Il consenso degli Evangelisti

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Libro II

18.42 - Gesù lascia la Galilea

Dobbiamo a questo punto ricercare come l'evangelista Giovanni abbia potuto dire che Gesù si recò in Galilea prima dell'arresto di Giovanni Battista. ( Gv 1,43 )

Egli infatti comincia col ricordare che Gesù cambiò l'acqua in vino a Cana di Galilea; quindi con la madre e i discepoli scese a Cafarnao, dove rimase per alcuni giorni; da lì ascese a Gerusalemme in occasione della Pasqua.

Dopo ciò, secondo l'evangelista, insieme con i discepoli egli venne nella regione della Giudea, dove rimase un qualche tempo battezzando. ( Gv 2,1-13; Gv 3,22 )

Quindi prosegue: Anche Giovanni battezzava in Ainon presso Salim, dove sono acque abbondanti.

Da lui veniva molta gente e si faceva battezzare: Giovanni infatti non era stato ancora incarcerato. ( Gv 3,23-24 )

Matteo dice al contrario: Avendo saputo che Giovanni era stato catturato, si ritirò in Galilea. ( Mt 4,12 )

E parimenti Marco: Dopo che Giovanni fu catturato Gesù venne in Galilea. ( Mc 1,14 )

Quanto a Luca, egli non dice nulla della carcerazione di Giovanni ma anche lui, dopo aver parlato del battesimo e della tentazione di Cristo, riferisce, in accordo con gli altri due evangelisti, che allora Gesù se ne andò in Galilea.

Ecco l'ordine dei fatti sul suo racconto: Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.

Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. ( Lc 4,13-14 )

Tutto questo lascia intendere che i tre evangelisti non raccontano nulla che contrasti con quanto riportato da Giovanni: essi hanno soltanto omesso di narrare la prima venuta del Signore in Galilea, quando cambiò l'acqua in vino, la qual cosa era avvenuta subito dopo il battesimo e prima che Giovanni fosse rinchiuso in carcere.

Ci fu poi un'altra venuta di Gesù in Galilea, che avvenne dopo la carcerazione di Giovanni, ma dagli evangelisti viene collegata direttamente alle narrazioni precedenti.

Di questo ritorno in Galilea parla anche l'evangelista Giovanni esprimendosi in questo modo: Quando il Signore venne a sapere che era giunta agli orecchi dei farisei la notizia che Gesù aveva più seguaci di Giovanni e battezzava più di lui ( sebbene non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli ), allora, lasciata la Giudea, se ne tornò di nuovo in Galilea. ( Gv 4,13 )

A quell'epoca - così ci si lascia intendere - Giovanni era già stato imprigionato e i Giudei avevano sentito dire che Gesù si attirava più seguaci di Giovanni e battezzava con maggior successo di lui.

19.43 - Il discorso della montagna nella redazione di Matteo

Occupiamoci ora di quell'ampio discorso che secondo Matteo il Signore tenne sul monte, ( Mt 5,1-7.29 ) vedendo se nel racconto degli altri evangelisti ci sia o no qualcosa in contrario.

Quanto a Marco, egli non ne fa alcuna menzione né riporta qualcosa di somigliante, contentandosi di narrarci, non in maniera continuativa ma sparpagliata, alcune frasi che il Signore poté ripetere anche in altre occasioni.

Tuttavia nello sviluppo della sua narrazione ha conservato la circostanza ambientale in cui, a quanto ci è dato comprendere, dovette essere pronunciato quel discorso che egli omette.

Dice: [ Gesù ] predicava nelle loro sinagoghe e per tutta la Galilea e scacciava i demoni. ( Mc 1,39 )

Nella predicazione che Marco dice essere stata tenuta dal Signore in tutta la Galilea è da includersi, comprensibilmente, anche il discorso della montagna riportato da Matteo.

Difatti Marco continuando il racconto scrive: E venne da lui un lebbroso che, scongiurandolo in ginocchio, gli diceva: " Se vuoi, puoi mondarmi ", ( Mc 1,40 ) ecc.

