella giornata le giaculatorie relative. Oltre la corona francescana di sette misteri, recitava il Rosario tutti i giorni. Ogni festa della Vergine nel corso dell'anno era per lui occasione di dimostrarle il suo affetto, affetto che emana da ogni riga del suo Diario quando ne deve parlare.31 La sua fiducia nella bontà e potenza della Madre di Dio era illuminata. Chiunque ricorreva a lui per essere aiutato in qualche necessità la risposta era sempre: Lo dirò alla Madonna, abbia fede, preghi e vedrà. Durante la guerra mondiale ( 1914-19 ) vi furono molti che conoscendone la virtù andavano da lui per raccomandarsi. Egli pregava e poi dava le risposte che non sempre erano quali umanamente si avrebbero desiderate, ma che sempre davano forza a sopportare i dolori. Alle volte erano assicurazioni che si avveravano. Un suo nipote mi narrava che richiamato alle armi, passò da lui a raccomandarsi. Lo condusse nella Cappella di nostra Signora e lo fece pregare. Stette poi in meditazione qualche minuto e poi gli disse: " Vai pure a fare il tuo dovere, non ti capiterà nulla, tornerai sano e salvo ". E così fu, nonostante che pericoli ne abbia corsi molti. Le risposte che dava non erano mai sibilline, ma precise e dette con la massima calma, segno di persuasione. In proposito, chi scrive ne ebbe una prova singolare in una circostanza dolorosa. Proprio sul finire della guerra mondiale suddetta, e mentre era ancora sotto le armi, un suo fratello cadde gravemente ammalato. La malattia si dimostrò dopo un mese di degenza in forma umanamente disperata. I medici, anche specialisti, dichiararono che al massimo l'infermo poteva durare ancora tre mesi. Io conoscevo certo F. Leopoldo, ma solo come un buon religioso. Nulla sapevo di quanto venni poi in conoscenza dopo la sua morte. Andai da lui a S. Tommaso: gli esposi il caso: lo pregai di raccomandarlo al Signore, perché solo un miracolo poteva salvare mio fratello. Ascoltò con una tranquillità che mi fece stupire e che quasi mi dette l'impressione che non avesse capito la gravita del caso. Mi rispose semplicemente: Abbia fiducia nella Madonna: vedrà che Ella ne sa più dei medici. Tornai alcuni giorni dopo e gli esposi che anche specialisti avevano sentenziato per la fine della vita del malato. Non si scompose; ripeté: La Madonna è più potente del medici e ne sa di più. Preghiamo. Non mi disse altro, ma feci come aveva consigliato e ebbi fiducia nelle sue parole. Un mese dopo all'improvviso mio fratello guarì con meraviglia dei suoi medici, che confessarono di non saper spiegare il caso. Scomparse le lesioni gravissime e avanzate del polmoni, ritornato alla salute di prima. Quando portai la notizia a F. Leopoldo non si meravigliò. Si accontentò di dirmi: Oh si, la Madonna è più potente e più sapiente dei medici. E questo è verissimo; ma a me incombe l'obbligo di dire con la massima convinzione che a ottenere il miracolo ( e tale è nella sostanza e nel modo ) fu lui solo con le sue preghiere, con la confidenza figliale con cui egli: " Segretario della Madonna ", sapeva toccare il cuore della Divina Madre di grazia e di misericordia. I frutti della devozione del SS. Crocifisso Il primo incontro di Fratel Teodoreto col Servo di Dio avvenne il 25 ottobre 1912. Fu brevissimo, perché quest'ultimo non aveva tempo di fermarsi, ma fu fissato per il 30 successivo il nuovo appuntamento. Da questo momento comincia quell'amicizia, comprensione, fusione e santa alleanza di due anime elette che il Signore destinava ad un apostolato speciale sotto il vessillo del Crocifisso. Fratel Teodoreto conosceva la Devozione composta dal Servo di Dio, la praticava con fiducia, ma desiderava conoscerne l'autore come abbiamo detto. Nel convegno avuto il 30 ottobre e in successivi egli espose a F. Leopoldo un progetto che da tempo maturava nella sua mente, formare cioè " un'associazione di giovani veramente buoni e zelanti nell'apostolato catechistico, come quelle organizzate a Parigi, a Madrid, a Lione " dal suoi confratelli delle Scuole Cristiane. Si raccomandò a lui perché pregasse il Signore onde conoscere la sua volontà al riguardo. Il progetto non poteva che essere graditissimo al Servo di Dio. Lo abbiamo visto con quanta diligenza e amore si era occupato nel suo paese natio, a Viale, a Torino; a Vercelli nell'insegnamento del catechismo al fanciulli. Ma adesso non si trattava di conoscere solo il suo gradimento, ma la volontà di Dio per una vera associazione organizzata. E F. Leopoldo pregò. La risposta non si fece attendere. Mentre alle ore 21 del 23 aprile 1913 egli prostrato come al solito davanti al SS. Sacramento nella cappella-santuario di N. Signora chiedeva lumi sulla proposta dell'amico, udì aveste parole: " Dirai a Fratel Teodoreto che faccia ciò che ha nella mente ". Avuta simile risposta Fratel Teodoreto si mise all'opera, e il 14 marzo dell'anno seguente fu fondata l'associazione dei Catechisti con nome di Unione del SS. Crocifisso. I suoi Superiori approvarono pienamente. Allora compilò il Regolamento che volle sottoporre all'approvazione di F. Leopoldo, il quale chiese nella preghiera i lumi dall'alto e questa volta fu Maria SS. a parlare e a dirgli che il Regolamento era di sua compiacenza e che Ella voleva essere la Protettrice dell'opera. Di Queste rivelazioni al Servo di Dio si ebbe subito una conferma. Portatosi Fratel Teodoreto alla Curia arcivescovile per l'approvazione canonica, il Can. Alasia, Provicario Gen. consigliò di aggiungere al titolo principale anche un'altro della SS. Vergine, perché così " l'Unione " avrebbe potuto essere aggregata alla " Prima primaria dell'Annunziata di Roma, dipendente dai PP. Gesuiti e ricchissima di Indulgenze. E così il titolo completo fu di " Unione del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata ". Il 9 maggio 1914 l'Arcivescovo di Torino Card. Richelmy erigeva canonicamente l'Unione e ne approvava i Regolamenti e tre giorni dopo si otteneva l'aggregazione alla " Prima primaria " della SS. Annunziata di Roma. Dopo ciò si volle fare l'inaugurazione solenne della associazione con tre giorni di esercizi spirituali serali come preparazione e la domenica 17 maggio, festa di S. Pasquale Baylon, con le funzioni relative. In quel giorno i Soci si consacrarono al Cuore SS. di Gesti Crocifisso e a quello Immacolato di Maria SS. Così nacquero questi primi frutti della Devozione a Gesù Crocifisso, che stava tanto a cuore al Servo di Dio e della quale i Catechisti dell'Unione divennero gli apostoli, i propagatori zelantissimi sotto la guida e la direzione di Fratel Teodoreto e dei suoi Confratelli. Intanto F. Leopoldo pregava, chiedeva grazie e benedizioni per la nuova opera, rispondeva ai dubbi, alle incertezze che sorgevano continuamente, assicurava a nome di Dio e della SS. Vergine la vitalità dell'istituzione; alle volte correggeva. Non voleva affatto che i giovani dell'Unione si lasciassero adescare da desideri di svago o di divertimento. È sintomatico quanto avvenne in quel giorno dell'inaugurazione e che è ricordato nel libro di Fratel Teodoreto, testimonio del fatto. A conclusione della giornata si era stabilito di fare coi giovani dell'Unione una passeggiata in collina con la relativa merenda come era uso in quel tempi presso i circoli cattolici. Nulla si era detto a F. Leopoldo, perché la cosa appariva a tutti più che naturale, ma egli comunicò queste parole dette a lui dal Crocifisso: " Stiamo guardinghi di non cercare svago di passeggiate di piacere, il che sarebbe inganno del demonio in questa pia Unione tanto seria e santa eccetto che sia un vero pellegrinaggio col trionfo del santo Rosario ". Appena ricevuto questo avviso, dice Fratel Teodoreto, si rinunziò alla gita in collina e si pensò di preparare nei giovani dell'Unione lo spirito e le pratiche di pietà che poi vennero consuete e che in un primo pellegrinaggio al Santuario di Belmonte diedero ottimi risultati. Lo stesso spirito e le stesse pratiche vennero eseguite in tutte le gite e pellegrinaggi fatti dai membri dell'Unione negli anni successivi, con l'aggiunta del canto di laudi sacre sui treni e per le strade, quando le circostanze lo permettevano. Il lettore a questo punto dovrà osservare ammirato la fermezza, la sicurezza e la sapienza di F. Leopoldo che guida, sorregge con le preghiere, i consigli, le osservazioni, l'opera che viene ad innestarsi per volontà altrui alla sua Devozione del Crocifisso, e la docilità, sottomissione di Fratel Teodoreto che volontariamente si era fatto suo discepolo. Questi è l'ideatore il vero fondatore dell'Unione dei Catechisti del Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, ma egli non attua i suoi progetti fin quando casualmente ( diciamo la parola giusta, per ispirazione di Dio ) non s'incontra con F. Leopoldo e lo elegge suo maestro. Due umili che si fondono e vanno cercando la volontà dell'unico Maestro, Gesù Cristo. E il Maestro divino si compiace