Arianesimo

Dizionario

1) Eresia sostenuta dal prete Ario ( 256-336 ), secondo la quale Cristo era stato creato da Dio ed era di natura diversa


Il termine Arianesimo è coniato sul nome del caposcuola, Ario, prete di Alessandria d'Egitto, preposto della Chiesa di Baukalis, ed indica una eresia cristologica sviluppatasi nel IV secolo.

Tale dottrina afferma che il Figlio è creato, ha un principio e deriva dal nulla.

Inoltre crede che il Padre sia assolutamente trascendente rispetto al Figlio, il quale gli è inferiore per natura, per autorità e per gloria.

Il vero Dio, assolutamente unico, è per l'arianesimo il Padre.

All'infuori del Padre non può esserci altro Dio, nel senso vero del termine.

Infatti secondo questa eresia il condividere con altri la natura divina sarebbe ammettere una pluralità di esseri divini e ritenere divisibile e mutabile la stessa natura divina.

Ogni cosa esistente al di fuori del Padre è creata, cioè chiamata alla vita dal nulla ed è a lui subordinata.

Quindi anche Cristo è subordinato al Padre, collocato nell'ordine delle creature e non vero Dio.

Per l'arianesimo il Figlio non coesiste nell'eternità con il Padre, la sua natura non procede da quella del Padre, ma è stato creato, ed ha cominciato ad esistere per un atto di volontà del Padre.

È quindi dissimile da Lui e il Padre non può essere conosciuto dal Figlio e nel Figlio.

Infine il Figlio, diversamente dal Padre, è soggetto a cambiamenti psichici e morali.

A giustificazione delle loro tesi Ario e gli ariani addussero vari passi biblici dell'Antico Testamento e del Nuovo Testamento che usano espressioni come: "fare", "creare", "generare", e nelle quali il Figlio appare inferiore al Padre o soggetto "all'ignoranza e alle passioni".

Si veda: Gv 1,12; Is 1,2; Gv 14,28; Mc 10,18; Mc 13,32.

Dopo aver turbato seriamente la pace della Chiesa fino al 381, l'Arianesimo sopravvisse in forma mitigata per parecchi secoli fra le tribù germaniche

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Ario ( 256-336 ) insegnò che solo il Padre era Dio, mentre il Figlio non lo era realmente e tanto meno lo era lo Spirito Santo, che sarebbero stati creature, anche se ad un alto grado di perfezione.

Negava quindi il dogma della Trinità, che è il cuore del cristianesimo.

L'eresia, che si propagò con travolgente virulenza durante il IV secolo anche grazie all'appoggio imperiale, si sgonfiò rapidamente verso la fine dello stesso secolo quando quel sostegno venne meno, sopravvivendo, per qualche tempo ancora, solo tra le tribù barbariche alle quali era stato precedentemente esportato.

Il termine indica la linea di pensiero tracciata da Ario ( v. ) e dai suoi seguaci, che predicavano la subordinazione ontologica del Figlio rispetto al Padre.

La Chiesa, fin dai suoi primordi, professò il monoteismo ereditato dalla religione ebraica.

Nello stesso tempo professò la fede nell'unico Dio che si è rivelato come Padre, Figlio e Spirito Santo, come attestano, fra le altre, le antiche formule battesimali.

L'investigazione teorica sul mistero della fede iniziò già nel II sec., da parte dei cosiddetti "Padri apologisti" ( v. Padri della Chiesa ).

Essi asserivano che il Logos/Figlio esistente nella mente del Padre come Logos endiàthetos ( insito ) ricevesse la pienezza della "figliazione" nel momento della creazione dell'universo, divenendo così Logos prophorikòs ( espresso ), poiché Dio ( Padre ) creò ogni cosa per mezzo di lui.

Si adombrava quindi una certa subordinazione ontologica del Figlio rispetto al Padre.

Questa subordinazione venne sostenuta in maniera drastica da Ario ( v. ), condannato nel concilio di Nicea ( 325 ), che affermò l'uguaglianza tra Padre e Figlio.

Ma l'indirizzo ariano non restò privo di consensi, al punto che lo stesso imperatore Costantino finì per favorirlo; anzi in punto di morte volle ricevere il battesimo dall'ariano Eusebio.

Analogo atteggiamento mantenne la corte imperiale bizantina sotto Costanzo I ( 337-361 ), figlio e successore di Costantino e, dopo la parentesi di Giuliano l'Apostata ( 361-363 ), sotto Valente ( 364-378 ).