I particolari che aggiunge a proposito di questo lebbroso guarito sono tali che inducono a identificarlo con quel lebbroso che, secondo Matteo, fu mondato dal Signore quando, finito il discorso, scese dal monte.

Così infatti si esprime Matteo: Sceso dal monte, lo seguirono molte folle; ed ecco venne da lui un lebbroso che lo adorava dicendo: " Signore, se vuoi puoi mondarmi ", ( Mt 8,1-2 ) eccetera.

19.44 Anche Luca fa menzione di questo lebbroso, ( Lc 5,12-16 ) non però seguendo lo stesso ordine, ma come suole accadere quando ci si ricorda di cose passate o si anticipano fatti successivi.

Nel nostro caso era Dio che interveniva a suggerire episodi che, accaduti prima, dovevano essere messi in iscritto più tardi in base alla memoria che se ne conservava.

In effetti anche Luca ci ha tramandato il racconto di quest'ampio discorso del Signore, e lo colloca là dove ne riferisce l'inizio, uguale a quello di Matteo.

Dice Matteo: Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei cieli, ( Mt 5,3 ) e Luca: Beati voi, poveri, perché vostro è il Regno di Dio. ( Lc 6,20 )

Anche molte delle altre cose riferite in seguito da Matteo le troviamo, più o meno identiche, nel racconto di Luca.

Alla fine del discorso poi troviamo la stessa conclusione: la similitudine dell'uomo saggio che costruisce sulla pietra, mentre lo stolto costruisce sulla sabbia.

La differenza è solo nel fatto che Luca dice essersi abbattuto sulla casa soltanto il fiume, e non la pioggia e i venti, ricordati da Matteo. ( Lc 6,49; Mt 7,26-27 )

Con tutta facilità si può dunque ritenere che Luca volle proprio riferire lo stesso discorso del Signore, omettendo alcune espressioni riportate da Matteo e riferendone altre omesse da costui e descrivendo in termini somiglianti lo stesso contenuto, del quale conservò intatta la verità.

19.45 Sarebbero, tutte queste, ipotesi facilmente ammissibili se non venisse a turbarci la precisazione del luogo in cui viene collocato il discorso.

Secondo Matteo infatti il Signore lo tenne seduto sul monte, ( Mt 5,1 ) mentre Luca afferma che il Signore stava in piedi in un luogo pianeggiante. ( Lc 6,17 )

Questa divergenza indurrebbe di per sé a farci concludere trattarsi di due discorsi diversi l'uno dall'altro.

Cosa infatti poté impedire a Cristo di ripetere in un luogo differente cose dette in antecedenza o di compiere gesta già prima compiute?

Questi due discorsi, raccontati l'uno da Matteo e l'altro da Luca, non dovettero probabilmente essere tenuti in tempi molto distanti fra loro, per cui si può ritenere, senza cadere nell'assurdo, che cose simili o identiche, accadute o un po' prima o un po' dopo, siano state raccontate dagli evangelisti con delle trasposizioni, pur trattandosi di cose in realtà avvenute nello stesso luogo e tempo.

Ecco infatti come si esprime Matteo: E grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano.

Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.

Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: " Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli ", ( Mt 4,25; Mt 5,13 ) ecc.

Dal racconto di Matteo si ricava pertanto l'impressione che Gesù volle sottrarsi alle folle accorse in gran numero e per ottenere ciò salì sul monte, volendo parlare solo ai discepoli lasciate da parte le folle.

Con questa interpretazione concorderebbe anche Luca, il quale scrive così: In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione.

Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di Apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.

Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante.

C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti.

Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.

Alzati gli occhi verso i discepoli, Gesù diceva: " Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio ", ( Lc 6,12-20 ) ecc.

Se ne può concludere che egli, mentre era sul monte, fra i molti discepoli ne scelse dodici che chiamò Apostoli: cosa omessa da Matteo.

In seguito tenne, sempre sul monte, il discorso riportato da Matteo e omesso da Luca; e in un momento successivo a questo, disceso dal monte, tenne in un luogo pianeggiante un altro discorso simile al precedente, non riferito da Matteo ma solo da Luca.