e parla loro, manifesta i suoi voleri nelle comunicazioni familiari a cui ha elevato F. Leopoldo. Così l'Unione nasce sui solidi fondamenti dell'umiltà e dell'ubbidienza e mette le radici nell'amore a Cristo Crocifisso. La devozione alla Passione e morte di Gesù Redentore è della chiesa cattolica, il fondamento anzi di tutte le devozioni, ma tutti sanno che S. Francesco d'Assisi e i suoi figli se ne fecero una caratteristica specialissima e la propagarono in molti modi nel mondo. F. Leopoldo non fa che continuare la bella tradizione con la sua Devozione al SS, Crocifisso, ed ebbe subito l'approvazione della Chiesa. Ed ecco trovare in Fratel Teodoreto e nei suoi Confratelli aiuto insperato per farla conoscere e praticare nel mondo. Una Congregazione Religiosa ( perché tale è ufficialmente e canonicamente oggi l'Unione dei Catechisti ) eredita lo spirito del fondatore e dell'ispiratore, attua i desideri e le idealità del Servo di Dio, quella Congregazione Religiosa, che il Signore gli rivela e che egli nota nel suoi scritti, senza forse neppure comprendere egli stesso di che si trattasse. È perfettamente inutile e ozioso domandarci perché egli francescano e continuatore delle tradizioni francescane abbia consegnato nelle mani di non francescani la sua Devozione al SS. Crocifisso e fatta sviluppare fuori dell'Ordine. Lo Spirito di Dio spira dove vuole e a noi non rimane che adorare la volontà di Dio, senza pretendere di chiederne i perché. Nel caso nostro la volontà di Dio è molto chiara. F. Leopoldo non cercò aiuti fuori, questi gli vennero nel modo che abbiamo visto. Neppure Fratel Teodoreto pensava prima a ciò che avvenne in seguito. Ispirato da Dio ( si legga quanto egli stesso narra nella Biografia del suo Maestro e si resterà persuasi ) s'incontra con F. Leopoldo, conversano si comprendono si lasciano guidare da Colui che è il Padre dei lumi, che si manifesta a chi lo cerca e lo ama; e così nascono le opere che abbiamo visto e quelle che vedremo ancora. È meglio osservare che anche le cose che a noi sembrano piccole, nelle mani di Santi, mossi dallo Spirito di Dio diventano fonti di cose grandiose. Considerata nella sua forma, la Devozione di F. Leopoldo al SS. Crocifisso, è una preghiera che non ha nulla di straordinario; è una formula devozionale come tante altre. Ma nelle sue mani e in quelle dei suoi continuatori fu feconda di opere meravigliose sia per la santificazione personale, sia per la conversione dei peccatori, sia per beneficenza sociale. In tutto, ma specialmente nelle cose di religione è lo spirito non la lettera che conta. I due amici ebbero grande cura per lo sviluppo dell'Unione dei Catechisti. Per meglio far conoscere la devozione al Crocifisso e l'opera che era sorta fu fondato un Bollettino mensile fin dal 1917. Anche in questo il discepolo interrogò il maestro e questi dopo aver pregato e udito i voleri del cielo diede il titolo: " L'amore a Gesù Crocifisso " suggeritogli, egli disse, dalla Madonna. Per suo volere non doveva essere di lusso, ma povero; nessuna copertina vistosa, nessuna cosa che lo straniasse dall'umiltà e dalla povertà. Diede pure gli argomenti che si dovevano subito trattare. L'Unione si mise al lavoro nelle diverse parrocchie della città e fuori per i catechismi, propagando intensamente la Devozione di F. Leopoldo. Furono erette delle sezione a Grugliasco, a Vercelli, a Biella, a Parma, a Roma e altrove. A Torino oltre la sede principale una sezione anche nel Collegio di S. Giuseppe. Nel 1924 furono scelti tra i Catechisti alcuni che formarono il primo nucleo di quella che venne poi eretta in Congregazione Religiosa e detti Catechisti congregati. Essi fanno i voti semplici. Il loro Regolamento fu approvato prima dal Cardinal Gamba e poi nel 1933 dal Cardinal Maurilio Fossati. E cosi sorse quell'Ordine di cui parla F. Leopoldo nel suo Diario. Accanto ai Catechisti Congregati vi sono quelli Associati, non legati da voti. L'Unione comprende i due rami, i quali in realtà per lo scopo il lavoro e gli ideali formano un corpo solo, guidato dal Superiore e dal consiglio dei Catechisti congregati e che formano ente morale per tutti gli effetti civili. La direzione è esercitata dal Catechista Presidente col Consiglio, del quale fa parte come Consigliere un Fratello delle Scuole Cristiane. La Casa di Carità Arti e Mestieri Quando il 27 gennaio del 1922 F. Leopoldo Maria Musso, col sorriso dei Santi, chiudeva gli occhi alla luce di quaggiù per riaprirli a quella del cielo, era in pieno sviluppo una battaglia che egli aveva suscitato e condotta con forza e costanza sorprendente, battaglia che gli aveva procurato molti dolori, delusioni e abbandoni. Tutte le iniziative che nella sua assai lunga vita aveva intrapreso ebbe la gioia di vederle trionfare; questa invece che aveva iniziato fin dal 1919 pareva fallita. Cosi poteva apparire a chi guardava soltanto con occhio umano, non a lui che in tutto quel tempo non aveva fatto altro che manifestare e difendere la volontà di Dio. Il Manzoni ricorda il Principe di Condé, che dorme profondamente alla vigilia della battaglia di Rocroi, perché tutto aveva predisposto per la vittoria, che il giorno dopo raccolse come frutto logico delle sue previdenze. Meglio di lui, F. Leopoldo poteva addormentarsi placidamente in Dio, perché sapeva che Dio stesso tutto aveva predisposto per la vittoria. Aveva impartito gli ordini avuti da Lui, aveva dato consigli, e lasciava dei luogotenenti che fedelmente avrebbero eseguito. Chi oggi visita il grandioso edificio che i Fratelli delle Scuole Cristiane edificarono e dirigono in Corso Trapani a Torino, intitolato " Istituto Arti e Mestieri ", ove sono istruiti e cristianamente educati operai capi tecnici; chi visita in via Feletto un altro edificio dello stesso genere e che porta la scritta : " Casa di Carità Arti e Mestieri ", tenuta dai Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata, avrà la prova della vittoria riportata da F. Leopoldo Maria. Vittoria che va sviluppandosi continuamente in modo sempre più grandioso e nel modo annunziato con sicurezza da lui. Frate! Teodoreto ne narra minutamente la storia iniziale, piena di contrasti e di difficoltà e mette in piena luce la parte che col Servo di Dio ebbero i suoi cooperatori, che credettero in lui. Ciò che la sapienza e l'abilità umana non seppero risolvere fu ottenuto dalla fede e dalla carità. Dobbiamo far conoscenza di un altro ammiratore e amico di F. Leopoldo: un'anima di larghe vedute, che conosce i bisogni della società moderna, Fratel Isidoro Maria delle Scuole Cristiane. Egli era stato nel 1919 mandato a Torino come Direttore della Comunità e delle Scuole di Via delle Rosine. Maturava nel suo pensiero l'idea di stabilire a Torino una scuola professionale sul tipo di quelle che i suoi Confratelli avevano fondato in Francia e nel Belgio e che si dimostravano tanto utili per salvare la fede cristiana nel ceto operaio. Tutti sanno quanto sia necessario elevare lo spirito e informarlo ai principi del cristianesimo l'operaio, insidiato nelle fabbriche da teorie materialistiche senza ideali ultraterreni, teorie che non vanno al di là di un benessere finanziario, non curanti della più nobile parte dell'uomo, dell'anima immortale, dei doveri verso il Creatore e il Divin Redentore. Con zelo di apostolo Fratel Isidoro Maria si diede attorno per trovare il modo di attuare il suo desiderio. Trovò approvazioni, entusiasmo in molti, ma anche difficoltà non poche. Gli occorreva sopratutto l'appoggio e l'approvazione dei suoi Superiori, e non era facile, stante la difficoltà di trovare i mezzi finanziarli, che essi non avevano. Tentativi e assaggi furono fatti da lui dal marzo al dicembre del 1919, senza che potesse conchiudere nulla di positivo. Durante questi mesi egli aveva conosciuto e frequentato insieme a Fratel Teodoreto il nostro servo di Dio, ma nelle conversazioni mai si era parlato della scuola professionale o fatto allusioni ad essa. L'iniziativa era tutta sua, senza che F. Leopoldo avesse dato alcuna spinta. La cosa pareva arenata davanti alla difficoltà insormontabile del Superiori che conoscevano la bontà dell'iniziativa, ma si trovavano nell'impossibilità di attuarla sia per mancanza di mezzi finanziari sia di personale insegnante. Ed è proprio quando parve doversi rinunziare al progetto che interviene il Servo di Dio. Un giorno del dicembre di quell'anno egli fece leggere a Fratel Teodoreto e all'ing. Rodolfo Sella, anima ardente di apostolo, propagatore della Devozione al SS. Crocifisso di F. Leopoldo, amico e ammiratore di lui, uno scritto, in cui riferiva alcuni detti rivelategli dal Crocifisso il 24, il 28 novembre e il 2 dicembre. Sono questi: " Per salvare le anime, per formare nuove generazioni, si deve aprire una Casa di Carità per far imparare al giovani Arti e Mestieri. Non bisogna lesinare, si richiede qualche milione. Se non fanno quanto io