Il dono della perseveranza

Indice

A Prospero ed Ilario

1.1 - La perseveranza fino alla fine

Ora è giunto il momento di trattare con maggior cura della perseveranza, dato che già nel libro precedente, discutendo dell'inizio della fede, abbiamo introdotto il discorso su quest'argomento.

Dunque noi sosteniamo che la perseveranza con la quale si persevera in Cristo fino alla fine è un dono di Dio, e intendo parlare della fine che pone termine a questa vita, che è la sola nella quale esista il pericolo di cadere.

Ciò premesso, è incerto se un individuo abbia ricevuto tale dono, finché resta in questa vita.

Se infatti egli cade prima di morire, si dice che non ha perseverato, e lo si dice con tutta verità.

Come si potrà sostenere che ha ricevuto o posseduto la perseveranza chi non ha perseverato?

Infatti se uno ha la continenza, ma se ne distacca e diventa incontinente, a buon diritto si dice che ha avuto questo dono e che non l'ha più; e lo stesso discorso vale per la giustizia, per la pazienza, per la fede stessa; costui fu continente, o giusto, o paziente, o fedele, finché lo fu, ma quando cessò di esserlo, non è più quello che era.

Invece chi non ha perseverato, come ha potuto essere perseverante, dal momento che solo perseverando uno si dimostra perseverante, cosa che appunto costui non fece?

Ma poniamo il caso che qualcuno abbia un'opinione diversa e dica: Se dal momento in cui uno è diventato credente, è vissuto, per esempio, dieci anni e alla metà di questo periodo è venuto meno nella fede, non avrà forse perseverato cinque anni?

Se uno pensa che si debba chiamare perseveranza anche quella, dato che per un certo periodo è durata, non voglio stare a discutere sulle parole.

Ma in nessuna maniera si potrà dire che colui che non ha perseverato fino alla fine abbia avuto la perseveranza della quale parliamo ora, cioè quella con la quale si persevera in Cristo fino alla fine.

Al contrario, questa seconda l'ha posseduta chi è stato credente un anno solo, o per un periodo tanto breve quanto è possibile immaginare, se però è vissuto credente finché non è morto; e non l'ha avuta piuttosto chi è stato credente per molti anni, ma è venuto meno alla saldezza della fede un breve momento prima della morte.

2.2 - È un dono di Dio: testimonianza della Scrittura

Stabilito ciò, vediamo se sia un dono di Dio questa perseveranza della quale è detto: Chi avrà perseverato fino alla fine, questo sarà salvo. ( Mt 10,22 )

E se questo non è vero, come potrà essere vero quello che dice l'Apostolo: A voi è stato donato per favore di Cristo non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui? ( Fil 1,29 )

Una di queste due azioni riguarda un inizio, l'altra una fine, ma l'una e l'altra sono un dono di Dio perché sia dell'una che dell'altra si dice che è stata donata, come abbiamo affermato già anche in precedenza.1

Quale può essere infatti il più autentico inizio per un cristiano se non il credere in Cristo?

Quale fine è migliore che patire per Cristo?

Per ciò che riguarda il credere in Cristo, è stata escogitata ogni sorta di contraddizione e si è detto che dono di Dio non è l'inizio, ma l'accrescimento della fede; e a questa opinione il Signore ci ha concesso di rispondere più che abbastanza.

Ma se a uno è donato di soffrire per Cristo, oppure, arriviamo a questa ipotesi, è donato di morire per Cristo, che motivo troveremo per dire che non gli viene donata in Cristo la perseveranza fino alla fine?

Infatti anche l'apostolo Pietro dimostra che questo è un dono di Dio col dire: Se lo richiede la volontà di Dio, è meglio soffrire facendo il bene che facendo il male. ( 1 Pt 3,17 )

Quando afferma: Se lo richiede la volontà di Dio, dimostra che il soffrire per Cristo viene donato per opera divina, e non a tutti i santi.

Non è che quelli a cui la volontà di Dio non richiede di arrivare alla prova e alla gloria della passione, non arrivino al regno di Dio, anche se perseverano in Cristo fino alla fine.

