La nube della non-conoscenza

Lettera di direzione spirituale

[ Il libro del consiglio privato ]

[ Prologo ]

Amico spirituale in Dio, questo scritto ha come tema le occupazioni interiori che più si confanno, a mio parere, alle tue intime disposizioni; perciò questa volta mi rivolgo a te in particolare, e non a tutti quanti dovessero venire a conoscenza della mia lettera.

Se avessi intenzione di scrivere per tutti, dovrei per forza di cose trattare un argomento di carattere generale.

Ma siccome ora sto scrivendo per te in particolare, mi limiterò a quelle cose che mi sembrano più convenienti nel tuo caso e meglio rispondenti al tuo stato attuale.

Se altri si troveranno nelle tue stesse disposizioni d'animo e trarranno profitto da questo mio scritto, meglio così; ne avrò veramente piacere.

Tuttavia, in questo momento al centro della mia attenzione ci sta unicamente la tua situazione personale, per quel tanto che riesco a intuirla.

È dunque a te, e a tutti quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, che io rivolgo i miei consigli.

1. [ La preghiera contemplativa è la nuda e oscura percezione dell'essere di Dio come scaturigine del nostro essere, considerato non in modo discorsivo, ma intuitivo ].

Quando vuoi raccoglierti nel profondo del tuo essere, non preoccuparti di quel che farai dopo.

Lascia da parte tutti i pensieri, buoni o cattivi che siano; e cerca di non pregare con la bocca, a meno che ti senta portato a farlo.

In tal caso, non darti pensiero per la quantità delle parole da usare e non dare importanza al nome o al significato da attribuire alla tua preghiera: si tratti di orazione, salmo, inno o antifona, o di qualsiasi altra preghiera, comunitaria o personale, mentale ( formulata cioè interiormente nel pensiero ) o vocale ( pronunciata all'esterno con parole ), per te fa lo stesso.

Fa' in modo che non rimanga niente nella tua mente se non questa sola occupazione: un nudo anelito di raggiungere Dio.

Nudo, perché non deve essere rivestito da alcun pensiero particolare su come Dio è in se stesso o nelle sue opere: importa solo il fatto che egli è quel che è.

Cerca di considerare Dio in questa maniera, te ne prego, e non voler fare altrimenti.

Non continuare a indagare sul suo conto con sottili ricerche dell'intelletto.

Questa fede sia il fondamento del tuo lavoro.

Questo nudo anelito, che poggia saldamente su una fede sincera, lo devi concepire e sentir dentro come un semplice riconoscimento e una cieca accettazione del tuo stesso essere.

È come se dicessi a Dio nel tuo intimo: « Quel che sono, o Signore, io te lo offro.

Non intendo considerare nessuna qualità del tuo essere, ma solo il fatto che tu sei quel che sei, e niente più ».

Quest'umile oscurità deve riflettersi anche sul tuo essere e occupare in pieno la tua mente.

Non metterti a pensare a te stesso più di quanto tu non debba fare con Dio, così da diventare una sola cosa con lui in spirito, senza dispersione né distinzione.

Infatti, è lui il tuo essere, e in lui sei quel che sei: non solo perché egli è la causa e l'essere di tutte le cose, ma anche perché costituisce la causa e l'essere del tuo stesso essere.

Perciò in questo lavoro pensa a Dio esattamente come pensi a te stesso, e a te stesso come pensi a Dio: egli è quel che è, e tu sei quel che sei.

In questo modo il tuo pensiero non resterà disperso e diviso, ma unificato in lui che è il tutto.

È necessario però salvaguardare sempre questa differenza tra te e lui: egli è il tuo essere, ma tu non sei il suo.

Tutte le cose sono in lui quanto alla causa e all'essere, ed egli è in tutte le cose causa ed essere; ma quanto a lui, è solo in se stesso che trova la propria causa e il proprio essere.

E come non c'è niente che possa essere senza di lui, così anch'egli non può essere senza di sé.

Egli è l'essere di se stesso e di tutte le cose.

E proprio in quanto è distinto da tutte le altre cose, costituisce l'essere di se stesso e di tutte le cose.

Inoltre, siccome è uno in tutte le cose e tutte ritrovano la loro unità in lui, è lui l'essere di tutte le cose e tutte sussistono in lui.

Allo stesso modo, tu sarai unito a Dio nella grazia, senza distinzione, sia con l'intelletto che con il cuore, purché tralasci tutte quelle astruse ricerche sulle varie qualità del tuo cieco essere e del suo.

Se la tua mente sarà spoglia e i tuoi sensi purificati, sentirai nella tua nudità, per il tocco della grazia, di essere nutrito in segreto da Dio, così com'è; ma ciò avverrà solo in parte e nell'oscurità, come si conviene su questa terra, così che il tuo ardente desiderio crescerà sempre di più.

Quindi alza gli occhi senza paura e di' al tuo Signore, a parole o nel profondo del tuo cuore: « Quel che sono, o Signore, io te lo offro, perché tu non sei altro da me ».

E pensa in maniera nuda, semplice e piana che tu sei quel che sei, senza aggiungere altre analisi o considerazioni.

Non bisogna esser nati maestri per pregare a questo modo: a me sembra alla portata anche del più ignorante tra gli uomini, perché presuppone un grado minimo di intelligenza comune a tutti.

Perciò mi stupisco veramente e mi vien quasi da ridere, se non provassi anche un senso di amarezza, quando mi capita di sentire gli apprezzamenti di certe persone a proposito di quanto ho scritto a te e a altri ( bada bene che non si tratta di gente ignorante o poco istruita, ma di studiosi e uomini di cultura! ).

Costoro affermano che i miei scritti sono così elevati e difficili da leggere, così astrusi e complicati, che a malapena riescono a capirli i più istruiti o più intelligenti.

A quanti fanno simili discorsi rispondo che hanno ben motivo di lagnarsi e meritano di essere derisi, in spirito di misericordia, e severamente rimproverati da Dio e da quelli che lo amano: infatti la loro avidità di sapere e il desiderio smodato di conoscere, li rendono ciechi.

Non sto parlando di qualche persona soltanto, ma in genere di quasi tutti gli uomini del nostro tempo, salvo uno o due in ogni distretto, scelti in maniera speciale da Dio.

Con la loro mentalità inquisitiva, non possono pretendere di capire il senso genuino di questo facile esercizio, attraverso il quale anche il più ignorante degli uomini può unirsi a Dio in carità perfetta, per mezzo di un'umiltà piena d'amore.

Essi invece, immersi nella cecità più completa, non ci capiscono un bel niente, come un bambino fermo all'ABC non può afferrare la dotta esposizione di un docente universitario.

