Il combattimento spirituale

Capitolo XXI

Il modo di regolare i sensi esteriori e come da quelli si possa passare alla contemplazione della divinità

Grande avvertenza e continuo esercizio si richiedono nel reggere e nel regolare bene i nostri sensi esteriori, perché l'appetito, che è come capitano della nostra natura corrotta, è eccessivamente incline a cercare i piaceri e le consolazioni.

Non potendo per sé solo farne acquisto, si serve dei sensi quasi fossero soldati suoi e strumenti naturali per prendere i loro oggetti di cui stampa nell'anima le idee, estraendole e tirandole a sé.

Da questo scaturisce il piacere il quale, per l'affinità esistente tra l'anima e la carne, si diffonde per tutta quella parte dei sentimenti che sono capaci di tale diletto: onde tanto l'anima quanto il corpo subiscono un comune contagio, che corrompe il tutto.

Tu vedi il danno: attendi al rimedio.

Sta' ben attenta a non lasciar andare liberamente i tuoi sensi dove vogliono e non servirti di loro, qualora ti muova a farlo il solo piacere e non qualche buon fine o utilità o necessità.

Se non avvedendotene essi fossero andati troppo avanti, li devi riportare indietro o regolare in modo che, dove prima si facevano miseramente prigionieri di vane consolazioni, ottengano da ciascun oggetto nobile preda e la portino dentro l'anima onde essa, raccolta in se stessa, spieghi le ali delle potenze verso il cielo alla contemplazione di Dio.

Il che potrai fare in questo modo.

Quando a uno qualsiasi dei tuoi sensi esteriori si rappresenta qualche oggetto, con il pensiero separa dalla cosa creata lo spirito che è in quella e pensa che essa da sé non ha niente di tutto ciò che soggiace ai tuoi sensi, ma che tutto è opera di Dio che con il suo spirito invisibilmente le dà quell'essere, quella bontà o quella bellezza e ogni altro bene che in essa di trova.

E quivi rallegrati che il tuo solo Signore sia causa e principio di tante e così varie perfezioni di cose e che in se stesso le contenga tutte eminentemente, non essendo esse che un minimo grado delle sue perfezioni.

Quando ti accorgerai di essere occupata nel mirare cose che hanno un nobile essere, con il pensiero ridurrai al suo niente la creatura fissando l'occhio della mente nel sommo Creatore ivi presente che le ha dato quell'essere e, in lui solamente prendendo diletto, dirai: "O essenza divina sommamente desiderabile!

Quanto godo che tu sola sia principio infinito di ogni essere creato!".

Similmente scorgendo alberi, erbe e cose simili, vedrai con l'intelletto che quella vita che hanno, non l'hanno da sé, ma dallo spirito che non vedi e che solo le vivifica; e potrai dire così: "Ecco qui la vera vita da cui, in cui e per cui vivono e crescono tutte le cose.

O vivo gaudio di questo cuore!".

Così dalla vista degli animali bruti ti leverai con la mente a Dio che dà loro il senso e il moto, dicendo: "O primo motore che, muovendo il tutto, sei immobile in te stesso, quanto mi rallegro della tua stabilità e fermezza!".

E sentendoti allettare dalla bellezza delle creature, separa quello che vedi dallo spirito che non vedi e considera che tutto ciò che di bello appare fuori è solo dello spirito invisibile, da cui è cagionata quella bellezza esterna, e di' tutta lieta: "Ecco i rivoli del fonte increato; ecco le piccole gocce del mare infinito di ogni bene.

Oh! come gioisco nell'intimo del cuore pensando all'eterna immensa bellezza, che è origine e causa d'ogni bellezza creata!".

E scorgendo in altri bontà, sapienza, giustizia e altre virtù, dirai al tuo Dio dopo aver fatto la detta separazione: "O ricchissimo tesoro di virtù! Quanto mi compiaccio che unicamente da te e per te derivi ogni bene e che tutto, a confronto delle tue divine perfezioni, sia come niente!

Ti ringrazio, Signore, di questo e d'ogni altro bene fatto al mio prossimo: ricordati, Signore, della mia povertà e del grande bisogno che ho della virtù della N. " [ N. sta per "nome". Lo Scupoli invita a chiedere a Dio nella preghiera quella virtù giudicata volta per volta più urgente e necessaria al singolo lettore ].

Accingendoti poi a fare qualche cosa, pensa che Dio è causa prima di quell'azione e tu non sei altro che vivo strumento di lui, al quale, innalzando il pensiero, dirai a questo modo: "Supremo Signore di tutto, quanta è la gioia che provo in me stessa di non poter fare nulla senza di te ( cfr. Gv 15,5 ); anzi godo che tu sia il primo e principale artefice di tutte le cose!".

Gustando cibo o bevanda, considera che è Dio a dar loro quel sapore e, dilettandoti in lui solo, potrai dire: "Rallegrati, anima mia: come fuori del tuo Dio non v'è nessuna vera gioia, così in lui solo ti puoi unicamente dilettare in ogni cosa" ( cfr. Fil 4,4 ).

Se ti compiacerai nell'odorare qualche cosa gradita al senso, non fermandoti in quel compiacimento, passa con il pensiero al Signore da cui ha la sua origine quell'odore, e sentendo di ciò interna consolazione dirai: "Fa', Signore, che come io gioisco che da te proceda ogni soavità, così l'anima mia, spogliata e nuda di ogni piacere terreno, ascenda in alto e renda gradito odore alle tue divine narici".

Quando odi qualche armonia di suoni e canti, rivolta con la mente al tuo Dio dirai: "Quanto godo, Signore e Dio mio, delle tue infinite perfezioni che tutte insieme non solo in te stesso sprigionano sovraceleste armonia, ma fanno anche meraviglioso concerto unitamente negli angeli, nei cieli e in tutte le creature!".

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