Chi potrebbe dire che non viene donata la perseveranza a coloro che muoiono in Cristo per malattia o per un qualsiasi accidente?

Però è vero che una perseveranza ben più difficile viene donata a coloro che affrontano per Cristo la morte stessa.

Sì, è più difficile avere il primo che il secondo genere di perseveranza; ma per Colui a cui nulla è difficile, è facile donare sia l'una che l'altra.

È questa che Dio promise quando disse: Donerò il timore di me al loro cuore perché non si allontanino da me. ( Ger 32,40 )

Che altro significa la frase se non questo: Il timore verso di me che io metterò nel loro cuore sarà tale e tanto che rimarranno attaccati a me con perseveranza?

2.3 - Testimonianza della preghiera

E poi perché si dovrebbe chiedere a Dio questa perseveranza, se non è concessa da lui?

Non sarebbe forse una richiesta beffarda, se si pregasse dal Signore quello che si sa che Egli non concede, e che quindi, se non è lui a concederlo, è in potestà degli uomini?

Così pure sarebbe una beffa e non un rendimento di grazie, se si rendesse grazie a Dio di una cosa che Egli non ha donato né compiuto.

Ma quello che ho detto precedentemente2 lo ripeto anche adesso: Non ingannatevi, dice l'Apostolo, non ci si può prendere gioco di Dio. ( Gal 6,7 )

O uomo, Dio è testimone non solo delle tue parole, ma anche dei tuoi pensieri; se chiedi con sincerità e fede qualcosa all'immensa ricchezza di lui, devi credere di ricevere quello che chiedi da Colui a cui lo chiedi.

Non onorarlo con le labbra mentre in cuore t'innalzi sopra di lui, nella convinzione che tu possiedi da te stesso quello che fingi di pregare da lui.

O forse non sarà vero che questa perseveranza si richiede a lui?

Chi sostiene ciò non ha bisogno di essere confutato dalle mie argomentazioni, ma piuttosto d'essere caricato delle preghiere dei santi.

Ce n'è forse uno fra di essi che non chieda a Dio di perseverare in lui?

Nella stessa preghiera che è detta domenicale, perché fu il Signore ad insegnarcela, quando i santi pregano si capisce che praticamente non chiedono quasi altro che la perseveranza.

2.4 - L'orazione domenicale. Sia santificato il tuo nome

Leggete con attenzione ben desta il commento a questa preghiera nel libro che ha composto su questo argomento il beato martire Cipriano e che ha per titolo: L'orazione domenicale e vedete quale antidoto era stato preparato tanto precocemente contro i futuri veleni dei pelagiani.

Infatti tre sono i punti, come sapete, che con ogni energia la Chiesa cattolica difende contro di loro.

Il primo è che la grazia di Dio non viene data secondo i nostri meriti, perché anche tutti i meriti dei giusti sono doni di Dio e per grazia di Dio sono conferiti;

il secondo è che, per quanto grande sia la sua giustizia, nessuno può vivere in questo corpo corruttibile senza qualche forma di peccato;

infine il terzo è che ogni individuo nasce colpevole del peccato del primo uomo e stretto nel vincolo della condanna, a meno che la colpa che si contrae con la generazione non sia eliminata dalla rigenerazione.

Di questi tre argomenti solo quello che ho posto per ultimo non è trattato nel libro del glorioso martire che ho già citato; ma degli altri due si tratta lì con tanta chiarezza che gli eretici che abbiamo nominato, nuovi nemici della grazia di Cristo, si trovano confutati prima ancora di essersi rivelati.

Dunque fra questi meriti dei santi che nulla sono se non doni di Dio, egli sostiene che anche la perseveranza lo è con le parole seguenti: Noi diciamo: "Sia santificato il nome tuo", non perché esprimiamo a Dio il desiderio che Egli sia santificato nelle nostre preghiere, ma perché gli chiediamo che il suo nome sia santificato in noi.

D'altronde da chi potrebbe essere santificato Dio, se è lui che santifica?