E sempre perché sono ciechi, considerano a torto come dottrina squisitamente sottile, quest'insegnamento così semplice; che se uno lo guardasse da vicino, si accorgerebbe che è solo una facile lezione tenuta da un ignorante.

Non è forse stupido e beota chi non ha coscienza del proprio essere, chi non è capace, cioè, di pensare e sentire non tanto quel che è, ma il fatto stesso di essere?

Infatti è manifestamente naturale per la mucca più ignorante o per la bestia più irragionevole ( se mai fosse possibile, ma non lo è, far distinzioni tra gli animali in base al loro grado di intelligenza ) avere coscienza del proprio essere.

Tanto più deve essere naturale per l'uomo, che è dotato di ragione in maniera eminente e al di sopra degli altri animali, avere la consapevolezza e la coscienza del proprio essere.

Perciò scendi nel punto più basso della tua intelligenza ( alcuni lo ritengono, per esperienza fatta, il punto più eccelso ) e considera nella maniera più semplice ( secondo certi, la più saggia ) non ciò che sei, ma solo il fatto che tu sei.

Pensare a quello che sei, con tutte le caratteristiche proprie della tua natura, presuppone da parte tua una dose non indifferente di acume e di cultura, e richiede ricerche approfondite sulle tue facoltà.

Questo lavoro l'hai già fatto parecchie volte con l'aiuto della grazia, cosicché ora sai, anche se solo parzialmente e per quel tanto che a mio parere ti può servire per il momento, quello che sei: un essere umano, per natura, e un miserabile, ripugnante e puzzolente, per il peccato.

Come sai bene tutto questo!

E forse troppe volte ti metti a pensare a tutte le sozzure che accompagnano la tua miseria.

Vergogna! Lasciale stare, te ne prego.

Non rivoltarle più, per non doverne sentire il fetore.

Al contrario, per pensare al fatto che tu sei, non ci vuole grande scienza o spiccata intelligenza: basta la tua ignoranza e la tua semplicità.

2. [ È necessario raggiungere il punto più eccelso dello spirito e offrire il proprio essere a Dio, che ci guarisce dalle piaghe del male ].

Quindi ti prego di non far altro in questo frangente, se non pensare al semplice fatto che tu sei così come sei: non importa quanto tu sia immondo o miserabile.

Naturalmente, do per scontato che tu abbia già fatto debita ammenda di tutti i tuoi peccati, in particolare e in generale, secondo le giuste regole stabilite dalla santa chiesa.

Altrimenti, né tu né nessun altro potete pretendere di avere il mio consenso nell'affrontare con tanta impudenza un simile lavoro.

Ma se tu senti in coscienza di aver fatto tutto il possibile, allora puoi pure intraprendere questo lavoro.

E anche se ti senti ancora così vile e miserabile da considerare il tuo io come un peso, e da non sapere nemmeno tu che cosa fare di te stesso, allora segui le mie indicazioni.

Prendi il buon Dio così com'è nella sua grande misericordia, e ponilo, proprio come se fosse un balsamo, su quell'essere malato che è il tuo io.

O per dirla in altri termini, leva in alto il tuo io, malato com'è, e con il desiderio cerca di toccare Dio così com'è, buono e dispensatore di grazie.

Chi arriva a toccarlo, ne riceve salute eterna, come testimonia la donna del vangelo, quando dice: « Si tetigero vel fimbriam vestimenti eius, salva ero; Se solo arriverò a toccare il lembo del suo mantello, sarò guarita ».

A maggior ragione tu sarai sanato dalla tua malattia a questo meraviglioso contatto celeste con il suo stesso essere: bada bene, con il suo stesso io.

Allora, avvicinati a lui con decisione e usa quel medicamento.

Eleva il tuo essere, malato com'è, verso il buon Dio così com'è in se stesso, senza fare particolari considerazioni o disquisizioni su nessuna delle qualità proprie del tuo essere o di quello di Dio: che si tratti di purezza o miseria, grazia o natura, divinità o umanità, poco importa.

Per il momento basta che tu offra con gioia e in trepidazione d'amore, questo sguardo cieco sul tuo essere, nudo com'è, perché sia strettamente unito in grazia e spirito all'essere prezioso di Dio, cosa com'è in se stesso, né più né meno.

È vero, le tue facoltà sempre inquiete ed errabonde non troveranno alimento in questa maniera d'agire; perciò si lamenteranno con te e insisteranno perché tu tralasci questo lavoro e ti metta invece a fare qualcosa che possa soddisfare la loro curiosità.

A sentir loro, tu non stai facendo niente di valido: d'altra parte non riescono a capir niente del tuo lavoro.

Eppure io lo amo ancor di più, perché questo è un segno che esso è manifestamente superiore alla loro attività.

Infatti, perché non dovrei preferirlo, quando non c'è nessun altro lavoro che possa fare io o che possano compiere i miei sensi esterni e interni sotto lo stimolo della curiosità, che sia in grado di condurmi così vicino a Dio e così lontano dal mondo, come invece è capace di fare questa nuda coscienza di me stesso e la semplice offerta del mio cieco essere?

Perciò, anche se le tue facoltà non trovano alcun alimento nel tuo modo di agire, e quindi cercano di distoglierti da quel che vai facendo, bada di non abbandonare il tuo lavoro per causa loro; al contrario, tienile sottomesse.

E non tornare ad alimentarle, anche se dovessero diventar furiose.

Quando permetti alle tue facoltà di divagare in sottili disquisizioni e approfondite ricerche sulle qualità del tuo essere, è come se tu tornassi indietro a nutrirle.

Tali riflessioni, anche se sono del tutto buone e proficue, tuttavia, in confronto all'offerta della cieca coscienza del tuo essere, non servono ad altro che a dissiparti e a distrarti dall'unità perfetta che dovrebbe regnare tra Dio e la tua anima.

Pertanto resta aggrappato al punto più eccelso del tuo spirito, cioè alla coscienza del tuo stesso essere; e non tornare indietro per niente al mondo, per quanto possa sembrare buono e santo l'oggetto a cui vorrebbero trascinarti le tue facoltà.

3. [ L'offerta del proprio essere, compiuta in purezza di spirito, chiede il silenzio delle nostre facoltà discorsive ].

Segui il consiglio e l'insegnamento che Salomone diede a suo figlio: « Honora Dominum de tua substantia, et de primitiis frugum tuarum da pauperibus; et impiebuntur horrea tua saturitate, et vino torcularia tua redundabunt; Onora il Signore con la tua sostanza e da' nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti: allora i tuoi granai saranno ricolmi, i tuoi tini traboccheranno di vino ».

Queste parole Salomone le disse a suo figlio in senso letterale, ma è come se avesse voluto farti comprendere in senso figurato quel che sto per dirti a nome suo: amico spirituale in Dio, vedi se hai lasciato perdere tutte le attività discorsive delle tue facoltà naturali, e rendi a Dio, tuo Signore, un culto perfetto con la tua sostanza.

