La dottrina cristiana

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Libro I

1.1 - Aiuto divino necessario per trattare questioni scritturali

Ogni ricerca sulla Scrittura poggia su due tematiche: come trovare ciò che occorre comprendere e come esporre ciò che si è compreso.

Tratteremo quindi prima di come trovare e poi di come esporre.

Impresa grande e ardua! e, se difficile a continuarla, temo che sia temerario intraprenderla.

E così sarebbe effettivamente se confidassimo solo in noi stessi.

La speranza di comporre quest'opera è tuttavia riposta in colui dal quale abbiamo già ricevuto molte idee su questo argomento, idee che conserviamo nella memoria, sicché non temiamo che egli cessi di somministrarci anche il resto quando avremo cominciato ad erogare quello che ci è stato già dato.

Ogni cosa, infatti, che non si esaurisce quando la si dona, se la si possiede senza distribuirla, non la si possiede come occorrerebbe possederla.

Egli però diceva: A chi ha sarà dato. ( Mt 13,12 )

Darà quindi a chi ha, vale a dire: a chi usa con larghezza di cuore le cose che ha ricevute egli darà in pienezza e moltiplicherà quello che aveva dato.

Prima che si cominciasse a distribuirli a quella gente affamata, i pani erano una volta cinque e un'altra sette, ma quando s'iniziò la distribuzione si riempirono cesti e sporte, saziate che furono tutte quelle migliaia di uomini. ( Mt 14,17-21; Mt 15,34-38 )

Come dunque quel pane crebbe mentre veniva spezzato, così, per ispirazione divina, il materiale che il Signore già ci ha somministrato perché l'opera venisse iniziata si moltiplicherà man mano che procederemo nel dispensarlo.

In questo nostro attuale servizio, pertanto, non solo non patiremo scarsità ma ci rallegreremo, anzi, di un'abbondanza stupefacente.

2.2 - Cosa in sé e cosa come segno

Ogni disciplina ha per oggetto o delle cose o dei segni, ma è attraverso i segni che si apprendono le cose.

Strettamente parlando io ho dato il nome di cose a tutto ciò che non viene usato per significare qualcosa di diverso da sé, come quando si dice legno, pietra, animale o cose simili.

Non si deve, in tal caso, pensare a quel legno che Mosè gettò nelle acque amare perché perdessero la loro amarezza, ( Es 15,25 ) né a quella pietra che Giacobbe si pose sotto la testa, ( Gen 28,11 ) né a quell'animale che Abramo immolò invece del figlio. ( Gen 22,13 )

Queste sono, sì, cose in sé, ma costituiscono anche segni di altre cose.

Quanto poi ai segni, ce ne sono alcuni che non servono ad altro che a significare: tali sono le parole.

Nessuno infatti usa le parole se non per significare qualcosa.

Da qui si comprende cosa io voglio indicare col termine " segno ": ogni cosa, cioè, che si usa per significare qualcos'altro.

Pertanto, ogni segno è anche una qualche cosa, poiché ciò che non è una cosa è niente.

Non ogni cosa però è anche segno.

Posta questa distinzione fra cose e segni, quando parleremo di cose ne parleremo in modo tale che, anche se alcune di loro possono essere usate per significare qualcos'altro, non sia ostacolata la distinzione che consente di parlare prima delle cose e poi dei segni.

Inoltre ricordiamo bene che al momento presente nelle cose ci proponiamo di considerare ciò che sono in se stesse, non il fatto che, al di là di se stesse, significano qualcosa d'altro.

3.3 - Classificazione delle cose

Riguardo alle cose, alcune sono fatte per goderne, altre per usarne, altre invece sono capaci di godere e di usare.

Le cose fatte per goderne sono quelle che ci rendono beati; dalle cose presenti invece, che bisogna solo usare, veniamo sorretti nel nostro tendere alla beatitudine.

Di esse, per così dire, ci equipaggiamo per poter giungere a quelle che ci rendono beati e aderir loro.

Quanto a noi, che poi siamo quelli che o godiamo o usiamo quelle altre cose, ci troviamo nel mezzo fra le une e le altre e, se vogliamo godere delle cose di cui dobbiamo solo servirci, la nostra corsa è ostacolata e qualche volta diviene anche tortuosa, con la conseguenza che, ostacolati appunto dall'amore per ciò che è inferiore, siamo o ritardati o anche distolti dal conseguire quelle cose di cui si deve godere.

4.4 - Godimento ed uso delle diverse cose

Godere infatti di una cosa è aderire ad essa con amore, mossi dalla cosa stessa.