Ma poiché è lui che ha detto: "Siate santi, perché anch'io sono santo", ( Lv 19,2 ) lo imploriamo e lo preghiamo affinché, come siamo stati santificati nel battesimo, perseveriamo in quello che abbiamo cominciato ad essere.3

E poco dopo il martire, trattando ancora di questo stesso argomento e insegnandoci a chiedere al Signore la perseveranza, cosa che in nessun modo potrebbe fare rettamente e sinceramente se non fosse anche questo un dono di Dio, dice: Preghiamo perché questa santificazione permanga in noi; e poiché il Signore e giudice nostro ammonisce severamente chi è stato risanato e vivificato da lui a non cadere più in colpa perché non gli accada qualcosa di peggio, ( Gv 5,14 ) rivolgiamo questa supplica con continue preghiere, questo preghiamo di giorno e di notte, che la santificazione e la restituzione alla vita che si riceve dalla grazia di Dio sia conservata dalla sua protezione.

Allora il nostro dottore intende che noi chiediamo a Dio la perseveranza nella santificazione, in altre parole che noi perseveriamo nella santificazione, quando da santificati diciamo: Sia santificato il tuo nome. ( Mt 6,9 )

Che può significare il chiedere ciò che abbiamo ricevuto, se non che ci sia concesso anche questo, che non cessiamo di possederlo?

Allo stesso modo un santo, quando prega Dio di essere santo, certo è questo che chiede, di rimanere santo; così pure sarà anche per chi è casto quando prega di essere casto, per chi è continente quando prega di essere continente, per chi è giusto quando prega di essere giusto, per chi è pio quando prega di essere pio; e così via per le altre virtù che noi contro i pelagiani sosteniamo essere doni di Dio.

Questo senza dubbio chiedono tutti, di perseverare in quei beni che sanno di aver ricevuto.

E se ricevono questa concessione, certo ricevono anche la perseveranza, grande dono di Dio con il quale si conservano tutti gli altri suoi doni.

2.5 - Venga il tuo regno

E poi? Quando diciamo: Venga il tuo regno, ( Mt 6,10 ) nient'altro chiediamo se non che venga anche per noi quel regno che senza possibilità di dubbio verrà per tutti i santi.

Dunque quelli che già sono santi che cosa chiedono con questa frase, se non che rimangano in quella santità che è stata loro concessa?

Infatti solo così verrà per loro il regno di Dio, che sicuramente verrà non per altri, ma per quelli che perseverano fino alla fine.

3.6 - Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra

La terza richiesta è: Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra, ( Mt 6,10 ) oppure, come si legge in parecchi codici, e più frequentemente si usa da parte di chi prega, come in cielo così in terra.

I più intendono la frase così: come i santi angeli, facciamo anche noi la tua volontà.

Ma quel dottore e martire vuole che s'intenda per cielo e terra lo spirito e la carne, e pensa che noi chiediamo di fare la volontà di Dio nell'accordo dell'una e dell'altra.4

Egli scorse in queste parole anche un altro senso in sintonia con la fede più sana, e anche di questo abbiamo già parlato sopra;5 si dovrebbe intendere così: i credenti, che non immeritatamente sono chiamati con il nome di cielo per aver già rivestito l'uomo celeste, pregano per i non credenti che sono ancora terra, poiché portano con la prima nascita solamente l'uomo terreno.6

E qui dimostra con evidenza che anche l'inizio della fede è un dono di Dio; in effetti la santa Chiesa prega non solo per i credenti, perché in essi si accresca o perseveri la fede, ma anche per i non credenti, perché comincino ad avere la fede che non avevano affatto o che nel loro cuore addirittura avversavano.

Però adesso discutiamo non dell'inizio della fede, di cui abbiamo detto già tanto nel libro precedente, ma di quella perseveranza che dobbiamo conservare fino alla fine e che chiedono indubbiamente anche i santi che fanno la volontà di Dio, quando dicono nella preghiera: Sia fatta la tua volontà.

Ma se è già stata fatta in essi, perché chiedono ancora che si faccia, se non per avere perseveranza in quello che hanno cominciato ad essere?