Offri a lui in tutta semplicità tutto te stesso, tutto quel che sei e così come sei, come un tutt'uno e non in frammenti: in altri termini, senza considerare in dettaglio quello che sei.

A questo modo, il tuo sguardo non resterà disperso e la tua coscienza non perderà il suo candore, niente potrà impedirti di essere uno con il tuo Dio in purezza di spirito.

« E da' nutrimento ai poveri con le primizie dei tuoi frutti », cioè con il meglio delle qualità spirituali e corporali che sono cresciute con te dal momento della tua creazione fino a oggi.

Chiamo frutti, tutti quei doni di natura e di grazia che Dio ti ha elargito.

Con essi sei tenuto a nutrire e a sfamare in questa vita, nel corpo e nello spirito, tutti i tuoi fratelli e sorelle secondo natura e, secondo la grazia, proprio come devi fare con te stesso.

È il primo di questi doni che io chiamo « le primizie dei tuoi frutti ».

In ciascuna creatura il primo dono è semplicemente quello dell'essere.

È vero che le qualità dell'essere sono così intimamente legate all'essere stesso da non potersene separare; tuttavia, siccome dipendono dall'essere, si può dire con certezza che è questo il primo dei tuoi doni.

Quindi le primizie dei tuoi frutti sono costituite dal semplice fatto che tu sei.

In effetti, se frantumerai il tuo cuore in molteplici considerazioni sulle complesse, qualità e sulle splendide caratteristiche dell'essere umano, che è la più nobile di tutte le creature, troverai che il punto focale a cui mira ogni tua considerazione, quale che essa sia, è sempre il tuo essere, nudo e semplice.

Ogniqualvolta ti metterai a meditare e ti sentirai spronato ad amare e lodare il Signore tuo Dio, non solo per il dono dell'essere, ma anche per la nobiltà del tuo essere, come attesteranno le eccelse qualità che avrai riscontrato in te, sarà come se tu dicessi in cuor tuo: « Io sono, so e sento che io sono; e non solo che io sono, ma che sono così, così, così e così ».

In questo modo farai passare una dopo l'altra tutte le qualità del tuo essere.

E poi, se vuoi fare ancora meglio, riuniscile tutte in un sol fascio e di' così: « Il mio essere e il mio modo di essere, secondo natura e secondo la grazia, tutto ciò io l'ho ricevuto da te, Signore, ed è il tuo stesso essere.

Io lo offro tutto a te, innanzitutto per lodarti, e poi per venire in aiuto di tutti i miei fratelli nella fede, e infine per me stesso ».

Puoi così notare come il punto focale di ogni tua considerazione deve consistere sostanzialmente nella visione nuda e nella coscienza cieca del tuo stesso essere.

Quindi è semplicemente il tuo essere a costituire le primizie dei tuoi frutti.

Ma anche se il tuo essere è il primo dei tuoi frutti e tutti gli altri dipendono da lui, al momento attuale non conviene rivestire questa considerazione e ammantarla di tutte le sue varie qualità e caratteristiche ( che nel nostro caso sono i frutti ), sulle quali hai già fatta tutte le tue elucubrazioni in precedenza.

Per ora basta che onori Dio in maniera completa con tutta la tua sostanza e offra a lui il tuo essere nudo, cioè le tue primizie, in un continuo sacrificio di lode a Dio, per te e per tutti gli uomini, come carità comanda.

Non rivestirlo, dunque, di nessuna qualità o particolarità propria del tuo essere o dell'essere di qualcun altro, quasi che con queste considerazioni tu volessi sopperire ai bisogni, promuovere il bene e accrescere la perfezione del tuo stesso io o del tuo prossimo.

Lascia stare: un simile atteggiamento non gioverebbe affatto in questo caso.

Invece è molto più consona alle tue necessità, più efficace per il tuo avanzamento e la perfezione tua e degli altri, questa meditazione cieca e generale, fatta nella purezza dello spirito, che non qualsiasi altra considerazione particolare, per quanto possa apparire santa.

La verità delle mie parole è confermata dalla testimonianza delle Scritture, dall'esempio di Cristo e dalla perspicacia della ragione.

Tutti, gli uomini furono perduti in Adamo, poiché egli si staccò dall'amore che lo legava a Dio.

E ora, tutti gli uomini che testimoniano con i fatti, secondo la loro specifica vocazione, la volontà di essere salvati, lo sono e lo saranno solo in virtù della passione di Cristo.

Egli offrì se stesso come sacrificio più vero, tutto se stesso e non solo in parte; e per tutti gli uomini, non per qualcuno in particolare, ma per tutti in generale, senza distinzione.

Analogamente, chi offre se stesso in sacrificio reale e perfetto per il bene di tutti, fa tutto il possibile per unire a Dio tutti gli uomini nella stessa maniera reale con cui egli è unito a Dio.

Nessuno ha amore più grande di chi si sacrifica per tutti i fratelli e le sorelle secondo la carne o secondo lo spirito.

Poiché l'anima è più preziosa del corpo, è meglio unire l'anima a Dio ( che ne è la vita ), con il pane celeste della carità, piuttosto che unire il corpo all'anima ( che ne è la vita ), nutrendolo con qualsiasi cibo materiale.

Quest'ultima attività è buona in se stessa, ma senza l'altra è quanto mai incompleta.

Se si uniscono entrambe, va già meglio; ma la prima da sola, è l'ottimo.

La seconda da sola non è in grado di meritare la salvezza; mentre la prima, anche se viene a mancare completamente quell'altra, non solo merita la salvezza, ma conduce alla perfezione più alta.

4. [ Per praticare la preghiera contemplativa, non sono necessarie riflessioni particolari sul proprio essere o sull'essere di Dio ].

Se vuoi avanzare nella perfezione, non c'è bisogno che torni indietro a dare alimento alle tue facoltà, riflettendo sulle qualità del tuo essere, così da nutrire e colmare il tuo cuore di dolci, amorosi sentimenti nei riguardi di Dio e delle cose spirituali.

Non è neanche necessario che ti metta a saziare la tua intelligenza con la saggezza spirituale di sante meditazioni, alla ricerca della conoscenza di Dio.

Se resterai saldamente aggrappato, per quel che te lo consentirà la grazia, al punto più eccelso del tuo spirito senza demordere un attimo, offrendo a Dio la coscienza nuda e cieca del tuo essere ( in altri termini, le primizie dei tuoi frutti ), puoi star certo che la seconda parte dell'insegnamento di Salomone si realizzerà compiutamente, così come ha promesso.

Ti accorgerai allora dell'inutilità di tutte le affannose ricerche e analisi, cui ti spingevano le tue facoltà intellettuali, sulle varie qualità del tuo essere e anche su quelle dell'essere di Dio.