I due discorsi poi terminarono con una identica conclusione. ( Lc 6,12-49 )

19.46 Narrato sino al termine il discorso, Matteo prosegue: Terminato che ebbe il discorso, le turbe erano meravigliate della sua sapienza. ( Mt 7,28 )

Questo potrebbe essere stato detto dalla turba dei discepoli, tra i quali aveva scelto i Dodici. ( Lc 6,13; Mc 3,13 )

E se l'evangelista continua col dirci che, sceso dal monte, lo seguirono molte folle ed ecco venne da lui un lebbroso che lo adorava, ( Mt 8,12 ) potrebbe intendersi che l'episodio accadde alla fine dei due discorsi: non solo di quello riferito da Matteo ma anche di quello riferito da Luca.

Non è infatti sufficientemente chiaro quanto tempo era trascorso dopo la sua discesa dal monte: intenzione di Matteo era infatti soltanto quella d'informarci che, quando il Signore sceso dal monte guarì il lebbroso, era accanto a lui una gran folla di gente, senza volerci precisare quanto tempo fosse intercorso.

Tale ipotesi s'impone ancor più per il fatto che Luca scrive, a proposito dello stesso lebbroso, che fu guarito dal Signore mentre si trovava in città: ( Lc 5,12 ) particolare, questo, che Matteo non si preoccupa d'indicare.

19.47 Ma si potrebbe pensare anche a un'altra soluzione.

Questa: in un primo momento il Signore, accompagnato dai soli discepoli, venne a trovarsi in una qualche parte del monte più alta di tutto il resto, e lì fra tutti i suoi discepoli scelse i Dodici.

Con loro scese quindi non alle falde del monte ma dalla sommità, dove prima si trovava, in un luogo pianeggiante, cioè in una spianata, che si trovava lungo le pendici del monte e che era capace di accogliere molte folle.

Lì si fermò finché non si furono radunate queste folle e lì, un po' più tardi, si mise a sedere avendo attorno in prima fila i suoi discepoli.

In tal modo e ai discepoli e alle turbe che erano presenti il Signore tenne il suo discorso, che fu unico, sebbene Matteo e Luca lo riportino in modo certamente diverso l'uno dall'altro, pur conservando identica la verità dei fatti e dei detti raccontati.

Noi abbiamo già sottolineato questa norma, che ognuno del resto avrebbe dovuto scoprire da sé, e cioè: se un evangelista omette una cosa raccontata da un altro, non per questo c'è fra loro contrasto; e non c'è nemmeno se uno narra una cosa in maniera diversa da come fa quest'altro, purché risulti identica l'oggettività dei detti e dei fatti.

Ad esempio, se Matteo dice: Sceso che fu dal monte ( Mt 8,1 ) lo si può benissimo intendere riferito a quel luogo pianeggiante situato sulle pendici del monte.

Successivamente Matteo narra la guarigione del lebbroso, cosa che fanno, allo stesso modo, e Marco e Luca. ( Mt 8,14; Mc 1,40; Lc 5,12 )

20.48 - Gesù e il centurione romano

Dopo tale racconto Matteo continua dicendo: Entrato in Cafarnao, gli si avvicinò un centurione pregandolo: " Signore, un mio ragazzo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente ", ( Mt 8,5-6 ) con quel che segue, fino alle parole: E in quell'ora il ragazzo fu guarito. ( Mt 8,13 )

L'episodio del ragazzo del centurione è riferito anche da Luca, non però - come fa Matteo - dopo la guarigione del lebbroso, che egli sposta più avanti, ma subito dopo la conclusione di quel discorso ampio al quale ricollega l'avvenimento.

Terminate tutte le sue parole, dice, entrò a Cafarnao, dove c'era il servo d'un centurione malato a morte, un servo che a lui era prezioso ecc., ( Lc 7,1-2 ) fino al racconto della sua guarigione. ( Lc 7,3-10 )

Da tutto ciò si lascia ovviamente concludere che Cristo entrò a Cafarnao dopo aver terminato tutto il discorso che tenne al popolo: non vi entrò quindi prima di terminare il discorso.

