Fiamma viva d'amor - B

Seconda strofa

O cauterio soave!

O deliziosa piaga!

O tenera mano! O tocco delicato,

che sa di vita eterna

e ogni debito paga!

Uccidendo, morte in vita hai mutato.

Spiegazione

1. In questa strofa l'anima spiega come le tre persone della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, siano coloro che realizzano in lei questa divina opera di unione.

Così, la mano, il cauterio e il tocco, in realtà, sono una medesima cosa; ma usa questi termini in quanto adatti a indicare l'effetto che ciascuna di loro produce.

Il cauterio è lo Spirito Santo, la mano è il Padre e il tocco è il Figlio.

E così l'anima qui esalta il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, lodando le tre grandi grazie e beni che in lei operano, poiché hanno mutato la sua morte in vita, trasformandola in sé.

La prima è una piaga deliziosa che l'anima attribuisce allo Spirito Santo; e, perciò, la chiama cauterio.

La seconda sa di vita eterna e l'anima l'attribuisce al Figlio chiamandola perciò tocco delicato.

La terza è la trasformazione in Dio, che è il debito con il quale è ben ripagata l'anima, e che questa attribuisce al Padre cosicché la chiama tenera mano.

E, sebbene qui l'anima nomini tutte e tre le Persone divine a cagione delle proprietà dei loro effetti, si rivolge solo a una di loro, dicendo: morte in vita hai mutato, poiché tutte e tre operano insieme; e così tutto lo attribuisce a uno e uno a tutte.

Segue il verso:

O cauterio soave!

2. Questo cauterio, come abbiamo detto, è lo Spirito Santo, perché, come afferma Mosè nel Deuteronomio, nostro Signore Iddio è fuoco consumante ( Dt 4,24 ), ossia fuoco d'amore.

Il quale, avendo una forza immensa, infinitamente può consumare e trasformare in sé l'anima che tocca, sebbene ognuna la brucia e l'assorbe a seconda di come la trova disposta: una più e un'altra meno, e questo quanto, come e quando vuole.

Ed essendo infinito fuoco d'amore, quando tocca l'anima con una certa veemenza, l'ardore dell'anima giunge a un così sommo grado d'amore, che a questa sembra di ardere più di ogni altro fuoco al mondo.

Per questo motivo, durante questa unione, l'anima chiama lo Spirito Santo cauterio.

Infatti, così come nel cauterio si trova il fuoco più intenso e veemente e di maggiore effetto di qualsiasi altro fuoco, allo stesso modo l'atto di questa unione, essendo prodotto da un fuoco infiammato più di qualsiasi altro, è chiamato dall'anima – rispetto agli altri atti – cauterio.

E poiché il fuoco divino, in questo caso particolare, ha trasformato tutta l'anima in sé, non solamente l'anima patisce il cauterio, ma essa stessa è fatta cauterio di veemente fuoco.

3. È cosa meravigliosa e degna da raccontare che, pur essendo questo fuoco di Dio consumatore tanto veemente, che con maggiore facilità consumerebbe mille mondi di quanto quello terrestre brucerebbe un filo di lino, questo fuoco non consuma e non distrugge l'anima in cui così arde; e ancor meno le provoca dolore, anzi la divinizza e la diletta in proporzione alla forza d'amore, bruciando e ardendo in lei soavemente.

E ciò accade per la purezza e perfezione dello spirito in cui arde [ nello Spirito Santo ], come accadde negli Atti degli Apostoli ( At 2,3 ), dove, venendo questo fuoco, con grande veemenza incendiò l'animo dei discepoli, i quali, come dice san Gregorio, arsero interiormente con amore in modo soave.

Lo stesso ribadisce la Chiesa quando afferma: Venne il fuoco dal cielo, non per bruciare, bensì per risplendere; non per consumare, bensì per illuminare.

Perché in queste comunicazioni, siccome il fine di Dio è innalzare l'anima, Egli non la affatica né la opprime, bensì la dilatazione e la diletta; non la rende oscura né la incenerisce, come il fuoco con il carbone, ma la rende luminosa e l'arricchisce, perciò l'anima lo chiama cauterio soave.

4. E così, la fortunata anima, che per sua grande ventura giunge a questo cauterio, tutto sa, tutto gusta, tutto ciò che vuole fa con successo e nessuno prevale su di lei né nulla la turba, poiché quest'anima è una di quelle di cui l'Apostolo dice: L'uomo spirituale giudica tutto e da nessuno è giudicato ( 1 Cor 2,15 ), e ancora: Lo Spirito scruta tutto, persino le profondità di Dio ( 1 Cor 2,10 ).

Infatti, questa è la proprietà dell'amore: conoscere tutti i beni dell'Amato.

5. O anime gloriose, che meritate di giungere a questo sommo fuoco, nel quale, poiché vi è infinita forza per consumarvi e annichilirvi, è certo che, non consumandovi, immensamente vi consuma nella gloria!

Non stupitevi che Dio conduca alcune anime sino a qui, poiché il sole si distingue per produrre alcuni effetti meravigliosi e, come dice lo Spirito Santo, in tre diversi modi brucia i monti ( Sir 43,4 ), cioè i monti dei santi ( Sal 83,15 ).

Ed essendo, come si è detto, questo cauterio tanto come, quanto crediamo potrà essere deliziata l'anima da lui toccata!

Volendolo essa dire, non lo dice, bensì rimane con l'affetto nel cuore e la lode sulla bocca con quell'o, esclamando: O cauterio soave!