chieggo si scaveranno una fossa. Ormai è tempo che lo manifesti la mia volontà: voglio una Scuola Casa di Carità Arti e Mestieri ". Fratel Teodoreto fece vedere lo scritto all'Assistente del Superiore Generale delle Scuole Cristiane, Fratel Candido, il quale ne rimase colpito, ma proibì di parlarne a Fratel Isidoro, promettendo di studiare la questione e di consigliarsi. Non possiamo ricordare tutti i particolari che ne seguirono e che si possono leggere nel libro ricordato di Fratel Teodoreto. Basterà per ciò che riguarda la parte che ebbe F. Leopoldo notare che il permesso del Superiori fu dato, che fu formato un comitato per l'esecuzione del progetto di Fratel Isidoro, e che dai promotori fu preso in considerazione quanto aveva scritto il nostro Servo di Dio. Anzi una volta tu invitato anche lui a prender parte ad una riunione del Comitato. Ma se della necessità della scuola professionale tutti erano d'accordo, non lo si fu più quando si venne a trattare sui mezzi per finanziare l'opera. F. Leopoldo e chi credeva in lui ( oltre Fratel Teodoreto e Fratel Isidoro, anche il Conte Avogadro della Motta, l'ing. De Matteis e l'ing. Sella ) volevano che si tenesse conto completamente di quanto era stato detto dal primo per ordine di Gesù Crocifisso, e cioè che l'opera fosse fondata sulla carità pubblica e privata, vale a dire sulla Divina Provvidenza; altri invece volevano che fossero stabiliti dei fondi sicuri secondo la prudenza umana. La questione fu dibattuta vivamente a lungo e il Comitato finì di dividersi in due parti opposte, pro e contro F. Leopoldo; le sedute del Comitato andarono deserte. Gli animi si raffreddarono e l'opera pareva che non potesse in nessun modo mettere radici. Anche quando Fratel Isidoro ebbe per successore Fr. Aquilino la questione non poté essere risolta. Il dissidio ebbe conseguenze dolorose per F. Leopoldo. Egli continuava ad insistere su quanto il Signore gli manifestava, imperterrito, senza smentirsi mai. Minacciava che se non si fossero osservati lo spirito e la lettera della scuola nel senso che gli era stato rivelato e cioè Casa di Carità, il Signore non l'avrebbe né aiutata né benedetta. Egli insisteva anche sul nome materiale mentre su ciò anche parecchi del suoi amici erano inclini a passar sopra pur conservandone lo spirito. Ma neppure in ciò volle cedere e non poteva perché egli aveva coscienza di essere semplicemente il messaggero della volontà del Signore. Il 27 febbraio, undici mesi prima della sua morte scriveva a Fratel Isidoro ( non per lui, che già aveva sostenuto con fermezza la tesi di Fra Leopoldo, ma per gli altri ): " Con grande rincrescimento debbo farle noto il detto del Signore ove dice: Non vorrei che la Casa di Carità Arti e Mestieri venisse ostacolata per opera d'uomo. Ora si presenta tanta difficoltà per un nome sì minimo e umile. Non dare il nome come vuole il Signore è disconoscere l'opera di Dio. Il non conformarsi al voleri di Dio è allontanare dalla Casa la sua benedizione e in tale mancanza come e che cosa faremo noi? Ossequi nel Signore ". La Questione del titolo che a prima vista parrebbe di poca importanza e non Idonea a dividere cosi nettamente gli animi, era invece nel nostro caso essenziale. Il titolo era l'espressione di due concetti molto chiari: uno che senza escludere la fiducia nella divina Provvidenza voleva che la scuola avesse fondi sicuri e fissi, l'altro che al contrario, senza badare alla prudenza umana, voleva che tutto fosse affidato alla Divina Provvidenza. Era questa la fede di S. Francesco d'Assisi, del S. Cottolengo e F. Leopoldo la difese per ordine del Signore senza debolezze, e come è delle opere, di Dio gli eventi gli diedero ragione. È bene dire che non sono solo i suoi intimi amici che lo compresero ed ebbero fede in lui, ma altri. Nel suo Diario F. Leopoldo porta una lettera inviata da Fratel Candido, Assistente del Superiore Generale dei FF. SS. Cristiane di cui abbiamo fatto cenno più sopra, al Direttore dei Fratelli di Torino. Essa è del 14 marzo 1921, quando dunque la lotta ferveva. Senza nominare mai F. Leopoldo, la lettera è un autorevole documento della convinzione che egli aveva sulla veridicità delle rivelazioni avute dal Servo di Dio. " La questione, scrive F. Candido, del titolo da darsi alla scuola professionale è di un'importanza capitale. Ma appunto per questa importanza si deve badare bene a non sbagliare. In questo caso mi pare però che non vi si debba essere titubanza o esitazione di sorta. Il titolo è strettamente legato alle origini della grandiosa opera. Viene o non viene da Dio? Chi è che l'ha ispirata? Non è Dio? Chi ci pensava se Dio non manifestava il suo desiderio, anzi la sua volontà? Si può in certo modo applicare a tale istituzione le parole del Vangelo: " Non per la volontà della carne né per la volontà dell'uomo, ma da Dio essa è venuta ". ( Gv 1,13 ) Ammesso che Dio l'ha voluta, vi è da vedere se Dio ha anche indicato il nome da darsi all'opera. Ora risulta che l'ha dato in modo ben determinato ed esplicito. Ma dunque chi siamo noi per opporci a Dio? Faremo l'opera sua a nostro modo? Oseremo dar lezione a Dio? Il difficile per l'uomo talvolta è conoscere la volontà di Dio, ma quando è nota non vi è più difficoltà né ostacolo che debba opporsi. Forse Dio non ha mostrato di ottenere sovente degli effetti insperati con mezzi affatto inadatti al fine? ... Una prova si ha anche nella Società del SS. Crocifisso: chi avrebbe pensato a tanto sviluppo? ... dove mette il suo dito Dio nulla vi ha da temere e tutto da sperare ... La loro dev'essere assolutamente un'opera di Dio; solo a queste condizioni il nostro Istituto ha fatto il sacrificio di lasciar intraprendere un'opera di tal fatta in questi momenti in cui tanto difettiamo di personale. Ma Dio lo vuole e noi abbiamo fatto il sacrificio. Ora non si guasti l'opera di Dio con andar contro alla sua volontà con un titolo che non sarebbe quello dettato da Dio ... Sia quello che vuole Dio che ha voluto l'opera ". La lettera era scritta dalla casa generalizia nel Belgio, e F. Leopoldo la trascrive senza fare alcun commento né prima né dopo, ma essa gli portò certo un po' di soddisfazione in quei giorni che egli stesso chiama di persecuzione, di vespaio. E aggiunge: " Pazienza verso di me che sono peccatore e merito molto di più di quello che vanno spargendo, ma ciò che di più mi addolora è che non vogliono credere che è volere di Dio il dare il nome di carità e qualcuno di loro è uscito con termini poco rispettosi contro il SS. Nome di Dio Gesù Crocifisso, mio amabilissimo amore e mio tutto ". Gli eventi gli dettero completamente ragione. La scuola professionale fu fondata poi secondo le sue indicazioni e anche il nome di Casa di Carità trionfò e col nome anche quanto aveva promesso: la benedizione di Dio, perché appena accettata la denominazione cominciarono a giungere ogni sorta di aiuti materiali e morali. Ma non piacque al Signore che egli vedesse quaggiù tutto ciò. Anzi la lotta che dovette sostenere servì solo a purificare l'anima sua e arricchirla di meriti per la chiamata al premio eterno. Difatti gli oppositori non solo abbandonarono il Comitato, ma vi fu chi volle chiudere la bocca per sempre al Servo di Dio. Oltre a parlarne poco favorevolmente e a considerare come noioso, importuno e incompetente il suo intervento in questioni scolastiche ( e poteva giudicare diversamente un povero cuoco, che non aveva neppure compiuto il corso elementare, chi non lo considerava se non un visionario? ), fece pressione sul suoi Superiori affinché proibissero a lui di occuparsi della scuola di arti e mestieri. E così fu ordinato. Il fatto che neppure i Superiori si erano accertati di avere tra i loro sudditi un vero Santo spiega e in parte scusa quell'atto precipitoso e per nulla giustificato, perché F. Leopoldo non aveva che trasmesso a chi lo interrogava i detti che il Signore gli faceva scrivere, né si poteva per questo parlare di interventi importuni. Ed egli tacque. Gli si proibì di ricevere persone; si parlò anche di un'inchiesta sulla sua vita, che poi non venne; per equivoco egli si credette anche abbandonato dal suo amico più intimo, Fratel Teodoreto, che invece, e non lui solo, lo difendeva con quell'affetto che viene dalla sicurezza di essere l'amico di un santo e conoscitore perfetto dell'anima di lui. Non si lagnò con nessuno, non protestò, non si difese. I suoi lamenti li faceva solo col suo Signore nei colloqui e preghiere di ogni giorno. Il 14 dicembre 1921 nel fare l'Adorazione solita ( così si legge nei suoi scritti ) si lagnò con Lui dicendo: " O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! Disse Gesù: Fa coraggio! non siamo due amici? Oh grazie Gesù! a Te hanno fatto ben di peggio! " Ai dolori morali per la questione della scuola professionale si aggiunsero anche quelli fisici. Da tempo la malattia di cuore lo tormentava e gli toglieva le forze. Eppure