L'avvento di Teodosio segnò una decisa battuta d'arresto dell'arianesimo, grazie ai concili Costantinopolitano I e di Aquileia, nel 381.

Ma le convinzioni di stampo ariano non tramontarono, impregnando molte manifestazioni delle credenze dei fedeli, in una gamma di sfumature non sempre chiaramente afferrabili.

Le popolazioni germaniche, eccetto i franchi, seguirono convincimenti ariani, scontrandosi con la popolazione romano-cattolica.

I longobardi, per azione dei missionari, passarono gradualmente alla fede nicena.

La vicenda ariana resta comunque esemplare per la caratterizzazione del cristianesimo, nel processo dialettico di recisazione dell'autenticafede cristiana.

Nel linguaggio corrente, l'aggettivo « ariano » è capito in senso antropologico-culturale.

I « popoli ariani » o Arii sarebbero quel ceppo etnico, di provenienza indo-persiana, che sono a più riprese emigrati dall'Asia centrale verso l'Europa, dividendosi poi nei tre gruppi linguistico-culturali fondamentali: latino, germanico e slavo.

La rivendicazione esagerata di una appartenenza alla razza ariana come superiore alle altre ( semitiche, indiane, africane, sino-mongoliche, ecc. ) sta alla base dei diversi movimenti razzistici moderni, e specialmente dell'ideologia nazionalsocialista tedesca più aggressiva.

In senso teologico-ecclesiale, « Arianesimo » ha un significato totalmente diverso.

Il nome deriva da Ario ( Areios in greco ), presbitero della Chiesa di Alessandria d'Egitto, vissuto all'inizio del IV secolo, il quale sosteneva che il Verbo di Dio ( il logos ) non è eterno come il Padre, né della sua stessa « sostanza divina », ma è stato creato, come prima creatura, prima di tutte le cose.

La dottrina di Ario fu condannata prima al Concilio di Nicea ( 325 ), poi in diversi sinodi minori, e infine nel Concilio Costantinopolitano I ( 381 ).

Le lotte ariane sulla vera essenza del Verbo divino furono però le prime grandi divisioni della Chiesa intera, ed ebbero influsso per lunghi secoli, fino al VII-VIII secolo d.C., in molti popoli barbarici.

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Dottrina

Nei decenni in cui i teologi cristiani cominciavano ad elaborare la dottrina della Trinità divina, il presbitero alessandrino Ario fu il massimo rappresentante di una delle interpretazioni della relazione tra le persone della Trinità, in particolar modo tra il Padre e il Figlio.

Ario non negava la Trinità, ma subordinava il Figlio al Padre ( subordinazionismo ), negandone la consustanzialità che sarà poi formulata nel concilio di Nicea ( 325 ) nel credo niceno-costantinopolitano.

Alla base della sua tesi, permeata della cultura neoplatonica tanto in voga nell'ambiente ellenistico egiziano, vi era la convinzione che Dio, principio unico, indivisibile, eterno e quindi ingenerato, non potesse condividere con altri la propria ousìa, cioè la propria essenza divina.

Di conseguenza il Figlio, in quanto "generato" e non eterno, non può partecipare della sua sostanza ( negazione della consustanzialità ), e quindi non può essere considerato Dio allo stesso modo del Padre ( il quale è ingenerato, cioè aghènnetos archè ), ma può al massimo esserne una creatura: certamente una creatura superiore, divina, ma finita ( avente cioè un principio ) e per questo diversa dal Padre, che è invece infinito.

Padre e Figlio non possono dunque essere identici, e il Cristo può essere detto "Figlio di Dio" soltanto in considerazione della sua natura creata, e non di quella increata, posta allo stesso livello di quella del Padre.

Così facendo, Ario non negava di per sé la Trinità, ma la considerava costituita da tre persone, caratterizzata ognuna da una propria sostanza ( treis hypostaseis ).

La ferita ancora insanata della Chiesa Cristiana


Magistero

Catechesi Giovanni Paolo II 9-3-1988
Concilio di Nicea spiegò l'incarnazione, insegnando che il Figlio consostanziale al Padre si è fatto uomo

Padri

Il Figlio è vero Dio, della stessa sostanza del Padre Trinità
Agostino - Contro il sermone degli Ariani

Storia della Chiesa

La controversia trinitaria