O deliziosa piaga!

6. Dopo avere parlato con il cauterio, l'anima parla ora con la piaga che esso le ha procurato.

E così come il cauterio era soave, secondo quanto è stato detto, la piaga, a ragione, dovrà essergli conforme.

Infatti, essendo piaga di cauterio soave sarà piaga deliziosa, giacché, essendo il cauterio d'amore, essa sarà piaga d'amor soave.

In tal modo l'anima sarà soavemente dilettata.

7. E per comprendere quale sia la natura di questa piaga con la quale qui l'anima parla, è bene sapere che il cauterio di fuoco materiale sempre produce una piaga dove tocca, e possiede tale proprietà: applicato su una piaga non di fuoco, la rende di fuoco.

E questa proprietà possiede il cauterio d'amore: che l'anima da esso toccata, sia essa piagata da miserie e peccati, sia essa sana, rimane, piagata d'amore e quelle che erano piaghe prodotte da altre cause diventano anch'esse piaghe d'amore.

Però, tra questo cauterio d'amore e quello di fuoco materiale vi è una differenza: quest'ultimo, infatti, produce una piaga che non può essere risanata se non con altre medicine, mentre la piaga prodotta dal cauterio d'amore non si può curare con altra medicina, poiché lo stesso cauterio che la produce la cura e lo stesso che la cura, curandola, la produce; quindi ogni volta che il cauterio d'amore tocca la piaga d'amore provoca una piaga d'amore ancora più grande; e così, cura e risana quanto più piaga.

Infatti l'amante, quanto più è piagato più è sano e la cura dell'amore è piagare e ferire quanto è già piagato, sino al punto in cui la piaga è tanto grande che tutta l'anima è piaga d'amore.

E così, già tutta cauterizzata e fatta una piaga d'amore, è resa tutta sana nell'amore, poiché è trasformata in amore.

In questo modo si deve intendere la piaga di cui qui parla l'anima tutta piagata e, pertanto, tutta sana.

E poiché, sebbene sia tutta piagata e tutta sana, il cauterio d'amore non smette di compiere il suo dovere, ossia toccare e ferire d'amore, ed essendo già tutto delizioso e tutto sano, l'effetto che produce è rendere soave la piaga, come suole fare il buon medico.

Per questo dice l'anima: O deliziosa piaga!

O piaga tanto più deliziosa quanto più grande e sublime è il fuoco d'amore che la causò!

Infatti, avendola prodotta lo Spirito Santo solo per dilettare, così come il suo desiderio e la sua volontà di deliziare l'anima sono grandi, altrettanto grande sarà questa piaga, affinché grandemente sia dilettata.

8. O gioiosa piaga, prodotta da Colui che sa solo risanare!

O fortunata e gioiosa piaga, poiché sei stata fatta solo per dilettare, il tuo dolore è delizia e diletto dell'anima piagata!

O dilettevole piaga, sei grande!

Poiché Colui che ti fece è grande e grande è il piacere da te prodotto, ed essendo il fuoco d'amore infinito secondo la sua capacità e grandezza ti diletta.

O deliziosa piaga, tanto più sublimemente deliziosa quanto più nell'infinito centro della sostanza dell'anima è arrivato a toccare il cauterio, bruciando tutto ciò che si può bruciare per dilettare tutto ciò che si può dilettare!

Si può dire che questo cauterio e questa piaga siano al più alto grado possibile in questo stato presente; vi sono infatti molti altri modi con cui Dio può cauterizzare l'anima, che però non giungono a questo grado né sono come questo, poiché questo è il tocco della sola Divinità dell'anima, senza forma alcuna né figura né intellettuale né immaginaria.

9. Vi è però un'altra sublime maniera di cauterizzare l'anima in forma intellettuale.

Accade così: essendo l'anima infiammata di amore di Dio, ma non così qualificata come abbiamo appena detto, benché conviene molto che lo sia per quello che qui voglio dire, si sentirà colpire da un serafino con una freccia o un dardo ardentissimo di fuoco d'amore che, trafiggendo l'anima già accesa come brace o, meglio, come fiamma, la cauterizza in modo sublime.

Durante questa cauterizzazione, trafitta l'anima con quella saetta, immediatamente si ravviva la fiamma dell'anima innalzandosi con veemenza, come avviene in una fucina o in una fornace accese quando vi si attizza o vi si alimenta il fuoco e si ravviva e si innalza la fiamma.

Così, ferita da questo dardo infiammato, l'anima sente la piaga con grandissimo diletto, perché, oltre a essere tutta sconvolta con grande soavità dal frastorno e dal moto impetuoso prodotti da quel serafino, in cui prova un grande ardore e languore d'amore, essa avverte anche la soave ferita e l'erba in cui fu intinto il ferro, come una viva punta nella sostanza dello spirito, nel cuore dell'anima trafitto.

10. E di questo intimo punto della ferita, che sembra avere luogo nella metà del cuore dello spirito, ossia dove si prova il massimo del diletto, chi potrà parlarne come conviene?

Poiché in quel punto l'anima avverte come un piccolo granello di senape, vivissimo e accesissimo, che irradia intorno un vivo e acceso fuoco d'amore.

Questo fuoco, nascendo dalla sostanza e virtù di quel punto vivo dove è la sostanza e la proprietà dell'erba, si diffonde sottilmente attraverso tutte le vene spirituali e sostanziali dell'anima, secondo la sua potenza e forza.