Non è però indicato quanto tempo trascorse tra la fine del discorso e l'ingresso in Cafarnao.

Comunque in quel frattempo dovette essere guarito il lebbroso di cui Matteo ci dà notizia collocando il fatto al momento che avvenne, mentre Luca ne fa menzione quando il medesimo fatto gli torna alla mente.

20.49 Vediamo ora se nei riguardi di questo servo del centurione vadano fra loro d'accordo Matteo e Luca.

Dice Matteo: Si avvicinò a lui un centurione pregandolo e dicendogli: " Il mio ragazzo giace in casa paralizzato ". ( Mt 8,5-6 )

A questa affermazione sembrerebbe opporsi quanto detto da Luca: Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo.

Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: " Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga ".

Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: " Signore, non stare a disturbarti, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito ". ( Lc 7,37 )

Se le cose avvennero in questa maniera, come potrà esser vero il racconto di Matteo, che dice: Si avvicinò a lui un centurione, mentre in realtà non fu lui ad avvicinarsi a Gesù ma inviò degli amici?

Dobbiamo al riguardo badare con diligenza a certi modi di parlare che usiamo abitualmente per comprendere che Matteo non si allontana affatto dall'uso comune.

Noi diciamo, ad esempio, che un qualcosa si avvicina anche prima che effettivamente giunga là dove si dice che è giunto.

Così diciamo: Si avvicinò poco, o molto, al punto dove desiderava arrivare.

Non solo, ma lo stesso arrivo con cui si raggiunge una persona, spesso diciamo che è avvenuto anche se chi arriva non riesce a vedere colui dal quale doveva arrivare per ottenere un favore che gli era necessario, ma giunge a lui solo tramite degli amici.

Ciò è così entrato nella consuetudine che nel gergo comune si chiamano perventores coloro che, mediante l'interposizione di persone e abili e ambiziose che fanno da tramite, raggiungono l'animo dei potenti, che di per sé sarebbero inaccessibili.

Se dunque è lecito dire che lo stesso raggiungimento di una mèta può farsi tramite altri, con quanto maggior ragione potrà dirsi che per mezzo di altri può farsi anche l'avvicinamento?

In realtà l'avvicinamento spessissimo resta al di sotto del conseguimento, in quanto molte volte ci si può, sì, avvicinare ma non si può arrivare alla mèta.

Non è pertanto assurdo che Matteo, riferendosi all'invio di altri mediante i quali il centurione si rese vicino a Gesù, abbia preferito dire sinteticamente con una frase comprensibile anche ai profani: Un centurione si avvicinò a lui.

20.50 Potrebbe essere anzi trascuratezza non sapere nemmeno intravedere nell'espressione del santo evangelista una misteriosa profondità, per la quale fu scritto nel Salmo: Avvicinatevi a lui e sarete illuminati. ( Sal 34,6 )

Del centurione infatti il Signore lodò la fede, dicendo: In Israele non ho trovato una fede così grande. ( Mt 8,10 )

Ora è proprio per la fede che ci avviciniamo veramente a Gesù: di modo che l'evangelista, vagliando a dovere le sue parole, volle indicarci che chi si avvicinò a Cristo fu il centurione, non tanto coloro mediante i quali egli trasmise la sua richiesta.

Quanto a Luca, egli ci riferisce tutte le cose, e lo fa in modo che dal suo racconto possiamo comprendere in che senso anche l'altro evangelista abbia potuto dire che si avvicinò a lui il centurione in persona, per cui nel suo racconto non c'è falsità.

La stessa cosa è da dirsi nei riguardi di quella donna che soffriva perdite di sangue.

Lei toccò solo il lembo del suo vestito, ma in realtà toccò il Signore più da vicino che non il resto della folla che faceva ressa attorno a lui. ( Lc 8,42-48; Mt 9,20; Mc 5,25 )

E come questa donna quanto più credette tanto più giunse a toccare il Signore così fu del centurione: quanto più credette tanto più si avvicinò a lui.

