Segretario del Crocifisso

L'ora della prova

La vecchia madre di Luigi Musso declinava: nel 1189 un'infermità l'aveva ridotta all'impotenza

e quindi ad avere bisogno di maggiori aiuti dal suo Luigi.

In quel tempo si rese libero il posto di capocuoco nel Collegio Dal Pozzo nella stessa città di Vercelli

e Luigi Musso fece la domanda per detto posto; e l'ottenne.

Trovò nel detto Collegio, come aiuto per commissioni di cucina, un minorenne

che il personale di servizio chiamava il « Biondino »; ma il suo nome era Antonio Averone.

Era lontano dalla propria famiglia, bisognoso d'istruzione religiosa,

in una grande città con pericoli morali di vario genere, e ne ebbe compassione.

Conosciuta l'indole di Antonio Averone e il desiderio di essere istruito in religione Luigi Musso

si offrì per ripassare insieme il catechismo e lo invitò a pregare.

Luigi Musso trovò, nello stesso Collegio, due conservi che avevano la pretesa che egli

come capocuoco stornasse, a danno del Collegio, derrate di cucina, in loro favore.

Il che non ottennero mai; ma i due conservi combinarono una calunnia per farlo dimettere dal Collegio;

calunnia persistente in modo da coinvolgere lo stesso Antonio Averone,

il testimonio a cui dobbiamo la piene luce sul fatto della calunnia dei due servi

a danno di Luigi Musso poi Fra Leopoldo Maria Musso.

Ma Gesù Crocifisso, che voleva conservare la buona fama del fedele suo Servo,

guidò gli avvenimenti per cui, nel processo di beatificazione di Fra Leopoldo Maria Musso,

Antonio Averone fece, dopo aver giurato sul Santo Vangelo di dire la verità, le seguenti dichiarazioni:

« Conobbi il Servo di Dio Luigi Musso quando era al servizio del Conte Arborio Mella,

e già allora notai che egli frequentava la Chiesa e teneva ottima condotta.

Io avevo allora 15 anni, egli ne aveva 35-36.

Fu al servizio del Canonico Miglione.

Nel Collegio Dal Pozzo il Direttore era molto contento del servizio di Luigi Musso

e fu spiacente quando si credette obbligato a dimetterlo dal Collegio;

mi diceva che gli piangeva il cuore nel licenziarlo.

Io alla sere pregavo con lui, ma essendo giovane, mi stancavo e lo lasciavo solo per andare a dormire.

Poi quando mi svegliavo, preso dalla curiosità andavo a controllare se ancora pregava.

A qualunque ora di notte che io mi svegliassi e andassi a vederlo in camera,

lo trovavo intento alla preghiera, dopo che aveva già pregato con me fino ala mezzanotte.

Già allora il Servo di Dio ogni mattina assisteva alla Santa Messa

e faceva la Santa Comunione quasi tutti i giorni.

Attendeva pure alla pia pratica della Via Crucis e santificava le feste

andando in Chiesa per la Messa al mattino e per le funzioni della sera.

Evitava i divertimenti e non lo vidi mai entrare in un'osteria.

Teneva in camera l'immagine della Madonna e mi invitava a recitare con lui

ogni giorno la terza parte del Santo Rosario.

Notai che sapeva distinguere i buoni dai cattivi e che teneva relazioni coi buoni.

Ma in queste relazioni non vidi mai nessuna sdolcinatura e dimostrazione sensibile.

Era sempre corretto, riservato.

Sovente mi faceva recitare il Rosario in suffragio delle anime del purgatorio.

Nelle opposizioni e difficoltà che incontrava, era calmo, tranquillo e sereno.

Io stesso assistei a proteste di alcuni camerieri che pretendevano da lui più di quanto egli dovesse dare loro.

Egli non si scomponeva, lasciava dire, rimanendo costante nel compiere il suo dovere.

Era quanto mai temperante; si accontentava del puro necessario in fatto di cibo e di bevanda.

Si privava piuttosto personalmente perché nulla mancasse agli altri.

Teneva in massimo conto i giorni di digiuno e di astinenza, che osservava con molta diligenza.

Dormiva poco e non era per nulla amante della vita comoda; era mortificato in tutto.

Quanto riceveva per suo stipendio, lo spediva alla mamma, no rilevando per sé che il puro necessario.

Nell'anno che io passai con lui, non udii mai una parola e non notai mai un gesto,

un atto, men che corretto; tutto in lui era ispirato ai dettami della santa purezza.

Evitava ogni contatto con persone di sesso diverso.

