DiarioFL/Biografie/RVasconi/RVasconi.txt Renato Vasconi I servi di Cana L'itinerario spirituale di Fra Leopoldo M. Musso Una spiegazione " Nel novembre 1887 ebbi in sogno una visione di Maria Santissima: vidi la Vergine SS. Addolorata in atteggiamento mestissimo con il capo nobilmente chino, e dolcemente mi disse: " Ricordati di ciò che ha sofferto mio Figlio! " Sebbene non intendessi tutto il significato di queste parole, tuttavia mi rimasero impresse nella mente. Disparve la visione, e nel mio povero cuore andavo meditando la bontà, la pietà, la misericordia di Maria Santissima verso i poveri peccatori ". Fra Leopoldo, dal Diario " I Servi di Cana " perché? Il tema ha due origini in una pagina del Vangelo di Giovanni in cui si parla del primo segno miracoloso del Cristo. Le Nozze di Cana, appunto. " Ci fu un matrimonio a Cana, una città della Galilea. C'era anche la Madre di Gesù, e Gesù fu invitato alle Nozze con i suoi discepoli. A un certo punto mancò il vino. Allora la Madre di Gesù gli dice: " Non hanno più vino ". Risponde Gesù: " Donna, perché me lo dici? L'ora mia non è ancora giunta ". La Madre di Lui dice ai servi: " Fate tutto quello che vi dirà " " ( Gv 2,1-5 ). Sappiamo del miracolo: l'acqua mutata in vino dal Maestro. Ma è il breve passaggio di invito ai servi da parte della Vergine che qui ci interessa. Non vi sono tentennamenti. E la prontezza dei servi di Cana vedrà il miracolo di Dio. Mi piace introdurre il discorso sul cammino spirituale di Fra Leopoldo Musso, converso francescano, proprio con questa pagina evangelica che ricorda e sottolinea la " prontezza " dei servi di Cana. Perché Fra Leopoldo è un servo e perché Fra Leopoldo obbedisce prontamente all'invito di Maria. Mi sembra bello leggere questa pagina di Cana applicandola a Fra Leopoldo e a quanto del suo intreccio spirituale con Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane scaturisce. I Catechisti del SS: Crocifisso e di Maria Immacolata hanno in questa angolatura un significato ben preciso. Attendere a ciò che dirà loro la Vergine per concretizzare prontamente, nel tempo, quanto giunge dalla volontà del Crocifisso. Rimanere nel loro stato di servizio evangelico ed ecclesiale perché il banchetto della vita non abbia turbamenti. C'è nella vocazione dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso un'aria di gioiosa festività. Come a Cana, anche oggi è importante ricreare questo clima del fare festa insieme mantenendo ferma l'attenzione a ciò che annunzia Maria. Se non vado errato, quello di Cana è l'ultimo messaggio di Maria che noi troviamo nei Vangeli. Mi sembra importante sottolinearlo e presentarlo concretamente a chi, stimolato dallo spirito di Fra Leopoldo e coinvolto nell'appassionante avventura lasalliana di Fratel Teodoreto, tende in ogni istante a mantenere intatta la " prontezza " della propria consacrazione a un determinato tipo di professionalità ecclesiale. Ecco perché ho scelto di partire dai servi di Cana. Perché, ripeto, soltanto chi avrà la prontezza dei servi di Cana vedrà i miracoli di Dio. L'ultimo messaggio di Maria viene affidato a questi servi: " Fate tutto quello che vi dirà ". Queste parole hanno, a mio vedere, un qualcosa di vitalizzante e di entusiasmante proprio per chi, sulla scia di Fra Leopoldo e Fratel Teodoreto, vuole fare festa insieme. C'è tanta giovinezza tra i Catechisti del SS. Crocifisso e tra i Fratelli delle Scuole Cristiane. Il loro mondo palpita di questa primavera continua che è fare festa insieme. La linfa di San Francesco d'Assisi con tutta la potenza e il fascino della propria santità si introduce umilmente nel grande filone spirituale di San Giovanni Battista de La Salle. Alle grandi figure francescane si uniscono le personalità di taglio evangelico che brillano nel cielo lasalliano: Fratelli Benildo, Salomone, Miguel, Mutien Marie, solennemente riconosciuti dalla Chiesa. La storia di Fra Leopoldo Musso si affianca a quella di Fratel Teodoreto per dare vita a una " Sorgente " che zampilla improvvisa nell'oggi della Chiesa che si accosta al suo terzo millennio. Queste pagine non racconteranno la biografia di Fra Leopoldo. La sua vita è rinchiusa in due date: la nascita a Terruggia Monferrato il 30 gennaio 1850, la morte avvenuta a Torino il 27 gennaio 1922. La sua vocazione religiosa a converso francescano. Il suo servizio: l'essere cuoco nel proprio convento. Questo libro vuole tentare di fissare invece l'attenzione sullo stupefacente del vedere a caratteri di scatola l'azione di Dio, il suo progetto terribilmente imbarazzante, il forgiare con la semplicità di un incolto la via della Sapienza. È un atto di omaggio non solo per il personaggio chiave di questo cammino, Fra Leopoldo, ma per tutti coloro che ne vivono intensamente la spiritualità imperniata sulle Beatitudini, per quanti in nome suo guardano al Crocifisso come a qualcosa di " rivoluzionario " e di splendente. Atto di omaggio all'Unione Catechisti, cui da tempo ormai lungo mi lega una profonda amicizia e simpatia. Atto di omaggio verso i Fratelli delle Scuole Cristiane ai quali devo tutto il mio ministero sacerdotale fra innumerevoli giovani delle loro Scuole e Collegi. Un omaggio ai giovani stessi del mondo lasalliano incontrati nelle mie avventure di annunziatore della Parola a Paderno del Grappa, Asolo, Milano, Biella, Vercelli, Torino, Genova... Volti e volti, nomi e nomi, indirizzi senza fine, destini e strade segnate dal sublime passaggio del Cristo Crocifisso. Un omaggio pieno di nostalgia per tutto ciò che è stato, per quanto abbiamo vissuto e dato, ma un omaggio più alto, più sottolineato, più rafforzato dall'amicizia, per questo cammino della speranza, va al cuore cristiano di Torino città disattenta ma catalizzatrice dell'attenzione di Dio, in cui Fra Leopoldo ha tracciato lo stigma dell'attesa e speriamo dell'ascolto evangelico. Il resto è silenzio. O meglio, il resto è Provvidenza. Non so se un giorno la Chiesa canonizzerà ufficialmente Fra Leopoldo Musso. Di una cosa sono certo, però. Attraverso la prontezza dei " Servi di Cana " noi abbiamo visto i miracoli di Dio. Mi si conceda di terminare con la preghiera scritta da Aleksandr Solzhenitsin per ricordare la grande " ragione " che si nasconde nel silenzio di ognuno. " Signore, com'è facile vivere con Te, com'è facile credere in Te! Quando il mio intelletto confuso si ritira e viene meno, quando gli uomini più intelligenti non vedono al di là di questa sera e non sanno che fare domani, Tu mi concedi la chiara certezza che esisti e ti preoccupi perché non si chiudano tutte le strade che portano al bene. Sulla cresta della gloria terrena mi volto indietro e stupisco, guardando il cammino percorso dalla disperazione a questo punto donde fu dato a me comunicare all'umanità un riflesso dei tuoi raggi. Concedi quanto m'è necessario perché continui a rispecchiarli. E quello che non riesco a compiere, so che hai destinati altri a farlo ... " Renato Vasconi O. P. L'Autore ringrazia la Presidenza dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata per la documentazione di archivio fornitagli, che gli ha reso possibile tracciare in queste pagine il cammino spirituale di Fra Leopoldo Musso o.f.m. Capitolo 1 Laudato sì, mi Signore cum tucte le tue creature spetialmente messer lo frate sole lo quale jorna, et allumini per lui et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te altissimu, porta significatione. C'è nel nostro vivere il Cristianesimo sempre qualcosa di estremamente gelido. La figura del Cristo diventa per troppi di noi come una specie di Scienza. Una realtà da studiare, un fatto storico interessante perché incide nell'umanità da duemila anni. Avvicinare il " Protagonista " dei Vangeli in termini differenti, con un'angolatura umana, realistica, vorrei dire corposa non è l'abitudine dei cristiani. Si vive, certo, il messaggio con una volontà ben precisa, ma il Cristo che vi si incontra è così diafano, addirittura etereo. Normalmente non si bada a questo atteggiamento perché appunto l'aver trasformato in Scienza il Personaggio porta alla logica conseguenza di un rapporto religioso " a freddo ". L'entusiasmo bruciante, il fuoco caldo dello Spirito creano perplessità, disturbano quella quiete interiore che da sempre sta alla base del nostro vivere la Parola di Dio. L'atmosfera di tenerezza dà fastidio per chi si è costruito una religione cristiana esclusivamente tecnicizzata. E di solito ci si tiene lontani, quando si è seri e concreti, da quel modo di esprimere il Cristo a colori che paiono sdolcinati. Si ha timore di cadere in una mentalità puerile, o peggio senile se, chiudendo gli occhi, si ascolta l'anima usare la tenerezza, la delicatezza, la commozione nei confronti del falegname di Nazareth. Eppure se ci fermiamo un attimo a pensare, se sospendiamo il nostro quotidiano e ricerchiamo con fredda determinazione la strada verso Cristo, ci accorgiamo con estremo stupore che nel più profondo del nostro esiste ancora una fiammella di nostalgia per un contatto " reale " con il Cristo, la nostalgia di un discorso con Lui che esca dai soliti canoni della vita e lasci via libera allo sfogo di questo destino nostro, l'essere uomini con un carico di mistero che grava in ogni istante sulle spalle. Solitamente si fugge subito da questa strana sensazione. Si ha paura di divenire alienati, preda di allucinazioni, spettatori angosciati di un sogno che finisce all'alba. Ecco perché la " santità " non morde nella nostra vita. Porta in sé qualcosa di troppo strano, inconcepibile per l'uomo che sta per vivere il terzo millennio cristiano. L'Agiografia non trova molto spazio né nelle nostre biblioteche né fra le nostre letture proprio per quella sorta di panico indecifrabile che sfiora la pelle quando ci si sente a tu per tu con la figura solitaria del Cristo. Sarà per questa ragione che il nostro Cristianesimo ha un suono troppo metallico e non è capace né di insaporire né di convincere la vita. Si fa sempre uno sforzo di ogni senso per togliere al messaggio la sua tonalità di mansuetudine e di dolcezza. Una colpa sconosciuta quindi ci nasconde e priva di quell'alone particolare che avvolge il Cristianesimo e il personaggio del Cristo. Anche la nostra preghiera così spesso congelata rimane mutilata di questo legame autenticamente " religioso ". Ed è difficile sbloccare una simile situazione, uscire fuori dalla struttura che si è precostruita. Nasce il panico quando si deve affrontare Dio su un piano di " amicizia reale ". Per noi che viviamo alla meno peggio il messaggio, pure ingolfati nel banale quotidiano, resta complicato inserire la Parola di Dio, il suo " verbo " fra le realtà dell'esistenza di tutte le ore. Se ci pensiamo, si crea uno stacco ben preciso fra quello che per noi è " il concreto " e Dio. L'Assoluto lo si preferisce in conclusione evanescente, appunto. Così, quando si prende con decisione la via che conduce alla ricerca di un tracciato spirituale segnato dal passaggio di qualche testimone evangelico, si ha come l'impressione d'inoltrarsi in un sistema galattico completamente sconosciuto alle nostre facoltà, e soprattutto in un modo di pensare che non pare affatto in sintonia con il vivere di una persona normale. Forse per questa ragione c'è nel mondo un immenso oceano di inimicizia nei confronti del Vangelo. Proprio per quella sensazione di sbavatura che può derivare da una presentazione di " santità " o di rapporto con il Cristo intonato esclusivamente al mielato e quindi poco idoneo a essere inserito nella violenza di un'esistenza umana turbata da troppi conflitti morali e fisici, da paure a catena prodotte dalla immaturità della persona e dalla passionalità ubriaca dei potenti della terra. Ma anche la " santità " è un fenomeno della vita. C'è fra di noi chi ha il coraggio di prendere Dio sul serio e di tessere con Lui un'" amicizia reale ". Sono figure e figure che costellano da due millenni il mistero del Corpo Mistico. Figure che è indispensabile analizzare, avvicinare, capire. Capire soprattutto. Perché si tratta proprio di scoprire la grande ragione che ha scatenato in loro la scoperta " reale " di Dio, l'amicizia " reale " con Lui, l'appassionato abbandono al suo progetto. Ogni testimone del messaggio porta con sé una ragione. Tutto ciò costituisce il caleidoscopico firmamento della Chiesa che brilla nel tempo, oltre il tempo e si inabissa nell'eterno. Un mondo particolare che non può essere escluso dalla nostra attenzione, specialmente quando ci si è impegnati in primo piano a ricercare e a vivere il grande tema del verbo. Queste figure hanno un'incisività particolare. Lasciano una traccia. Rimane sempre qualcosa del loro passaggio. È il " perché " di fondo che ci spinge ad accostarle. La scoperta, in definitiva, della concretizzazione di un carisma che giunge direttamente dallo Spirito e ci lascia sbalorditi per la sua capacità di offrire in termini esatti sale e luce alla terra. Avvicinare Fra Leopoldo Musso converso francescano, nato a Terruggia Monferrato nel 1850 e morto a Torino nel 1922, è come provare improvvisamente uno " choc ". Non per la sua vita. Modesta, silenziosa, umilissima. Ma per il modo o lo stile di costruire un rapporto concreto con il Cristo. Lo Spirito soffia veramente dove vuole. Il suo vento caldo investe ogni destino e ne trae lo stupore estatico della Pentecoste. Fra Leopoldo Musso ebbe come servizio nell'arco della sua vita religiosa di essere semplicemente un cuoco, un cuoco reale e concreto di convento. Fra le sue marmitte si innesta e si sprigiona improvvisamente la " religione ", il " legare insieme " cioè con Dio. È la sua cucina che si trasforma in testimone muto di un dialogo impensabile, assurdo addirittura per noi, con quel Cristo che per troppi è soltanto Scienza, ma per chi ha capito diventa in un modo abbacinante vita ... Lo stupefacente del Cristianesimo sta proprio in queste scelte "assurde " di Dio. Pare quasi che la logica debba sparire per lasciare spazio sempre alla diversità che diventa " santità ". Probabilmente sarà per questa parola " diversità " che si teme di affrontare il rapporto reale con Cristo. Noi temiamo troppo la sua vicinanza, il suo trasfigurarsi, il suo svelarsi. Abbiamo forse troppa paura di accettarlo come un Bene dell'esistenza, come un compagno di viaggio, un vero, concreto Protagonista della Storia. Temo che spesso ci si costruisca un Cristo su misura, non lasciando spazio né alla sua Parola né alla sua Presenza. Non è poi tanto impossibile credere di essere religiosi quando in realtà non lo si è affatto. La cucina e le pentole di Fra Leopoldo capovolgono il nostro tranquillo, logico modo di vedere le cose. Cancellano come una folata di vento tutti i segni stabiliti della nostra Scienza su Dio e ci affliggono dinanzi alla scoperta di un Cristianesimo scarno, semplice sino al midollo, ma capace di costruire colossi e di tracciare vie nuove. Un Cristianesimo che sboccia all'improvviso dove uno meno