In questo l'anima sente prendere forza e crescere tanto l'ardore, e in questo ardore raffinarsi tanto l'amore, da sentire in lei mari di fuoco amoroso, il quale penetra dall'alto al basso l'universo, tutto inondando d'amore.

Allora sembra all'anima che tutto l'universo è un mare d'amore nel quale essa è immersa, non riuscendo a vedere né il termine né la fine dove si esaurisce questo amore, sentendo in se stessa, come abbiamo detto, il punto vivo e il centro dell'amore.

11. E ciò che qui gode l'anima non si può descrivere, si può solo dire che prova quanto a ragione nel Vangelo il regno dei cieli viene paragonato al granello di senape, che, per il suo grande calore, sebbene così piccolo, dà vita a un grande albero ( Mt 13,31-32 ).

L'anima si vede trasformata in un immenso fuoco d'amore che nasce da quel punto acceso del cuore dello spirito.

12. Poche sono le anime che giungono a questo stato, alcune però vi sono giunte, soprattutto quelle la cui virtù e il cui spirito dovevano diffondersi nella sequela dei figli, poiché Dio dona la ricchezza e il valore delle primizie dello spirito ai fondatori, secondo il maggiore o minore numero dei loro discepoli nella sua dottrina e nel suo spirito.

13. Ritorniamo, dunque, all'opera di quel serafino, che consiste veramente nel piagare e ferire interiormente nello spirito a tal punto che, qualche volta, Dio permette che qualche suo effetto si manifesti esteriormente nei sensi corporali, così come accadde quando il serafino piagò san Francesco: feritagli l'anima d'amore con le cinque piaghe, il loro effetto si manifestò nel corpo, imprimendo in esso le ferite.

Lo piagò così d'amore sia nello spirito che nel corpo.

Infatti Dio, ordinariamente, non concede nessuna grazia al corpo se prima non la concede all'anima.

E così, quanto maggiore è il diletto e la forza dell'amore che produce la piaga nell'anima, tanto maggiore è quello esteriore prodotto dalla piaga corporale, cosicché crescendo uno, cresce in proporzione l'altro.

Ciò accade nel seguente modo: trovandosi queste anime ormai purificate e raccolte in Dio, ciò che per la loro corruttibile carne è causa di dolore e tormento, nello spirito forte e sano gli è dolce e gustoso, cosicché è cosa meravigliosa sentire crescere il dolore nel sapore.

Questa meraviglia la esperimentò bene Giobbe nelle sue piaghe quando disse a Dio: Ritornando a me, mi tormenti in modo meraviglioso ( Gb 10,16 ).

Poiché è una cosa meravigliosa e degna della grande soavità e dolcezza che Dio tiene nascosta per coloro che lo temono ( Sal 31,20 ) far provare tanto più sapore e diletto quanto più dolore e tormento si sente.

Tuttavia, quando la piaga è solamente nell'anima, senza che si manifesti esternamente, il diletto può essere più intenso e sublime.

Perché, appena la carne tiene frenato lo spirito, ossia quando i beni spirituali si comunicano anche a essa, questa tira le redini e mette il freno in bocca al veloce cavallo dello spirito, smorzandone il gran brio, poiché se lo spirito usa la sua forza le redini sono destinate a rompersi.

Ma fin quando non si rompono, continuano a opprimerlo privandolo della sua libertà, poiché, come dice il Savio: un corpo corruttibile appesantisce l'anima, e la casa terrena opprime il senso spirituale, il quale da sé comprende molte cose ( Sap 9,15 ).

14. Dico ciò affinché si comprenda che colui che procede aggrappato alla capacità e al discorso naturale per andare a Dio non si comporterà in modo spirituale; vi sono alcuni, infatti che pensano di potere, con la pura forza e con l'azione del senso, il quale di per sé è vile e naturale, arrivare alle altezze dello spirito soprannaturale, a cui i sensi corporali non giungono se non rinnegando e tralasciando le loro operazioni.

È diverso, però, quando dallo spirito derivano effetti spirituali nel senso.

Ciò può accadere per l'abbondante presenza dello spirito, come si è spiegato quando abbiamo parlato delle piaghe, le quali si manifestano esteriormente per la loro forza interiore.

Così accadde a san Paolo, al quale ridondava nel corpo il grande sentimento che provava nell'anima per i patimenti di Cristo, come egli stesso fa comprendere ai Galati, dicendo: Nel mio corpo porto le ferite del Signore Gesù ( Gal 6,17 ).

15. Del cauterio e della piaga è stato detto a sufficienza.

E se essi sono come sono stati qui descritti, come saranno allora la mano con cui questo cauterio si dà e il tocco?

L'anima lo spiega nel verso seguente, più lodandoli che spiegandoli, dicendo:

O tenera mano! O tocco delicato!

16. Questa mano, come abbiamo detto, è il pietoso e onnipotente Padre.

Essa è tanto generosa e magnanima, quanto poderosa e ricca; grandi e abbondanti grazie offre all'anima quando si apre per fargliene dono, e così la chiama tenera mano, ed è come se dicesse: o mano tanto più tenera per l'anima mia, su cui ti posi toccandola soavemente, quanto se tu toccassi qualcosa con forza sprofonderesti il mondo intero, poiché col tuo solo sguardo, la terra trema ( Sal 104,32 ), le genti si disperdono e muoiono, i monti crollano! ( Ab 3,6 ).