Viceversa il servirsi di una cosa è riferire ciò che si usa al conseguimento di ciò che si ama, supposto che lo si debba amare.

Per cui, un uso illecito è da chiamarsi abuso o uso abusivo.

Facciamo ora l'ipotesi che siamo degli esuli, e quindi che non possiamo essere felici se non in patria.

Miseri per tale esilio e desiderosi di uscire da tale miseria, vorremmo tornare in patria e per riuscire a tornare alla patria, che costituisce il nostro godimento, avremmo bisogno di servirci di mezzi di trasporto o marini o terrestri.

Che se ci arrecassero piacere le bellezze del viaggio o magari l'essere portati in carrozza, ecco che, rivolti a trarre godimento da ciò che invece avremmo dovuto usare solamente, non vorremmo che il viaggio finisca presto e, invischiati in una dolcezza falsa, resteremmo lontani dalla patria la cui dolcezza ci renderebbe felici appieno.

Ne segue che, se in questa vita mortale, dove siamo pellegrini lontano dal Signore, ( 2 Cor 5,6 ) vogliamo tornare alla patria dove potremo essere beati, dobbiamo servirci del mondo presente, non volerne la fruizione.

Attraverso le cose create comprese con l'intelletto cercheremo di scoprire gli attributi invisibili di Dio, ( Rm 1,20 ) o, in altre parole, per mezzo di cose corporee e temporali attingeremo le cose eterne e spirituali.

5.5 - Oggetto del nostro godere è solo Dio-Trinità

Le cose di cui bisogna appieno godere sono dunque il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, cioè la Trinità, che è la più eccelsa di tutte le cose, una " cosa " comune a tutti coloro che ne godono, seppure è una cosa e non la causa di tutte le cose e se anche questo termine " causa " le è appropriato.

Non è infatti facile trovare un nome adatto a un essere così sublime, ma, meglio che con altri, la si dice Trinità: un solo Dio dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le creature. ( Rm 11,36 )

Così il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo ciascuno è Dio e tutti insieme sono un solo Dio; ciascuna di queste Persone è sostanza completa e tutte insieme un'unica sostanza.

Il Padre non è né il Figlio né lo Spirito Santo, il Figlio non è il Padre né lo Spirito Santo, lo Spirito Santo non è né il Padre né il Figlio; ma il Padre è solamente Padre, il Figlio solamente Figlio, lo Spirito Santo solo Spirito Santo.

Eppure ai Tre compete la stessa eternità, la stessa incomunicabilità, la stessa maestà, la stessa onnipotenza.

Nel Padre c'è l'unità, nel Figlio l'uguaglianza, nello Spirito Santo l'armonia dell'unità con l'uguaglianza.

E queste tre cose sono tutte uno a causa del Padre, sono tutte uguali per il Figlio, comunicanti fra loro a causa dello Spirito Santo.

6.6 - Dio ineffabile gradisce la nostra lode

Abbiamo detto qualcosa o abbiamo espresso qualcosa degno di Dio? Certamente!

Sento di non avere avuto altra intenzione che dire questo.

Ma se ciò ho detto, non ho raggiunto l'oggetto di cui volevo parlare.

E questo come mi risulta? Dal fatto che Dio è ineffabile, mentre quello che è stato detto da me, se fosse stato ineffabile non avrei potuto dirlo.

Ne segue che Dio non è da dirsi ineffabile poiché quando di Lui si dice questa prerogativa si dice qualcosa: per cui viene fuori un contrasto di parole, in quanto, se per ineffabile intendiamo ciò di cui non si può dire nulla, non è ineffabile un essere di cui si può affermare almeno che è ineffabile.

Questo contrasto di parole è piuttosto da evitarsi col tacerne che conciliarlo col parlarne.

In effetti, Dio, di cui non si può affermare nulla che gli si adatti, ha permesso che la voce umana lo elogiasse e ha voluto farci godere della sua lode espressa dalle nostre voci.

È per questo che si è lasciato chiamare Dio.

Non che lo si conosca nella sua realtà quando risuonano queste due sillabe, ma, per quanti conoscono il latino, quando il suono di queste sillabe giunge al loro orecchio li sospinge a pensare alla natura di un essere supremo e immortale.

7.7 - Varie concezioni della Divinità

Ci sono alcuni che immaginano, nominano e venerano altri dèi o in cielo o in terra.

Orbene, anche da costoro quando, fra tutti gli dèi, si pensa all'unico Dio, lo si pensa come una realtà di cui nessun'altra è migliore e della quale il pensiero non può raggiungerne un'altra superiore.