se lo aspetta. La traccia del passaggio di Fra Leopoldo Musso, il solco iniziato dalla sua vita noi lo possediamo in quella realtà che si chiama " L'Adorazione a Gesù Crocifisso ", " L'Unione Catechisti ", la " Casa di Carità Arti e Mestieri " e il Diario che lasciano perplessi tutti noi per la singolarità della loro origine e del loro significato. Ancora una volta si tratta di fissare l'attenzione sulla " ragione ", il grande " perché " che ha mosso lo Spirito a intrecciare un rapporto di concretezza con il cuoco di un convento francescano. Esistono nel Cristianesimo figure dominanti, ad alto livello di sapienza e di santità. E tuttavia anche nella grandiosità di questa luminosa costellazione c'è sempre da rimanere stupiti, abbacinati dalla trama misteriosa che l'Amore di Dio tesse per unirsi in continuazione all'uomo che ha redento. Accanto ai nomi che rimbalzano da secoli sulle labbra di tutti, compaiono, come una scoperta nuova, i volti, i gesti, le parole, la testimonianza di creature apparentemente silenziose ma che Dio ha trasformato in messaggio. Più mi fisso a pensare alla Chiesa, più mi rendo conto che essa possiede in sé la capacità di rinnovarsi, di offrire in continuazione stimoli, entusiasmi provocatori, desideri e speranze giovani che elettrizzano e ancora una volta ripropongono in termini precisi l'esperienza vivissima del Cristo. Fra Leopoldo Musso incontrerà un giorno un Fratello delle Scuole Cristiane: Fratel Teodoreto Garberoglio. Ed è con Fratel Teodoreto che assicura la fune della " Religione ", quel legame insieme che riconduce, anche se con profonda sofferenza, alla " Sorgente " ! Esiste questo fenomeno continuo nella Chiesa di Cristo: lo scossone che riporta necessariamente all'origine di tutto il messaggio, lo stupefatto scoprire che anche per noi è possibile provare il brivido di Pietro, di Giovanni, di Maddalena, di Paolo, dei discepoli di Emmaus. Fra Leopoldo scopre a un tratto Cristo come esperienza. Ne fa partecipe Fratel Teodoreto. L'innesto del lirismo francescano nella stupenda freschezza lasalliana fonda l'amicizia. È su questo " bene ", su questo " dono ", su questa " lode " che viene seminata la grande speranza affidata nuovamente a uno sparuto gruppo di discepoli. Fratel Teodoreto fonderà l'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata. Torna alla mente San Tommaso d'Aquino nella sua sublime interpretazione dell'Etica a Nicomaco di Aristotele. Nel Libro VIII di quell'opera il Dottore Angelico proclama: " Amare: haec est laus amantium " (" Amare: questa è la lode di coloro che si amano "). È stupenda questa definizione, questo modo di sentire e respirare cristianamente la vita. Fra Leopoldo Musso scopre senza essere né teologo né filosofo questa suprema realtà nella sorgente stessa del Vangelo. La grande " ragione ", il " perché " si rivela nella Croce, anzi in quel Corpo che viene straziato sulla Croce, in quella terribile cosa che fu e che è la morte di Cristo. Non c'è amore più grande. L'aveva detto Cristo stesso. E non c'è quindi lode più alta, inno più commovente, impegno più profondo della invocazione di quel Ragazzo che muore gridando: " Perché mi hai abbandonato? " È qui che si blocca tutto. È qui che la cucina di Fra Leopoldo si trasforma in cattedra. Penetrare in quella parentesi di tempo in cui il Cristo scopre la sua tremenda solitudine sulla Croce. Tutto si incentra in questo spazio, in questo spasimo quasi tinteggiato da colori foschi. Non ci si pensa quasi mai. Eppure il Padre ha voluto che il Figlio testimoniasse il supremo atto d'amore in quello spazio, catena interminabile di minuti. Tutto acquista significato in quella spaventosa domanda del Cristo che si rivolge al Padre, ma con profonda amarezza anche all'uomo. Una domanda che invoca una risposta concreta, una risposta da parte di chi è capace di intendere in un modo profondo il senso di quel Corpo crocifisso. Il Cristianesimo ha la sua realtà più forte in questo spazio di abbandono, in questa domanda che il Cristo, l'" eternamente Giovane " come lo definirà il Concilio Ecumenico Vaticano II, pone al Padre e all'uomo. C'è un realismo crudele in questo spazio. E non a caso la Croce è divenuta il simbolo dei cristiani. Il messaggio tramandato nel tempo di generazione in generazione grida quella solitudine, e chiede all'umanità di non dimenticare. È questo spazio che mette paura in fondo all'anima e che costruisce direi quasi l'urgenza di volgere lo sguardo altrove e di vedere quindi un Cristo differente, ben diverso da quella " cosa " orribile che gli occhi di Maria e di Giovanni videro. Nella grande architettura cristiana la Croce acquista adagio adagio tonalità più limitate, meno brutali. Ma c'è sempre un colpo d'ala improvviso che ripropone la Verità. Stiamo vivendo un momento storico semplicemente affascinante a livello di Chiesa. Contrasti e grandi bagliori, momenti forti che lanciano sempre là, sul Calvario, sotto quella Croce. E uno è obbligato a chinare la testa, a pensare per un attimo al radicalismo cristiano, in definitiva all'essenziale. Stiamo vivendo il tempo della Crocifissione come esperienza nel Corpo della Chiesa stessa. È il momento in cui, al di là di ogni bizantinismo, siamo pressati a guardare in faccia " l'uomo dei dolori ". A ricordare la pagina dolorosa del Vangelo di Giovanni in cui si fissa per sempre l'attimo del colpo di lancia inferto al Costato del Maestro. " Giunti a Gesù, vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe ma uno dei soldati gli trafisse il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua. E chi ha veduto ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera, ed egli sa che dice il vero, affinché anche voi crediate. Questo, infatti, accadde perché si adempisse la Scrittura: "Non gli sarà spezzato un solo osso "; e ancora un'altra Scrittura dice: " Vedranno colui che hanno trafitto " " ( Gv 19,35-36 ). Come non si può dimenticare la profezia di Zaccaria: " Sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme verserò uno spirito di pietà e di implorazione; guarderanno a colui che avranno trafitto e faranno il lamento per lui come nel lamento per un figlio unico, faranno amaro cordoglio per lui come nel cordoglio per un primogenito " ( Zc 12,10 ). Tutto ciò per giungere alla convinzione che è necessario dare una risposta precisa, che potremmo anche definire riparazione, a quanto è successo quel venerdì che la Storia ha poi chiamato " santo ". Giovanni Paolo II, Vicario del Crocifisso, ha offerto alla Chiesa che sta per sbocciare nel suo terzo millennio una testimonianza vivida e cruenta del " come " e del " perché " essere cristiani oggi. L'attentato in Piazza San Pietro riporta con violenza che crede al mistero della presenza dell'odio che continua nel tempo la sua lotta contro l'Amore. L'odio che vuole annullare nel silenzio la " Parola ". Ma la " Parola " continua a essere Carne e ad abitare in mezzo a noi. C'è tutto un discorso di fondo da illuminare in pieno in queste briciole di tempo che ci separano dal Duemila. Il Vicario di Cristo che ricorda Gesù di Nazareth come Redentore, " Ricco di misericordia " e che, in 31 paragrafi di una Lettera Apostolica, scrive la sinfonia della Sofferenza. La Chiesa di oggi che rivive la propria giovinezza dopo un Anno straordinario dedicato alla Redenzione, trova stranamente la propria forza nel dolore. È appunto al dolore che il Papa si riferisce " con trepido rispetto ". Questa Lettera, conosciuta come la Salvifici doloris, sottolinea come " la Redenzione si è compiuta mediante la Croce di Cristo, ossia mediante la sua sofferenza ". La data del documento è l'11 febbraio 1984, memoria liturgica della Immacolata di Lourdes, testimone dolorosa di una tragedia che ha le sue radici più profonde nella brutalità del cuore umano. Il punto centrale della situazione cristiana viene espresso nella " ricerca della risposta all'interrogativo sul senso della sofferenza ". il Papa afferma che nel Crocifisso, il quale portò con sé la stessa domanda che fu di Giobbe e di tutti i sofferenti, c'è pure " il massimo della possibile risposta a questo interrogativo ". La puntualizzazione della questione viene posta nella preghiera del Getzemani: " Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu ". Tali parole " provano la verità dell'Amore mediante la verità della sofferenza... La sofferenza è un subire il male davanti al quale l'uomo rabbrividisce ". Ancora una volta il tema dell'abbandono, il senso più straziante della solitudine di Cristo. È in tale contesto che si innesta stupendamente l'avventura terrena del fratello converso francescano cuoco del Convento di San Tommaso a Torino. " Se Fra Leopoldo - scrive l'indimenticabile e amato domenicano Padre Ceslao Pera - avesse seguito il suo istinto " carismatico " e piantate le marmitte avesse preso l'atteggiamento del " fondatore ", avrebbe combinato una bella frittata, uscendo dal seminato, saltando il muro con lo slancio della superbia camuffata di libertà, con l'ambizione della vanagloria camuffata di misticismo. E sarebbe stato un gran pasticcio non degno di un Cuoco a servizio di Dio secondo la regola del Santo Padre Francesco ". La vivacità toscana di Padre Pera si sente sino in fondo e sottolinea bene la sapienza di Fra Leopoldo Musso nel mettersi a disposizione del Cristo nella sua cucina, pronto per l'esperienza di riparazione nei confronti del Crocifisso. Se la lode di coloro che si amano è amare, Fra Leopoldo ama. E in questa realtà che gli fa rivivere il tema delle Beatitudini offre " a suo modo ", con i mezzi che ha a disposizione, la sua risposta al dolore di Cristo. Fra Leopoldo scopre che la sofferenza umana, con la passione di cristo, si presenta in un modo nuovo, viene innalzata a livello di redenzione. Per cui ogni uomo è chiamato a partecipare a quella sofferenza, cioè a esperimentare quello spazio terrificante di abbandono in cui il Cristo compie la Redenzione. Ci sono le parole di Paolo, l'uomo sconvolto dalla " ragione " della Croce sulla via di Damasco: " partecipi delle sofferenze di Cristo, noi portiamo nel nostro corpo la morte di Cristo, affinché la sua vita si manifesti nel nostro corpo ". Come rispondere compiutamente a questo inaudito progetto che lega l'uomo a Dio? Sarà l'interrogativo di sempre. La Chiesa vi ha riflettuto ieri, oggi, e se lo porrà ancora nel tempo perché è difficile accettare di partecipare alla Redenzione. Giovanni Paolo II sottolinea " il carattere creativo della sofferenza " in quanto ciascuno di noi completa " a suo modo " la sofferenza redentrice. Al punto che " quel senso salvifico scende a livello dell'uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale ". Senza forse si riesce a capire finalmente la grande " ragione " d'essere del Cristianesimo nel mondo. Ma si capisce anche la grande fuga del mondo dal Cristianesimo, l'ostilità alla redenzione come riconquista dell'uomo. E il nostro tempo sottolinea fortemente questa ostilità, preferendo l'uomo svuotato, privato di ogni capacità di comprendere il proprio compito nell'arco dell'avventura terrena. L'uomo nemico dell'uomo, l'uomo che deride l'uomo, l'uomo che costruisce la morte dell'uomo. Ancora l'eco di Paolo: " ... portiamo nel nostro corpo la morte di Cristo, affinché la sua vita si manifesti nel nostro corpo ". Parole che fanno paura. E dipingono a caratteri forti, se ce ne fosse bisogno, il grande motivo della fuga dei discepoli dinanzi al Crocifisso, il tradimento di Pietro primo Papa della Storia, dinanzi all'orrore di partecipare dal vivo alla Redenzione. Si spiega come la Chiesa soffra di contrasti e si inabissi in continuazione fra chiari e oscuri. Tutto viene sempre riferito alla " Sorgente ". E la " Sorgente " è quel Corpo crocifisso che stigmatizza, per cui vuole giungere al nocciolo della questione, la cattiva volontà dell'uomo a ricostruire la sua stessa immagine. Sembra strano che un messaggio di tale portata venga percepito in modo così incisivo da un cuoco francescano nei primi decenni del '900, in una cucina di convento. Ma sotto lo sguardo di Dio nulla avviene di casuale. Fa riflettere che il rapporto fra Dio e lo sconosciuto converso avvenga in una città come Torino. Ma è qui che il mistero della Provvidenza ha depositato come in un grande e variegato reliquiario umano la terribile prova del Crocifisso: la Sindone. Fra Leopoldo è attratto da quella prova. Vi passa accanto lunghe ore per riflettere in profondità su quel momento, o spazio, che ha capovolto il mondo. Ci deve essere stata una specie di sintonia tra il lenzuolo sacro e il cuoco del Convento di san Tommaso. E di una cosa possiamo essere certi. Il dramma della Passione si inserisce attraverso la " prova " del Crocifisso in un modo indelebile nell'anima e in tutte le fibre di Fra Leopoldo. Nasce una tenerezza traboccante di simpatia, desiderio di vicinanza, di comprensione e partecipazione al problema di quel Gesù che la Storia condanna a morte fuori della città. C'è un'urgenza riparatrice che freme nell'intimo del converso francescano. Qualcosa gli dice che ciò che è da farsi è ripartire da quella traccia, immettersi nel grande fiume di quella sofferenza. Riportando il proprio Cristianesimo alla sorgente solitaria del Calvario, Fra Leopoldo improvvisamente scopre il senso e il valore dell'uomo. Ognuno di noi può incidere profondamente in sé e negli altri se accetta di affrontare la collaborazione con il tema della Croce. È sconvolgente scoprire che ogni cristiano ripete " a suo modo " un brano della Redenzione. Ed è ancora più sconvolgente accettare volutamente di riconoscere la propria sofferenza come capacità redentiva. È indubbio che la Sindone di Torino abbia avuto un ruolo travolgente nella personalità di Fra Leopoldo, al punto di creare in lui uno spasimo continuo perché il mondo da cui era circondato non si accorgeva della " ragione " della presenza di quella traccia. L'intreccio di amicizia con Fratel Teodoreto rompe, in un certo senso, gli argini della riflessione personale. L'esperienza individuale, il turbamento dell'anima vengono condivisi con l'amico. Il tema della " Riparazione " valica i chiostri francescani e si inserisce nel cuore dei Fratelli delle Scuole Cristiane. C'è questa novità da sottolineare, questo offrire una sapienza preziosa senza invidia, perché serva a molti, a innumerevoli esseri. Chi meglio dei Fratelli Lasalliani poteva essere il destinatario di una simile scoperta? Generazioni di giovani passavano nelle loro Scuole e in questo campo fertilissimo e pieno di entusiasmo Fra Leopoldo, tramite l'azione di Fratel Teodoreto, semina ciò che l'uomo della Sindone offre. E l'offerta captata prima nel silenzio della contemplazione diviene ora parola fisica, esperienza vissuta in prima persona della sofferenza del Cristo. Il Maestro di Nazareth finalmente parla. L'interlocutore è Fra Leopoldo. Il fenomeno non è inconsueto nella Chiesa che vive intensamente sulla scia della Redenzione. Ma