O grande mano, come sei stata dura e severa con Giobbe ( Gb 19,21 ), toccandolo poche volte aspramente, così sei con me tanto più amica e soave di quanto con lui sei stata dura, e quanto più mi tocchi amichevolmente, piacevolmente e soavemente posandoti nell'anima mia!

Infatti tu fai vivere e fai morire, e non c'è chi sfugga alla tua mano ( Dt 32,39 ).

Ma tu, o vita divina!, non uccidi se non per dare vita, così come non ferisci mai se non per sanare.

Quando lievemente tocchi, castighi, e questo è sufficiente per consumare il mondo, però quando accarezzi, ti posi piacevolmente e il dono della tua dolcezza non è misurabile.

O divina mano!, che mi piagasti per risanarmi e uccidesti in me ciò che mi teneva morta e priva della vita divina nella quale ora mi vedo vivere, facendolo con la liberalità della tua immensa grazia, che usasti con me nel tocco con cui mi toccasti, splendore della tua gloria e immagine della tua sostanza ( Eb 1,3 ) che è il tuo Figlio Unigenito, nel quale, essendo Egli la tua sapienza, tocchi con forza da un fine all'altro ( Sap 8,1 ).

E questo tuo Figlio Unigenito, o mano misericordiosa del Padre!, è il tocco delicato con il quale mi toccasti piagandomi con la forza del tuo cauterio.

17. O tocco delicato, Verbo, Figlio di Dio, che per la delicatezza del tuo essere divino penetri sottilmente la sostanza della mia anima e, toccandola tutta delicatamente, in te l'assorbi tutta in divino diletto e delicatezza mai udite nella terra di Canaan né viste in Teman ( Bar 3,22 )!

O delicatissimo tocco del Verbo, per me ancor più delicato quando, dopo avere scosso i monti e spaccato le pietre nel monte Oreb con l'ombra del tuo potere e la forza che ti precedeva, ti concedesti in modo più soave e forte nel sibilo delicato dell'aria, affinché il profeta potesse percepire la tua presenza! ( 1 Re 19,11-12 ).

O aria lieve! come sei sottile e delicata, dimmi: come tocchi così sottilmente e delicatamente, Verbo, Figlio di Dio, pur essendo tanto terribile e potente?

Fortunata e molto fortunata è l'anima che toccherai sottilmente e delicatamente, pur essendo così terribile e potente!

Dire questo al mondo?

No, non lo dire al mondo, poiché non sa nulla di aria delicata e non ti ascolterà, poiché non ti può accogliere né ti può vedere ( Gv 14,17 ).

O Dio mio! o vita mia!, vedranno e sentiranno il tuo tocco delicato solo quelli che, allontanandosi dal mondo, saranno diventati finemente sensibili, convenendo ciò che è delicato solo col delicato.

E così ti potranno sentire e godere sé non coloro che più sottilmente tocchi, poiché per essere già delicata, nuda e purificata la sostanza della loro anima, aliena alle creature e a ogni vestigio e tocco di queste, tu ti ci sei nascosto, dimorando e riposando in essa.

E con ciò li nascondi dai perturbamenti degli uomini nel segreto del tuo volto ( Sal 31,21 ), che è il Verbo.

18. O tocco delicatissimo, tanto più forte e poderoso, quanto più soave, che con la forza della tua delicatezza distacchi e separi l'anima da tutti gli altri tocchi delle cose create e la serbi e unisci solo a te, e così delicato effetto lasci in esse, che qualsiasi altro tocco di tutte le cose alte e basse gli sembra grossolano e vile, cosicché l'offende il solo guardarle e le dà pena e grande tormento il doverle toccare e trattare.

19. Bisogna sapere che una cosa è tanto più profonda e capace, quanto più in sé è delicata, e tanta più forza ha di diffondersi e di comunicarsi quanto più è sottile.

Il Verbo, Colui che tocca l'anima, è immensamente soave e delicato, e l'anima è un vaso ampio e capace per la delicatezza e la grande purificazione che ha raggiunto in questo stato.

O tocco delicato!

Che tanto più riccamente e abbondantemente ti comunichi quanto più possiedi di sostanza e l'anima mia di purezza.

20. Bisogna inoltre sapere che tanto più sottile e delicato è il tocco e tanto maggiore diletto e soavità comunica dove tocca, quanto minor volume e corpo possiede.

Questo tocco divino nessun volume né corpo possiede, poiché il Verbo che lo fa è alieno da qualsiasi modo e maniera e libero da qualsiasi forma, figura e accidente, ossia da tutto ciò che è solito delimitare o porre limiti e confini alla sostanza; e così questo tocco di cui qui si parla, essendo sostanza, per meglio dire, sostanza divina, è ineffabile.

O tocco ineffabilmente delicato del Verbo, perché fatto nell'anima se non con il tuo purissimo e semplicissimo essere, il quale, essendo infinito, infinitamente è delicato, e, per ciò, tanto sottilmente, amorosamente, eminentemente e delicatamente tocca,

che sa di vita eterna!

21. In effetti, come più sopra abbiamo già detto, anche se non in grado perfetto, quello che si gusta in questo divino tocco è un certo sapore di vita eterna.

E non è incredibile che sia così, credendo, come si deve credere, che questo tocco è tocco di sostanze, ossia, della sostanza divina in quella dell'anima, tocco al quale sono giunti molti santi in questa vita.

È impossibile descrivere la delicatezza del diletto che in questo tocco si sente né io voglio parlarne, perché non si pensi che quello sia, essendo sempre di più di ciò che si può dire.