Tieni bene in mente questa osservazione: in questo lavoro le qualità dell'essere di Dio le devi considerare alla stessa stregua delle tue.

Non c'è nome, sentimento o considerazione che meglio si accordi all'eterno, che è Dio, di quanto si possa avere, vedere o sentire nella considerazione cieca e amorosa di questa parola: È.

Tutti gli altri attributi: buono, oppure bello, dolce, misericordioso, giusto, saggio, onnisciente, potente, onnipotente Signore; o ancora: intelligenza, sapienza, potenza, forza, amore, carità; e qualsiasi altro termine tu voglia usare nei riguardi di Dio; sono tutti nascosti e condensati in questa piccolissima parola: È.

Infatti, avere tutte queste qualità, per Dio vuol dire semplicemente essere.

E se anche accumuli centomila espressioni di tenerezza come: buono, bello, e altre simili, non ti allontani da questa parolina: È.

Se le pronunci tutte insieme, non aggiungi niente; e non togli niente, se non ne dici neanche una.

Perciò resta cieco nella contemplazione amorosa dell'essere di Dio, proprio come nella nuda considerazione del tuo essere, senza estenuare le tue facoltà in ricerche dettate dalla curiosità, sugli attributi di Dio o sulle qualità del tuo essere.

Ma, cacciata lontano ogni speculazione, da' onore a Dio con tutta la tua sostanza, offrendo tutto quel che sei e così come sei, a lui che è così come è.

Perché lui da solo, come tale e senza nient'altro, è la beata essenza di se stesso, e anche la tua.

In questo modo adorerai Dio ( ed è davvero meraviglioso! ) in comunione con lui stesso, perché quello che tu sei, viene da lui ed è lui stesso.

Anche se tu hai avuto un inizio, quando la tua sostanza è stata creata dal niente, in lui il tuo essere è sempre esistito fin dall'eternità e non avrà mai fine, proprio come il suo stesso essere.

Per questo io grido e ripeto incessantemente: onora Dio con la tua sostanza, distribuisci a tutti gli uomini le primizie dei tuoi frutti.

« Allora i tuoi granai saranno ricolmi ».

In altri termini i tuoi sentimenti spirituali saranno ricolmi d'amore e di una vita virtuosa in Dio, che è il tuo fondamento e la purezza stessa del tuo spirito.

« E i tuoi tini traboccheranno di vino ».

Come a dire che i tuoi sensi interni, le facoltà spirituali, che hai l'abitudine di estenuare e torchiare con svariate meditazioni, pedanti ricerche e sottili ragionamenti sulla conoscenza di Dio e del tuo essere, sui suoi attributi e sulle tue qualità, traboccheranno di vino; Nella bibbia il vino sta a indicare, in senso mistico e vero, la saggezza spirituale nel contemplare con verità e nel gustare in maniera eccelsa la divinità.

Questi doni li otterrai all'improvviso, per intervento della grazia e del tuo semplice desiderio, senza nessuna occupazione o fatica da parte tua.

Ti arriveranno per mezzo del ministero degli angeli e risulteranno dal cieco esercizio d'amore.

Tutti gli angeli sanno come servirli in maniera speciale, proprio come l'ancella con la sua signora.

5. [ In quest'opera la suprema Sapienza si unisce all'anima umana. Gli effetti che ne derivano, colti in una lettura spirituale di Proverbi ].

Questo lavoro così lieve e delizioso, consiste essenzialmente nel fatto che la suprema saggezza della divinità scende, in virtù della grazia, nell'anima umana per unirla a sé e fare una sola cosa con essa nelle arti spirituali e nella prudenza dello spirito.

Il saggio Salomone lo raccomanda caldamente e ne fa l'elogio esclamando: « Beatus homo qui invenit sapientiam et qui affluit prudentia; melior est acquisitio eius negotiatione argenti et auri; primi et purissimi fructus eius …

Custodi, fili mi, legem atque consilium et erit vita animae tuae et gratia faucibus tuis. Tunc ambulabis fiducialiter in vita tua et pes tuus non impinget.

Si dormieris, non timebis: quiesces et suavis erit somnus tuus.

Ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorùm; quia Dominus erit in latere tuo et custodiet pedem tuum ne capiaris ».

Ecco come si devono intendere queste parole.

« Beato l'uomo che ha trovato questa. sapienza » unificante e che nel suo lavoro spirituale usa in abbondanza l'accortezza amorosa e la prudenza di spirito, offrendo a Dio la cieca coscienza del proprio essere, e tralasciando completamente ogni dotta disquisizione e ogni capacità speculativa naturale.

L'aver ottenuto la saggezza spirituale attraverso questo semplice esercizio, « è meglio che non l'aver acquistato oro e argento ».

Per oro e argento si intendono, in senso morale, tutte le altre conoscenze naturali e spirituali che possiamo ottenere con i nostri studi, oppure esercitando le nostre facoltà su noi stessi, sulle realtà a noi inferiori, o su quelle al nostro livello, analizzando, cioè, le qualità proprie di Dio e delle creature.

Salomone spiega il motivo, per cui questa saggezza è superiore, quando dice: « Primi et purissimi fructus eius », in altre parole: « I suoi frutti sono i più precoci e i più puri ».

Non c'è da meravigliarsi, perché il frutto di questo lavoro non è altro che la suprema saggezza spirituale.

Questa si sprigiona, libera e improvvisa, dalle profondità dello spirito, lungi da ogni forma o immagine mentale, senza che la si possa coartare o far rientrare nel campo dell'intelligenza naturale.

Qualsiasi attività dell'intelletto umano, per quanto possa essere ingegnosa o santa, al suo confronto non si può che definire follia, irreale fantasia e frutto di immaginazione.

Ed è tanto lontana dallo splendore del sole spirituale, vale a dire dalla verità assoluta, quanto la pallida luce di un chiaro di luna in una notte di nebbia in pieno inverno è assai distante dal bagliore di un raggio di sole nel più radioso meriggio d'estate.

E il testo così prosegue: « Figlio mio, conserva questa legge e questo consiglio »; nella saggezza si adempiono in maniera vera e perfetta tutti i comandamenti e i consigli dell'Antico e del Nuovo Testamento, senza volerne sottolineare qualcuno in particolare.

Altrimenti come si potrebbe dire che questo metodo di lavoro è una legge, se non dovesse contenere dentro di sé tutte le ramificazioni e i frutti della legge?

Se lo si osserva con verità, ci si accorge che il fondamento e la forza di questo lavoro risiedono nel dono glorioso dell'amore, nel quale, secondo l'insegnamento dell'apostolo, si trova riassunta tutta la legge: « Plenitudo legis est dilectio; La pienezza della legge è l'amore ».