impressiona sempre il sapere che la " Parola " continua nel tempo la sua missione e spinge le creature umane verso traguardi insperati. Alla normalità e alla logica del nostro Cristianesimo quotidiano crea fastidio o imbarazzo questo sentire che Dio comunica fisicamente con qualcuno. Siamo immediatamente tentati di negare il fatto, di rifugiarci nelle moderne espressioni che si rifanno ad allucinazioni o alle turbe psichiche dei personaggi. Esiste una specie di disprezzo per tutto ciò che riguarda il rapporto corposo fra Dio e l'uomo. Abituati alla Scienza di Dio, ci è difficile accettare la tenerezza o se vogliamo addirittura, in questo caso, la debolezza di Dio. È l'eterno problema di non capire che Dio agisce in un modo " diverso " da noi e che la sua vita preme sulla nostra per avere diritto al proprio spazio di Protagonista e di Maestro. Per cui ci prende la timidezza, quasi un pudore panico, un senso profondo di incredulità e di derisione nel confronto del " privilegio " che trasforma in strumenti divini creature definite prive di successo. Non ci piace parlarne. O la cosa è seria, appoggia su un piedestallo scientifico e viene distanziata per bene dalla nostra esistenza, oppure non se ne fa assolutamente niente. A Fra Leopoldo Musso e al suo messaggio è successo così. L'identico modo di Massabielle e Fatima, la cocciuta ostilità che ha avvolto Padre Pio da Petralcina, testimonianza cruenta del Crocifisso, l'ironia che punge tutto ciò che ha sapore di simpatia da parte di Dio nei confronti dell'uomo... Per poter affrontare e capire ciò che avvenne nell'anima e nella vita di Fra Leopoldo è indispensabile inoltrarsi in quel Diario che, per consiglio del Canonico Ermando Bracco e di Fra Giovanni Caneparo dei Sacramentini, egli scrisse a incominciare dalla vigilia di Natale del 1907. " Mi fu di pena ascoltare i loro consigli ", dice Fra Leopoldo, " perché troppo meschino è il mio sapere, ma poi mi arresi e diedi ascolto ai loro saggi suggeirmenti. E prima di pormi a scrivere, sapendo che ben miseramente riesco a farmi intendere, mi prostrai ginocchioni per terra recitando il" Veni Sancte Spiritus " affinché la divina bontà dello Spirito Santo mi venisse in aiuto ". Sulle pagine vengono fissati i momenti e le esperienze che il cuoco di San Tommaso vive nella lenta scoperta della Redenzione. Nulla di clamoroso. Tutto ha un sapore di raffinata delicatezza. Ciò che colpisce è la spontaneità, la normalità di quanto accade. Per Fra Leopoldo non esiste lo " straordinario " ma la completezza della vita perché Dio si svela Amico. È questa amicizia che gli interessa e che non vuole perdere più. " Una mattina, nella Chiesa di San Dalmazzo, ero ansioso di ricevere la S. Comunione e, appena l'ebbi ricevuta, sento il mio buon Gesù dirmi: " Fra me e te, in avvenire, ci sarà una grande intimità " ". ( 1893 ) Il messaggio viene dunque annunziato e trasmesso attraverso una profonda, intima simpatia che lascia sbalorditi. Il rapporto tra il Crocifisso e Fra Leopoldo nasce su una promessa divina ben sottolineata. E l'atmosfera è già chiara sin dall'origine. Grande intimità Il che vuol dire luce. Fra Leopoldo spalanca se stesso a questo sole che ha incontrato a un bivio della vita. Ne vuole essere invaso. Con quella luce e con la gioia che ne deriva vuole costruire qualcosa per trasmettere " a suo modo " agli altri il grande tema dell'uomo. " Grande intimità ", un'espressione che arriva dal cuore dello stesso Crocifisso. Fra Leopoldo è raggiante per questa confidenza divina. Cerca di afferrare tutto il significato del desiderio d'amore che nasce dalla richiesta del suo Signore. Un atto di decisione si impone. È necessario contraccambiare il Cristo. Offrire al Maestro una risposta che sia all'altezza di una simpatia e di un'amicizia che abbia finalmente qualcosa di concreto, qualcosa che metta le radici nella verità di ogni uomo e in ogni giorno. Fra Leopoldo, di fronte alla grande intimità offerta dal Crocifisso, comprende che è indispensabile porsi sul cammino del contraccambio d'amore. Non è possibile lasciare il Cristo solo con il suo immenso dono senza offrire almeno una manciata anche piccola della propria avventura terrena. Un'affermazione del Crocifisso che Fra Leopoldo fisserà sulle pagine del Diario mette in luce in un modo immediato la risoluzione del cuoco di San Tommaso: " Tu ami me. Io amo te ". ( 27 settembre 1908 ) Il Cristo si rivela nella sua totale dedizione d'amore verso il destino di ogni uomo. Fra Leopoldo sottolinea le parole del Crocifisso e non pare neppure stupito quando la voce divina sussurra: " Leopoldo, sei contento di me? " ( 19 ottobre 1908 ) Entra in campo un clima di normalità, un filo logico conduttore di un discorso appassionante che nel cammino spirituale dell'umile francescano giunge a delle vette strepitose di autentica Mistica. Fra Leopoldo è contento di Dio? Sembra quasi di sentire dell'umiltà di Dio, addirittura della mendicità alla quale Dio si riduce per affermare la necessità del recupero del tema della carità. Fra Leopoldo non ha dubbi. L'amore ha la sua sorgente nel cuore stesso di Dio. Ciò che più lo sconvolge è il dover riconoscere che Dio ama e ha amato anche quando l'uomo non lo ama. Si tratta di annunziare questo messaggio dimenticato. Recuperare appunto la carità perché non si può amare se non si è amati. Dio non può essere abbandonato nella propria solitudine amorosa senza una risposta definitiva, decisiva da parte di un uomo che vuole autenticamente partecipare alla vita. Capitolo 2 Laudato si' mi Signore, per sora luna e le stelle, in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si' mi Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et omne tempo per lo quale a le creature dai sustentamento. " A questo tratto della misericordia di Dio andavo meditando, nella mia semplicità, dentro di me: Come è possibile che un Dio voglia abbassarsi con me poveretto peccatore? " L'espressione di Fra Leopoldo è nitida. Dalle prime battute del suo Diario vi è questa deliziosa scoperta della misericordia di Dio, il venire incontro all'uomo per rendergli più comprensibile la vita, più luminoso e confidenziale il dialogo con il mistero dell'Assoluto. Si può dire che tutto il tracciato del Diario sia un avanzarsi graduale verso lo scoprire la misericordia di Dio, il vivere la misericordia, l'offrire in un qualche modo, secondo le proprie capacità, un contraccambio a un gesto così sublime quale è la Redenzione. Fra Leopoldo rimane stupefatto dalla intensità dell'Amore di Dio. Quella che nel campo dell'amicizia San Tommaso d'Aquino con molta originalità chiama la " redamatio ", per Fra Leopoldo diviene " riparazione ", un gesto direi non tanto penitenziale o cinereo, quanto un tentativo creato con tutte le forze di mantenere vivida l'amicizia con il Cristo. Il 18 gennaio 1901 Luigi Musso, domestico di famiglie benestanti, cuoco e umile artigiano, veste le ruvide lane del Poverello d'Assisi nel Santuario - Convento si Sant'Antonio a Torino. Il nome che riceve: Fra Leopoldo. " Dopo tre giorni fui mandato nel Convento - Parrocchia di San Tommaso, dove facevo coll'aiuto di Dio quanto mi era possibile per osservare la Santa Regola del Padre San Francesco ". Ha inizio proprio in questa Comunità l'intreccio di intesa fra il SS. Crocifisso e Fra Leopoldo. Dolcemente, con estremo tatto Gesù modella quell'umile frate, gioioso di essere e di sentirsi al suo servizio. Ancora una volta il Cristo si fa sentire: " Una grande confidenza passerà fra me e te " ( 18 agosto 1906 ). Siamo nel clima intenso e forte dell'amicizia. Fra Leopoldo risponde a quella confidenza annotando l' 8 settembre 1906: " Se potessi avere la scienza di un Sant'Antonio, San Bonaventura, di un Sant'Agostino, vorrei scrivere volumi da spargere per tutto il mondo per cantar le tue glorie, le tue misericordie immense! " Viene spontaneo, a chi sfoglia oggi piano piano il Diario di Fra Leopoldo Musso, fare un accostamento su quanto il Magistero della Chiesa sottolinea così fortemente in un momento drammatico e insieme stupefacente. Il richiamo viene offerto da quel celebre documento che il Santo Padre Giovanni Paolo II inviò al mondo il 30 novembre 1980, la Dives in misericordia. Nel cielo di Dio, fra le innumerevoli stelle " pretiose et belle " come declama il Cantico delle Creature, Fra Leopoldo Musso appare all'improvviso, nella sua cucina, con la voce dal timbro caldo di profeta. Dice il Papa: " Come i profeti, facciamo appello a quell'amore che ha caratteristiche materne e a somiglianza di una madre segue ciascuno dei suoi figli, ogni pecorella smarrita, anche se ci fossero milioni di tali smarrimenti, anche se nel mondo l'iniquità prevalesse sull'onestà, anche se l'umanità contemporanea meritasse per i suoi peccati un nuovo diluvio, come un tempo lo meritò la generazione di Noè. Facciamo ricorso a quell'amore paterno, che ci è stato rivelato da Cristo nella sua missione messianica, e che raggiunge il culmine nella sua Croce, nella sua morte e risurrezione " ( Dives in misericordia 15 ). La Croce sigilla come per tutti i cristiani autentici anche il destino di Fra Leopoldo Musso. Non si tratta di vivere l'eco del passaggio di Gesù nell'arco di un passato ormai remoto, ma di esprimere con un atteggiamento forte la fede e addirittura la certezza del suo cammino fisico contemporaneo in mezzo a noi. Fra Leopoldo scopre il Cristo come il grande incompreso di ogni tempo, un qualcosa di non accettato e non voluto. Il sipario sulla vita del cuoco francescano si spalanca proprio in questo primo atto dell'avvicinarsi della mano di Dio alla mano dell'uomo. Una ricerca di conforto, un estremo bisogno divino di tenere accanto a sé il capolavoro della creazione finito in mille pezzi per la follia di un gesto e di un pensiero. Fra Leopoldo è seriamente colpito dalla concretezza contemporanea del Cristo crocifisso. A suo modo ne diviene ambasciatore tracciando il suo rapporto soprannaturale sulle pagine del Diario. È ancora una volta la naturalezza dell'avvenimento che lascia senza fiato. Il clamore non esiste, l'eccezionale viene smussato dinanzi a una semplice constatazione. Lo stesso Cristo di ieri è quello di oggi. Vi è un passaggio del discorso che Giovanni Paolo II tenne a Fairbanks in Alaska, durante il suo viaggio verso la Corea: " " Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro " ... Poiché siamo qui insieme nel nome di Cristo, Cristo è in mezzo a noi. Miei cari fratelli e sorelle, non proviamo un sentimento di gioia prorompente, una profonda serenità, sapendo che Gesù, il nostro Salvatore risorto, il nostro Sacrificio pasquale, la Luce del mondo, che questo Gesù dimora nei nostri cuori e ci dà la sua pace? ... Quando incontra Tommaso Gesù gli dice immediatamente: " Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo ma credente! " Tommaso rimase così colpito dalla gentilezza, dalla condiscendenza e dalla pazienza del Signore che riuscì appena ad articolare umilmente: " Mio Signore e mio Dio! " Sì, questo era davvero il Signore, trasformato dalla resurrezione e veramente vivo " ( 2 maggio 1984 ). Queste parole pronunziate dal Papa in quella che Paolo VI definì la Chiesa " della solitudine e del deserto di neve ", sintetizzano in modo mirabile la " ragione " il " perché " della chiamata evangelica di Fra Leopoldo Musso. Anche il suo mondo era fatto di solitudine e di deserto di neve. Da sempre l'uomo dinanzi al Cristo crea degli stacchi. E da sempre il Cristo accende in questo " nubilo " il " sereno " perché alle creature venga " sustentamento ". C'è questo rincorrersi fra Dio e uomo per le strade della vita che mette in evidenza sempre di più il tono di " amore " del messaggio cristiano. È importante fissare bene questa idea, altrimenti si perde il meglio di tutto l'intreccio di simpatia che intercorre tra la " Sorgente " e la vita nostra di ogni giorno. Tommaso rimane colpito dalla gentilezza, dalla condiscendenza e dalla pazienza del Signore. Fra Leopoldo articola queste tre realtà nella propria esperienza di consacrato e pone in azione il suo tentativo di offrire una chiave di lettura del destino umano. Per chi avesse timore di essere irretito in un Cristianesimo fatto di sospiri e languori, basta rifarsi al realismo crudo della Croce, alla gloria della resurrezione, per scoprire così il grande tema della vita umana. Si evidenzia sempre di più il valore dell'adorazione, il vivere compiutamente l'amicizia concreta e non simbolica con il Cristo. Il dramma del nostro essere cristiani sta proprio in questo fatto unico e formidabile: accettare che Dio c'è e dialogare con " gentilezza " con Lui. Superare, in parole chiare, quell'ateismo pratico di fondo per inabissarci dentro al Verità. Fu questo il problema di Pilato. Non potremo mai dimenticarlo. Guardando in faccia il Cristo che andava a morire, il Procuratore di Tiberio gridò: " Ma che cos'è la Verità ? " e si lavò le mani davanti al mondo, chiudendo sé e la sua storia in una prigione senza più luce. " nel tempo dell'adorazione Gesù ci dà tanta dolcezza, con tanta benignità ci incoraggia a soffrire volentieri in questo breve tempo di vita! Si passano ore e ore della notte in adorazione e non ci si accorge del tempo che va velocemente ... " ( 15 settembre 1906 ). Sono espressioni delle prime pagine del Diario. Fra Leopoldo inizia a percepire la necessità di rimanere in collegamento con il Cristo. È in questo modo che si costruisce il valore della vita e se ne affronta il grandioso mistero proprio come atto di partecipazione riparatrice alla tragedia del Calvario. Il silenzio di Cristo davanti a Pilato diventa eloquente per Fra Leopoldo. Il semplice cuoco sa che la Verità non può essere espressa in parole ma in una persona concreta che viene condannata alla crocifissione. È a questa persona che è stata annientata dall'odio e dalla prepotenza che Fra Leopoldo lega la propria esistenza, perché si rende conto benissimo che senza " quella " verità è impossibile vivere. E ciò che il francescano vuole fare è comunicare appunto il vivere. Si nota in modo chiarissimo nel Diario l'importanza che Fra Leopoldo dà alla vicinanza con il Cristo per portare a Lui conforto. La parabola del Samaritano nell'ottica del converso, vede Cristo gettato ai bordi della strada dalla cattiveria di coloro che non vogliono scoprire il tesoro nascosto nella vita. È importante curvarsi su di Lui, curare il suo tormento e le sue piaghe, soccorrerlo con il conforto e l'attenzione della vera amicizia. È un atteggiamento difficile da accettare e da realizzare. Agli occhi dei più, quel nostro preoccuparci di alleviare la sofferenza dell'uomo buttato via non ha senso e anzi diviene apertamente ridicolo perché sulla strada dell'esistenza non c'è tempo da sciupare per preoccuparsi di creare una parentesi di tempo e di attenzione per qualcuno che non serve. Ma è proprio " questo qualcuno che non serve " che impressiona Fra Leopoldo e gli si imprime nella