Non vi sono, infatti, termini adatti per spiegare cose divine così sublimi, come sono quelle che accadono in queste anime, il cui linguaggio, per colui che lo possiede, è comprenderle per sé, sentirle per sé, goderle per sé, tacendole.

Poiché l'anima giunge qui a vedere, in un certo modo, che queste cose sono come la pietra di cui parla san Giovanni che si darà a colui che vincerà, e nella pietra sarà inciso un nome sconosciuto a tutti se non a colui che la riceverà ( Ap 2,17 ).

E così, solo si può dire, e con verità: che sa di vita eterna.

E, sebbene in questa vita non si gode perfettamente come nella gloria, con tutto ciò, questo tocco, per essere tocco di Dio, sa di vita eterna.

E così, qui l'anima gusta tutte le cose di Dio, il quale le comunica forza, saggezza, amore, bellezza, grazia e bontà; e poiché Dio è tutte queste cose, l'anima le gusta in un solo tocco divino, godendole secondo le sue potenze e la sua sostanza.

22. Da questo bene dell'anima ridonda a volte nel corpo l'unzione dello Spirito Santo e così tutta la sostanza sensitiva, tutte le membra, le ossa e il midollo godono, non in debole maniera come solitamente suole accadere, bensì con sentimento di grande diletto e gloria, che si avverte fin nelle estreme giunture dei piedi e delle mani.

E prova il corpo così tanta gloria nell'anima che a suo modo loda Dio, sentendolo nelle sue ossa, conformemente a quello che dice David: Tutte le mie ossa diranno: Dio, chi è simile a te? ( Sal 35,10 ).

E poiché tutto quello che si può dire è meno di ciò che è, basta dire, sia per il corpo che per lo spirito: che sa di vita eterna

e ogni debito paga.

23. Questo dice l'anima poiché, nel sapore di vita eterna che qui assapora, trova la ricompensa di tutte le fatiche passate per giungere a questo stato, nel quale non solamente si sente soddisfatta e ripagata in giusta misura, bensì con grande eccesso premiata, in modo che comprende pienamente la verità della promessa dello Sposo nel Vangelo, ossia che avrebbe dato cento per uno ( Mt 19,29 ).

In modo tale che non vi fu tribolazione, né tentazione, né penitenza, né fatica sopportata in questo cammino, alla quale non corrisponda il centuplo di consolazione e diletto in questa vita.

Cosicché può ben dire l'anima: e ogni debito paga.

24. E per sapere come e quali siano questi debiti di cui qui l'anima si sente ripagata, bisogna sapere che, in via ordinaria, nessuna anima può giungere a questo alto stato e regno dello sposalizio senza passare prima attraverso molte tribolazioni e molti travagli poiché, come si afferma negli Atti degli Apostoli, ci è concesso entrare nel regno dei cieli attraverso molte tribolazioni ( At 14,21 ), le quali in questo stato sono ormai superate.

Infatti, di qui innanzi, essendo l'anima purificata, non soffre più.

25. Le sofferenze che patiscono coloro che devono giungere a tale stato sono di tre generi: travagli e desolazioni, timori e tentazioni, in molti diversi modi da parte del secolo; tentazioni, aridità e afflizioni da parte del senso; tribolazioni, tenebre, oppressioni, abbandoni, tentazioni e altre sofferenze da parte dello spirito, affinché, in questo modo, si purifichi secondo la parte spirituale e sensitiva, così come abbiamo detto spiegando il quarto verso della prima strofa.

La ragione per la quale sono necessari questi travagli per giungere a questo stato è che, come un eccellente liquore non si mette se non in un vaso robusto, preparato appositamente e pulito, così questa altissima unione non può verificarsi se non in un'anima rafforzata con sofferenze e tentazioni, e purificata con tribolazioni, tenebre e angustie, poiché attraverso le une si purifica e rafforza il senso, attraverso le altre si spoglia, si purifica e si prepara lo spirito.

Infatti, come nell'altra vita per unirsi con Dio in gloria gli spiriti impuri attraversano le pene del fuoco, così in questa vita, per l'unione di perfezione, essi devono passare per il fuoco delle suddette pene, che in alcuni opera di più e in altri meno fortemente, allo stesso modo in cui in altri agisce più o meno a lungo, a seconda del grado d'unione al quale Dio li vuole elevare e conformemente a quanto in loro deve essere purificato.

26. Attraverso questi travagli, in cui Dio pone l'anima e il senso, essa acquista virtù, forza e perfezione con sofferenza, poiché la virtù nella debolezza si perfeziona ( 2 Cor 12,9 ), e nell'esercizio delle tribolazioni si forgia.

Come il ferro non può essere utile e non può conformarsi all'idea dell'artefice se non è forgiato con il fuoco e il martello, così afferma Geremia quando parla del fuoco che Dio gli mise nell'intelligenza: Inviò fuoco nelle mie ossa e mi insegnò ( Lam 1,13 ).

E a proposito del martello dice ancora Geremia: Mi hai castigato, Signore, e imparai ( Ger 31,18 ).

Perciò afferma l'Ecclesiastico: Chi non è tentato, che cosa può sapere? ( Sir 34,11 ); e Colui che non è provato, poche cose conosce ( Sir 34,10 ).

27. Conviene qui soffermarci sulla causa per la quale sono pochi coloro che giungono a un così alto stato di perfezione nell'unione con Dio.