continuava nel suoi lavori con la stessa assiduità. In quei mesi di dolori, il Guardiano gli aveva dato anche l'incarico di preparare i numeri per un banco di beneficenza. Narra il suo aiutante di cucina Sebastiano Ellena che nell'arrotolare i biglietti e infilarli negli occhielli faceva fatica e sovente gli cadevano le mani come inerti. Si rifiutavano di ubbidire e spesso ripeteva: Non riesco più! Eppure la volontà perseverava e il lavoro fu fatto lo stesso. Chi conosce la storia del Santi non si stupisce dì tutto ciò. È l'opera di Dio che purifica i suoi eletti. Sono gli ultimi tocchi del Divino Artista alla sua creazione. Quei dolori servirono a distaccare F. Leopoldo da qualunque, anche leggero legame della terra. Più nulla doveva occupare il suo cuore e la sua mente fuori dello, Sposo Celeste. Il Santo I contrasti e le contraddizioni che il Servo di Dio ebbe a subire per la questione della Casa di Carità ci danno modo di parlare di alcune sue virtù che finora non abbiamo avuto occasione di mettere in completa luce. L'atteggiamento che egli tenne durante le discussioni sul nome da porre alla scuola professionale e sui mezzi per attuarla lo dimostrano molto fermo, rettilineo, tenace, incurante delle contraddizioni, e alle volte minaccioso. È la fortezza dei santi, che avendo una missione da compiere per volontà di Dio, non badano agli uomini e alle loro prudenze, ma solo cercano di farla trionfare. La fortezza di F. Leopoldo è proprio questa, quindi tranquilla, perché sicuro che il fine sarà raggiunto. Le offese avute non servirono che a purificare la sua anima e a raffinarla fino alla morte. Non era la prima volta che F. Leopoldo provava contraddizioni nella sua attività di bene. Ne ebbe altre e si possono ricordare il fatto del Collegio del Pozzo a Vercelli e le opposizioni avute a Terruggia, come abbiamo già narrato. Ma oltre a queste prove che appaiono e colpiscono di più, vi furono quelle giornaliere, meno note, ma irritanti e noiose come piccole punture di aghi che mettono a dura prova la virtù di un uomo. Ora come abbiamo visto sereno e forte il Servo di Dio nelle cose grandi così lo vediamo nelle piccole e giornaliere. " Non lo vidi mai in collera, dice il giardiniere del castello di Viale, Emilio Navone, ma accettava con serenità e rassegnazione le avversità della vita ed era sempre di buon umore ". " Sempre sereno di fronte alle croci e alle avversità ", dice un altro teste, che conobbe da vicino il Servo di Dio, il cav. Luigi Vacca. Nel ventennio che abitò a S. Tommaso nessuno lo vide mai alterato sì che i motivi non mancavano. Un giorno mentre stava in cucina attento a non lasciar che il fuoco rovinasse quanto stava cuocendo, entra il Superiore e gli chiede qualcosa. Non potendo immediatamente servirlo, senza danneggiare quanto teneva nelle mani. si senti ripetere bruscamente l'ordine con delle parole pungenti e poco delicate tanto che un signore presente si senti in dovere di prendere le parti del cuoco. Il Superiore tacque e fu servito; ma appena uscito, F. Leopoldo riprese dolcemente quel signore dicendogli: "So che Lei mi vuoi bene e per questo ha voluto prendere le mie parti, ma ha torto a sgridare il mio Superiore; egli aveva ragione di rimproverarmi perché non fui pronto a servirlo. Egli sembra burbero, ma è molto buono ". Quando era già molto malato di cuore e non poteva attendere con l'antica energia ai suoi lavori non fu subito compreso, e spesso ricevette rimproveri come di negligente, di scansa fatiche; spesso non glielo si diceva apertamente, ma veniva a sapere da altri quanto era stato detto e quei giudizi ingiusti e offensivi avrebbero in altri meno santi di lui prodotto almeno una reazione di difesa più che legittima. Invece mai egli elevò un lamento o si dimostrò di cattivo umore. Anzi scusava sempre e trovava una parola buona per spiegare le azioni e i giudizi a lui sfavorevoli. " In diciassette anni che io fui con lui a contatto continuo, dice Sebastiano Ellena, suo aiutante di cucina, ne sentii tante e ne vidi tante di cose di questo genere, ma mai che abbia visto una volta F. Leopoldo lagnarsi o dire parola contro chi gli mancava di riguardo o sparlava di lui. Continuava col solito sorriso caratteristico in lui a occuparsi dei suoi doveri e se qualcuno voleva prendere le sue difese, ecco subito spiegare che chi aveva detto quelle cose lo aveva fatto per fin di bene e che era lui che aveva mancato ". "A cercare di scuotere quella serenità e imperturbabilità intervenne pure il demonio, che alle volte lo veniva a tormentare anche in cucina, come confessò egli stesso al medesimo Ellena. Un giorno mentre pregava, in sua cella, il demonio lo scosse e percosse fortemente ed egli per liberarsi diede di mano alla disciplina, si flagellò e fu libero. Un sacerdote che lo conobbe intimamente dice: " All'Inizio della vita religiosa il demonio visibilmente lo tormentava ". In simili casi ricorreva alla preghiera e alla penitenza. Come era forte nel sopportare i dolori morali così lo era in quelli fisici. Nella cucina sotterranea dei Conti di Chiusano in via Bogino 12 in Torino F. Leopoldo aveva preso dei reumi che lo facevano soffrire molto, ma non tralasciò mal i suoi doveri; continuò a lavorare come prima senza lagnarsi, facendo sforzi visibili. Ecco ancora una testimonianza di uno che lo conobbe in tutta la sua vita religiosa: " Non vidi mai F. Leopoldo in collera, ma sapeva comandare a se stesso frenando i movimenti dell'ira, nei momenti di contraddizione. Sopportava con la pazienza dei santi le tribolazioni della vita e le punture delle lingue poco benevoli. Con uno sguardo al cielo e un sorriso sfiorante sul labbro ripeteva: Tutto per Te, o Signore ". Vi fu anche chi lo credette un fatuo o quasi, un povero visionario illuso e di lui parlava in tale senso. Ne si accontentò di ciò, ma volle burlarsi di lui con uno scherzo indegno. Era quasi di casa a S. Tommaso costui, conversava spesso con F. Leopoldo; godeva buona fama di oratore e anche di scrittore di articoli e di opuscoletti. Sappiamo già che il Servo di Dio aveva una grande venerazione e rispetto verso i Sacerdoti. Un giorno ecco che con grande serietà quel sacerdote narra a F. Leopoldo di visioni avute e che prima aveva ben concertate; gli chiede consigli ecc. Il servo di Dio, ben lontano dal supporre di trovarsi davanti ad un burlone ( poteva immaginarlo in uno che gli parlava seriamente anche subito dopo celebrata la Messa? ) dapprima gli credette. Quando si accorse fu dolore grande per lui, non tanto per l'offesa personale fattagli, quanto per l'atto in se stesso, che in conclusione era un'offesa a Dio. Non si lagnò, non parlò, non gli mancò di rispetto mai; lo trattò con la stessa gentilezza e cordialità di prima: solo non diede più retta alle sue sciocchezze e fece capire così, che non soltanto non era un fatuo, ma sapeva agire da santo. Vi fu pure un altro, che con lui dimorò a S. Tommaso qualche anno e che mise a dura prova la sua virtù. Non solo costui non credeva a speciale santità del Servo di Dio ( lo sappiamo già che essa era ignorata dai più ), ma lo trattava duramente e non gli risparmiava parole pungenti e sprezzanti: lo stimava e lo indicava come uno sciocco e glielo faceva capire senza alcuna delicatezza. Certe scene spiacevano anche ad altri religiosi e uno di questi narra che fu edificato dal contegno umile e dalla sorridente calma con cui il Servo di Dio accettava le umiliazioni. Anzi, avendo alle volte cercato di confortarlo, lo sentì soltanto dire: " Bisogna che noi preghiamo per lui ". E pregava davvero, dimostrando una sollecitudine speciale. Con l'intuizione propria dei santi vedeva forse il futuro? oppure certe cose presenti gli facevano temere l'avvenire? Comunque, il Servo di Dio seppe sopportare con pazienza ammirabile anche tale prova, rispondendo con la sua preghiera alle offesa, al dileggio di chi lo credeva solo un povero illuso e forse il dileggiatore deve proprio alle preghiere del santo cuoco se le vicende della sua vita non furono peggiori di quelle che sono state. Diversamente si diportava quando si trattava dell'onor di Dio e della verità. Ricorderemo solo il suo atteggiamento nella questione del nome di Casa di Carità per la scuola di Arti e Mestieri e del fondamenti sul quali doveva erigersi. Lo abbiamo già fatto notare più sopra; ma vi è ancora un fatto caratteristico da osservare. Oltre quelli che lo perseguitavano e ne parlavano con disprezzo, vi furono anche di quelli che gli proponevano di usare nel difendere le sue vedute sulla Casa di Carità un linguaggio meno schietto, meno assoluto, ma in realtà era una ritrattazione che si trattasse della volontà divina. Nel suo diario vi è il seguente episodio molto istruttivo al riguardo: " La sera del 29 marzo alle ore 6.30 il mio buon P. Guardiano, P. Vittorio Delaurenti da Feletto mi chiamò a se e mi disse: Dica un po', alcuni vanno sparlando di Lei e avrei