fantasia. È su questa inutilità che si innesta la grande quercia del " perché " di ogni destino. " Quando avete fatto tutto dite: siamo servi inutili ", lo aveva affermato Cristo. Ma Fra Leopoldo ha la certezza di non aver fatto niente. Da qui l'urgenza di " riparare " in qualche modo alla disattenzione, all'indifferenza. Nasce così uno stato d'animo traboccante di serenità che lo induce a partecipare quella scoperta dell'amicizia con il Cristo che, via via, diventa sempre più radicale, sempre più impegnativa. È necessario dirlo, usare qualsiasi linguaggio ma giungere al cuore delle creature umane per annunziare lo splendore della Grazia. Fra Leopoldo si guarda attorno e vede con estrema amarezza che la vita umana è una interminabile parabola del Samaritano. Con la differenza che nessuno si curva sul malcapitato che giace morente sul ciglio della strada. Tutti hanno da fare, tutti hanno fretta, tutti sono importanti. Ancora una volta il gesto di Pilato: lavarsene le mani. Non badare a ciò che può turbare l'andamento normale delle cose. C'è una richiesta da parte del Cristo che Fra Leopoldo appunta: " Se tu mi dai tanto amore nell'adorarmi e ne fai promessa per tutto il tempo della tua vita, io ti dò tanta grazia " ( 16 settembre 1906 ). Al cuoco abituato alle marmitte della cucina non sfugge la ragione di quella richiesta e soprattutto do quando nasconde. " Il mio buon Gesù crocifisso è mestissimo, sovente mi fa intendere che lo consoli ... il dovere nostro è di consolare Gesù colla preghiera e penitenza; non abbiamo ancora concepito questo buon pensiero che ecco la bontà, la pietà di Gesù crocifisso, il quale, senza che noi ce ne accorgiamo, si fa piccolo come un bambino, ci carezza, ci dona la pace, l'allegrezza, la serenità: questo inestimabile tesoro si trova ai piedi di Gesù crocifisso, in adorazione come nel Venerdì Santo ... " ( 19 settembre 1906 ). " Ah! non essere in grado di poter scrivere parole di fuoco, di amore da far conoscere a tutto il mondo la grandezza, la bontà di Dio! L'amore del Signore per un'anima che ama, è sempre un fuoco continuo che la brucia ... " ( 24 settembre 1906 ). Il 5 ottobre 1906 Fra Leopoldo annota queste parole percepite nel più profondo di sé: " Mi sono servito di te per gettare il seme, ora io lo coltivo con la grazia e colla carità. Alle anime che mi amano sarò della santa "adorazione" sempre vicino e sarò la loro santificazione ". L'attenzione dell'umile francescano si fa più precisa. Il messaggio del Crocifisso è una richiesta di collaborazione. Bisogna ricostruire il progetto primitivo dell'uomo. E Fra Leopoldo non vuole essere assente da questo meraviglioso, affascinante servizio. La scoperta di quanto è veramente valido nella vita, lo muove a intensificare sempre di più la vivacità della scelta di stare dalla parte del Cristo. Il Vangelo è una dichiarazione precisa sulla " regalità " di coloro che si pongono nel grande mare negli ultimi, dei dimenticati. La stessa situazione del Maestro di Nazareth gettato sul ciglio della strada, in un abbandono totale, tra l'indifferenza di quanti passano lungo la via. " Dopo la nostra morte non si conosce più distinzione di titoli di Re né di Regine; quel che brilla sono le virtù praticate in vita. Quando il tuo spirito uscirà dal tuo corpo, in un attimo traverserà le più alte sfere celesti, l'anima tua inebriata di quell'amore, che in terra tanto mi hai portato e che sarà centuplicato dopo la tua morte, gaudio immenso godrà. Quanto è mai misericordioso Iddio! Gli uomini del mondo se ricevono ingiurie, non la perdonano tanto facilmente; solo un Dio sempre tende le braccia per darci il bacio del perdono " ( 28 luglio 1908 ). È la ricchezza della misericordia di Dio che Fra Leopoldo sottolinea è illumina. Fa impressione scoprire che questo altissimo concetto teologico venga contemplato fra le mura di una cucina. Ma l'inebriante fatto del Vangelo si racchiude appunto in questo capovolgere in continuazione il sistema di vedere umano per lasciare sempre più spazio all'ottica di Dio. Per Fra Leopoldo non vi sono dubbi: " Meglio stare un'ora in colloquio con Gesù crocifisso, che godere per cent'anni le delizie del mondo ingannatore, che promette delle felicità che non ha mai possedute " ( 30 luglio 1908 ). Il modo di presentare la verità è semplice, molto alla buona e alla portata di tutti. Il messaggio è ovviamente lanciato per chi ha il coraggio di spogliarsi di ogni scienza per lasciare spazio all'esperienza di Dio. È una cosa che solo gli ultimi possono conoscere e capire, proprio perché hanno rifiutato in partenza di abbigliarsi con " l'inganno " del mondo. Eppure è con questo linguaggio che Dio si presenta alla Storia ponendo sul tappeto le proprie credenziali, e dichiarandosi solennemente a Mosé come " Dio di tenerezza e di grazia, lento all'ira e ricco di misericordia e di fedeltà " ( Es 34,6 ). Tutta l'impostazione spirituale, in misterioso tracciato interiore di Fra Leopoldo tendono a palpitare in questo unico senso: la certezza della misericordia divina nel ricondurre il progetto " uomo " alle sue origini. Giovanni Paolo II regalando al mondo la Dives in misericordia intesse tutta la lettera enciclica su questo fondamentale concetto. Cristo vi compare come l'Incarnazione della misericordia e punto di riferimento per un costruire mirabilmente la dignità umana. Misericordia che si rivela sulla Croce e nella Risurrezione. Appare stupefacente l'affermazione del Papa: " La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore quella forza creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza della vita e della santità che proviene da Dio... La Croce di Cristo sul Calvario sorge sulla via di quel admirabile commercium, di quel mirabile comunicarsi di Dio all'uomo, in cui è al tempo stesso contenuta la chiamata rivolta all'uomo, affinché donando se stesso a Dio e con sé tutto il mondo visibile, partecipi alla vita divina, e affinché come figlio adottivo divenga partecipe della Verità e dell'Amore che è in Dio e che proviene da Dio " ( Dives in misericodia 7 ). L'esperienza rimane identica, fissata perennemente nella certezza di vivere all'ombra dello Spirito, quell'Amore che diventa più potente della morte, più potente del peccato. La certezza di esperimentare in ogni istante la misericordia. La Torino in cui vive Fra Leopoldo respira forse, senza pensarsi, l'incisività più forte di questa misericordia. È una città della grande risposta d'amore di Dio nel clima violento di ateismo che lei si volle seminare nel cuore. Luigi mosso, il futuro fra Leopoldo, è ancora un bambino quando in Piemonte vive i fermenti della Rivoluzione liberale e del Risorgimento, l'ora terribile della soppressione degli Ordini Religiosi e i conflitti fra Governo e Clero. Ma è il momento in cui Torino fiorisce in San Giuseppe Cottolengo, il " manovale della Provvidenza " che si pone al servizio degli incurabili più gravi, gli handicappati rifiutati, in San Giovanni Bosco che si pone al centro di un'attività in favore dei giovani, per la loro educazione religiosa e umana. Fra Leopoldo spalanca una sua adolescenza e la sua giovinezza nell'eco di queste voci vicinissime che senza interruzione portano nel tempo la sicurezza che ha Provvidenza in Dio guida di cammino misterioso della Chiesa nel mondo. Torino è in questa pagina di cronaca italiana al centro dell'attenzione. Vi dimora il Sovrano e vi si respira l'aria di capitale, ma la situazione economica è precaria, un quarto della popolazione vive di assistenza. C'è miseria, fame, disoccupazione. All'inizio del secolo nascono problemi nuovi e nella cucina del convento francescano di San Tommaso Dio prosegue la sua opera. Tocca ora a Fra Leopoldo prendere in mano il lavoro interrotto da chi è venuto prima. La semplicità evangelica del converso venuto dal Monferrato non perdere la propria luce. Accetta con dignità e prontamente quanto di Cristo gli affida. L'importante è rimanere legati in un mondo forte alla Croce; il resto, lo strumento per farsi capire l'arriverà dopo, al momento opportuno. Sono passati cinquant'anni dalla canonizzazione del Cottolengo e di Don Bosco. E Torino ha voluto ricordare insieme le due figure affidandone la rievocazione all'Arcivescovo di Milano Cardinale Carlo Maria Martini. C'è un punto nel discorso del Porporato che va fissato per sempre, per capire la concatenazione degli avvenimenti, la potenza di un amore che non viene mai meno e che si chiama Grazia! " Il Cottolengo e Don Bosco hanno aperto una via di in un nuovo dialogo con la società e ne hanno individuate tre forme: caritativa, educativa e culturale che si possono dare delle importanti indicazioni. La carità oggi deve andare verso quelle forme di emarginazione e che sono dei nostri tempi, dalla droga alla malattia mentale alla trasformazione tecnologica che chiede una riqualificazione delle energie, alle nuove povertà spirituali e umane. L'opera educativa deve seguire le nuove vie indicate dall'informatica e dalle scienze moderne per creare una nuova solidarietà universale. Il confronto culturale tra Chiesa e società deve procedere sulle linee indicate dal nuovo Concordato per aprirsi a nuove presenze nella società. Ma tutto questo si verificherà ad una condizione, se sapremo privilegiare l'incontro vero con le persone bisognose di calore umano, se sapremo amare. Diceva Don Bosco: i giovani non è sufficiente che siano amati, bisogna che sappiano di essere amati. Se sapremo amare così ripeteremo i miracoli del Cottolengo e di Don Bosco ". Nel gennaio 1909 Fra Leopoldo ha un annunzio ben preciso. I contorni forse gli sfuggono ma annota con fedeltà le parole del suo Crocifisso. Il Cristo parla di un Ordine religioso. " L'ordine che sorgerà, sia coltivato prima di tutto con la pietà, con la reciproca assistenza e umiltà, coll'attività e modestia e grande carità fraterna: in unione con Gesù crocifisso portare la croce con gaudio... ( 29 agosto 1908 ) L'opera che verrà sarà mondiale e darà abbondantissimi frutti come albero magistrale... Da questa pianta dell'ordine darò molti santi... ( 7 gennaio 1909 ) Dalla pia Unione verranno santi padri di famiglia e molte evocazioni. ( 14 marzo 1915 ) È mia volontà che la pia unione si estenda in tutto il mondo, per riparazione dei tanti insulti che mi si fanno, e perché da questa ne verrà dalla riforma del mondo portata nella gioventù educata nel nome di Dio ... " Fra Leopoldo alza gli occhi verso il suo Signore. Accetta l'incarico. Ognuno nel Regno deve sapere offrire il proprio servizio. Il cuoco di San Tommaso si rende conto che non si può rimanere inoperosi. Bisogna fare qualcosa: incominciare! Capitolo 3 Laudato si' mi Signore per sor'acqua la quale è multo utile, et humele et pretiosa et casta. " L'annunzio della Primavera arrivò fino a Nazareth. Veniva su dalla vallata dove un lieve frullo d'ali, un trillo, prima, poi una subita esplosione canora, avevano ridestato l'umile ulivo e il composto cipresso. Le casette scavate nel terreno calcare bevevano la nuova luce, la nuova aria trasparente e leggera, e dal cielo dei beati si partì un messaggio: Gabriele. Egli si dirige sull'oscuro villaggio, verso uni dei tuguri aggrappati alla collina. Forse la casta luce dell'alba imbiancava il crinale dei colli. Nella povera casa profumata di virtù e di preghiera, Maria era sola. Ave Maria! " È una pagina lirica di Salvatore Garofalo che ricorda l'Annunciazione e che mi piace citare per introdurre il personaggio chiave di tutto il cammino spirituale di Fra Leopoldo Musso: Maria stessa, che entra dolcemente nella vita del cuoco francescano per trasformarsi in ponte di passaggio tra lui e il mistero del Crocifisso. È fondamentale fissare anche questa presenza mariana per Fra Leopoldo perché è attraverso Maria che si raggiunge nell'anima del francescano il compimento del grande progetto che arriva dal Cielo come un messaggio. La Vergine si fa sentire in modo sottolineato da Fra Leopoldo. Come una polla d'acqua preziosa Lei lo inonda di serenità. gli si offre come luce che rischiara il suo costruire, piano piano, tutto ciò che giunge dal Calvario. Maria gli si affianca umilmente. Ancora una volta Fra Leopoldo non afferra l'eccezionale situazione. Per lui la " diversità " di Dio è la normalità quotidiana. È convinto nel più profondo del cuore che ciò che è veramente fuori del normale, ciò che è capovolto è il modo di vedere da parte delle creature umane. L'umiltà che fascia la vita di Fra Leopoldo gli fa comprendere che cosa è veramente importante per affermare la completezza dell'esistenza, i suoi segreti nascosti, e soprattutto l'uso dei dono di Grazia immersi da Dio nel più profondo del cuore. Il converso non sa che cosa siano i carismi, per cui non pensa di possedere delle qualità particolari. Ma intuisce che è indispensabile porsi di fronte alla Provvidenza come un campo sterminato, nel quale l'Assoluto dovrà affondare l'aratro, seminare, irrigare e raccogliere la messe. Ad aiutarlo in questo passo di disponibilità verso il Crocifisso e il grande " perché " della Redenzione è proprio Maria verso la quale Fra Leopoldo sente un'intensa venerazione, un commovente trasporto dal candore squisitamente evangelico. Nel Cristianesimo non si danno presenze incisive, capaci di trasformare e lievitare la vita senza l'eco della voce di questa Vergine " piena di grazia ". La Storia della Chiesa intreccia nella vita dei propri testimoni la figura del Crocifisso e quella della Madre, l'Immacolata. È inconcepibile un profeta cristiano, un ambasciatore del Calvario senza Maria. È Lei infatti, perché creatura umana, che stimola i fedeli dalle Croce a tendere verso la virtù, la santità, la " normalità "! " La virtù non rende l'uomo anormale, ma gli dà il segreto e la forza per essere straordinario nell'adempimento dei doveri comuni. Sull'aia arida del mondo, Maria fu, come il vello di Gedeone, candida lana inzuppata di celeste rugiada. I meriti futuri del Figlio la fecero, nel concepimento, immacolata dalla colpa di origine. Gli altri uomini furono redenti, Maria fu preservata. Il mondo non ha mai capito Dio e quando lo ha visto in umana sembianza lo ha inchiodato sulla croce del delinquente. L'uomo non è mai tanto ridicolo come quando crede di fare a meno di Dio. La sua insubordinazione al "lieve giogo" della legge di Cristo è prezzo di altre innominabili schiavitù. La grandezza di Maria non è di parata che può incantare, ma è una grandezza costruita sul quotidiano sacrificio di sé che fa pensare e sollecita alla imitazione. L'ubriacatura dello spirito e dei sensi che il mondo gabella per gioia, non è neppure un surrogato della vera gioia: ne è la parodia sacrilega, la negazione. La Vergine ha parlato e continua a parlare agli uomini con il suo esempio e nel segreto del cuore e cerca di scuoterli... " Ancora una citazione di Salvatore Garofalo dal suo libro Parole di Maria. I pensieri mettono in luce molto bene il " servizio " che la Vergine compie nella