È bene sapere che non è perché Dio vuole che vi siano pochi spiriti elevati, poiché anzi vorrebbe che tutti fossero perfetti, bensì perché vi sono pochi vasi che sopportano così alta ed eccelsa opera.

Infatti Dio li sottopone a prove minori e li trova deboli – fuggendo essi dalle tribolazioni non volendo sottoporsi alla minima sofferenza e mortificazione –, e così, non trovandoli forti e fedeli in quel poco cui li sottopone per incominciare a sbozzarli e forgiarli, vede che lo saranno ancora meno se sottoposti a maggiori prove e perciò non prosegue nella purificazione e nel sollevarli dalla polvere della terra con la sua opera di mortificazione, per la quale è necessario una maggior costanza e forza di quella che essi mostrano.

Vi sono molti che desiderano andare avanti e continuamente chiedono a Dio che li porti a questo stato di perfezione, e, quando Dio li vuole iniziare alle prime tribolazioni e mortificazioni, come è necessario, non vi vogliono passare attraverso né dispiacere al corpo, rifuggendo il cammino angusto della vita ( Mt 7,14 ), cercando quello spazioso delle consolazioni, ossia della perdizione ( Mt 7,13 ), non lasciando spazio a Dio per potere ricevere ciò che gli chiedono quando Egli inizia a concederlo.

E così sono come vasi inutili, perché, volendo giungere allo stato di perfetti, non vollero passare per il cammino dei travagli, né iniziarono a entrarvi, sottomettendosi unicamente a quel poco che comunemente si suole patire.

A questi si può rispondere con le parole di Geremia: Se ti affaticasti correndo con coloro che andavano a piedi, come potrai gareggiare con i cavalli?

E, se avrai avuto quiete nella terra di pace, che farai nella superbia del Giordano? ( Ger 12,5 ).

Con ciò è come se dicesse: se con le fatiche proprie della via piana, che ordinariamente e umanamente accadono a tutti i viventi, per avere tu un passo così corto, facevi tanta fatica che ti sembrava di correre, come potevi competere con il passo del cavallo, che è fatica più che ordinaria e comune, per il quale si richiede maggiore forza e leggerezza di quella dell'uomo?

E se non hai voluto lasciare la pace e il piacere della tua terra, che è la tua sensualità, non volendo dichiararle guerra né contraddirla in nessuna cosa, come pretendevi di entrare nelle turbolente acque delle sofferenze e tribolazioni dello spirito, che sono più intime?

28. O anime che volete camminare sicure e consolate per le vie dello spirito!

Se sapeste quanto vi conviene soffrire per giungere a questa sicurezza e ricompensa e come senza questa sofferenza non si può giungere a ciò che l'anima desidera senza ritornare indietro, in nessun modo cerchereste consolazione, né in Dio né nelle creature; anzi portereste la croce e, crocefisse, berreste fiele e aceto puro ( Gv 19,29; Mt 27,34 ), considerando ciò come una grande fortuna, vedendo come, morendo così al mondo e a voi stesse, si vive Dio ( Rm 6,10-11 ) in gioia di spirito.

E soffrendo con pazienza e fedeltà le piccole sofferenze esteriori, meritereste che Dio posasse gli occhi su di voi per purificarvi più profondamente con travagli spirituali, al fine di concedervi beni più interiori.

Molti servigi hanno dovuto compiere per Dio, e molta pazienza e costanza hanno dovuto avere per Lui, e devono essere stati con la loro vita e le loro opere a Lui molto graditi coloro a cui Dio concede tanta segnalata grazia da tentarli più interiormente, al fine di avvantaggiarli con doni e con meriti.

Così leggiamo accadde al santo Tobia, al quale san Raffaele disse che, per essere ben accetto a Dio, questi gli aveva concesso la grazia di inviargli la tentazione sottoponendolo a maggiore prova, onde innalzarlo di più ( Tb 12,13 ).

E così, tutto il tempo che gli rimase da vivere, dopo quella tentazione, lo trascorse nella gioia, come dice la Sacra Scrittura ( Tb 14,4 ).

Altrettanto accadde a Giobbe, a cui il Signore, avendo questi accettato le sue opere davanti agli spiriti buoni e cattivi, fece la grazia di inviare quelle dure prove per innalzarlo, moltiplicandogli poi di molto i beni spirituali e temporali ( Gb 42,10-17 ).

29. Allo stesso modo opera Dio con coloro che vuole aiutare in relazione al bene fondamentale.

Questi li fa e li lascia tentare per innalzarli quanto è possibile, cioè facendoli giungere all'unione con la sapienza divina, la quale, come dice David, è argento provato col fuoco, provato nella terra ( Sal 12,7 ) della nostra carne e purificato sette volte, ossia il massimo possibile.

Non è il caso che ci prolunghiamo ancora per dire quali siano queste sette purificazioni per giungere alla sapienza divina, di quale natura sia ciascuna di esse e come a ognuna di queste corrispondano sette gradi d'amore nella divina sapienza.

Tale sapienza, tuttavia, è per l'anima, per quanto essa possa essere unita a Dio in questa vita, come l'argento di cui parla David, mentre nell'altra sarà come oro.