Salomone aggiunge che questa legge d'amore e questo consiglio di vita, se tu li osserverai, anzitutto saranno « vita per la tua anima », che si esprimerà in una tenerezza d'amore per il tuo Dio; e poi « grazia per le tue guance », a profitto dei tuoi fratelli in Cristo, ai quali darai i più veri insegnamenti e sarai d'esempio comportandoti con la massima dignità nella tua forma di vita.

Da questi due precetti, uno che opera all'interno, l'altro all'esterno, dipende tutta la legge e i profeti, come dice Cristo stesso: « In his enim duobus mandatis tota lex pendet et prophetae: scilicet in dilectione Dei et proximi ».

Perciò, quando sarai stato reso perfetto nel tuo lavoro, sia interiormente che esteriormente, « te ne andrai sicuro », fondato come sei sulla grazia, che è la guida del tuo cammino spirituale, offrendo con amore il tuo essere nudo e cieco all'essere beato del tuo Dio: il tuo essere e il suo diventano una cosa sola per la grazia, pur restando distinti per natura.

« E il piede » del tuo amore « non inciamperà ».

In altri termini, quando proverai l'esperienza di questo lavoro spirituale in continuità di spirito, non ti lascerai più fuorviare, né tornerai sui tuoi passi con tanta facilità, come fai ora che sei all'inizio, per via di tutte le sottili problematiche e disquisizioni prodotte dalle tue facoltà.

Oppure si può interpretare in altro modo: il piede del tuo amore non incespicherà e non inciamperà in nessuna delle immagini sollevate dalle tue irrequiete attività mentali.

In questo lavoro, come ho già avuto modo di dire, bisogna abbandonare completamente ogni ricerca speculativa delle nostre facoltà mentali, tanto da non conservarne neppure il ricordo.

In caso contrario, potrebbero facilmente derivare in questa vita delle false immaginazioni o pericolose illusioni che danneggerebbero la nuda percezione del tuo cieco essere e ti distoglierebbero da un lavoro così importante.

Se ti viene alla mente il pensiero di qualche oggetto particolare - tranne quello del tuo essere nudo e cieco, che è, in fondo, il pensiero del tuo Dio, e il tuo unico scopo - eccoti distolto dal tuo lavoro, ricacciato indietro a operare con le furbizie e le sottigliezze delle tue facoltà; eccoti disperso e separato, te e la tua mente, sia dal tuo stesso essere che da Dio.

Perciò cerca di rimanere raccolto e indiviso più che puoi, in virtù della grazia e della tua abilità nel perseverare in questo lavoro spirituale.

È proprio nella considerazione cieca del tuo nudo essere, unito a Dio come ti ho già detto, che tu farai tutto quello che dovrai fare: mangiare e bere, dormire e vegliare, andare e restare, parlare e rimanere in silenzio, dormire e alzarti, stare in piedi e inginocchiarti, correre e cavalcare, lavorare e riposare.

Ogni giorno dovrai offrire a Dio il tuo essere nudo, perché questa è l'offerta più preziosa che tu gli possa presentare.

E sarà la parte principale delle tue occupazioni, attive o contemplative non importa.

Infatti, come dice Salomone in questo brano: « Se ti addormenterai » in questa cieca considerazione, lungi da ogni rumore o turbamento suscitato dal nemico spirituale, dal mondo ingannevole e dalla fragilità della carne, « non temerai alcun pericolo», né alcuna macchinazione del demonio.

Perché mai? Perché in questo lavoro il demonio resta totalmente confuso e viene reso cieco: si trova in una penosa ignoranza e diventa pazzo dalla voglia di sapere quello che stai facendo.

Ma a te non importa, perché « tu riposerai tranquillo » in questa unione amorosa di Dio con la tua anima.

« Sarà dolce il tuo sonno » perché vi troverai cibo spirituale e vigore interiore, sia per il tuo corpo che per il tuo spirito.

Come indica ancora Salomone un po' più avanti: « Universae carni sanitas est; Questo lavoro dà salute a tutte le debolezze e le malattie della carne ».

E ha ragione di dire così, perché la carne cominciò a patire le malattie e la corruzione proprio quando l'anima smise di fare questo lavoro.

Quindi la carne ritornerà ancora in piena salute, quando l'anima si rialzerà e riprenderà il medesimo lavoro per grazia di Gesù, che ne è il principale artefice.

Perché si realizzi tutto questo, puoi solo confidare nella misericordia di Gesù e nella tua adesione d'amore.

Perciò, unendo la mia voce a quella di Salomone in questo brano, ti prego di rimanere fedele a questo lavoro e di innalzare a Dio il tuo consenso d'amore senza fermarti, nella trepidazione della carità.

« Et ne paveas repentino terrore et irruentes tibi potentias impiorum ».

Non lasciarti sorprendere e non perdere la tua tranquillità se il diavolo verrà ( e di certo verrà! ) a spaventarti all'improvviso, battendo e picchiando con forza sui muri della casa in cui stai riposando, e così pure se metterà in movimento i suoi alleati più potenti perché ti attacchino di sorpresa, senza alcun preavviso.

Sta' ben attento a quanto ti dico, tu che vuoi intraprendere seriamente questo lavoro: ti accadrà di vedere o sentire, fiutare, gustare o udire in maniera reale delle cose strane che il diavolo provocherà esteriormente in uno o l'altro dei tuoi sensi, con il solo scopo di trascinarti giù dall'elevatezza del tuo prezioso lavoro.

Perciò « abbi cura del tuo cuore » durante la prova e confida con ardente fede nell'amore di nostro Signore.

« Quia Dominus erit a latere tuo, et custodiet pedem tuum ne capiaris »: « Perché il Signore sarà al tuo fianco » sempre pronto ad aiutarti, « e custodirà il tuo piede », cioè il cammino ascendente del tuo amore che ti porta a Dio, « perché non abbia a cadere nei lacci » e nei tranelli dei tuoi nemici: il diavolo e i suoi fautori, il mondo e la carne.

Ma ora, guarda, amico mio: nostro Signore, bersaglio del nostro amore, ci soccorrerà con potenza, saggezza e bontà; perché egli prende le difese di tutti quanti, mossi da una fiducia amorosa nei suoi confronti, rinunciano completamente a difendersi da soli.

6. [ Nel nobile e amoroso nulla dell'uomo si rivela l'alto e santo tutto di Dio, secondo l'insegnamento biblico.

Polemica contro i detrattori della contemplazione ].

Ma dove trovare un'anima del genere, così liberamente fissata e fondata nella fede, resa così totalmente umile nell'annientamento di sé, guidata e nutrita con tanto ardore dall'amore per nostro Signore?

Un'anima che conosca e gusti la potenza infinita di Dio, la sua insondabile saggezza e la sua gloriosa bontà?