Benché a questo punto si potrebbe obiettare: i santi non chiedono che la volontà di Dio sia fatta in cielo, ma che sia fatta in terra come in cielo, vale a dire, che la terra imiti il cielo, cioè l'uomo imiti l'angelo o il non credente il credente; e per questo i santi chiedono che si effettui ciò che ancora non è, non che continui ad essere ciò che già è.

Per quanto grande sia la santità di cui gli uomini si possono avvalere, non sono ancora uguali agli angeli di Dio; dunque in essi la volontà di Dio non si compie ancora come in cielo.

E se è così, allora quando auspichiamo che gli uomini da non credenti si facciano credenti, si vede che ad essere auspicata non è la perseveranza, ma il suo inizio; quando invece auspichiamo che gli uomini nel fare la volontà divina eguaglino gli angeli di Dio, se a pregare così sono i santi, è evidente che questa loro preghiera ha per oggetto la perseveranza, perché nessuno perviene a quella somma beatitudine che è nel Regno, se non ha perseverato fino alla fine in quella santità che ha acquistato sulla terra.

4.7 - Dacci il nostro pane quotidiano

La quarta richiesta è: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. ( Mt 6,11 )

Il beato Cipriano dimostra come anche in questa frase si deve scorgere una domanda di perseveranza.

Dice appunto tra l'altro: Chiediamo che ci sia dato ogni giorno questo pane affinché, noi che siamo in Cristo e ogni giorno riceviamo l'Eucaristia come cibo della salvezza, non siamo separati dal corpo di Cristo, come avverrebbe se un peccato piuttosto grave sopraggiungendo ci proibisse il pane celeste, costringendoci all'astensione ed escludendoci dal partecipare.7

Queste parole del santo uomo di Dio indicano pienamente che i santi chiedono al Signore la perseveranza, perché dicono: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, con questa intenzione: che non siano separati dal corpo di Cristo, ma rimangano in quella santità e grazie ad essa non commettano alcuna colpa che meriti loro la separazione.

5.8 - Rimetti a noi i nostri debiti

Al quinto passo dell'orazione diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )

In questa sola richiesta non si trova domandata la perseveranza.

Infatti i peccati che preghiamo ci siano rimessi sono ormai trascorsi; la perseveranza, che ci fa salvi in eterno, è necessaria certo per il tempo di questa vita, ma per quello che deve ancora trascorrere fino al termine di essa, non per quello ormai passato.

Eppure vale la pena di osservare un poco come anche in questa richiesta gli eretici, che dovevano venire tanto tempo dopo, erano trafitti già fin d'allora dalla lingua di Cipriano come dalla freccia invincibile della verità.

I pelagiani infatti osano dire anche questo, che l'uomo giusto in questa vita non ha assolutamente alcun peccato e che in uomini tali si trova fin d'ora la Chiesa che non ha macchia o ruga o alcun'altra menda ( Ef 5,27 ) di tal genere, che è unica e sola sposa di Cristo; come se non fosse sua sposa quella che dice per tutta la terra ciò che ha appreso da lui: Rimetti a noi i nostri debiti.

Ma badate come li sbaraglia il gloriosissimo Cipriano.

Esponendo questo stesso luogo dell'orazione domenicale, dice tra l'altro: Quanto è indispensabile, quanto è provvido e salutare il ricordarci che noi siamo peccatori, se veniamo costretti a pregare per i nostri peccati; in tal modo mentre chiede l'indulgenza a Dio, l'animo richiama la propria coscienza.

Perché nessuno si compiaccia come fosse innocente e con l'inorgoglirsi si procuri maggior rovina, lo si ammaestra e gli s'insegna che egli ogni giorno pecca, dato che ogni giorno gli si ordina di pregare per i suoi peccati.

Così anche Giovanni dice nella sua Lettera: "Se diciamo che non abbiamo alcun peccato, inganniamo noi stessi e in noi non è la verità", ( 1 Gv 1,8 )8 e tutto quello che segue che qui sarebbe lungo riportare.

5.9 - Non spingerci in tentazione

Ma quando i santi dicono: Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male, ( Mt 6,13 ) che altro pregano se non di perseverare nella santità?