bisogno di sapere come sono queste cose, per poterlo nel caso difendere. È vero che Lei vuole dare il nome di Carità Arti e Mestieri alle scuole dirette dai Fratelli delle Scuole Cristiani? Ma, P. Guardiano, io non ho che eseguito il volere di Dio Gesù Crocifisso. Ma Lei poteva dirlo in modo senza dire che è nostro Signore. Ma, P. Guardiano, se è così! ... è la volontà di Dio! " Questo dialogo il Servo di Dio lo riporta senza alcun commento né altra spiegazione. Il Guardiano non faceva che consigliargli quanto avevano proposto altri. Ma nessuno riuscì a smuoverlo né si poté mai indurlo a smentirsi. Qui non era più la sua persona che era in discussione, ma la parola di Dio. Confrontando quanto oggi vediamo con la condizione in cui si trovava allora F. Leopoldo, perseguitato, proibito di ricevere persone, abbandonato da tutti, possiamo valutare meglio la sua fortezza. Quella costanza nell'affermare e sostenere il nome e la natura della Casa di Carità non era ostinazione caparbia, ma lotta per la verità e per l'onore della parola di Dio, sicurezza che nonostante le opposizioni della prudenza umana, quanto egli annunziava come portavoce di Dio avrebbe trionfato, come trionfò. Quasi non bastassero i dolori a lui procurati dagli uomini e dal demonio F. Leopoldo pensava a procurarsi da sé mortificazioni e penitenze. Non era forte di salute, per quanto fosse sano. Di costituzione era piuttosto delicato, ma penitenze continue seppe escogitare nella sua vita. Farcissimo nel cibo, che spesso si riduceva a ben poca cosa e alle volte saltava completamente il pasto. Abbiamo già detto che si disciplinava sovente per vincere il demonio. La cura che metteva per nascondere questi atti di virtù ci impediscono di conoscerne la qualità e la quantità; solo poco è trapelato, ma sufficiente per affermare che fu eroico anche in questa virtù. Una vera eccezione il fatto che lasciò scritto nel suo diario. È evidente lo sforzo per ricordare non una sua virtù, ma i benefici ricevuti da Maria SS. come pure è evidente la perizia e la delicatezza onde evitare anche la minima ombra di offesa alla carità. Ecco il racconto edificante: " Il giorno 23 dicembre ( 1908 ) verso sera la febbre mi sorprende e tenni il letto, giovedì e venerdì 25 dello stesso mese, giorno del SS. Natale, e noi Religiosi Francescani essendo al venerdì obbligati al digiuno secondo la nostra santa Regola, alle ore 1,30 dopo mezzogiorno mi portarono per cibo un po' di polenta fredda condita col sale, che mangiai con gusto, e un po' di vino annacquato, pensando a Gesù Bambino che nella notte antecedente era nato ... Appeso al mio letto tengo un'Immagine di nostra Signora, nella quale nutro grande fiducia e devozione la quale mi disse in cuor mio: Mangia figlio mio, che tu sei uno dei più fortunati. Lascio al devoto lettore pensare quanto amabili questi incoraggiamenti al bene e alla virtù; essere incoraggiato dalla Divina Madre del Salvatore, la delizia degli Angeli ". Al racconto egli non fa seguire alcuna osservazione o commento e seguendo il suo esempio non ne faremo neppur noi. Il silenzio che egli tenne sempre intorno a questa virtù della mortificazione se ci impedisce la conoscenza di altri episodi del genere, mette in vista e in piena luce quella dell'umiltà. Essa sovrasta tutti gli atti della sua vita e ci rende sommamente simpatica la figura di F. Leopoldo. A quale altezza di perfezione lo ha condotto l'umiltà, base e fondamento della santità! Egli toccò le vette della perfezione dei santi, entrò nella più alta mistica senza tarsi accorgerò dagli uomini. Egli parlava familiarmente già con Dio, aveva rivelazioni, faceva profezie, otteneva grazie con le sue preghiere; aveva divine carezze dalla Madre di Dio, quando ancora era tenuto come un fatuo o un visionario da alcuni, ignorato da chi gli stava vicino. Lui solo conosceva e godeva la grande predilezione che Dio gli concedeva e fu allora che col cuore pieno di gioia e di amore scriveva nel suo diario: " Chi sono lo, o buon Gesù, per usarmi tante finezze? ... Io mi veggo solamente un vermiciattolo della terra ". Sono parole comuni tra i Santi, perché essi, meglio che non gli imperfetti, conoscono la distanza che li separa dalla perfezione di Colui che solo poteva gettare la sfida: " Quis ex vobis arguet me de peccato? ". Dinnanzi alla perfezione assoluta anche i Santi appaiono difettosi ed essi lo sanno, lo vedono chiaramente quanto più si avvicinano a Quella. L'umiltà lo portava a considerare tutti gli altri come migliori di lui, a non trovare in essi difetti o meglio a saperli coprire; gli dava quella delicatezza di tratto e di parole che avvinceva, quella facilità di sottomettersi al giudizio altrui quando non si trattava direttamente di Dio, quel suo fare naturale nel fuggire le lodi e gli onori. " Beati i mondi di cuore perché vedranno Dio ". ( Mt 5,3 ) Quanto abbia amato la purezza lo abbiamo visto fin dalla sua infanzia. Lo " Sposo del SS. Crocifisso ", il "Segretario della Madonna" non poneva essere che un puro. Mai dal suo labbro si poté udire parola men che pudica; se la sentiva da altri correggeva dolcemente se poteva, cambiava discorso oppure abbandonava la compagnia. Riservatissimo con tutti, lo era in modo speciale con le donne il suo contegno imponeva subito rispetto e nessuno alla sua presenza avrebbe osato anche solo scherzare su certi argomenti. La sua mente era troppo piena della visione del Crocifisso e della bellezza della " Mammina " celeste come chiamava la SS. Vergine, per lasciarsi attirare da bellezze e piaceri del mondo. " L'innocenza del venerando vecchio, scrive il prof. Luigi Andrea Rostagno, s'appalesava perfino nella non conoscenza del male che è nel mondo e imporporava il nobile volto di lui ogni pur lontano accenno a cose di questo genere ". Insensibile alle attrattive dei piaceri del mondo, lo fu in modo egualmente perfetto dai beni materiali. Quanto guadagnava lavorando nel mondo fin che visse sua mamma lo mandava a lei; se poteva avere qualche denaro era per i poveri verso i quali sentiva attrattiva particolare. Diventato Francescano poté liberarsi completamente da ogni bene terreno. Con quale gioia, il 4 aprile del 1909 poteva scrivere nel suo diario: " Mamma Santissima, non ne posso più, tanto desidero di scrivere a mio fratello che definitivamente si prenda la casa e la terra che da anni gli lasciai godere. La Regola comanda di rinunciare a tutto e ciò è per ree il gaudio anticipato. Così sarò libero dalle molestie della roba del mondo e respirerò aria molto libera e potrò amare più da vicino il mio caro Gesù e la sua SS. Madre; giacché la rovina più grande, il male peggiore è quello di colui che per i beni di terra è impedito di amare Dio e la sua SS. Madre Maria Vergine ". E la gioia gli fu data il 29 di quello stesso mese con la sua professione solenne. Era sagrestano di S. Tommaso durante la permanenza di F. Leopoldo, come fu già detto a suo luogo, F. Guido Franchino, di vita molto austera, di osservanza esemplare, e quindi capace di giudicare con cognizione di causa. Ed ecco ciò che testimonio dal Servo di Dio in fatto di povertà. " Era poverissimo nei vestiti, internamente tutti rappezzati; la sua cella era disadorna quanto mai, senza nulla di superfluo ". Cuciva egli stesso le sue robe e gli abiti suoi; sebbene vecchi, erano sempre puliti. E questo spirito di povertà lo volle imprimere nei Catechisti del SS. Crocifisso, che vivono fondati soltanto sulla Divina Provvidenza, come abbiamo detto parlandoci essi. È l'eredità francescana che volle lasciare a questi beniamini del suo cuore, a questi propagatori dei suoi ideali, destinati secondo le sue promesse a far trionfare nel ceto operaio la fede e l'amore al Divin Redentore. L'amor di Dio! ... È il movente di tutta l'attività interna ed esterna di F. Leopoldo. Tutto indirizza, a Dio, pensieri, affetti, desideri, aspirazioni; non pensa che a Lui, non parla che di Lui. Lo vorrebbe vedere amato da tutti e soffre nel vedere, sentire bestemmiatori. Il suo voluminoso diario ci soccorre su questo punto, senza bisogno di ricorrere a testimoni. Bisognerebbe riportare tutte le pagine per scoprire il fuoco, l'entusiasmo del cuore suo innamorato quando parla del suo Signore, del Crocifisso, dell'Eucaristia. Sono pagine vive, ardenti anche se le frasi non osservano le leggi grammaticali. Sa costringere anche il suo linguaggio di illetterato a espressioni sublimi. L'amore lo fa anche diventare poeta. È ciò che vediamo nei santi, nei mistici soprattutto. Presi dal fuoco che li arde e li spinge sentono il bisogno di cantare, di esprimersi melodiosamente. F. Leopoldo come non sapeva bene la grammatica e la sintassi, così ignorava le regole della poesia; ma sotto il calore dell'amore di Dio, sa cantare anche lui. Il suo diario è sovente infiorato di strofe. I versi sono alle volte con rima altri con assonanze. La forma è sempre zoppicante, ma il sentimento è