Per le altre cose che in questo capitolo sono riferite da un evangelista e omesse dall'altro, la ricerca appare superflua in quanto, per la norma inculcata più sopra, non ci sono cose che contrastino l'una con l'altra.

21.51 - La guarigione della suocera di Pietro

Matteo prosegue dicendo: Gesù, giunto alla casa di Pietro, ne vide la suocera a letto in preda alla febbre.

Le toccò la mano e la febbre se ne andò, e lei si alzò e si mise a servirli. ( Mt 8,14-15 )

Quando sia accaduto questo fatto, e cioè che cosa l'abbia preceduto e che cosa seguito, Matteo non ci tiene a precisarlo.

Non è infatti necessario supporre che l'episodio sia avvenuto subito dopo le cose narrate prima; si può anzi ritenere che l'evangelista abbia voluto aggiungere in un secondo momento quanto in antecedenza aveva omesso.

In realtà Marco colloca l'episodio prima del racconto del lebbroso mondato: ( Mc 1,29-31 ) il quale racconto dovrebbe collocarsi dopo il discorso sul monte, peraltro non riferito da Marco.

Anche secondo Luca il fatto della suocera di Pietro ( Lc 4,38-41 ) è da collocarsi dopo gli eventi narrati da Marco, comunque prima del lungo discorso riferito da Luca al pari di Matteo, discorso che piace identificare con quello che, stando a Matteo, Gesù pronunziò sul monte.

Non ha infatti importanza la collocazione che uno scrittore dà a un fatto: se cioè lo narra nel suo giusto ordine, o se dopo averlo omesso lo riprende, o se narra in antecedenza ciò che sa essere avvenuto più tardi.

L'importante è che colui che scrive non sia in disaccordo con se stesso e con nessun altro che racconti le stesse cose o cose diverse.

In realtà non è in potere dell'uomo, chiunque esso sia e per quanta cura abbia posto nel conoscere bene e fedelmente le cose, ricordare l'ordine in cui si sono succeduti gli eventi.

Che infatti una cosa ci venga in mente prima o poi non dipende dalla nostra volontà ma da fattori a noi estranei.

È pertanto probabile che i singoli evangelisti si siano creduti in dovere di raccontare i fatti nell'ordine secondo il quale Dio li richiamava alla mente di ciascuno che si accingeva a scriverne il racconto.

Questo, naturalmente, nell'ambito di quegli eventi in cui la successione, sia stata questa o quell'altra, non intacca l'autorità e la verità del Vangelo.

21.52 Sarebbe opportuno ricercare, a questo punto, il motivo per cui lo Spirito Santo abbia permesso che un evangelista ordinasse in un modo la sua narrazione e un altro in modo diverso. ( 1 Cor 12,11 )

Dello Spirito noi sappiamo che distribuisce i suoi doni a ciascuno come crede meglio, e riteniamo senza alcun dubbio che fu questo Spirito a governare e dirigere le intelligenze degli autori sacri, richiamando alla loro memoria le cose che dovevano scrivere nei libri cui sarebbe stato riservato un così alto grado di autorevolezza.

Un tale motivo potrà esser individuato, con l'aiuto di Dio, da chiunque lo ricerchi con pia diligenza.

Quanto a me, tuttavia, debbo ricordare che non è questo il compito che mi sono prefisso in quest'opera.

Noi l'abbiamo, almeno per ora, intrapresa con l'unico intento di dimostrare che gli evangelisti, qualunque sia stato l'ordine secondo cui ciascuno poté o volle narrare i fatti e i detti di Cristo ( sia che riferiscano le stesse cose sia cose diverse ), non sono in contrapposizione né con se stessi né fra di loro.

Se pertanto non ci risulta con chiarezza quale sia stata la successione cronologica dei fatti raccontati, non dobbiamo attribuire importanza all'ordine seguito dagli autori sacri nella loro narrazione; se invece questa successione, espressa con chiarezza, presenta delle difficoltà in quanto l'uno sembra contrastare con se stesso o con gli altri, lì certamente occorre prendere in considerazione il racconto e sciogliere la difficoltà.

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