Essa sa che Dio è uno in tutte le cose e tutte sussistono in lui; e vede che se non cede a lui, per amor suo, tutto quel che ha ricevuto da lui, in lui e per lui, non potrà mai raggiungere la vera umiltà nel totale annientamento di sé.

È solo attraverso il nobile annientamento di sé in vera umiltà e l'esaltazione di Dio come il tutto in carità perfetta, che l'anima ottiene di possedere Dio: completamente immersa nell'amore per lui, in uno stato di pieno e definitivo abbandono di sé, l'anima si considera un niente, o ancor meno, se mai fosse possibile.

Allora Dio nella sua potenza, saggezza e bontà verrà a soccorrerla, la proteggerà e la difenderà da tutti i suoi nemici, del corpo e dello spirito, senza che essa si debba premunire o preoccuparsi di avvisarlo o fare qualsiasi altro sforzo da parte sua.

Lasciate da parte le vostre obiezioni umane, voi tutti che siete umili solo a metà.

Non venite a dire con i vostri ragionamenti insipienti che quando si abbandona così completamente, per umiltà,, la guardia di se stessi, sempre se si è mossi dalla grazia, è perché si vuol tentare Dio: in realtà avete paura di non riuscire ad attuare un abbandono così totale, e fate bene a pensarlo.

Ritenetevi soddisfatti della parte che vi spetta: basta da sola a ottenere la salvezza delle vostre anime chiamate alla vita attiva.

Ma lasciate i contemplativi soli nella loro audacia!

Non turbatevi e non meravigliatevi delle loro parole o delle loro azioni, anche se alla vostra ragione sembrano passare il limite del comune buon senso.

Vergogna! Quante volte avete letto e sentito questa dottrina, eppure non vi avete mai prestato fede né dato credito.

È un punto che tutti i Padri antichi hanno trattato e ci hanno insegnato, un punto che contiene il fiore è il frutto di tutte le Scritture.

Oppure siete ciechi e non riuscite a vedere con gli occhi della fede quel che leggete o sentite; o ancora, siete inconsciamente stuzzicati da una certa qual invidia, se non volete ammettere che ai vostri fratelli possa capitare un bene così grande, per il solo fatto che voi ne siete privi.

Vi conviene stare allerta, perché il nemico è scaltro: ha in animo di far sì che voi prestiate fede più alle vostre facoltà intellettuali che all'insegnamento tradizionale dei santi Padri, o al lavoro della grazia e alla volontà di Dio.

Quante volte avete letto, e quante volte avete sentito da persone sante, sagge e degne di fede, che non appena nacque Beniamino, sua madre Rachele morì.

Per Beniamino si intende la contemplazione, per Rachele, la ragione.

Non appena l'anima riceve il tocco della vera contemplazione, come succede nel nobile annientamento di sé e nell'esaltazione di Dio come il tutto, avviene davvero che la ragione dell'uomo muore.

E siccome l'avete letto così spesso, e non da un solo autore o due, ma da parecchi, e tutti santi e degni di stima, perché non ci credete?

E se ci credete, perché osate indagare con la vostra ragione frugando tra le parole e gli atti di Beniamino?

Beniamino rappresenta tutti coloro che, nell'estasi d'amore, sono rapiti al di sopra del loro spirito, secondo la parola del profeta: « Ibi Beniamin adolescentulus in mentis excessu … Lì il fanciullo Beniamino nel trasporto dello spirito … ».

Cercate dunque di non essere come quelle donne malvagie che uccidono i loro neonati.

Perciò fate bene attenzione, e non levate la punta della vostra lancia presuntuosa contro la potenza, l'intelligenza e la volontà di nostro Signore, fidando nella vostra abilità: ciechi e inesperti come siete, potreste far ricadere Beniamino, proprio mentre pensate sia giusto il momento di sostenerlo nel suo trasporto.

Quando la santa chiesa era ancora agli inizi, nel periodo delle persecuzioni, quanti fedeli, e di tutte le condizioni sociali, furono meravigliosamente raggiunti dal tocco improvviso della grazia così che, immediatamente e senz'altra previa preparazione, gli artigiani abbandonando i loro strumenti, gli scolari le loro tavolette, tutti correvano, senza pensarci su due volte, al martirio con i santi.

Se è successo così allora, perché non credere che Dio ancor oggi, in tempo di pace, possa e voglia toccare, con uguale subitaneità, diverse anime con la grazia della contemplazione, e che lo faccia realmente?

Sono convinto che agirà proprio così con i suoi eletti, in modo del tutto gratuito; perché alla fine vuol manifestarsi per quel che è, e riempire di stupore il mondo intero.

L'anima che si annulla per amore e che esalta il suo Dio come il tutto, sarà protetta, per la grazia, da tutti i nemici spirituali e materiali che cercheranno di abbatterla: e questo avverrà senza il minimo sforzo o fatica da parte sua, ma solo in virtù della bontà di Dio.

È nell'ordine stesso della ragione divina che egli si prenda cura di tutti quanti, conquistati dall'amore per lui, dimenticano di salvaguardare la loro persona.

Quindi non c'è da meravigliarsi se essi restano miracolosamente protetti: sono diventati totalmente umili nell'audacia e nel vigore del loro amore.

Chi non osa agire così, ma critica questo comportamento, ha un demonio dentro al petto che gli porta via la confidenza amorosa che dovrebbe avere verso Dio, e la benevolenza nei riguardi dei suoi fratelli; oppure non è ancora perfettamente umile come dovrebbe essere, ammettendo che egli voglia puntare alla vera vita contemplativa.

Perciò non restare confuso, se devi umiliarti a tal punto davanti al tuo Signore e dormire nella cieca considerazione di Dio così com'è, malgrado tutto il baccano di questo mondo cattivo, gli inganni del diavolo e la fragilità della carne.

« Nostro Signore sarà lì pronto ad aiutarti e preserverà il tuo piede perché tu non cada nei lacci ».

È giusto paragonare questo lavoro a un sonno.

Quando si dorme, i sensi sospendono la loro attività, cosa che il corpo possa riposare in pace e ricuperare appieno le sue forze naturali.

Allo stesso modo, nel sonno spirituale di cui stiamo parlando, le continue, assurde ricerche alimentate dalle nostre facoltà intellettuali sregolate, e le fantasticherie della nostra immaginazione, vengano imbrigliate e completamente annientate.

Così l'anima beata può dormire un sonno tranquillo e riposare nell'amorosa contemplazione di Dio così com'è, ridando forza e vigore alla sua natura spirituale.

Perciò metti a freno le tue facoltà quando offri a Dio la percezione nuda e cieca del tuo essere.

Bada bene, come ho già detto più volte, che questa percezione sia nuda, non rivestita di nessuna qualità del tuo essere.