Una volta concesso loro questo dono di Dio ( infatti se è a Dio che viene chiesto, ciò dimostra a sufficienza e con chiarezza che è un suo dono), una volta concesso dunque questo dono di non essere indotti in tentazione, non ci sarà nessuno fra i santi che non mantenga fino alla fine la perseveranza nella santità.

E nessuno cessa di perseverare nella vita cristiana che si propone se prima non è gettato in tentazione.

Se dunque gli viene concesso quello che prega, di non venir abbandonato alla tentazione, persiste per dono di Dio nella santificazione che ha ricevuto per dono di Dio.

6.10 - Obiezione: non bisogna esporre una simile perseveranza

Ma questi fratelli - come voi scrivete - non vogliono che la perseveranza sia esposta in maniera da far credere che non si possa o meritarla pregando o perderla ribellandosi.9

E su questo punto non fanno molta attenzione a quello che dicono.

Infatti parliamo di quella perseveranza con la quale si persevera fino alla fine; se questa è stata data, vuol dire che uno ha perseverato fino alla fine; ma se non ha perseverato fino alla fine, vuol dire che essa non era stata data.

E di questo ormai abbiamo trattato abbastanza più sopra.10

Dunque gli uomini non sostengano che a qualcuno sia stata data la perseveranza fino alla fine se non quando sarà giunta proprio la fine e si sarà trovato che quello a cui era stata data ha perseverato fino a quel punto.

Noi diciamo casto quello che conosciamo come casto, sia che debba sia che non debba rimanere nella medesima castità; e se uno ha qualche dono divino che si possa conservare o perdere, diciamo che lo possiede per tutto il tempo che lo possiede; se poi lo perde, diciamo che lo ha posseduto.

La perseveranza fino alla fine invece, poiché non la possiede se non chi persevera fino alla fine, molti la possono avere, nessuno perdere.

E non bisogna temere che, quando un uomo abbia perseverato fino alla fine, possa sorgere in lui una volontà malvagia di non perseverare fino alla fine.

Questo dono di Dio si può meritare con la preghiera, ma una volta che è stato dato, non si può perdere con la ribellione.

Quando infatti uno abbia perseverato fino alla fine, non può né perdere questo dono né altri che avrebbe potuto perdere prima della fine.

Allora come si può perdere quello che impedisce di perdere anche ciò che è possibile perdere?

6.11 - Risposta

Ma ammettiamo che uno dica: La perseveranza fino alla fine certo non si perde, una volta che è stata data, cioè quando si è perseverato fino alla fine, ma in un certo qual modo si può perdere allora, quando l'uomo con la ribellione agisce in modo da non poter arrivare a questa perseveranza.

Alla stessa maniera diciamo che l'uomo che non ha perseverato fino alla fine ha perduto la vita eterna, o il regno di Dio, non perché lo aveva ricevuto e lo possedeva, ma perché lo avrebbe ricevuto e posseduto se avesse perseverato.

Allora non stiamo a fare questione di termini e diciamo che si può perdere anche qualcosa che non si ha, ma che si pensa doversi avere.

Ma mi dica, chi ne ha il coraggio, se Dio non ha la possibilità di dare quello che ha ordinato di chiedergli.

Certo chi intende così è, non dico insensato, ma dissennato.

Ma Dio ha comandato che i suoi santi dicano pregando: Non c'indurre in tentazione. ( Mt 6,13 )

Chiunque è esaudito in questa richiesta, non è indotto nella tentazione di ribellarsi, così che possa perdere o si renda degno di perdere la perseveranza nella santità.

6.12 - Altre testimonianze della Scrittura

Ma ciascuno abbandona Dio di propria volontà e così merita di essere abbandonato da Dio.

E chi lo potrà negare? Ma è per questo che chiediamo di non essere indotti in tentazione, perché l'abbandono non avvenga.

E se siamo esauditi, questo certo non avviene, perché Dio non permette che avvenga.

Infatti niente avviene se non quello che è lui stesso a compiere o a permettere che si compia.

Egli infatti ha potere di flettere le volontà dal male al bene, di rivolgerle a sé quando propendono alla caduta e di dirigerne il passo dove a lui piace.