30. Conviene all'anima sopportare con costanza e pazienza ogni tribolazione e sofferenza interiore ed esteriore alla quale Dio la sottopone, spirituale e corporale, maggiore o minore, prendendole come provenienti dalle mani di Dio per il suo bene e per sua medicina, e non fuggendo da queste, poiché sono salute per lei, seguendo così il consiglio del Savio: Se lo spirito del potente discenderà sopra di te, non abbandonare il tuo posto, ossia il luogo della tua prova, che è la tribolazione a cui sei sottoposto, poiché la cura farà cessare i grandi peccati ( Qo 10,4 ).

Taglia le radici dei tuoi peccati e imperfezioni, che sono le abitudini cattive, poiché la battaglia delle tribolazioni, oppressioni e tentazioni elimina le abitudini cattive e imperfette dell'anima purificandola e fortificandola.

Perciò l'anima deve avere in grande considerazione quando Dio le invia tormenti sia esteriori che interiori, comprendendo che sono molto pochi coloro che meritano di essere consumati nella prova, soffrendo per giungere a un così alto stato.

31. Ritornando dunque al nostro commento, l'anima sapendo ora che tutto è riuscito bene, che già sicut tenebrae eius, ita et lumen eius ( Sal 139,12 ), e che, come partecipò alle tribolazioni, ora prende parte alle consolazioni e al regno ( 2 Cor 1,7 ), essendo stata ripagata di tutte le tribolazioni patite, sia esteriori che interiori, con beni divini spirituali e materiali, così che non vi è travaglio a cui non corrisponda un gran premio, lo confessa, ormai appagata, dicendo: E ogni debito paga, ringraziando in questo verso Dio, così come fece David, essendo stato liberato dai travagli, dicendo: Quante tribolazioni mi mostrasti differenti e cattive!

E da tutte loro mi hai liberato, dagli abissi della terra nuovamente mi hai tirato fuori; moltiplicasti la tua magnificenza e, rivolgendoti a me, mi consolasti ( Sal 71,20-21 ).

E così, l'anima, che prima di giungere a questo stato, se ne stava come Mardocheo alle porte del palazzo, piangendo nelle piazze di Susa per il pericolo in cui si trovava la sua vita, vestito di cilicio, rifiutando la veste offertagli dalla regina Ester, senza ricevere premio alcuno per i servigi resi al re e per la fede mostrata nel difendere l'onore e la vita di lui, in un solo giorno, come lo stesso Mardocheo, vede ripagati tutti i suoi travagli e i suoi servigi, poiché non solo è fatta entrare nel palazzo e ammessa dinanzi al re vestita con abiti regali, bensì le viene offerta anche la corona, lo scettro e il trono insieme all'anello del re, affinché faccia tutto ciò che desidera, e ciò che non desidera non faccia, nel regno del suo Sposo ( Est 4-8 ).

Infatti, coloro che si trovano in questo stato ottengono tutto ciò che desiderano.

Con ciò non solamente è ripagata, ma muoiono i suoi nemici giudei, che sono gli appetiti imperfetti, che la privavano della vita spirituale, nella quale ora essa vive secondo le sue potenze e appetiti.

Ed è per questo che l'anima esclama:

Uccidendo, morte in vita hai mutato.

32. La morte non è altro che privazione della vita; infatti, arrivando la vita, non resta traccia di morte.

Per ciò che concerne lo spirito, vi sono due modi di vita: una è quella beatifica e consiste nel vedere Dio; questa si raggiunge per mezzo della morte corporale e naturale, come afferma san Paolo quando dice: Sappiamo che quando questa nostra casa terrestre si distruggerà, Dio ci concederà una dimora eterna in cielo ( 2 Cor 5,1 ).

L'altra è la perfetta vita spirituale e consiste nel possesso di Dio per unione d'amore e si raggiunge con la mortificazione di tutti i vizi e appetiti e della loro stessa natura.

Sino a quando non si fa ciò, non si può giungere alla perfezione di questa vita spirituale d'unione con Dio, così come afferma l'Apostolo quando dice: Se vivrete secondo la carne, morirete, ma se con lo spirito mortificherete le opere della carne, vivrete ( Rm 8,13 ).

33. È da notare che ciò che qui l'anima chiama morte è l'uomo vecchio ( Rm 6,6 ), cioè l'uso delle potenze – memoria, intelletto e volontà – impegnate nelle cose del secolo, e gli appetiti occupati nel gusto delle creature.

Tutto ciò è esercizio della vita vecchia, la quale è morte della nuova, che è la spirituale, nella quale l'anima non potrà vivere perfettamente se non morirà altrettanto perfettamente l'uomo vecchio, come ammonisce l'Apostolo quando afferma: Si spoglino dell'uomo vecchio e si rivestano di quello nuovo, il quale è creato secondo Dio in giustizia e in santità ( Ef 4,22-24 ).

In questa vita nuova, ossia quando l'anima è giunta alla perfezione dell'unione con Dio di cui qui trattiamo, tutti gli appetiti dell'anima e le sue potenze secondo le loro inclinazioni e operazioni, le quali di per sé erano opere di morte e privazione della vita spirituale, si mutano in divine.

34. E poiché, come dicono i filosofi, ogni vivente vive per mezzo delle sue operazioni, avendo l'anima le sue operazioni in Dio per l'unione che ha con Dio, vive vita divina; e così la sua morte si è trasformata in vita, ossia la sua vita animale si è mutata in vita spirituale.

Infatti l'intelletto, che prima di quest'unione comprendeva naturalmente con la forza e il vigore della luce naturale per mezzo dei sensi corporali, ora, messi da parte i sensi, è mosso e informato da un più alto principio, quello della luce soprannaturale di Dio, e così si è mutato in divino, perché grazie a questa unione l'intelletto dell'anima e quello di Dio sono tutt'uno.