Altrimenti, se la ammanti di considerazioni sulla dignità del tuo essere o su qualsiasi condizione propria dell'uomo o di un'altra creatura, dai subito alimento alle tue facoltà, fornisci loro l'occasione e la forza di dissiparti in cose di ogni genere, così che alla fine ti ritrovi distratto dal tuo lavoro senza accorgertene.

Stai bene attento a questo inganno, te ne prego.

7. [ La contemplazione è perfezione nell'amore. A questo si ispirano tutti gli scritti dell'autore ].

Ma forse, stimolato dalle tue facoltà curiose, che non capiscono niente di quel che vai facendo, ti metti a vagliare attentamente il tuo lavoro: ti meravigli del modo in cui procede e lo consideri con sospetto.

Non ti devi stupire di tutto questo; finora sei stato fin troppo abile nell'usare le tue facoltà, per sperare di capire qualcosa di un simile lavoro.

E forse vai chiedendoti interiormente se sia un lavoro che piace a Dio oppure no; e in caso affermativo, come possa piacergli così tanto, secondo quanto io vado sostenendo.

Ti rispondo subito: la tua è una domanda posta da un'intelligenza inquieta, che non vuole in alcun modo lasciarti andare avanti con il tuo lavoro, se prima non è stata soddisfatta la sua curiosità con qualche valida argomentazione.

Perciò non voglio esserti di ostacolo; tuttavia, rendendomi in un certo senso simile a te, darò soddisfazione alla tua ragione orgogliosa, in modo che poi tu sia come me e segua i miei consigli, senza porre limiti alla tua umiltà.

Infatti, come afferma s. Bernardo, l'umiltà perfetta non conosce limiti.

Tu poni dei limiti alla tua umiltà quando ti rifiuti di seguire i consigli del tuo direttore spirituale perché non collimano con le tue vedute.

Ecco, avrai capito che io ho la pretesa di essere il tuo direttore spirituale!

Faccio sul serio, e intendo esserlo appieno.

È l'amore che mi spinge a tanto, ne sono convinto; e non una certa attitudine che io posso riscontrare in me per via dell'elevatezza della mia dottrina, o del mio lavoro, o del mio genere di vita.

Dio corregga quel che va corretto, perché egli conosce con pienezza, mentre io solo in parte.

Ma ora voglio soddisfare la tua ragione orgogliosa, facendo l'elogio di questo lavoro.

In verità, se l'anima che vi si dedica avesse lingua per esprimere quel che prova, tutti i grandi dottori della cristianità resterebbero stupiti dalla saggezza racchiusa in un simile lavoro.

Sì, in confronto a essa, tutta la loro dottrina apparirebbe come pura follia.

Pertanto non meravigliarti se non riesco a esprimere la sublimità di questo lavoro con la mia lingua rozza e carnale.

Dio non voglia che esso venga profanato e deformato dai patetici sforzi di una lingua grossolana come la mia.

No, non può accadere, e di certo non avverrà; Dio mi impedisca anche solo di desiderarlo.

Tutto ciò che si dice, è pur sempre un parlare di questo lavoro, e non ancora questo lavoro.

Tuttavia, se anche non possiamo esprimerlo a parole, accontentiamoci di parlarne a confusione delle intelligenze orgogliose, in particolare della tua: è questo l'unico motivo, o almeno l'occasione, per continuare il mio discorso in questo momento.

Innanzitutto voglio domandarti in che cosa consista la perfezione dell'anima umana e quali siano le proprietà tipiche della perfezione.

Rispondo io al tuo posto: tale perfezione non è altro che l'unità realizzata tra Dio e l'anima in carità perfetta.

Questa perfezione è così elevata e pura in se stessa, così al di sopra dell'umana comprensione, che non la si può conoscere o percepire in se stessa.

Ma dove si possono realmente vedere e percepire le proprietà tipiche di questa perfezione, lì molto probabilmente si trova in pienezza la sua stessa essenza.

Bisogna quindi conoscere per prima cosa le proprietà di questa perfezione, per poter affermare che questo esercizio spirituale supera per eccellenza tutti gli altri.

Le proprietà tipiche della perfezione, quelle che deve avere ogni anima perfetta, sono le virtù.

Ora, se consideri con attenzione quel che succede nella tua anima e contemporaneamente esamini le proprietà e le caratteristiche di ciascuna virtù in particolare, troverai che in questo lavoro sono comprese in maniera chiara e perfetta tutte le virtù: non c'è bisogno di forzare il loro significato o di alterare il loro scopo.

Non intendo parlare qui di nessuna virtù in particolare, non ne val la pena; se vuoi, puoi vedere la trattazione che ne ho fatto in diversi punti dei miei scritti.

Infatti questo lavoro, concepito nel giusto senso, non è altro che l'adorazione amorosa e il frutto colto dall'albero di cui ho parlato nella breve lettera sulla preghiera; è questa la nube della non-conoscenza; questo, il segreto amore offerto in purezza di spirito; è l'Arca dell'Alleanza; è la teologia di Dionigi, la sua saggezza, il suo tesoro nascosto, la sua oscurità luminosa e la sua scienza ignorante.

È questo lavoro che ti pone nel silenzio, sia di pensieri che di parole; è questo lavoro che rende breve la nostra preghiera; è in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare il mondo e a disprezzarlo.

Ma c'è di più! È in questo lavoro che puoi imparare ad abbandonare e disprezzare il tuo stesso io, secondo l'insegnamento di Cristo nel vangelo: « Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me; Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua ».

Ed è come se dicesse alla tua intelligenza, riguardo all'argomento che stiamo trattando: « Chiunque vuol venire », umilmente, non con me, ma « dietro di me », alla beatitudine del cielo o al monte della perfezione …

Cristo, infatti, ci ha preceduti per natura; noi, invece, veniamo dopo di lui per la grazia.

La sua natura vale più della grazia, e la grazia vale più della nostra natura.

E con questo egli vuol farci comprendere appieno che per noi è assolutamente impossibile seguirlo sul monte della perfezione, giusto il caso del nostro lavoro, se non siamo mossi e guidati dalla grazia.

Tutto ciò è quanto mai vero.

Cerca di convincerti di questo, tu e tutti quelli che, nelle tue stesse condizioni, dovessero leggere o sentire questo mio scritto: anche se ti esorto a intraprendere il lavoro in tutta semplicità e ardimento, tuttavia mi rendo conto, e non ho paura di sbagliare, che è Dio Onnipotente, con la sua grazia, a metterti in movimento.

È sempre lui l'artefice principale, che si serva di altri strumenti o meno.

E tu, al pari di quanti si trovano nelle tue stesse condizioni, non puoi far altro che acconsentire e subire la sua azione.