quello del santi, che nasce dall'amor di Dio. Sono più frequenti le strofe indirizzate a Maria SS. e quasi tutte nei primi anni della sua vita religiosa. Ma sia in prosa, sia in versi il tema dell'amor divino è svolto mirabilmente col linguaggio inarrivabile dei mistici. E quanto sentiva cercava di trasfondere negli altri. Ad ogni occasione che si presentava parlava di Dio, del Crocifisso, dell'amore che Dio ha per gli uomini. Invidiava i Missionari perché potevano far conoscere, far amare Dio. " Oh se lo non fossi vecchio, diceva un giorno ad alcuni missionari francescani che partivano per la loro destinazione, andrei anch'io nelle missioni! " e li esortava a partire volentieri, per dare a Dio molte anime. Il sacerdote D. Giuseppe M. Visetti ebbe da F. Leopoldo l'impulso per andare nelle missioni di Terra Santa e prese occasione da ciò per propagare la Devozione sua al Crocifisso. Lo pregò di zelarne la diffusione cosa che il Visetti accettò, curandone la traduzione in lingua araba. Egli avrebbe voluto che tutti gli uomini provassero i suoi ardori e gustassero le sue gioie nell'amor di Dio. " Oh se i peccatori, scrive nel Diario, sapessero ciò che sta nascosto nel Crocifisso Gesù, invece di bestemmiare il SS.mo suo nome si getterebbero prostrati a terra, si struggerebbero ... Quanto è buono il Signore! ". Lo scrisse, ma lo ripeteva a voce a tutti. Occorrerebbe riportare quasi tutte le pagine del suo Diario per mettere in piena luce quel fuoco divino che lo bruciava continuamente. Ho solo accennato ad alcune virtù del Servo di Dio, ma chiunque è giunto a leggere fin qui, può formarsi un concetto anche di tutte le altre che abbelliscono l'anima di questo innamorato di Gesù Crocifisso e di Maria SS. Nessuna meraviglia quindi se Dio gli ha concesso pure doni specialissimi che dimostrano anche all'esterno la grandezza della santità a cui giunse. Divini carismi Raccolgo in questo capitolo alcuni fatti straordinari attribuiti a F. Leopoldo mentre era ancor in vita. Essi sono attestati da testimonianze e documenti al di sopra di ogni sospetto. Sono soprattutto predizioni di cose future, che non si possono spiegare naturalmente e che suppongono doni speciali concessi da Dio ai suoi santi. Non sono certo questi doni che formano la santità, ma la manifestano e, fuori di casi eccezionali, la confermano. La più importante sua profezia è certamente quella che riguarda la fondazione della Pia Unione del SS mo Crocifisso e di Maria Immacolata. Oggi essa è un fatto compiuto e proprio in quest'anno ebbe l'approvazione pontificia definitiva. A F. Leopoldo fu rivelata fin dal 1908 come risulta dal suo diario. Il 29 agosto di quell'anno scrisse queste parole: " L'Ordine che sorgerà sia coltivato prima di tutto colla pietà, colla ( reciproca ) assistenza e umiltà coll'attività e modestia e grande carità fraterna; unito a Gesù Crocifisso portare la croce con gaudio ". Il 17 gennaio del 1912 ritorna su ciò e nota le parole che gli detta Maria SS. e cioè: " L'Opera che verrà sarà mondiale, abbondanti frutti darà l'opera magistrale "; e ancora il 19 gennaio dello stesso anno sempre da parte di Maria SS. : " È specialmente questo tesoro che io voglio, il buon esempio, quando l'Opera sarà completa ". Più chiaramente ancora il 22 maggio di detto anno: " Io sono la Protettrice dell'Ordine, Opera della SS.ma Adorazione e tu sei il Maestro ". Il 7 gennaio del 1913 sempre sullo stesso soggetto scrive le parole che gli fa sentire la Madonna: " Lo Spirito Santo discenderà sull'Opera. Avranno le più elette benedizioni. Copiosissimi saranno i frutti che darà. Il mondo si trasformerà. La carità fiorirà ". Confrontando avesti detti con quanto abbiamo narrato intorno all'origine e sviluppo dell'Unione del SS. Crocifisso ognuno può vedere come tutto si sia avverato e continui ad avverarsi. Fa osservare Fratel Teodoreto che " tali predizioni furono avverate per la massima parte, nell'opera dì persone ignare delle medesime ". Lo stesso Fratel Teodoreto narra nel suo libro le seguenti predizioni del Servo di Dio. " Nel 1914, scoppiata la guerra tra la Germania e la Francia i Fratelli delle Scuole Cristiane residenti a Rivalta Torinese con più di cento minorenni, tutti francesi, erano in grande perplessità perché separati dal propri superiori bloccati nel Belgio; essi non sapevano se rimanere in Italia o ritornare in Francia. I Fratelli di Torino si rivolsero a F. Leopoldo, il quale dopo aver pregato, rispose prima a voce e poi per iscritto: " Carissimo Fratello Teodoreto ( 12 agosto 1914 ). Pregai il SS. Crocifisso secondo il suo desiderio: Gesù disse che la risposta è quella già data nel momento in cui lei venne da me, cioè la guerra tra l'Italia e la Francia non verrà; ma riguardo ai giovani francesi mi fa premura di rispondere subito ( me lo disse due volte di affrettare, perché i giovani Maestri sono sconfortati ), mi disse di far loro coraggio e soggiunse: Io li nascondo nel mio Divin Cuore ". I Fratelli Francesi col giovani loro affidati restarono a Rivalta e per riconoscenza cominciarono a propagare la devozione a Gesù Crocifisso nella loro patria ". In modo dunque non dubbio e con parole chiarissime il Servo di Dio annunzio che la guerra tra la Francia e l'Italia non sarebbe avvenuta e ciò in tempo in cui nessuno sapeva duale decisione avrebbe preso l'Italia nel conflitto mondiale. Tutti conoscono le vicende di quel giorni. Narra ancora Fratel Teodoreto: " In principio di agosto del 1918 usci un decreto che richiamava cinque classi anziane sotto le armi. I Superiori delle Scuole Cristiane, fatto lo spoglio dei soggetti che avrebbero dovuto presentarsi alle armi, si videro nel pericolo di dover chiudere molte case. Era prossima l'apertura delle scuole e occorreva risolversi presto per avvisare le rispettive autorità locali. Si rivolsero a F. Leopoldo perché pregasse il Signore di illuminarli su quello che dovevano fare. F. Leopoldo pregò e rispose in data 18 agosto: " Pregai nel Santuario di nostra Signora dinanzi a Gesù Sacramentato e posi lo scritto accanto alla porticina del Tabernacolo; ebbi da Gesù Sacramentato questo detto: La guerra sta per finire, sistemino le loro Case. Il 4 novembre cessarono le ostilità. Il grand'uff. Achille Cavallotti che come abbiamo altrove accennato fu amico, ammiratore, difensore di F. Leopoldo, narra le seguenti profezie di lui. Alcuni giorni prima che il mondo avesse notizia della malattia che condusse alla tomba Pio X, andato a visitare, come era solito, in S. Tommaso F. Leopoldo, questi assai mesto gli disse che il Papa era ammalato grave e che non sarebbe più guarito. Riferì il colloquio al Card. Richelmy, che senza mostrare alcun segno di credere o no, gli disse che notizie non erano giunte e che ad ogni modo si pregasse per il Papa. Il giorno dopo ritornò dal Servo di Dio e si parlò di nuovo dello stesso argomento. Cavallotti fece osservare a F. Leopoldo che né dai giornali né da altre fonti si aveva notizia della malattia del Papa e del resto poteva anche non esser grave, ma questi replicò che era malattia grave e che sarebbe morto. Il giorno stesso i giornali della sera annunziavano che il Papa era ammalato, alcuni giorni dopo che la malattia si era aggravata e poi avvenne l'annunzio della morte. Vista avverata la profezia sulla morte di Pio X, il Cavallotti interrogò F. Leopoldo se sapeva chi ne sarebbe il successore ed ecco la sua risposta: " Sarà un Cardinale che è devoto della Consolata e che ha parenti a Torino ". Il pensiero suo corse subito al Cardinale Richelmy e lo disse al Servo di Dio, ma questi lo assicurò che non si trattava di lui, ma di un altro, ripetendo quanto aveva detto, e aggiungendo che la prima benedizione del nuovo Papa sarebbe stata per i Torinesi, figli della Consolata. Anche questa volta il Card. Richelmy, udita la relazione non diede alcun segno di credere o no, ma capì a chi volesse alludere F. Leopoldo, come disse poi dopo il conclave allo stesso Cavallotti. Si sa che contro l'aspettativa di tutti venne eletto il Card. Della Chiesa, Benedetto XV e si sa pure che aveva parenti a Torino, il barone Gianotti ad esempio, che era devotissimo della Consolata; ma non tutti forse sanno che la prima benedizione fu proprio per i Torinesi, perché il primo ad ossequiare il neoeletto fu il Richelmy, che gli era vicino di trono nel conclave. E nel dare la benedizione, dice Cavallotti, disse appunto che era per i Torinesi, figli della Consolata, di cui egli era devoto. Un particolare che riguarda la sua persona, narra ancora Cavallotti, e cioè che F. Leopoldo gli aveva detto che il Card. Richelmy lo avrebbe scelto come accompagnatore al conclave, cosa che egli non poté sapere se non alla vigilia della partenza, perché il Cardinale aveva voluto conservare su ciò un segreto ermetico. Per il 31 maggio del 1914, giorno di Pentecoste, Fratel Teodoreto aveva fissato per i giovani dell'Unione del SS. Crocifisso un ritiro