Chiesa. La continuità del rapporto fra Lei e il mondo rimane la cosa più interessante e vivida. Maria ridiventa sempre la " Mediatrice ", la figura per comprendere in un modo più radicale la " grande ragione " che ci deve innestare nel mondo soprannaturale, dal quale giungiamo e al quale dobbiamo tendere. È difficilissimo, per non dire drammatico, cercare il vocabolario, il linguaggio che dia la possibilità di farci capire da un'umanità che non ha mai voluto accettare il suo naturale rapporto con la " Sorgente ". si continuerà a dire: " l'uomo di oggi " non vuole più avere un rapporto con il divino. Ma tutto questo è inesatto. Non è l'uomo di oggi. È l'uomo di sempre Perché sempre l'uomo ha riso e ride di Dio. Non gli piace la soprannatura. Non è di suo gusto, non entra nel suo stile. Ma anche se non crede al peccato originale di Adamo e d'Eva, ogni uomo segue più o meno inconsciamente lo schema psicologico che si ricollega a quel remoto senso di colpa. Vale a dire la ribellione. Ed è su questa ribellione umana che si può capire tutto l'intervento di Dio a livello di altissimo amore sulla sua stessa creatura. Il peccato originale ripone l'uomo nel suo più cinico stato di animalità. E Dio ne rimane turbato. Affronta un progetto di emergenza, qualcosa di impensato, il meraviglioso che accade. Noi non abbiamo l'idea più pallida di ciò che possa essere la misericordia di Dio. L'uomo deve essere veramente qualcosa di importante se Dio ha escogitato uno stratagemma tale per potersi reinserire nella Storia. Il difficile sta appunto nel trovare il linguaggio per farsi capire. Sillabare una verità tanto primordiale quanto attuale. l'amore è una parola che l'uomo non riesce a dire da solo. È il messaggio di un altro mondo. Fra Leopoldo conosce tutto questo. La cucina del Convento che diviene la sua Università gli insegna i grandi sentieri del Regno. L'entusiasmo afferra il piccolo converso. Fra Leopoldo non sa come comunicare e a chi fare capo per delineare questa sua esperienza. Una pagina degli Atti degli Apostoli: " All'udire queste parole, i presenti si sentirono come trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri Apostoli: "Fratelli, che cosa dobbiamo fare?" " ( At 2,37 ). Che cosa devo fare? È Maria che si fa sentire a Fra Leopoldo. " Tu scrivi, figlio mio, di me e io ti saprò ricompensare: morto il tuo corpo, l'anima tua s'appoggerà sopra il mio seno come vezzoso bambino. In avvenire io sarò la tua maestra .. Tu sei il mio segretario angelico ... Ora appunto perché, come dici tu, sei peccatore, sarai in prigione per sempre nel Cuore di Gesù e Maria. Ora che tu, Leopoldo, non puoi più uscire da questa celeste prigione, non stai bene solo: devi chiamare altri, che vengano a farti compagnia colla preghiera continua. Sei contento, figlio, di fare il segretario anche per me? " ( 24 ottobre 1908 ). Ma chi chiamare? Chi dovrà tenere compagnia a Fra Leopoldo? Chi accetterà sul serio tutto quello che avviene tra un converso francescano e il mondo di Dio? Alle spalle dell'umile frate urge la forza del Crocifisso e dell'Immacolata. Fra Leopoldo annota nel Diario il clima di malessere. Le parole della Vergine: " Figlio, se tu sapessi quanto sono strapazzata e derisa dagli uomini! Si, la mamma del tuo Gesù è insultata. Fa' tu riparazione figlio mio, collo scritto e colla preghiera, io poi saprò contentarti " ( 28 novembre 1908 ) " La tua vita è tracciata così: non devi contentarti di passare i giorni santamente solo per te, ma devi stare attento a passare lietamente ogni momento con un tenore di vita più evangelica che umana ad esempio altrui " ( 30 dicembre 1908 ). Fra Leopoldo si chiuse in se stesso quasi in atteggiamento di attesa. La Vergine gli ha offerto il pane della Croce come cibo: il dolore. Una sofferenza fisica e morale incomincia a imperversare su questa creatura sconosciuta. È il momento di stringere i denti, la pagina sulla quale bisogna scrivere l'atto di fede, il terribile " spazio " sopportato dal Cristo sulla Croce, l'abbandono. Ecco nuovamente fare capolino quel pensiero. Inserirsi nella solitudine di Cristo, nel suo sentire freddo. Fra Leopoldo deve averlo conosciuto bene questo dolore fisico e morale. Deve averne provato tutta la dimensione, la varia gamma di colori, gli squilibri, l'orrore di sentirsi finito, non più partecipe del sole e del respiro. Fra Leopoldo deve avere sentito l'onta, l'umiliazione di dipendere dai farmaci, e l'ironia di chi ormai lo prendeva per pazzo. Chi può credere seriamente al passaggio di Dio? Solo allora, in pieno dolore, davanti alla Vergine che gli si manifesta come la Madre del dolore, Fra Leopoldo comprende in pieno la solitudine del Cristo, il suo spaventoso abbandono, il suo freddo. È in questo attimo così travagliato che si inserisce con un gesto eroico di volontà in qualcosa che è più grande di lui, qualcosa che non può capire ma che intuisce essere il " tutto ", la Croce! Come andrà a finire non lo sa. Non gli importa ciò che può accadere. La tentazione gli pone dinanzi il fantasma dell'autorità con la quale dovrà discutere il suo " sentire " il suo " morire ", ma nuovamente percepisce l'invocazione che giunge dalla Sindone. C'è qualcosa di concreto che sfugge, qualcosa di grande che non può essere compreso da un cuoco converso francescano. È il 25 ottobre 1912. Ma il racconto è necessario lasciarlo a Fratel Teodoreto, Fratello delle Scuole Cristiane. " Mi recai alla vicina Chiesa di San Tommaso dove fui ricevuto cordialmente da Fra Leopoldo. Ci scambiammo poche parole, perché le occupazioni del Servo di Dio non gli permettevano di fermarsi, ma fissammo il giorno 30 dello stesso ottobre, alle ore 16, per un secondo incontro. Nel frattempo, avendo Fra Leopoldo chiesto a Gesù, nell'orazione, come doveva regolarsi nel colloquio che avremmo avuto, udì queste parole; "Sii umile ed abbi confidenza". Infatti Fra Leopoldo mi parlò di cose straordinarie, ma con vera umiltà e confidenza, e la sua conversazione in quel colloquio e in quelli che lo seguirono, ebbe sempre un'unzione speciale e un'efficacia soprannaturale da potersi paragonare a quella prodotta da un Corso di Esercizi ben fatti " ( Il Segretario del Crocifisso pag 119). È importante sottolineare tutto: sono le ore 21 del 23 aprile 1913. Una data, un momento storico, un brivido carico di entusiasmo, un destino. L'acqua che scaturiva dalla roccia francescana si presentava veramente utile, humile et pretiosa et casta! Fratel Teodoreto nel 1906 aveva frequentato il secondo Noviziato presso la Casa Generalizia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, trasferita da Parigi a Lembeq-les-Halles nel Belgio. ai Fratelli venne raccomandato di lavorare alla formazione di un laicato cattolico militante dando continuità e sviluppo al progresso educativo operato dalle Scuole Cristiane mediante fatti associativi specifici. È a Lembeq-les-Halles che Fratel Teodoreto concepisce l'idea di organizzare un'Associazione intesa ad aiutare i giovani a realizzare nel mondo, nella concretezza dei loro ambienti professionali, familiari e civili, una vita intensamente cristiana e catechisticamente operante. L'incontro tra Fratel Teodoreto e Fra Leopoldo costituirà il terreno fecondo dal quale fioriranno i Catechisti dell'Unione del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata. La data di inaugurazione dell'Opera è del maggio 1914 in via delle Rosine 14 presso le Scuole di santa Pelagia dei Fratelli. san Francesco d'Assisi si intreccia con la via realizzata da San Giovanni Battista de La Salle. Era il 1680 quando il de La Salle, dopo avere ponderato bene il problema e sottolineato stupito " la conduite admirable de la divine Providence ", supera la propria " noblesse de robe " e decide senza rimpianti di abbandonare la propria posizione ecclesiastica di Canonico di un Capitolo illustre. Smantella ogni comodità e sicurezza per iniziare la strada nuova di una vocazione condotta " sagement et suavement " da Dio. La sua attenzione è ora rivolta ai rustici maestri di scuola messi insieme da Adrien Nyel. Convivrà stabilmente con loro in aperta sfida all'opinione pubblica della borghesia benpensante di Reims. Incalza la povertà, il de La Salle si spoglia impietosamente di tutto e sceglie per sé e per i propri compagni la via della Provvidenza. " La sfida alla mentalità mondana è più pungente perché incarnata nella figura dell'ecclesiastico gentiluomo. La follia della Croce splende più nitida e marcata nell'umiltà equilibrata del Santo ". Sono le parole che il Presidente dell'Unione Catechisti pronunziò nell'Aula Paolo VI il 15 maggio 1980 in occasione del terzo Centenario lasalliano. L'obiettivo del Santo e dei suoi Fratelli sarà il mondo dei giovani. Il momento storico è uno dei più travagliati. Alle incessanti guerre volute dal Re Sole hanno fatto seguito carestie e pestilenze. La Francia è in ginocchio. " due milioni di poveri e di mendicanti su 17 milioni di francesi ". Si cerca di fare fronte un po' dovunque e come è possibile alla tragedia. Nascono Ospizi e Ricoveri, ma anche le prime Scuole popolari. " Agli albori del secolo XVIII, carichi dell"esprit de géometrie" di Cartesio, dell'"espit de finesse" di Pascal, dell'"esprit critique" del Bayle incarnato nei libertini, del crepuscolo dei mistici, del gallicanesimo e del giansenismo, mentre si pongono i fermenti del razionalismo illuministico, della cultura del secolo dei lumi, dell'avviamento egemonico di una borghesia mercantilistica, terriera e poi industriale, la "regìa" della Provvidenza muove, guida, conduce il de La Salle alla realizzazione di un piano di rinascita ecclesiale e di ricostruzione dell'uomo e della società mediante la scuola... " Ancora parole del relatore nell'occasione che è stata appena sottolineata. San Giovanni Battista de La Salle si rende conto che non è possibile porre un rimedio occasionale o provvisorio. Qui si tratta di conferire basi stabili " con potenzialità di sviluppo al gruppo dei maestri reclutati dal Nyel che, come tanti loro colleghi del tempo, sono inesperti, mercenari e carenti di professionalità. Ciò allo scopo di dare ai figli del popolo, di cui quasi nessuno si occupa, una istruzione e una educazione che li inserisca in modo vivo e operante nel contesto ecclesiale e sociale. Questo sforzo di azione progressiva porta il Santo a inventare la Scuola popolare come ambito e struttura dinamica della società " ( op. cit. ). Il punto emergente è, in definitiva, la crescita ecclesiale e il rinnovamento complessivo della società. All'istituzione lasalliana incominciano a convergere scuole elementari parrocchiali, scuole festive tecnico-professionali per gli operai e gli artigiani, collegi per i nobili irlandesi profughi dalla patria, scuole magistrali per la formazione dei maestri, istituti di recupero e di rieducazione per i condannati dai tribunali, scuole mercantili e commerciali per la borghesia della Normandia. I punti di riferimento rimangono i figli dei poveri. " Quello che preme al de La Salle sono le vite che vanno perdute, sono i talenti che vanno sprecati sia per il tempo che per l'eternità, sono quelle maturazioni di persone che non si avvereranno mai. Egli non opera per una scuola e per una società in cui l'avere o il non avere siano di per sé qualificanti l'essere profondo dell'uomo, ma per una scuola e per una società in cui si sia capaci di essere e di essere in modo responsabile, solidale e fattivo, qualunque sia il ruolo che si ricopra, partendo dalle concrete condizioni e situazioni " ( op. cit. ). Viene sottolineata in questo clima lasalliano la professionalità; " la capacità di inserimento, come soggetti, nella realtà storica e sociale e nella realtà ecclesiale, mediante lo svolgimento di un'attività lavorativa e produttiva di beni e di servizi. Singolare è il risalto che egli conferisce al momento lavorativo e di servizio per la promozione della persona a dignità di soggetto, e come seminario privilegiato per la vitalizzazione e la crescita progressiva del popolo di Dio " ( op. cit. ). Un'affermazione fondamentale del Santo de La Salle: " Nella vostra missione, dovete unire lo zelo per il bene della Chiesa con quello del bene dello Stato del quale i vostri giovani cominciano ad essere membri e devono diventarlo ogni giorno più perfettamente. Procurerete il bene della Chiesa facendo dei giovani dei veri cristiani, procurerete il bene dello Stato insegnando tutto ciò che ha attinenza con la vita " ( MF 160,3 ). I giovani, nell'idea del Santo, dovranno vivere il mistero di Cristo, della sua morte e risurrezione " celebrandolo nelle varie condizioni e situazioni della vita: nella scuola, nel lavoro, nella società, ovunque, in ogni cosa e con ogni cosa " ( op. cit. ). Bisogna imparare tutto ciò che ha attinenza con la vita come si esprime nel suo contesto storico, così come urge e necessita nella realtà quotidiana. La scuola diventa allora frutto della Carità di Cristo, fattore di promozione redentiva dell'uomo. I Maestri che usciranno dal carisma lasalliano saranno laici consacrati, espressione di un sacerdozio spirituale " che si celebra mediante la scuola, a servizio del sacerdozio spirituale dei fedeli nella società " ( op. cit. ). Fratel Teodoreto unito a Fra Leopoldo dal Signore Gesù contemplato nella sua umanità crocifissa e gloriosa, dalle cui piaghe aperte sgorgano la risurrezione e la vita, è giunto misteriosamente alla grande programmazione del progetto di Dio. L'umile cuoco converso francescano non se ne stupisce, Se ne va diritto per le strade indicate dal Crocifisso. L'ora è giunta, anche se le difficoltà lo assediano, anche se il dolore bussa quasi incessantemente alla sua porta. Lo consola quanto san Giovanni Battista de La Salle ha raccomandato ai Fratelli: " di generare, per così dire, la SS. Vergine nel cuore degli alunni, ispirando una tenera devozione verso di Lei... È necessario che questa fecondità sia il frutto delle vostre ferventi preghiere, del vostro amore verso la SS. Vergine e dello zelo che ponete nel farla amare " ( MF 146,2 ). Gli strumenti, i mezzi per comunicare, il vocabolario giusto sono stati dunque trovati. Il meraviglioso è lasciarsi ora andare secondo l'onda della Provvidenza che ha la sua " regìa ". Il 24 novembre 1919 Fra Leopoldo annota nel suo Diario le parole che il Crocifisso gli ha fatto percepire nell'intimo: " Per salvare le anime, per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità per far imparare ai giovani Arti e Mestieri ". Anni prima, esattamente il 9 maggio 1914, Fratel Teodoreto aveva ottenuto dal Cardinale Agostino Richelmy Arcivescovo di Torino il consenso di fondare l'Unione del SS. Crocifisso e di Maria Immacolata con Allievi ed ex-Allievi lasalliani ai quali si aggiungono giovani di diversa provenienza. Il Cristo conferma ufficialmente a Fra Leopoldo, tra le mura della cucina di San Tommaso, l'approvazione di Dio. E Fra Leopoldo affida a Fratel Teodoreto il messaggio sulla Casa di