A lui non si dice invano: O Dio, tu convertendoci, ci vivificherai; ( Sal 85,7 ) non si dice invano: Non permettere che il mio piede traballi; ( Sal 66,9 ) no, non si dice invano: Non abbandonarmi, Signore, in seguito al mio desiderio, al peccatore. ( Sal 140,9 )

Insomma, per non ricordare troppi passi, e forse a voi ne vengono in mente anche di più, non si dice invano: Non indurci in tentazione. ( Mt 6,13 )

Infatti chiunque non è indotto in tentazione, certo non è nemmeno spinto nella tentazione della sua volontà malvagia; e chi non è indotto nella tentazione della sua volontà malvagia, non è spinto proprio in nessuna fra le tentazioni.

Ognuno è tentato perché attratto ed allettato dalla propria concupiscenza, come sta scritto, ma Dio non tenta nessuno: ( Gc 1,14 ) s'intende con una tentazione pericolosa.

Infatti ce n'è una utile, dalla quale non siamo ingannati o sopraffatti, ma veniamo messi alla prova, secondo quanto è detto: Mettimi alla prova, Signore, e tentami. ( Sal 26,2 )

La tentazione che rovina è quella che indica l'Apostolo quando dice: Che non vi avesse tentati colui che tenta, e inutile sia la nostra fatica. ( 1 Ts 3,5 )

Con questa tentazione Dio, come dissi, non tenta nessuno, cioè Egli nessuno spinge o induce alla tentazione.

Infatti essere tentato e non essere abbandonato alla tentazione, non è un male, anzi è un bene: è un venir messi alla prova.

Dunque quello che diciamo a Dio: Non spingerci in tentazione, che significa se non questo: non permettere che vi siamo spinti?

Per cui alcuni pregano così, così si legge in parecchi codici e così scrive il beatissimo Cipriano: Non permettere che noi siamo indotti in tentazione.

Tuttavia nel Vangelo in greco non ho mai trovato se non questa espressione: Non spingerci in tentazione.

Dunque viviamo più sicuri se diamo tutto a Dio, invece di affidarci a lui in parte e in parte a noi stessi, come vide questo venerabile martire.

Esponendo lo stesso passo della preghiera, dice in seguito: Quando preghiamo di non venire in tentazione, ci viene ricordata la nostra debolezza e insufficienza, mentre preghiamo che nessuno insuperbisca con insolenza, nessuno si attribuisca alcunché con superbia ed arroganza, nessuno consideri sua la gloria della confessione di fede o della passione.

Il Signore stesso, insegnando l'umiltà ha detto: "Vegliate e pregate per non venire in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole"; ( Mt 26,41 ) questo vuol dire che se precede un'umile e sottomessa confessione e si dà tutto a Dio, tutto ciò che viene chiesto pregando nel timore del Signore viene fornito dalla sua pietà.11

7.13 - Sarebbe sufficiente l'orazione domenicale

Se anche non ci fossero altre testimonianze, questa orazione domenicale basterebbe da sola alla causa della grazia che noi sosteniamo, perché nulla essa ci ha lasciato in cui ci possiamo gloriare come fosse nostro.

In realtà anche il fatto di non allontanarci dal Signore l'orazione dimostra che non viene concesso se non da Dio, poiché dichiara che a Dio dev'essere chiesto.

Chi non è abbandonato alla tentazione non si allontana da Dio e questo assolutamente non è nelle forze del libero arbitrio, quali esse sono ora; questa forza c'era però nell'uomo prima della caduta.

Quanto grande fosse il vigore della libera volontà nell'eccellenza della sua prima condizione apparve negli Angeli, i quali, quando il diavolo cadde con i suoi seguaci, stettero saldi nella verità e meritarono di arrivare alla sicurezza perpetua di non cadere, nella quale noi siamo certissimi che essi si trovano ora.

Ma dopo la caduta dell'uomo, Dio ha voluto che non dipenda se non dalla sua grazia che l'uomo si rivolga a lui, e che non dipenda se non dalla sua grazia che l'uomo non si ritragga da lui.