spirituale nella Villa S. Giuseppe a Pessinetto nella Valle di Lanzo, a 40 chilometri da Torino. Ma ecco che appena stabilito il giorno incominciò un periodo di piogge dirotte, e insistenti, tanto che tutti dubitavano che si potesse tare il ritiro. Il problema importava difficoltà perché dovevasi portare a Pessinetto il necessario per la giornata. Il giovedì antecedente la domenica continuava piovere e allora Fratel Teodoreto si portò da F. Leopoldo esponendogli il progetto che aveva ideato, che importava di dover per l'occasione far preparare a Pessinetto la cappella, la cucina, i letti ecc. e raccomandandogli di pregare altrimenti il ritiro era impossibile a causa della pioggia. Il giorno seguente venerdì di mattino mentre il Servo di Dio pregava secondo la raccomandazione di F. Teodoreto, la Madonna gli disse: " Cesseranno le piogge e avranno una bella giornata ". Intanto piovve ancora tutto quel giorno e anche il sabato fino alle ore 12. Ma secondo la parola del Servo di Dio, quando i giovani catechisti si erano portati alla stazione per la partenza, fissata alle ore 16 di sabato, videro i primi raggi di sole far capolino tra le nuvole diradate. La domenica fu bellissima giornata, che premiò la loro fede e la loro pietà. Sono poi molti quelli che attestano di aver avuto da F. Leopoldo assicurazioni di eventi futuri riguardanti la loro persona o quelle di esseri cari. Si ricordi quello che ho già narrato sulla guarigione veramente miracolosa del mio fratello. Un altro fatto lo si può leggere nei suoi particolari nel Bollettino dei Catechisti: " L'Amore a Gesù Crocifisso " nel numero magglo-agosto del 1946 e che è eloquentissimo, sia per provare questo suo carisma, sia per la sua sicura direzione spirituale delle anime. Specialmente durante la guerra mondiale del 1915-18, sono senza numero quelli che chiesero a lui preghiere, consigli, assicurazioni sui loro cari chiamati alle armi. A tutti rispondeva secondo quanto il Signore o la Madonna gli rivelavano e molti ebbero la gioia di sentirsi assicurati prima dalle sue parole e poi dagli eventi da lui predetti. Il Signore che gli aveva rivelato cose che riguardavano altri, gli fece anche la grande grazia di fargli conoscere in anticipo il tempo della sua morte. Verso la fine dell'estate del 1921 egli andò a Terruggia sua patria. Volle visitare tutti i parenti e amici. La sua cugina Cavallone Angiola narrò più volte a me e ad altri che in quell'occasione F. Leopoldo le manifestò che era l'ultima volta che la visitava e che l'anno prossimo non sarebbe più tornato perché morto. " Lo vidi più del solito delicato nel parlare, diceva la Cavallone, più affettuoso come uno che saluta alla partenza per un paese lontano e ebbi la certezza e il dolore di non vederlo più, perché sapevo che era un santo ". Mi mostrava dove si era seduto quell'ultima volta. Non nascose neppure ad altri la sua prossima fine; si raccomandava alle preghiere di tutti, dava consigli e finiva sempre di dire che non sarebbe più tornato a Terruggia. Non era mesto, anzi parlava della sua prossima morte come di cosa desiderata e aspettata con impazienza. In quello stesso anno 1921 scrisse a D. Carlo Gadda, allora chierico del Seminario d'Aosta, gli auguri per la tonsura che stava per prendere e gli univa nella lettera quelli per l'ordinazione futura, perché " allora sarebbe stato morto ". Al catechista rag. Giovanni Cesone disse, ancor più precisando il tempo della morte: " Quando mi ammalerò in modo da mettermi a letto, sarà per morire ". Ad un'altra persona pure disse chiaramente: " Quest'anno ( 1921 ) è l'ultimo per me, perché il Signore mi chiama in Paradiso ". Questi doni che Dio concesse al suo servo ci assicurano a qual grado sublime di santità era giunto l'umilissimo cuoco di S. Tommaso. In quegli ultimi mesi della sua vita se egli si sentì abbandonato e anche offeso dagli uomini, si trovò più vicino a Dio che gli mostrava la gloria ormai vicinissima. "Vado in Paradiso" " Appena mi ammalerò in modo da dovermi mettere a letto: sarà per morire ". Quel giorno venne dopo il 20 gennaio 1922. Da parecchio tempo la malattia di cuore gli rendeva oltremodo faticosa la scala che doveva percorrere per salire alla sua cella, che si trovava al terzo piano. Lo vedevano tutti, ma pure non diceva nulla e continuava nel suoi lavori e nel suoi esercizi di pietà, con la consueta diligenza e col solito zelo. Ma un giorno lo colse la febbre e dovette mettersi a letto. Il medico venne e sentenziò che era polmonite. Prescrisse i soliti rimedi, diede le solite istruzioni, forse egli stesso convinto che erano tentativi inutili, stante la debolezza estrema del cuore. Chi più di tutti era persuaso che le medicine erano inutili fu F. Leopoldo, come possiamo dedurlo da quanto abbiamo detto sulla sua sicurezza di morire, annunziata a tanti e da lungo tempo. Tuttavia, ubbidiente come sempre, prendeva le medicine che gli presentavano quelli che lo assistevano. Tra questi vi era un giovane chierico francescano, che doveva seguirlo nella tomba non molto dopo, F. Bernardino Boria, ed anche a questi disse chiaramente che era al termine della vita. Il giovedì, 26 gennaio, il Servo di Dio chiese a F. Bernardino: " Che giorno è oggi? ". " Giovedì ", rispose. " Giovedì, venerdì ... sabato è l'ultimo: che grande grazia mi ha fatto il Signore! Questa volta vado in Paradiso". I Religiosi di S. Tommaso lo visitavano a turno, gli dicevano quelle parole che la carità detta in quel momenti e che servano a confortare, spesso a illudere gli ammalati. Il Curato. P. Vincenzo Vallaro, lo confortava appunto in una delle visite, dicendogli di sperare la guarigione come era avvenuto altre volte, ma egli rispose con sicurezza: " Questa è l'ultima mia malattia e vado a trovare la Mammina ". Vennero a visitarlo anche parecchi secolari e Fratel Teodoreto. Questi anzi avrebbe desiderato fargli conoscere che era in errore sul suo conto, quasi lo avesse abbandonato e avesse perduto la fiducia in lui. Ma non vi fu bisogno. F. Leopoldo lo ricevette con la solita affettuosità, col solito sorriso, conscio che quel discepolo esemplare, che lo aveva così bene capito, era il suo erede spirituale, che avrebbe continuato quanto insieme avevano iniziato e condotto a buona vitalità. Vennero i Catechisti, figli del suo cuore, e volle dare ad essi un'ultima dimostrazione del suo affetto. Quando vide il rag. Giovanni Cesone accanto al suo letto, si rivolse al P. Vallaro pregandolo di dare una benedizione speciale a lui e nella sua persona a tutti i suoi confratelli Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata. Ottenutala disse al Cesone: " Porti la benedizione a tutti i Catechisti presenti e futuri ". Era la preoccupazione, l'interessamento del Padre verso i figli, che sta per lasciare definitivamente e che lascia eredi delle sue idealità. Di essi era stato il profeta, l'intermediario tra Dio e il loro fondatore, ed ora li vuole benedetti in modo particolare quasi per assicurarli che veglierà su essi nell'eternità. Chiunque lo visitava riportava l'impressione che F. Leopoldo col suo pensiero non fosse più sulla terra. Ogni giorno gli si portava la S. Comunione, che riceveva con trasporto di Serafino. Nessuno pensava che il pericolo di morte fosse imminente e perciò non si credeva urgente amministrargli l'Estrema Unzione. Ma egli insisteva che la Comunione gli fosse amministrata in forma di Viatico e gli si desse l'Olio Santo; lo si dovette accontentare, il giovedì 23 dal P. Ernesto Ferrarotti allora vicecurato di S. Tommaso. Appena ebbe ricevuto quanto gli stava a cuore, dice lo stesso Padre, non finiva più di ringraziarlo come di una carità e favore straordinario e si dimostrava felice. Se per tutta la vita le sue delizie erano state il Crocifisso, l'Eucaristia, la Madonna, non poteva essere che felicità per lui unirsi sacramentalmente per l'ultima volta in terra col suo Signore. Lo vedeva già e lo pregustava quel Paradiso a cui aspirava ardentemente da tanti anni, dove vedrebbe svelata la faccia di Dio, del Redentore e della Madre sua. In quei momenti estremi avrà visto qualcosa della gloria imminente? Parrebbe di sì. Sebastiano Ellena narra che in uno di quel brevi giorni di malattia, F. Leopoldo gli disse di vedere davanti a sé gigli e rose bellissime. La visione ritornò più d'una volta. P. Ernesto dice che dopo che il Servo di Dio perdette la parola, ma capiva benissimo quanto gli dicevano, " mentre lo guardavo bene sul viso per notarne i cambiamenti, lo vidi guardare due o tre volte in un canto del letto verso il muro, con un sorriso sfuggevole, come un lampo, quale mai avevo notato sul suo labbro ". Alle ore 13,30 di quel giovedì, improvvisamente F. Leopoldo perdette la parola. Rispondeva solo più con segni a quanto gli si diceva. Dalle 22 fino alla morte che avvenne alle ore 0,30 del venerdì rimasero ad assisterlo P. Ernesto Ferrarotti e F. Bernardino Boria. L'ultimo