E la volontà, che prima amava fiaccamente con il suo solo appetito naturale, ora è mutata in vita di amore divino, poiché ama in modo sublime con affetto divino, mossa dalla forza e dalla virtù dello Spirito Santo, in cui vive vita di amore, essendo ormai la volontà di Lui e quella di lei una sola volontà.

E la memoria, la quale da sé percepiva solo le forme e i fantasmi delle creature, è mutata per mezzo di questa unione, avendo in mente gli anni eterni di cui parla David ( Sal 77,6 ).

L'appetito naturale, che solo aveva capacità e forza per gustare il sapore della creatura, procurando così morte, ora è mutato in gusto e sapore divino, mosso e soddisfatto già da un altro principio dove vive più che mai, ossia dal diletto di Dio, ed essendo a lui unito è solamente appetito di Dio.

In ultimo, tutti gli appetiti, operazioni e inclinazioni che l'anima prima aveva come principio e forza della sua vita naturale, ora, grazie a questa unione, sono mutati in movimenti divini, morti alle loro operazioni e inclinazioni ma vivi in Dio.

L'anima, infatti, come vera figlia di Dio, è mossa in tutto dallo spirito di Dio, come insegna san Paolo, quando dice: Coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio sono figli di Dio ( Rm 8,14 ).

In modo che, come abbiamo detto, l'intelletto di quest'anima è intelletto di Dio, la sua volontà è volontà di Dio e la sua memoria, memoria eterna di Dio, il suo diletto, diletto divino e la sostanza dell'anima, sebbene non è sostanza di Dio, poiché non può convertirsi sostanzialmente in lui, tuttavia, essendo come qui accade unita con lui e assorta in lui, è Dio per partecipazione.

Ciò accade in questo stato perfetto di vita spirituale, sebbene non tanto perfettamente come nella vita beatifica.

In questo modo l'anima è morta a tutto ciò che era in se stessa, ossia a tutto ciò che era morte per lei e viva a ciò che è Dio in sé.

E perciò, parlando di sé, dice nel verso: Uccidendo, morte in vita hai mutato.

Infatti, ora l'anima può dire come san Paolo: Vivo, ma non più io, Cristo vive in me ( Gal 2,20 ).

Essendo mutata la morte di quest'anima in vita di Dio, le si addicono anche le parole dell'Apostolo quando afferma: Absorta est mors in victoria ( 1 Cor 15,54 ), così come quelle che il profeta Osea pronuncia in nome di Dio: O morte, io sarò la tua morte ( Os 13,14 ), che significano: poiché io sono la vita, essendo morte della morte, questa verrà assorbita nella vita.

35. In questo modo l'anima è assorta in vita divina, aliena a tutto ciò che è mondano, temporale e appetito naturale, introdotta nelle stanze del Re, dove gode e si rallegra nel suo Amato, ricordandosi del suo petto più che del vino, dicendo: Sebbene sono bruna, figlie di Gerusalemme, sono bella ( Ct 1,4-5 ), perché il mio colore bruno naturale si trasformò nella bellezza del Re celeste.

36. In questo stato di vita perfetta l'anima, interiormente ed esteriormente, è come se fosse sempre in festa, e frequentemente sente nel palato del suo spirito un grande giubilo divino, come un canto nuovo ( Sal 40,4; Sal 144,9; Ap 5,9; Ap 14,3 ), sempre nuovo, intonato con allegria, amore e consapevolezza del suo alto stato.

Talvolta cammina con gaudio e fruizione, ripetendo nel suo spirito quelle parole di Giobbe che affermano: La mia gloria sempre si rinnoverà ( Gb 29,20 ) e come palme moltiplicherò i giorni ( Gb 29,18 ).

Come a dire: Dio, il quale permane in sé sempre identico, e tutte le cose rinnova, come dice il Savio ( Sap 7,27 ), essendo ormai per sempre unito alla mia gloria, sempre la rinnoverà; ossia non le permetterà di invecchiare, come in passato, e moltiplicherò i giorni come palme, cioè farò in modo che i miei meriti arrivino fino al cielo, così come la palma protende i suoi rami verso l'alto.

Siccome i meriti dell'anima che si trova in questo stato sono ordinariamente grandi, sia per il numero che per la qualità, canta a Dio nel suo spirito tutto quello che David dice nel salmo, il cui inizio è: Exaltabo te, Domine, quoniam suscepisti me, e in particolar modo quei due versetti finali che dicono: Convertisti planctum meum in gaudium mihi; conscidisti saccum meum et circumdedisti me laetitia ( Sal 30,12-13 ), affinché ti canti la mia gloria e già non sia afflitto; Signore, mio Dio, per sempre ti loderò.

E non c'è nulla di cui meravigliarsi se l'anima con tanta frequenza prova queste gioie, giubili, fruizioni e lodi di Dio, poiché oltre il riconoscimento delle grazie ricevute sente Dio così sollecito a favorirla con tante preziose, delicate e straordinarie parole e a innalzarla con l'una e l'altra grazia, che sembra all'anima che per Lui non vi sia altra cosa al mondo di cui occuparsi né a cui dedicarsi, bensì che sia tutto solamente per lei.

Provando essa ciò, lo confessa come la Sposa dei Cantici, dicendo: Dilectus meus mihi et ego illi ( Ct 2,16; Ct 6,2 ).

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