7.14 - La grazia di Dio fa sì che ci accostiamo a lui

E questa grazia la ripose in Colui nel quale abbiamo ottenuto l'eredità, predestinati secondo il disegno di Colui che opera tutte le cose. ( Ef 1,11 )

E per questo, come fa sì che ci accostiamo a lui, allo stesso modo fa sì che non ce ne distogliamo.

Quindi viene detto a lui per bocca del Profeta: Sia la tua mano sopra l'uomo della tua destra e sopra il figlio dell'uomo che hai confermato a te; e non ci allontaneremo più da te. ( Sal 80,18.19 )

Costui non è certo il primo Adamo, nel quale ci allontanammo da lui, ma l'ultimo Adamo, sopra il quale si trova la sua mano perché non ci allontaniamo da lui.

Infatti il Cristo totale è nell'unione con le sue membra, grazie alla Chiesa, che è il suo corpo e la sua pienezza. ( Ef 1,23 )

Dunque se la mano di Dio si trova sopra di lui affinché non ci allontaniamo dal Signore, l'opera di Dio giunge fino a noi ( questo infatti significa la mano di Dio ); ed è opera di Dio se avviene che noi siamo in Cristo permanendo con Dio, non separandoci da lui come Adamo.

In Cristo infatti abbiamo ottenuto l'eredità, predestinati secondo il decreto di Colui che opera tutte le cose.

Dunque è per la mano di Dio, non per la nostra, che non ci allontaniamo da Dio.

Questa, dico, è la mano di Colui che ha affermato: Donerò il timore di me al loro cuore, perché non si allontanino da me. ( Ger 32,40 )

7.15 - Per questo Dio ha voluto anche che chiedessimo a lui di non essere spinti in tentazione

Per questo ha anche voluto che si chiedesse a lui di non essere gettati nella tentazione, perché se non vi siamo abbandonati, a nessun costo ci allontaniamo da lui.

Poteva farci questa concessione anche senza che noi la implorassimo.

Ma facendoci pregare volle renderci consapevoli da chi riceviamo questi benefici.

Da chi infatti li riceviamo, se non da Colui che ci ha ordinato di chiederli?

Dunque su questo argomento la Chiesa non ha bisogno di indugiare in laboriose disputazioni, ma di attendere alle sue preghiere quotidiane.

Essa prega affinché gli infedeli credano: allora è Dio che converte alla fede.

Essa prega perché i credenti perseverino: allora è Dio che dona la perseveranza fino alla fine.

Dio ebbe prescienza che Egli avrebbe fatto ciò.

Questa è appunto la predestinazione dei santi, i quali Egli ha eletto in Cristo prima della creazione del mondo perché fossero santi e immacolati al suo cospetto in carità, predestinandoli per lui ad essere figli d'adozione attraverso Gesù Cristo, secondo quanto piacque alla sua volontà per lodare la gloria della sua grazia, nella quale li ha glorificati nel Figlio suo diletto.

In lui hanno la redenzione grazie al suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia, che fece abbondare su di loro con ogni sapienza e prudenza per mostrare loro il mistero della sua volontà secondo la sua compiacenza, che Egli aveva prestabilito in lui nell'intento di comprendere in Cristo, al raggiungimento della pienezza dei tempi, tutte le cose che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra.

E in lui abbiamo ottenuto l'eredità, predestinati secondo il decreto di Colui che opera tutte le cose. ( Ef 1,4-11 )

Contro questa verità che squilla chiara come una tromba, quale uomo di fede accorta e vigilante potrebbe accettare una qualsiasi parola umana?

Indice

1 Agostino, De praed. sanct. 2,4
2 Agostino, De praed. sanct. 19,39
3 Cipriano, De orat.domin. 12
4 Cipriano, De orat. domin. 16
5 Cipriano, De praed. sanct. 8, 15
6 Cipriano, De orat.domin. 17
7 Cipriano, De orat. domin. 18
8 Cipriano, De orat. domin. 22, 5-8
9 Ilario, Ep. 226, 3 [tra le agostiniane]
10 Sopra 1,1
11 Cipriano, De orat. domin. 26