segno di vita fu quello sguardo e quel misterioso bellissimo sorriso, or ora ricordati. Quando pochi istanti dopo P. Ernesto cerca di fargli prendere la medicina ordinata, " lo vede immobile e poi d'un tratto emettere due sospiri, e piegare il capo come per prendere sonno ". Col sorriso del Santi si addormentò nel Signore. L'Apostolo della devozione a Gesù Crocifisso moriva allo spuntare del venerdì, che i Cristiani venerano, perché è il giorno in cui il Redentore del mondo patì e morì. Durante la sua vita nei venerdì dell'anno F. Leopoldo intensificava le sue meditazioni e le sue preghiere e il Crocifisso lo volle chiamare al premio, alla vita eterna di venerdì. Il sabato fu proprio l'ultimo giorno per lui, ma possiamo anche dirlo il primo della nuova vita anche sulla terra perché cominciò in quel giorno la sua gloria anche presso gli uomini. Dalla bocca di quanti si udì in quel giorno la frase: Era veramente un santo! Esposta la salma nella sala a pian terreno, accorse a visitarla una grande moltitudine di fedeli di ogni condizione. Molti facevano toccare alla salma oggetti religiosi e altri chiedevano per ricordo qualcosa che avesse appartenuto al defunto. Lo vedevano anche ora conservare il solito bell'aspetto sorridente: pareva solo addormentato. I Catechisti, i figli del suo cuore, lo vegliarono nella notte dal venerdì al sabato e poi chiesero il privilegio di portarlo essi dalla sala alla chiesa e da questa al carro funebre. La neve nella notte tra venerdì e sabato cadde abbondante e continuò per tutta la mattinata del sabato: quando si fecero i funerali era alta più di trenta centimetri. Eppure la gente accorse lo stesso e riempì letteralmente la chiesa di S. Tommaso. È da notarsi che nessun avviso era stato mandato; la notizia era corsa da sé e possiamo credere che non giungesse in tempo a tutti i conoscenti di F. Leopoldo. Quella dimostrazione così imponente, così spontanea, ostacolata dal tempo è la prima apoteosi popolare di F. Leopoldo. Molti uomini e donne vollero dopo le esequie accompagnarlo fino al Camposanto generale, nonostante che la neve continuasse a cadere fitta fitta. Non erano solo i Catechisti e Fratel Teodoreto, ma moltissimi borghesi. La salma fu deposta in un loculo del Sepolcreto dei Frati Minori. In tutti gli intervenuti alle esequie era la persuasione che non era morto soltanto un ottimo Religioso, ma un santo. Lo si sentiva ripetere continuamente e questa persuasione confortava gli animi, perché se non potevano più andarlo a trovare per chiedergli consigli e preghiere, se non potevano più vederlo, lo potevano ora pregare. Le comunicazioni con lui non erano interrotte, ma erano spiritualizzate. Finalmente quel Paradiso, che aveva così sospirato, ora lo possedeva e poteva presentare le suppliche di chi ricorreva a lui non più soltanto nella cappella materiale della Madonna, non più soltanto presso il tabernacolo di Gesù Sacramentato con la sua fede illimitata, e con la sua preghiera ardente, ma nella visione di Dio, e della sua SS. Madre. E neppure un istante cessarono le comunicazioni tra lui e i suoi ammiratori e devoti. Le domande di chi aveva fiducia in lui presero la forma di preghiera, di voti, di promesse, come si usa con i Santi, e le risposte di F. Leopoldo furono grazie di ogni genere. È impossibile far luogo in queste pagine anche ad una parte minima delle domande che salgono dalla terra al cielo e delle risposte che dal cielo manda alla terra il Servo di Dio. Si può notare invece che ordinariamente si ottengono da lui favori se alle domande a lui rivolte si unisce la pratica della devozione al SS. Crocifisso. Egli vuole ancora dal cielo essere l'Apostolo del suo Signore piagato e sofferente, come lo fu in terra. Verso la gloria Per il giorno anniversario della morte del Servo di Dio, il Curato di S. Tommaso, P. Vincenzo Vallaro, d'accordo con alcuni amici di lui, aveva divisato di fare un'adunanza privata nella cappella di N. S. del S. Cuore. L'intenzione era di unirsi in preghiera per suffragare l'anima del defunto. Non si fecero inviti pubblici. Se ne mandò è vero uno al giornali, ma venne pubblicato solo a cose finite. Ma quale fu la meraviglia di tutti nel vedere alla sera di quel giorno e all'ora fissata la cappella completamente affollata e la riunione per le preghiere di suffragio cambiata in un'apoteosi. Parlò il prof. Luigi Andrea Rostagno, mettendo in vista per la prima volta la vita mistica di F. Leopoldo, svelando cose mai udite, tratte dal diario di lui, del quale fece un'esposizione sintetica, interessantissima. Parlò anche un giovane, troppo presto rapito all'azione cattolica, Giai-Via Mario, con un grande entusiasmo, facendo un vero panegirico di F. Leopoldo come di un santo autentico. Parlarono anche altri ( tra i quali l'ing. Filippo Dematteis ), sullo stesso tono. Per molti, tra cui noi Religiosi presenti, fu quella una vera rivelazione. Eravamo andati per ricordare in modo non ordinarlo l'anniversario di un confratello, ma solo per pregare in suo suffragio e invece ci trovammo davanti ad un entusiasmo di tutt'altro genere. Chi scrive preparava allora il processo informativo per la causa di beatificazione del Perazzo e senti il dovere di dire anche lui una parola per ammonire che era necessario tenere un'altra via se si voleva giungere alla glorificazione di F. Leopoldo. Non bastava l'opinione soggettiva, ma la prova della santità. Bisognava quindi raccogliere testimonianze, documenti, ecc., cose lunghe e che richiedevano molto lavoro e molto tempo. Ricordo che tra i convenuti, tutte persone che io non conoscevo ancora, finita la cerimonia ( che da quel momento prese la forma di preghiere di suffragio ), uno si avvicinò a me, Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane, e mi ringraziò di aver detto quelle parole. Mi promise che mi avrebbe aiutato a raccogliere scritti, testimonianze, ecc., perché era anch'egli persuaso che solo così si poteva aver speranza di riuscire a qualche cosa di positivo. Ma a parte quell'intervento doveroso, fu proprio quella sera che conobbi e con me altri, che forse ci trovavamo dinanzi ad un'anima privilegiata della grazia e che meritava di essere studiata. Intanto, mentre il nostro lavoro silenzioso e lungo cominciò e continuò, la venerazione e l'entusiasmo del fedeli verso F. Leopoldo procedeva con un crescendo impressionante. Se ne ebbe una prova solenne nel 1932 il 31 gennaio. Si era voluto ricordare il decennale della sua morte nel salone-teatro del Collegio S. Giuseppe di Torino. Al molti amici e ammiratori di Torino, ai Catechisti del SS. Crocifisso, ai Fratelli delle Scuole Cristiane, al Provinciale dei Frati Minori P. Alessandro Negro e ad altri suoi Religiosi, si era unito il Podestà di Terruggia con un gruppo dei suoi amministrati e il Parroco pure di Terruggia. La commemorazione tu oltremodo solenne: parlò un Catechista e anche questa volta, potei essere testimonio della stima e venerazione in cui era tenuto il nostro Servo di Dio e come le opere che egli aveva difese e per le quali aveva pregato erano in piena fioritura. Quelli di Terruggia, ritornarono al loro paese impressionati ed esultanti. Avvennero anche gite-pellegrinaggi organizzati dai Catechisti e guidati da Fratel Teodoreto a Terruggia per visitare la casa paterna di F. Leopoldo e i luoghi da lui santificati durante il suo apostolato in paese, e anche questi riuscirono una dimostrazione solenne della venerazione in cui egli è sempre tenuto. I Catechisti conservano detta casa intatta e con essa tutti quegli oggetti, amati o adoperati dal servo di Dio e che per essi sono preziose reliquie. Il Processo informativo diocesano si poté finalmente incominciare nel febbraio del 1941. Il Tribunale ecclesiastico lavorò alacremente; escusse oltre trenta testi presi da ogni classe sociale. Si esaminarono gli scritti. Terminò i suoi lavori nel giugno del 1943. La guerra mondiale che allora infuriava e poi varie e gravi difficoltà, indipendenti dal buon volere, impedirono che il processo potesse portarsi alla S. C. dei Riti prima del dicembre del 1945 dallo scrivente nella sua qualità di Vicepostulatore. Nel corrente anno 1947 le spoglie del Servo di Dio furono trasportate dal sepolcreto del Frati Minori nel Camposanto generale alla Chiesa di S. Tommaso e collocate nel Santuario di N. S. del S. Cuore di Gesù, ove egli vivente trascorse lunghe ore in preghiera, ove ebbe rivelazioni e colloqui divini e ove sempre i suoi devoti ne sentirono presente lo spirito. Era giusto che là ritornasse e riposasse il suo corpo. Oggi i suoi discepoli, i suoi Confratelli, i suoi antichi amici, i suoi devoti e gli infiniti beneficati da lui, quanti confidano nella sua potenza di Santo non hanno che un desiderio ( per alcuni sa perfino di impazienza ), desiderio che si concreta nel voto ardente di vederlo presto anche in quella gloria che solo la Chiesa può concedere agli eroi della santità.