Carità Arti e Mestieri. Poi si crea all'improvviso in lui una grande pace. Sa che i suoi occhi non vedranno l'espandersi dell'Unione. Come il Libro di Dio si è aperto così si chiude. Ne è egualmente felice. Il cuore gli danza nell'intimo. Sta per dire il suo ultimo " amen ". Lo stupefacente di Dio, quel costruire silenzioso dell'Eterno nel tempo continua. continua proprio in quella città, in quella Torino, così disattenta, che ha avuto e che continua ad avere innumerevoli segni di privilegio da parte del Cielo. Nel silenzio della cella del suo Convento francescano Fra Leopoldo prega. Ringrazia la misericordia del Crocifisso che lungo l'arco delle generazioni semina " la cosa dai molti splendori ". E il suo pensiero corre come sempre alla Signora più splendente delle rose, a Colei che la Misericordia ha donato al mondo come Mediatrice. La Storia ha voluto che fosse Maria ad annunziare nel Nuovo Testamento la misericordia. Il canto del " Magnificat ". La felicità di dire con la freschezza, umile, preziosa e casta: " di generazione in generazione la sua misericordia ". Fra Leopoldo è commosso ma pieno di entusiasmo. Il suo spirito legge già nel futuro. Un Papa venuto da lontano fisserà per il mondo questa Verità Ed è nelle Dives in misericordia che Giovanni Paolo II afferma: " Maria è anche Colei che, in modo particolare, come nessun altro, ha sperimentato la misericordia e al tempo stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina. Tale sacrificio è strettamente legato alla Croce del Figlio, ai piedi della quale ella doveva trovarsi sul Calvario. Questo suo sacrificio è una singolare partecipazione al rivelarsi della misericordia, cioè alla fedeltà assoluta di Dio al proprio amore, all'alleanza che egli ha voluto fin dall'eternità ed ha concluso nel tempo con l'uomo, con il popolo, con l'umanità; è la partecipazione a quella rivelazione che si è definitivamente compiuta attraverso la Croce. Nessuno ha sperimentato al pari della Madre del Crocifisso, il mistero della Croce, lo sconvolgente incontro della trascendente giustizia divina con l'amore: quel "bacio" dato dalla misericordia alla giustizia " ( Dives in misericordia 9 ). Ora Fra Leopoldo sa che il Cristo non è più solo e non ha più freddo. È a questo punto che si inserisce il fatto più alto della vita mistica di Fra Leopoldo Musso: la consegna di comunicare al mondo lo strumento di riconciliazione fra Dio e uomo. Si tratta di un dono particolarissimo che il Cristo concede al francescano per iniziare a tessere la splendida trama di un rapporto soprannaturale che riuscirà in un momento storico così travagliato come il nostro a costruire un nuovo linguaggio nel campo della preghiera. Siamo nel 1913. È l' 11 di ottobre. Fra Leopoldo si trova in silenzioso colloquio con il suo Signore. Il suo cuore pensa a Fratel Teodoreto. La sua anima si illumina con una invocazione: " Signore, benedite i Fratelli delle Scuole Cristiane, e la vostra benedizione si propaghi nei figli da loro educati nel santo timor vostro in modo da renderli forti, con la grazia vostra, quando disgraziatamente avessero da incontrare malamente qualche lupo traditore dell'anima loro ". La risposta non si fece attendere: " Sì, vieni qui vicino; tutto quello che mi hai chiesto per te e per i Fratelli delle Scuole Cristiane... verrà, sarà ". Un mese dopo il Crocifisso si fa riudire: " Fermati qui, e non mi chiedi niente? " " Signore ", sussurra Fra Leopoldo, " fate che per mezzo dei Fratelli delle Scuole Cristiane si propaghi la vostra santa adorazione ". " Si, ma volevo sentirlo anche da te ". Il dialogo continua: " Signore, fate che i giovani ammessi a far parte delle Scuole Cristiane, Fratelli e alunni che hanno la grazia vostra di praticare la santa Adorazione, la tramandino di generazione in generazione e che la vostra Santissima Croce, nostra salute, sia in voi ricordata, amata, adorata con soavissima gioia e fede benedetta ". E il Cristo: " Una copia di questo colloquio la segnerai nei tuoi quaderni, e un'altra la darai al Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane ". Il 6 marzo 1914 è sempre il Crocifisso a delineare per Fra Leopoldo il cammino. " Benedico i primi frutti della Santa Devozione-Adorazione, cioè i figli congregati e tutti quelli che cooperano e promuovono la detta Adorazione a me Gesù Crocifisso ". Poi un ordine preciso per Fra Leopoldo: " far sapere ciò ai Fratelli del Belgio, ossia ai Superiori, per il santo incoraggiamento ". Fratel Teodoreto Garberoglio porta il messaggio al suo Superiore Generale in Belgio. È il sabato 28 marzo 1914. Il vertice della Congregazione viene informato dell'Adorazione e dell'Unione del SS. Crocifisso. Fratel Teodoreto ricorderà che il Superiore ebbe una premura straordinaria e un'attenzione non comune durante il colloquio. La conclusione fu un grande incoraggiamento a proseguire nella propaganda dell'Adorazione di Gesù Crocifisso e nella formazione di giovani Catechisti. Il fatto avviene in Belgio ma a Torino Fra Leopoldo ne viene a conoscenza dal Crocifisso stesso. " Il Fratello Teodoreto ti porterà buone notizie; il suo Superiore oltre alla contentezza è convinto con fede di quanto gli disse; vallo a segnare. anche questo manifesta il mio volere... Il Fratello Teodoreto brama di far ritorno per dirti tante belle cose ". Fra Leopoldo interpella umilmente il suo Signore: " E tu, Signore, ti sei trovato in quei momenti col suo Superiore Generale? " " Si, gli ho infuso in ciò tanta fede ". Sembra quasi impossibile crederci. Ma i fatti non si possono smentire. Quella che Fra Leopoldo chiama la santa Adorazione-Divozione verso il SS. Crocifisso andò a mettere radici nella Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Fra Leopoldo annota: " E sarà una vera benedizione per codesta Congregazione. Il Signore toglie sensibilmente il velo e si manifesta un po': ogni tempo ha il suo tempo. Iddio amorevolmente ci presenta la Croce invitando le anime innocenti, per mezzo della fortunata Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane per riformare il mondo col mezzo del SS. Crocifisso. In mezzo alla società vi sono ancora anime di buona volontà, esse pure vengano in nostro aiuto diffondendo la santa Adorazione per riformare i costumi e glorificare Iddio Gesù Crocifisso. Le colpe e le iniquità si danno la mano per moltiplicarsi, il solo rimedio è quello di ricorrere amorevolmente alla Croce che è l'unica speranza di pace e di salvezza " ( 29 giugno 1914 ). Fra Leopoldo sapeva la volontà del Cristo, anzi il piano soprannaturale di un progetto meraviglioso. Ma fu il 18 gennaio 1915 che si ebbe dal Crocifisso il mandato ufficiale. " È mio desiderio che passi dai Fratelli delle Scuole Cristiane ciò che io ho cooperato per mezzo tuo ". L'immagine caratteristica della " Divozione " a Gesù Crocifisso compare finalmente in pubblico. Ai piedi della Croce si nota un'anima bellissima con gli occhi abbassati, il capo chino, la veste luminosa. La figura " abbracciata " alla Croce e staccata dalla terra, viene dipinta seguendo le istruzioni di un colloquio soprannaturale di Fra Leopoldo con il Cristo. Il 31 luglio 1915 riceve l'imprimatur dalla Curia Arcivescovile di Torino. La tiratura delle copie è impressionante: 174.00 nel 1912, 663.00 nel 1913. Nel 1915, in piena guerra mondiale, i foglietti della " Divozione " raggiungono i soldati in trincea. Arrivano le traduzioni, e l'Adorazione al SS. Crocifisso copre il mondo con otto milioni di copie. Il mistero amoroso del progetto divino ricamava teneramente attraverso l'assistenza di Maria la certezza della misericordia del Cielo sul destino umano. I Fratelli delle Scuole Cristiane e i Catechisti del SS. Crocifisso ne diventano ufficialmente i testimoni garanti. Capitolo 4 Laudato si' mi Signore per frate focu per lo quale enallumini la nocte et ello è bellu, et jucundo et robustoso et forte. Laudato si' mi Signore per sora nostra madre terra la quale ne sustenta e governa, e produce diversi fructi, con coloriti fiori et herbe. È originalissimo il fatto accaduto nel progetto iniziale dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e della Casa di Carità Arti e Mestieri. Un frate converso francescano che ha come servizio di badare alla cucina del convento, diviene lo stimolante motore che muove attraverso Fratel Teodoreto tutto un piano culturale di enorme portata attuale. È sui giovani che l'obbiettivo è puntato perché più facili alla introduzione nel mondo dell'apprendere e soprattutto più capaci di intrecciare il grande tema dell'amicizia. A loro l'Opera ripropone l'" universale validità del radicamento nel mistero del Cristo crocifisso e risorto ai fini di affermare valori educativi e formativi che siano per il bene di tutti e di partecipare a definire strategie formative necessarie per rispondere ai bisogni e alle attese di tutti " ( Circolare interna ). Il grande " focu " culturale che sempre ha illuminato " la nocte " viene offerto da un figlio di San Francesco a un discepolo del Santo de La Salle perché il giovane che si apre alla vita sia " jucundo et robustoso et forte ". Crea veramente stupore il metodo di lavorare di Dio sulle proprie creature. E allo stupore si aggiunge il rimanere senza parola perché la strada percorsa cozza con violenza contro il nostro solito modo di pensare. Eppure se vi poniamo caso è meraviglioso, non tanto perché dall'umiltà di una cucina francescana giunge l'annunciazione profetica di un servizio culturale nell'oggi, ma perché proprio oggi, all'alba del terzo millennio, noi tocchiamo con mano il miracolo continuo di poter promuovere le nuove generazioni con questo metodo " cristiano " che produce " diversi fructi con coloriti fiori et herbe ". Il metodo cristiano di Fra Leopoldo si concretizza nella Casa di Carità Arti e Mestieri, quale strumento originario per formare nuove generazioni, per salvare innumerevoli anime, per recuperare il livello dell'amore irradiato dal SS. Crocifisso. Fa impressione questa centralità sottolineata fortemente sulla scia di San Paolo di ritornare a restaurare ogni cosa in Cristo e Cristo crocifisso-risorto. È qui, direi, il punto di collegamento fra il cuoco francescano e quella urgenza culturale che viene offerta appunto attraverso la Casa di Carità Arti e Mestieri ai giovani. Le pagine del Diario sono perentorie: " Lunedì, 24 novembre 1919 sera, ore 9,30. Nella santa Adorazione-Divozione al SS. Crocifisso, quando incominciai l'adorazione alla Piaga della mano sinistra, gesù disse: "Per salvare le anime, per formare nuove generazioni, si devono aprire Case di Carità per far imparare ai giovani Arti e Mestieri". Gesù soggiunse: "Non bisogna lesinare, si richiede qualche milione". Riprese: "Se non fanno quanto io chieggo, si scaveranno la fossa" ". Questo detto è rivolto ai sacerdoti e ai ricchi. Il 28 novembre 1919: " Gesù disse di farlo con buona volontà ". il giorno 2 dicembre: " Ormai è tempo che manifesti la mia volontà: voglio una scuola Casa di Carità Arti e Mestieri ". Le porte che si spalancano sulla vita vengono offerte e segnalate da Fra Leopoldo attraverso le Piaghe del SS. Crocifisso e concretizzate nel dono culturale del servizio quotidiano dell'Unione Catechisti. " Il giorno 27 dicembre 1919, alle ore 9,30 di sera, nel Santuario di Nostra Signora del Sacro Cuore... Gesù sacramentato mi disse: "Tutto l'andamento delle Case di Carità che si edificheranno, splenda cristianamente e cattolicamente" ". Su questa certezza, possiamo porci una riflessione sul mondo culturale " cristiano " contemporaneo per capire il largo progetto di Dio costruito nel cuore di Fra Leopoldo Musso. Può suonare strano parlare di Cultura a proposito di questo ultimo e sconosciuto lavoratore della vigna del Signore. Ma Dio va a cercare la propria laurea dove più gli piace, perché le sue strade non sono le nostre. Il fatto di Fra Leopoldo avviene a Torino, nel nostro tempo, fra le mura di una cucina dove il cuoco imbastiva profeticamente il discorso culturale per noi. Il converso francescano si rende conto di quella indifferenza quasi generale nei confronti di ciò che potremmo definire la lettura della realtà storica con un'ottica cristiana. Fra Leopoldo ha intuito dall'angoscia del Crocifisso che il grande tesoro del cristianesimo rimane sepolto. Non si conosce quindi e non si vive il metodo cristiano. Sapendo che è tutta la Chiesa che ha il compito di leggere la Storia, è importante anche per Fra Leopoldo compiere questo atto doveroso verso la propria coscienza, di riflettere sull'urgenza per portare un contributo all'evangelizzazione e delineare un cammino di fede per coloro che giungeranno alla Casa di Carità Arti e Mestieri. La proposta che Fra Leopoldo offre attraverso l'Unione Catechisti del SS. Crocifisso, è qualcosa di molto agile, capace di " superare le forme cristallizzate dell'organizzazione ", come dirà un giorno l'indimenticabile Paolo VI, per creare attorno a sé una esperienza di Fede, se vogliamo una Teologia vissuta. Paolo di Tarso scrivendo ai suoi cristiani diceva: " Come il corpo pur essendo uno ha molte membra e tutte le membra pur essendo molte sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, giudei o greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito " ( 1 Cor 12 ). Questo era il pensiero della antica Chiesa e questo è il pensiero della Chiesa contemporanea che invita a essere militanti di una mediazione non capricciosa e campanilistica ma robusta della forza dell'unità per riproporre l'" eternamente Giovane ", come il Vaticano II ha definito Gesù, e per rinnovare ogni generazione con più vigoroso entusiasmo . È certo uno dei compiti più appassionanti per i cristiani impegnati, che non se la sentono di vedere svilita una Chiesa che possiede l'unica Parole che diventa Carne. Allora si comprende perché bisogna inevitabilmente raggiungere il metodo cristiano. Questo fermento di impegno culturale dice che è giunto il momento di dare a tutta la Chiesa il suo aspetto di Sposa gioiosa del Cristo senza mutilarla in sterili schemi che la deturpino e la rendano odiosa. Fra Leopoldo profeticamente vede nella Casa di Carità Arti e Mestieri un modo per conquistare la pienezza dell'uomo, la sua crescita sul fondamento che è Cristo Crocifisso, Uomo-Dio che ci è stato dato " perché sia la Via delle nostre vie, la Verità delle nostre verità, la Vita delle nostre vite per il mistero della sua morte e risurrezione a cui partecipiamo mediante il lavoro ". Amare alla maniera del Cristo usando il " Suo " metodo. È strano parlare d'amore come cultura, ma lo stile della carità offerto dal Maestro a Fra Leopoldo ci ha insegnato che solo amando l'uomo lo si può promuovere, liberare. Ancora San Paolo: " Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnarli a Dio. Mi sono fatto tutto a tutti per salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventare partecipe con loro " ( 1 Cor 9,22-23 ). Un atteggiamento ben preciso dell'essere presenti come cattolici