È un fatto che costoro sono attratti da beni diversi, che dicono riferimento, alcuni ai sensi del corpo, mentre altri all'intelletto, che è dote dell'anima.

Orbene, quelli che sono asserviti ai sensi del corpo ritengono come Dio degli dèi o il cielo o ciò che nel cielo scorgono maggiormente splendente o lo stesso universo; ovvero, se tentano di valicare i confini del mondo, immaginano qualche essere luminoso e con fantasticherie infondate lo suppongono o infinito o di quella forma che loro sembra la migliore; oppure, se lo riscontrano preferibile a tutto il resto, lo immaginano configurato al corpo dell'uomo.

Che se non credono che ci sia un Dio solo, superiore agli altri dèi, e ritengono che molti, anzi innumerevoli, siano gli dèi e tutti dello stesso grado, nel cuore se li tengono raffigurati secondo quella realtà corporea che a ciascuno sembra la più elevata.

Al contrario, coloro che mediante l'intelletto si spingono fino a vedere ciò che è [ l'unico ] Dio, lo suppongono superiore a tutti gli esseri visibili e corporei e anche intelligenti e spirituali: superiore insomma a tutti gli esseri mutevoli.

Sono tutti schierati a gara nell'asserire la [ suprema ] eccellenza di Dio, né troveresti alcuno che ritenga esserci qualcosa superiore a Dio.

Pertanto, tutti convengono nel dire che Dio è quell'essere che essi collocano più in alto di tutte le altre cose.

8.8 - Il vero Dio dev'essere vivo e sapiente

Tutti coloro che si pongono il problema di Dio lo pensano come una realtà vivente; e nei suoi riguardi possono avere un'idea non assurda e non indegna di Dio solo coloro che hanno raggiunto il concetto di " vita ".

 Qualunque sia la forma corporea che vogliano supporre, prima appurano se essa vive o non vive e a quella che non vive antepongono quella che vive.

Ed ora eccoci ad una forma corporea vivente.

Può splendere della più viva luce, può giganteggiare per la più grande mole, può essere adorna della più suggestiva bellezza; ma una cosa è la forma corporea in se stessa, un'altra cosa è la vita che la fa vegetare.

Lo capiscono tutti, e tutti preferiscono, per la sua dignità incomparabilmente superiore, la vita al corpo che essa fa vegetare e anima.

Successivamente proseguono esaminando la vita in se stessa.

Se la trovano solo a livello vegetativo e priva di sensitività, com'è quella delle piante, le preferiscono la vita capace di sentire, com'è quella degli animali.

A questa poi preferiscono la vita intellettiva, com'è quella dell'uomo.

Ma avanti! Quando s'accorgono che la vita dell'uomo è mutevole, sono costretti a preferire a questa vita un'altra che sia immutabile: non una vita cioè che ora non sappia ora sappia ma che sia la stessa Sapienza.

In effetti una mente sapiente, in possesso cioè della sapienza, prima che la possedesse non era sapiente; la stessa Sapienza, viceversa, non fu mai priva di sapienza né l'avrebbe potuto mai essere.

Se tale Sapienza gli uomini non l'avessero veduta, non avrebbero mai potuto preferire con assoluta sicurezza la vita immutabilmente sapiente alla vita soggetta a mutazioni.

Vedono infatti che è immutabile la stessa norma della verità in forza della quale asseriscono a gran voce che quel primo genere di vita è migliore; e questo genere di vita non lo riscontrano se non al di sopra della propria natura poiché, guardando a se stessi, si sentono mutevoli.

9.9 - Dio è vita e sapienza immutabile

Non c'è infatti alcuno tanto sfrontato quanto cretino che dica: Ma come si può sapere che una vita incommutabilmente sapiente deve preferirsi a una vita mutevole?

Difatti la cosa di cui mi domanda come io la sappia è alla portata di tutti per essere osservata in comune da tutti e in modo stabile.

Chi non vede cose come questa è un cieco in faccia al sole, un cieco al quale non dice niente lo splendore di una luce così intensa e immediata che si riversa sulle pupille dei suoi occhi.

Chi poi vede queste cose e se ne allontana ha reso inerte l'attività della sua mente assuefacendosi all'ombra delle cose carnali.

In effetti, coloro che fanno così provano una ripulsa nei riguardi della patria eterna come per delle emanazioni di senso contrario derivanti dai loro cattivi costumi.

Si pongono quindi al seguito delle cose più vili e più basse, piuttosto che delle altre che pur asseriscono essere migliori e più eccellenti.

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