Sentii io stesso il Direttore del Convitto dire che Luigi Musso era un brav'uomo

e quando prese il provvedimento di licenziarlo, pure senza alcuna prova della sua colpevolezza,

ma unicamente per le calunnie insistenti di altri domestici, si dimostrò con me veramente dispiacente.

Era avversato dal portinaio e dal magazziniere.

Costoro erano avversi al Servo di Dio perché non potevano averlo complice delle loro malversazioni

e non potevano ottenere da lui i viveri che egli aveva in consegna, e stornarli a proprio vantaggio.

Il magazziniere teneva a casa sua numerosi pensionanti,

ai quali provvedeva anche con derrate asportate da Convitto.

Costoro sparlavano del Musso e deridevano la sua pietà

Vennero due anni dopo espulsi dal Collegio.

Accusarono il Musso di aver commesso atti indecenti con ragazzi del Convitto;

ma già io allora non solo non prestai fede a tali parole, ma dissi apertamente che erano vere calunnie.

Tanto è vero che i suddetti individui non poterono mai portare un fatto

né indicare un giovane con cui il Musso avesse mancato.

E quando io ribattevo le loro asserzioni calunniose, essi non potendo portare fatti specifici,

affermavano - ma anche questo calunniosamente e senza prove - che Luigi Musso

aveva commesso atti del genere prima di entrare in servizio del Convitto.

Mi risulta che il Direttore del Convitto fece un'inchiesta in mezzo ai giovani,

la quale diede risultato completamente negativo.

Interrogò pure me in proposito, ripetutamente, ma io potei sempre asserire che nulla di men che corretto

riscontravo nella condotta di Luigi Musso, che anzi da lui ricevevo esempi edificanti.

Il Direttore, pur non avendo accertato fatti a carico di Luigi Musso, lo licenziò,

nel timore che le voci calunniose, dilagando in città, facessero danno al buon nome del Convitto.

Qui nel Collegio il provvedimento provocò stupore e rincrescimento in quanti stimavano le virtù del Musso.

I due oppositori si rallegrarono, nella speranza che il nuovo cuoco li accontentasse nelle loro mire.

Prima di lasciare il Collegio, il Musso parlò con me del suo licenziamento,

dicendo che era stato calunniato, ma non specificando il genere della calunnia.

Soggiunse che gli rincresceva molto; che in seguito i Superiori avrebbero conosciuto chi era lui

e chi erano i suoi calunniatori.

Nel dirmi questo era calmo e sereno, e non dimostrava verun rancore contro i suoi calunniatori.

La mia stima per lui non scemò per nulla, anzi si accrebbe, perché nella mia vita non vidi mai

nessun uomo che uguagliasse Luigi Musso nella pratica delle virtù.

Ritengo che il Servo di Dio abbia praticato le virtù in grado eroico, data la naturalezza e la costanza

con cui le praticò specialmente nelle difficoltà e nel perdonare i suoi calunniatori.

Pertanto posso asserire con giuramento e per scienza mia propria

- data la parte importante che ebbi in quegli avvenimenti - che si trattava di vera calunnia,

escogitata da quei due conservi che avversavano il Musso perché non potevano averlo complice

nei loro metodi ingiusti a danno del Collegio.

Confermo con giuramento le dichiarazioni fatte al Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane

e al Padre Felicissimo Tinivella, O. F. M. quando vennero ad interpellarmi a Vercelli ».

Giunto al punto più importante di questa biografia, - continua Fr. Teodoreto - trovo,

nell'opera pubblicata dal compianto Padre Francesco Maccono, O. F. M.

Un Apostolo di Gesù Crocifisso ( 1 ), sentimenti così appropriati e così bene espressi,

da suggerirmi l'idea di trascriverli, col permesso del Padre Felicissimo Tinivella,

ora Ministro Provinciale O. F. M., come fossero miei propri.

Scrive l'autore:

« Ragioni prudenziali possono aver consigliato una simile soluzione

e noi non vogliamo giudicare le intenzioni; ma non possiamo neppure non far rilevare

che il povero cuoco usciva dal Collegio almeno con un grande sospetto di gravissima colpa,

senza che avesse avuto modo di difendersi né di chiarire la sua condotta.

Forse parve cosa di tanto poca importanza la persona di un cuoco,

che non valeva la pensa di preoccuparsi troppo della sua fama.

Il povero, perché non sorretto dalla forza delle ricchezze, degli onori,

delle condizioni privilegiate della società, raramente è tenuto in considerazione dal mondo.