nel piano culturale ci viene offerto da Paolo VI nel suo stupendo documento: Evangelii nuntiandi. " il Vangelo e quindi l'evangelizzazione non si identificano certo con la cultura... La costruzione del Regno non può non avvalersi della cultura e delle culture umane,ma, indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l'evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna. La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture " ( n. 20 ). Il tracciato del servizio della Casa di Carità Arti e Mestieri appare qui magnificamente delineato. Sapere e far sapere cioè che cosa vuol dire vivere, partecipare il significato della vita, imparare a coniugare il verbo esistere, nella realtà. Questa è la vocazione del cristiano che si impegna sul fatto culturale. In una situazione praticamente avversa al Messaggio, il cristiano colto tende a mantenere alta la proposta di Dio e, come l'ha chiamato qualcuno, " il sospetto di Dio ". Non c'è avventura più affascinante per la Casa di Carità Arti e Mestieri. Giovanni Paolo II sottolinea fortemente nella sua Redemptor hominis: " Ci avviciniamo a tutte le culture con quella stima, rispetto e discernimento che sin dai tempi degli Apostoli contrassegnava l'atteggiamento missionario. Basta ricordare San Paolo e il suo discorso all'Areopago di Atene. L'atteggiamento missionario inizia sempre con un sentimento di profonda stima di fronte a ciò che c'è in ogni uomo, per ciò che egli stesso, nell'intimo del suo spirito, ha elaborato riguardo ai problemi più profondi e più importanti; si tratta di rispetto per tutto ciò che in lui ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole. La missione non è mai una distruzione, ma è riassunzione di valori e una nuova costruzione. E la conversione che da essa deve prendere inizio, sappiamo bene che è opera della grazia, nella quale l'uomo deve pienamente ritrovare se stesso ". L'esperienza cristiana diviene stato di Grazia, ed è con essa che la comunità ecclesiale vive e si salva. Se possiamo ricordare che il dovere di tutti è la santità, è quindi indispensabile lavorare insieme perché effettivamente la Parola diventi Carne. È qui che bisogna essere chiari nell'affermazione di una Teologia per non morire, una Teologia frutto del servizio dell'esperienza cristiana di tutti per vivere la vita e farla vivere. Raggiungere cioè la cognizione della Teologia e non fermarsi soltanto al " saper parlare " di Teologia. Fra Leopoldo insegna. La Fede ecclesiale costruisce una Teologia che mantiene vivo il respiro della comunità. Rolando da Cremona ricorda: " Senza esperienza non si ha arte né scienza. come non possiede una vera scienza del sapore del miele chi non abbia mai gustato e non ha la scienza dei colori chi non li abbia mai contemplati, così non conosce la Teologia chi non si eserciti nelle opere della Fede viva, benché sappia parlare di Teologia come un cieco nato sa parlare dei colori pur non avendo la scienza dei colori ". E Mario Pomilio afferma che la nostra è " una condizione che permette al cristiano di essere tale solo al cinque per cento del suo vivere quotidiano, dovendo occupare il resto a guadagnare, a confrontarsi e magari a scontrarsi con gli altri. Solo Cristo riesce a essere cristiano al cento per cento! " Due affermazioni importanti che ripropongono l'urgenza di " esistere ". Fra Leopoldo ha la fame di portare l'annunzio di un'esistenza cristiana in pienezza. Non vuole cristiani al cinque per cento. Sulla pista tracciata dal SS. Crocifisso sogna per la Casa di Carità Arti e Mestieri una fucina capace di offrire il massimo del grande tesoro che giunge dalla Tragedia del Calvario. Può apparire strano presentare Fra Leopoldo come un alto strumento di costruzione culturale. Ma davanti ai fatti non ci sono e non potranno mai esservi ragionamenti. La Casa di Carità Arti e Mestieri fa riflettere. Si tratta della realizzazione di un progetto voluto da Dio nel piano della sua amorosa Provvidenza. Fra Leopoldo Musso ha un suo posto ben preciso nella dimensione culturale del Corpo Mistico. Tutto questo è stupefacente. Per chi ha occhi da vedere a livello evangelico niente è impossibile a Dio. Il Mistero della Redenzione fluisce nel tempo. L'Onnipotente elegge di generazione in generazione i suoi messaggeri... L'Unione Catechisti del SS. Crocifisso porta in sé questo dono stupendo nato tra pentole e marmitte in una vecchia cucina accanto al desiderio d'Amore dell'Uomo inchiodato alla Croce. A noi non rimane che ricomporci nell'umilissima Adorazione della Verità. Capitolo 5 Laudato si' mi Signore per quilli che perdonano per lo tuo amore e sostengo' infirmitate et tribulatione; beati quilli, che sosterranno in pace ka da te, Altissimu, sirano incoronati. La riflessione appena terminata sulla dimensione culturale dell'Unione Catechisti del SS. Crocifisso e della Casa di Carità sgorgata dalle più intime fibre di Fra Leopoldo può lasciare perplessi. Può anche dare l'idea di una forzatura, di un qualcosa di voluto per arricchire il quadro e dare più tonalità. Ma nulla di fantasioso abbellisce il cammino del piccolo francescano. Bisogna accettare umilmente quanto è avvenuto. È il modo di agire di Dio. C'è sempre dello stupefacente in Lui e anche nel caso di Fra Leopoldo tutto diviene " divinamente " normale. Esistono nella Storia del Cristianesimo pagine di questo tipo. Non si può affermare sorridendo che tutto viene inventato per creare il personaggio. Dio e i suoi strumenti non si inventano. Si può rimanere ammutoliti, questo sì! Ma non si può dimenticare che le vie di Dio non sono le vie dell'uomo. Mi piace, come domenicano, fare un paragone. Nella primavera del 1347 nasceva nella contrada di Fontebranda a Siena, Caterina, figlia di Lapa e Jacopo Benincasa. All'apparenza nulla di fenomenale. Identico il clima della cucina di quella famiglia a quello in cui Fra Leopoldo tesse il suo dialogo con l'Assoluto. Caterina nulla sa della cultura. È contemporanea del Petrarca, del Boccaccio, del Sacchetti, di Jacopo Passavanti, di Wicliff, di Huss, di Santa Brigida di Svezia, di San Vincenzo Ferreri, del Beato Giovanni Dominici. Ma lei non conosce neppure l'ombra del messaggio di questi pensatori. L'unica cosa che dall'infanzia la affascina è la figura del Crocifisso di cui un giorno porterà le stigmate. Nella pace della contrada, accanto al focolare dinanzi al quale monna Lapa si affanna, Caterina viene preparata per divino disegno alla sua missione. La Storia si inchina oggi davanti alla personalità di Caterina. e nessuno può negare quanto avvenne lungo l'arco della sua vita agitata e turbinosa. Con estremo stupore anche il non credente, anche colui che deride il senso del " sacro " ammira la potenza culturale, la grandezza spirituale di questa donna avvolta dall'amore della Croce. Caterina, spirito di Siena fatto Storia. Con lei Dio intreccerà il suo discorso nella solitudine della casa, con lei Dio raggiungerà Papi, Cardinali, Vescovi, Principi e Regnati, umile gente o delinquenti incalliti. Affascinata dalla personalità di San Domenico, ne riveste l'abito e diviene la testimonianza di come si usa l'anima domenicana d'istinto. Qualcosa succede. Caterina è sempre lei ma la sua non-cultura, il suo analfabetismo diventano testi di alta letteratura umana e cristiana. Il martellare del suo fraseggiare toscano così fresco è sconvolgente. Quelle parole che sono veramente pietre raggiungono il mondo intero. E la " ragione " segreta è chiusa in quel suo " sensus Christi ", quella sua fede ricamata di fuoco e di sangue. Sorride dell'amore umano dove trova tanto " fuoco di paglia " e " fumo di dolore ". Pone il tema del comandamento nuovo, il tema d'amore al di sopra di tutto. La voce della Croce la rende come ebbra. C'è qualcosa di più da offrire alla vita, e lo dice. Il suo tempo ne rimane capovolto. Sotto il realismo del suo dire Caterina offre in continuazione la vivida presenza di Cristo nella Storia. Non la spaventano gli ostacoli. Il dolore non è più dolore. Il soffrire non è più soffrire. L'idea-luce che la porta su tutte le strade, accanto ai destini più disparati rimane sempre ciò che è successo sul Calvario. È presa in un turbine evangelico che letteralmente mozza il fiato. Lei, Caterina Benincasa, diviene trascinatrice, ultima spiaggia di mille coscienze. " Correte, dunque, correte, correte ", e il suo grido si ripercuote oltre Siena, oltre l'Italia. Valica confini incredibili. Giunge al Vicario di Cristo, Gregorio XI, chiuso nel " turpe esilio " di Avignone. " Su, virilmente Padre! " dice Caterina al Padre. " Al tempo della battaglia daremo la vita per la Vita, il sangue per il Sangue ". E il Pontefice torna a Roma. Caterina supera ogni barriera con quel suo " io voglio " che arriva dalla Croce. " L'anima è un arbore fatto per l'amore " dice. " Corriamo, corriamo ché il tempo è breve... Tenete il cuore vostro e fate che sia una lampada diritta... Cristo non ha conformità con l'oro... Volendo pena, tu hai diletto e volendo diletto tu hai pena... " Caterina muore a Roma nell'aprile del 1380. Le sue ultime parole: " Sangue, sangue! " L'Ordine Domenicano la porrà al livello del Dottore Angelico Tommaso d'Aquino, ma l'analfabeta di Fontebranca riceverà lòa sua laurea secoli dopo. Toccherà a Paolo VI, in pieno secolo XX, mentre il furore dell'ateismo incalza, mentre la Chiesa è in piena crisi, dichiarare ufficialmente al mondo che la figlia del tintore Jacopo Benincasa è tra i sommi della cultura e della santità del Cristianesimo. Ironia della Provvidenza. Nel tempo della tecnologia e dei computer, mentre si sbraita di nuove politiche e scoperte scientifiche, il Pontefice romano Giovanni Battista Montini, uomo di raffinatissima cultura e di sensibilità umana ed evangelica straordinarie, affida agli uomini del tormentato oggi il messaggio che giunge da una incolta ragazza di Siena, semplicemente appassionata del Crocifisso. Mi pare che ci sia un tema ricorrente in tutte le generazioni cristiane. Il Corpo e il Sangue di Cristo vengono in continuazione riproposti alle persone più insignificanti e nei luoghi più impensati. Caterina da Siena e Fra Leopoldo ripresentano, pur distanziati dal tempo, lo stesso contatto divino fatto attraverso gli ultimi della terra. Caterina innamorata del " Sangue " di Cristo lo annunzia agli uomini del suo tempo come bagno della vita. Fra Leopoldo nel nostro " oggi " innamorato delle " Piaghe " del Cristo le illumina come porte della vita. Dio ha veramente un'ironia che turba, disintegra, se ci si ferma a pensare. È strano il nostro modo di vedere la vita. Ci misuriamo secondo la chimica. Ciò che sta invece all'origine del nostro " essere " non interessa. Ritorna ancora una volta questa cosa stranissima che non muove assolutamente la stragrande maggioranza di noi. Ma perché dobbiamo essere un fiume senza " Sorgente "? chi ci dà il diritto di gridarlo e di stamparlo senza farci riflettere un poco? Non si ha credito perché si introduce nel discorso un personaggio che solitamente è bestemmiato: Dio! Si campeggia poco volentieri con una figura simile. Normalmente interessa giungere al livello dei personaggi che nella vita incarnano il successo. Ma Dio? Dio è Croce. E dietro quella Croce che cosa c'è? Perché tanto astio, tanta guerriglia in duemila anni? Che terrore induce questo Cristo Crocifisso? Domande che attendono in ogni generazione una risposta. Non dalle masse ma da ognuno. Perché ognuno è vita. Ognuno porta con sé il suo segreto, la sua grande " ragione ". È qui che si capisce sempre di più il tema d'amore. È qui che viene messa in risalto la preoccupazione di Cristo nel suo discorso-testamento del giovedì prima di andare a morire. Perché l'Amore? E perché in duemila anni in nome di questa realtà sono vissute e morte persone che potevano anche fare a meno di pensieri di cielo? Poi uno improvvisamente crolla, perché si accorge che non si sta facendo Storia ma si sta parlando di un qualcosa che " avviene ". Fra Leopoldo è un qualcosa che " avviene " come Caterina da Siena. Un'azione che resiste, è un figlio di un momento misteriosissimo di Dio che ci sfugge. La sua vita scorre nell'amore, nell'infermità, nel perdono. A che serve la prepotenza se poi giunge la grande porta che si apre? A volte c'è da invidiare una cucina, delle pentole, delle marmitte. A volte uno pensa che sarebbe bello vivere senza nessuna fede. Passare questa avventura terrena così come succede. Ma poi c'è il mondo di Dio che ha una sua dimensione. Bisogna fare i conti con il mondo di Dio. No perché Lui sia il Padrone e il Ragioniere dannato che finge e distrugge. Ma perché c'è quella preoccupazione di Cristo nel discorso dell'ultima Cena, perché c'è la Croce, perché c'è il dolore terrificante di Maria e soprattutto perché c'è il tradimento dei discepoli dal primo all'ultimo, nessuno escluso. Magari qualcuno avesse forgiato un Cristo duttile, elastico o su misura come è successo soltanto mezzo secolo fa per certi capi-scuola politici. No. Il Cristo è quello di sempre. L'orrore che emana resta invariato. La Chiesa è quella di sempre. D'accordo con la sua immaturità nell'accostarsi alla Croce. D'accordo i suoi momenti bui. Ma il " meraviglioso " che racchiude è innegabile. Quanto avviene, e non sono sfumature, ha diritto di cittadinanza nei nostri pensieri. Fra Leopoldo Musso è un fatto. E contro i fatti non ci sono ragionamenti che tengano. Una cosa è curiosa, però. Come mai quando si parla di Dio si è così suscettibili? Fra Leopoldo che ha l'esperienza del Corpo e del Sangue di Cristo, senza essere sacerdote, annota nel suo Diario: " Come è bello conversare con Dio nel SS. Sacramento nelle ore silenziose! " ( 28 ottobre 1908 ). Le persone " normali " non parlano così. Ma Giovanni Paolo II il 24 febbraio 1980 inviava ai Vescovi del mondo una lettera sul mistero e il culto della SS. Eucarestia. Scriveva il Papa: " Essendo Sorgente di carità, l'eucaristia è stata sempre al centro della vita dei discepoli di Cristo. Essa ha l'aspetto di pane e di vino, cioè di cibo e di bevanda, è quindi così famigliare all'uomo, così strettamente legata alla sua vita, come sono appunto il cibo e la bevanda. La venerazione di Dio che è Amore, nasce nel culto eucaristico da quella specie di intimità nella quale Egli stesso, analogamente al cibo e alla bevanda, riempie il nostro essere spirituale, assicurandogli come quelli la vita. Tale venerazione "eucaristica" di Dio corrisponde strettamente quindi ai suoi piani salvifici. Egli stesso, il Padre, vuole che i "veri adoratori" Lo adorino proprio così, e Cristo è interprete di quel volere, e con le sue parole e insieme con questo Sacramento, nel quale ci rende possibile l'adorazione del Padre nel modo più conforme della sua volontà " L'immaginazione si fissa su Fra Leopoldo nella Chiesa del suo Convento francescano a Torino, nei momenti della sua Adorazione. Che cosa poteva dire o chiedere un semplice cuoco all'Universo che gli si spalancava dinanzi? Credo