Chi si preoccupa di far valere i suoi diritti? E neppure il Musso vi pensò.

Certo sentì la ferita. Era stato colpito nella parte più delicata dell'anime sua,

proprio in quella virtù a lui così cara e che aveva coltivato con tanta cura

e che cercava di far amare da tutti, specialmente dai giovani.

Ma egli era già avanzato sulla via della santità e conosceva le vie del Signore,

le prove che Egli permette ai suoi servi per purificarli, irrobustirli,

e sapeva che dopo la prova verranno la carezza e la difesa, che compensano ad usura i dolori momentanei.

Oggi noi sappiamo vedere i disegni di Dio.

Quella prova venne a rompere i legami che avrebbero tenuto forse per sempre fisso a Vercelli

il Servo di Dio, destinato invece dalla Divina Provvidenza a lavorare in altri campi.

Dio conservò in vita fino al processo informativo per la beatificazione di Fra Leopoldo Maria Musso

i testimoni più sicuri del fatto, e li fece trovare in modo provvidenziale

per cui la grave calunnia non servì se non a metter bene e definitivamente in luce

la liliale anima di Luigi Musso prima di rendersi Religioso.

È proprio qui il caso di applicare il detto che le ombre di un quadro servono a far risaltare le luci.

Luce piena sulla sua purezza, luce piena sulla sua fortezza d'animo,

su l'eroica carità che perdona, che sa soffrire lietamente, sulla sua fede e abbandono in Dio.

Quasi tutti i Santi dovettero attraversare la via delle calunnie,

e l'averla attraversata con tanta magnanimità anche il nostro Servo di Dio è prova

che egli pure appartiene all'eletta schiera degli eroi della santità ».

Nel 1914, in un viaggio da Milano a Torino, mi fermai mezza giornata presso i miei Confratelli

residenti nella città di Vercelli.

Sapendo che Fra Leopoldo, prima di rendersi Francescano, era stato al servizio del Conte Arborio Mella,

volli andare dal detto Conte per avere qualche informazione su Luigi Musso.

Appena conosciuto il mio desiderio, egli rispose:

« Luigi Musso fu dimesso dal Collegio Dal Pozzo per aver commesso atti di sodomia ».

Alle mie espressioni di meraviglia, all'estrema mia riluttanza e anzi deciso rifiuto di ammettere tali atti

in Luigi Musso, il Conte soggiunse:

« È certo che Luigi Musso era inappuntabile nella pratica della religione; ma il fatto è che fu dimesso ».

Ritornato a Torino, non tardai ad esporre a Fra Leopoldo quanto seppi dal Conte Arborio Mella.

Mi accorsi però che la mia relazione non fece molta impressione sul Servo di Dio.

Mi trovavo in un piccolo parlatorio nei locali della parrocchia di S. Tommaso;

ero seduto con le spalle rivolte all'unica finestra, ed egli era seduto con la faccia rivolta alla luce,

in modo che io potei vedere sul suo volto le minime espressioni prodotte dalla mia relazione.

Ebbi l'impressione che il Servo di Dio avesse già da tempo considerato il suo licenziamento

dal Collegio Dal Pozzo come permesso e riparato interamente dalla Divina Provvidenza;

ammirai la sua delicatezza nel parlare della virtù della castità e della purezza,

e specialmente mi colpì l'eroico perdono delle offese ricevute.

Parlò del fatto come se si fosse trattato di terza persona; non disse parola contro i suoi calunniatori;

parlò del « Biondino », del paese da cui proveniva, delle necessità in cui si trovava detto giovane,

lontano dalla propria famiglia e parrocchia, cioè del bisogno che egli aveva di continuare

nelle buone abitudini cristiane della preghiera e di ripassare il catechismo;

ma ne parlò con tanta calma, che io non rilevai l'importanza di pigliar nota del paese da cui proveniva

il « Biondino », nel qual paese avrei potuto trovare l'unico testimonio idoneo

a far conoscere la verità nel fatto della dimissione di Luigi Musso dal Collegio Dal Pozzo.

Nel suo Diario, il Servo di Dio tace completamente il fatto del rinvio, e arrivato alla data del 1887,

egli prosegue: « Due anni dopo ( 1889 ), venni a Torino e fui ricevuto in servizio

dalla nobilissima famiglia del Sig. Conte Emilio Caisotti di Chiusano,

per raccomandazione della benemerita Signora Contessa Teresa di Gropello d'Alessandria.

Mi fermai sette anni in quella cristianissima famiglia,

facendo quanto era possibile per imitare le virtù e il buon esempio.»

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