che la cronaca più bella, il documento più significativo siano gli occhi. Fra Leopoldo non vuole vedere nulla. I suoi occhi sono chiusi. Si sforza di rivivere, di ossigenarsi evangelicamente. È così che ognuno diventa protagonista. Qualcuno nell'ultima Cena appoggiò il capo sul petto di Cristo in segno di amicizia ma anche, inconsciamente, di riparazione. E l'ultimo messaggio, quello più drammatico e insieme più incredibile giunge proprio nel momento di solitudine e di abbandono cui il Cristo è già condannato e crocifisso. Le parole al ladro. " Oggi sarai con me in Paradiso! " La vera Incoronazione a Sovrano di un mondo alla ricerca della speranza... Fra Leopoldo, che è un innamorato della " Sorgente ", trova nell'Eucarestia la testimonianza continua e dolorosa del Crocifisso. Non fa distinzione tra Croce e tabernacolo. Non esistono in lui le sottili elucubrazioni del teologo sempre attento alle angolature. Il Cristo è il Cristo. e per Fra Leopoldo si tratta di un " Qualcuno " che soffre in una terrificante solitudine, un " Qualcuno " che ha paura della notte e del freddo e invoca con voce flebilissima un poco di comprensione. L'attenzione e l'adorazione che incollano Fra Leopoldo al tabernacolo non sono altro che la scoperta di un fatto che " avviene " in continuazione, una " presenza reale " di amore che va contraccambiato, al quale bisogna sapere offrire una delicata e perenne vicinanza. Le parole tecniche che imprigionano il dogma sono sconosciute a Fra Leopoldo. Ma il francescano abituato a una " teologia per vivere " è certo che la piccola fiamma che arde nel silenzio della Chiesa di San Tommaso indica la presenza fisica di " Lui ", il Suo sconfinato soffrire. L'altare diviene ogni giorno Croce e sulla Croce, fra le mani del Sacerdote, si offre realmente la Redenzione. Ciò che per i grandi teologi può diventare un banco di prova per dimostrare cultura, erudizione, informazione, scienza, per Fra Leopoldo è vita che continua a soffrire, morire e risorgere, per continuare nel tempo attraverso l'arco delle generazioni la domanda di riparazione verso un amore non amato, non capito. Fra Leopoldo si trova a proprio agio dinanzi al tabernacolo. Formato dalla Mistica purissima del Francescanesimo non si crea degli imbarazzi inutili. Lascia da parte ragionamenti e orgoglio per avviarsi serenamente in compagnia della fede e rimanere accanto al suo Signore sofferente. Dire che Fra Leopoldo si immedesima nella figura " abbracciata " alla Croce è poco. L'Adorazione che il francescano offre alla " Presenza reale " è di taglio profondamente eucaristico. Durante l'arco della giornata non può fare a meno di pensare a Cristo. E per Fra Leopoldo il Cristo rimane sempre identico. Non vi sono sfumature differenti. Folgorato dal Calvario, ripercorre in continuazione dentro l'anima la via dolorosa fino allo spasimo della Crocifissione. La sua Adorazione eucaristica diviene allora totale. Raccoglie in sé ogni attimo di attenzione per riproporre senza fine la grande ragione dell'accorata richiesta che arriva dal Crocifisso moribondo. La giornata di Fra Leopoldo diviene pienamente eucaristica perché totalmente avvinta al fatto sconcertante che la Croce continua nel tempo il suo dolore divino. E l'eco della Eucaristia giunge in ogni gesto, azione o pensiero di Fra Leopoldo, come risposta di riparazione alla sete del giovane Maestro inchiodato al patibolo. Dalla " Sorgente " sgorgano nel tempo le limpidissime acque della grazia. Capitolo 6 Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale da la quale nullu homo vivente po skappare. Fra Leopoldo muore il 27 gennaio 1922 alle ore 0,30'. Questa non è una biografia per riproporre le ultime pagine di un tessuto vitale. Non mi interessano le impressioni, il fatto stesso che Fra Leopoldo avesse previsto il giorno e il momento della fine. Mi preoccupa, o meglio m'intenerisce il fatto che tutto ciò avvenga a Torino. Fra Leopoldo aveva profetizzato un Tempio in quella città in onore di Gesù Crocifisso. La presenza della Sindone doveva essere sottolineata in un modo estremo. I confratelli guardarono a lungo il cadavere del piccolo cuoco converso. Qualche religioso forse sorrise. La preoccupazione era finita. Tutto " quel che si dice " che aveva avvolto la vita di Fra Leopoldo era finalmente giunto al termine. Ora egli giaceva esanime pronto per la bara. Qualche altro frate guardò con impazienza l'orologio. Quando sarebbe giunto il mattino? Fra Leopoldo Musso, frate scomodo con le sue visioni e i suoi Diari spirituali era spirato. Gli ultimi tempi erano stati amari per il francescano di San Tommaso. Qualcosa aveva ostacolato improvvisamente il progetto trasmesso a Fra Leopoldo dal SS. Crocifisso. Si trattava della Casa di Carità Arti e Mestieri. Quella parola " Carità " non pareva godere il favore di molti. Fra Leopoldo il 4 luglio 1920 aveva scritto al Comitato della Casa: " Ciò che raccomando di più a quelli del comitato, è che se venisse in mente a qualcuno di mettere in dubbio l'opera o di farla indietreggiare, se ne guardi, per amore del cielo; è meglio che esca lui stesso perché con Dio non si scherza... E questa opera di Carità Arti e Mestieri, voluta da Dio nella sua grande Misericordia per la salvezza del mondo, appoggiata unicamente sulla bontà, sulla fede, sulla carità di Gesù Cristo si estenderà nel corso degli anni in tutto l'universo ". Fratel Teodoreto ricorderà quei giorni di angoscia nella sua biografia. " Tali motivi soprannaturali portarono Fra Leopoldo ad insistere sul nome di "Casa di Carità"; le opposizioni incontrate lo fecero soffrire assai, perché considerava tale nome come programma e mezzo per mantenere all'istituzione il carattere cristiano soprannaturale, dal quale non deve allontanarsi mai. Al Fratel Direttore Isidoro che già aveva sostenuto con fermezza doversi all'istituzione mantenere il titolo di Casa di Carità, scrisse come aiuto il biglietto seguente: "Carissimo e Venerando Signor Direttore Fra Isidoro di Maria, con mio gran rincrescimento debbo farle noto il detto del Signore ove dice: Non vorrei che la Casa di Carità Arti e Mestieri venisse ostacolata per opera d'uomo. Ora si presenta tanta difficoltà per un nome sì minimo e umile. Non dare il nome come vuole il Signore è disconoscere l'opera di Dio. Il non conformarsi ai voleri di Dio è allontanare dalla Casa la sua benedizione, e in tale mancanza come e che cosa faremo noi? Ossequi nel Signore, Fra Leopoldo Maria". Uni dei consiglieri dimissionari si era recato dal Padre Provinciale e dal Padre Guardiano, superiori di Fra Leopoldo, per indurli a prendere provvedimenti contro il loro inferiore. al religioso fu allora fatto divieto di occuparsi della scuola e di ricevere persone esterne. Fra Leopoldo sopportò ogni cosa con pazienza, soffrendo la sua parte di martirio per amor di Dio " ( Nella intimità del Crocifisso, pag 176 ) È il momento dell'abbandono totale. Unico conforto è il ricordo dei dialoghi con il suo Signore. Nell'isolamento più completo Fra Leopoldo riprende il cammino a ritroso. Il tema della Redenzione lo avvolge e annulla in certi istanti l'agonia della solitudine. Il sorriso riaffiora nel risentire la voce timida del Crocifisso che chiede quasi in un sussurro: " Leopoldo sei contento di me? " Come non poteva essere contento del suo Maestro dopo averlo seguito e ascoltato tutta la vita? D'accordo che l'uomo di ogni generazione e di ogni latitudine avrebbe sempre sentito scontentezza nel confronti dell'Assoluto. Ma Fra Leopoldo non poteva ribellarsi, non poteva cedere in nome di un benessere passeggero e dimenticare il " freddo " che opprimeva il Crocifisso, il desiderio di calore che Lo portava a chiedere come un mendicante con la mano tesa un attimo di attenzione. Il francescano sapeva da sempre che il problema dell'uomo consisteva nell'essere contento di Dio. Alla vigilia della morte non voleva costruirsi turbamenti peggiori. Accettava serenamente di starsene dalla parte del Crocifisso in quell'isolamento al quale era stato condannato da strani calcoli degli uomini. È il 14 dicembre 1921. Manca poco più di un mese alla conclusione dell'avventura terrena che Dio gli aveva progettato. Fra Leopoldo fissa un'ultima nota sul suo Diario: " O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! " È un momento di sfogo, frutto di quella dolcissima intimità che unisce in simpatia il Crocifisso e il converso francescano. Ciò che aveva mantenuto sempre limpido il cammino di Fra Leopoldo era stato il dono di quella simpatia giunta dal Calvario. Chissà se un giorno l'umanità avrebbe afferrato e capito la potenza di quella carità. L'unico grande rammarico era quello di non poter proseguire la seminagione della Croce. Qualcuno forse un giorno avrebbe accettato di tendere la mano verso il ricordo di Fra Leopoldo per affrontare in termini sempre più precisi la crudezza, la meraviglia, la grandiosità della Redenzione. Qualcuno avrebbe accettato di fermarsi in ascolto accanto al personaggio Gesù Crocifisso - Risorto. C'erano, è vero, dei momenti di acuto dolore e delusione per quanto stava avvenendo sul progetto offerto dal Cielo sulla Casa di Carità Arti e Mestieri, ma tutto ciò non aveva importanza davanti al poter rimanere solo con il Solo. Il Cantico delle Creature volgeva al termine anche nell'umilissima storia di un cuoco frate minore: " altissimu onnipotente bon Signore, tue so le laude, la gloria et l'onore er amne benedictione. A te solo Altissimu, se confano et nullu omu esse dignu Te mentovare ". Fra Leopoldo non poteva sapere che nel 1983 a Boston sarebbe comparso un libro che avrebbe parlato in un modo elettrizzante proprio del Crocifisso rifacendosi alla Sindone di Torino. Si tratta del famoso Report on the Shroud of Turin di John H. Heller. Eccone un brano: " Tutte le fotografie di un uomo, di una statua o di un paesaggio, che sono piatte o bidimensionali, sullo schermo del VP-8 risultano distorte. È solo quando la reale profondità o lontananza è data d aun minor apporto di luce che il VP-8 può produrre una foro tridimensionale. Jackson spiegò a Mottern la teoria del fattore distanza nel caso del corpo riprodotto dal sudario e Mottern propose: "Perché non mettiamo le foto della Sindone nel VP-8?" Jackson, sempre pronto a provare nuove idee, accettò, pur sapendo che da una foto piatta si può ricavare solo un'immagine distorta! Misero la foto della sindone nel VP-8 e girarono le manopole. Ad un tratto i due uomini videro emergere dalla nebbia elettronica dello schermo un'immagine perfetta a tre dimensioni di un uomo flagellato e crocifisso. "Impossibile! Assurdo! Pazzesco!" Sì, ma l'immagine c'era. e i due scienziati rimasero a guardarla... I capelli lunghi, la barba folta e i baffi, la serenità del volto di un uomo crudelmente flagellato e crocifisso, tutti questi elementi divennero vivi, dando a Jackson e a Mottern la strana impressione di guardare in viso un uomo vero, non un dipinto o una scultura..." Quel volto!.. Fra Leopoldo ritornava con estrema commozione a fissare sempre di più tutto il muto messaggio che il dolore racchiuso nella morte di Dio effondeva. La vita era giunta al termine. Pareva quasi che stentasse a morire. Gli dava come un profondo fastidio il sentirsi confinato dall'obbedienza, in quella solitudine che ora appariva così tetra. Anche Fratel Teodoreto taceva. La grande amicizia che aveva legato in converso francescano al figlio di Giovanni Battista de La Salle sembrava completamente svanita. Fra Leopoldo si tempestava di domande in quegli ultimi istanti che lo separavano dalla morte. Quale sarebbe stata la conclusione? ancora una volta riaffiorava l'ultimo detto del Diario: " O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! " Non accettava di morire così senza affidare almeno alla speranza il futuro di quel progetto che il Crocifisso aveva racchiuso nelle sue mani di fuoco. In definitiva non era Fra Leopoldo la grande " ragione " su cui si sarebbe basata nel futuro l'espansione di quel carisma dolcissimo legato all'intimità con Dio. Qualcuno al di sopra della sua piccola storia e delle chiacchiere umane vegliava. Tutto questo gli offriva fiducia nella Parola di quel Signore che nell'arco di una vita intera si era degnato di parlare di lui. Venne la morte. Tutto sembrava definitivamente cancellato. Ma Dio non permise che Fra Leopoldo sparisse con il suo messaggio. Fratel Teodoreto accoglie in sé a nome di tutto il mondo lasalliano quel messaggio come un'eredità per vivificare intensamente la vita dei suoi Catechisti e costituire un cammino nuovo, sempre più attento a mantenere vivida l'intimità con il Crocifisso in una Adorazione che si allargherà per tutte le strade del mondo. L'Unione Catechisti, come scossa da un brivido, ebbe improvvisamente il " sospetto di Dio ". Il volto dell'uomo della Sindone poneva a tutti una terrificante e insieme stupenda riflessione. Era necessario giungere alla ripresa di contatto con quel progetto che il Crocifisso stesso aveva racchiuso nelle umili mani di Fra Leopoldo. È a questo punto che non si può parlare di morte. La " morte " nel Cristianesimo è un fatto declassato. Dinanzi al Redentore-Risorto non si poteva parlare che di vita. Fra Leopoldo era giunto quindi non al termine di un cammino ma all'inizio di un servizio Fra Leopoldo non poteva rimanere dunque inattivo. A Torino egli aveva lasciato il suo dialogo con il mistero dell'Uomo della Sindone. e quel dialogo continuava. Il 13 aprile del 1980 il Papa Giovanni Paolo II va a Torino in visita pastorale e spirituale. Vuole venerare il " segno " perenne del Crocifisso. all'incredibile folla che si assiepa davanti al Duomo, il Pontefice romano parla della morte di Dio come Redenzione. spiega cioè come Cristo abbia dato la vita per l'uomo. Toccherà proprio a Giovanni Paolo II testimoniare nella propria carne il 13 maggio dell'anno successivo in Piazza san Pietro il contatto vivido con il Crocifisso. il Papa colpito spaventosamente dalla pistola del turco Alì Agca. La storia gelida della cronaca porrà quel giallo su una pista bulgara che conduce forse oltre. Ma a livello di " segno " per tutto il Cristianesimo quell'atto induce alla riflessione. Il Crocifisso ritornava improvvisamente alla luce con tutta la sua sconvolgente richiesta d'amore. Il messaggio di Fra Leopoldo prendeva stranamente vitalità. Gli uomini sotto ogni latitudine si sentivano obbligati a domandarsi se erano " contenti di Dio ". Si riproponeva in termini ben precisi il vivere profondamente nella intimità del Crocifisso. La vita di Fra Leopoldo acquista ora la sua angolatura sottolineata. Il cuoco di San Tommaso lancia il suo messaggio a coloro che vogliono avere e sapere. È stupendo rileggere per l'ultima volta la conclusione del lungo dialogo tra il Crocifisso-Risorto e il suo messaggero: " O mio Gesù, perché povero, perché non nobile, perché semplice tutti mi hanno abbandonato! ", e Gesù: " Fa' coraggio! non siamo due amici? " ( 14 dicembre 1921 )