Naturalmente, il tuo consenso e la tua accettazione passiva durante questo lavoro, presuppongono una disposizione interiore e un'attitudine che devono essere realizzati da te in purezza di spirito e costituire la tua degna offerta al re del cielo.

È quanto imparerai tu stesso per esperienza, attraverso la luce interiore del tuo spirito.

Siccome Dio nella sua bontà smuove e tocca ciascuna anima in modo diverso, a volte per mezzo di intermediari, altre volte senza, chi oserebbe affermare che Dio non può servirsi di questo mio scritto per smuovere te, e con te tutti quanti dovessero leggerlo o sentirlo, contentandosi di prendere me, nonostante la mia indegnità, come suo intermediario?

In ogni caso, sia fatta la sua santa volontà, ciò che a lui piace e come a lui piace.

Per conto mio, penso che possa benissimo accadere quanto ho prospettato prima; sarà il lavoro stesso, una volta messo in pratica, ad attestarne la veridicità.

Perciò, ti prego, preparati a ricevere questa grazia del tuo Signore, e ascolta le sue parole: « Se qualcuno vuol venire dietro di me », nel senso già detto, « rinneghi se stesso … ».

E come può un uomo, dico io, rinnegare se stesso e il mondo, e disprezzarli entrambi, in misura maggiore di quanto possa essere il rifiuto di considerare le qualità proprie dell'uno e dell'altro?

8. [ Attraverso la dimenticanza del proprio essere si percepisce l'essere di Dio.

Questa totale spogliazione è causa di grande sofferenza ].

Sta' pur certo di questo: anche se ti ho detto di dimenticare tutto, tranne la cieca coscienza del tuo nudo essere, tuttavia io vorrei - era questa la mia intenzione fin dall'inizio - che tu dimenticassi anche la coscienza del tuo stesso essere, per restare con la sola coscienza dell'essere di Dio.

È per questa ragione che ti ho dimostrato all'inizio come Dio sia l'essere del tuo essere.

Ma dal momento che le tue impressioni spirituali si rivelavano ancora rudimentali, mi sembrava che tu non fossi in grado di elevarti tutt'a un tratto alla percezione spirituale dell'essere di Dio.

Allora, perché tu potessi arrivarci passo passo, ti avevo raccomandato di rosicchiare la nuda coscienza del tuo essere fino al momento in cui, dopo lunga perseveranza in questo segreto lavoro spirituale, saresti stato capace di sentire Dio in maniera più elevata.

E infatti durante la contemplazione il tuo unico scopo e desiderio deve essere quello di percepire Dio.

Se quindi all'inizio ti ho esortato ad avvolgere e rivestire la percezione di Dio in quella del tuo essere, è per via della tua inesperienza e del tuo spirito ancora rude.

Ma poi, reso più saggio da un assiduo esercizio compiuto nella purezza del tuo spirito, ti dovrai denudare, spogliare e svestirti completamente di ogni coscienza di te stesso, per essere rivestito, in virtù della grazia, della coscienza di Dio in quanto tale.

Questa è la vera condizione per chi vuol amare in modo perfetto: deve spogliarsi totalmente del proprio io per amore della cosa che gli sta a cuore; e non deve permettere né sopportare di essere rivestito d'altro che della sola cosa che è oggetto del suo amore; inoltre, deve restarvi avvolto non per un po' di tempo soltanto, ma per sempre, fino a dimenticare il suo io in maniera completa e definitiva.

In questo modo opera l'amore, e nessuno può saperlo all'infuori di chi ne fa esperienza.

È quanto ci insegna nostro Signore quando dice: « Chi vuol amarmi, rinneghi se stesso », come a dire: Si spogli di se stesso, chi vuol essere davvero rivestito di me, che sono l'ampia veste dell'amore, dell'amore eterno e senza fine.

Perciò, tutte le volte che, osservando il tuo lavoro, ti accorgerai di avere ancora la percezione di te stesso, e non del tuo Dio, dovrai dolertene sinceramente e bramare dal pro fondo del cuore di avere la percezione di Dio.

E cercherai, senza mai stancarti, di sbarazzarti sempre di più della percezione dolorosa e della deplorevole coscienza del tuo nudo essere, e coverai dentro di te l'ardente desiderio di fuggire dal tuo io, quasi fosse un serpente velenoso.

Allora sì che rinnegherai te stesso e disprezzerai il tuo io con piena determinazione, proprio come ti ha comandato il tuo Signore.

Avrai dunque dentro di te quest'unico, struggente desiderio: non di non essere - sarebbe pazzia e disprezzo nei confronti di Dio -, ma di perdere completamente la consapevolezza e la coscienza del tuo io, il che è assolutamente necessario se si vuole gustare perfettamente l'amore di Dio qui su questa terra.

A questo punto ti accorgerai di non riuscire in alcun modo a realizzare il tuo proposito, perché, nonostante la tua concentrazione, sarai sempre accompagnato e seguito nel tuo lavoro dalla nuda coscienza del tuo cieco essere, salvo rari, brevissimi momenti in cui Dio ti concederà di gustarlo in abbondanza d'amore.

E come all'inizio le qualità del tuo essere si frapponevano fra te e il tuo io, così ora la nuda coscienza del tuo cieco essere peserà su di te e si insinuerà tra te e il tuo Dio.

Allora ti sembrerà di avere un fardello troppo pesante e penoso da portare; in verità, sarà proprio così.

E che Gesù ti aiuti in quel momento, perché ne avrai veramente bisogno.

Tutte le sofferenze che ci possono essere, non sono niente al suo confronto: tu ora sarai una croce per te stesso.

Ma è esattamente questo il lavoro e la strada per arrivare a nostro Signore, secondo le sue stesse parole: per prima cosa « prenda la sua croce », nella macerazione del suo io, e poi « mi segua », nella beatitudine o sul monte della perfezione, gustando la dolcezza del mio amore e facendo la divina esperienza del mio io.

Di qui puoi vedere come sia bene per te struggerti dal dolore nel desiderio di perdere la coscienza del tuo essere, e dover portare penosamente il fardello del tuo io come una croce, prima di essere unito a Dio nella percezione spirituale del suo essere: si tratta della carità perfetta.

E puoi anche renderti conto, almeno in parte e nella misura in cui la grazia ti ha toccato e segnato spiritualmente, della dignità sovreminente di questo lavoro nei confronti di tutti gli altri.

9. [ Si giunge alla contemplazione per mezzo della porta della devozione, che consiste nel meditare soprattutto sulla passione di Cristo ].

Ma, dimmi, come potresti arrivare alla contemplazione mediante l'uso delle tue facoltà intellettuali?

Non ci arriveresti mai, né con delle belle considerazioni, né con ragionamenti sottili e complicati, né con l'attività dell'immaginazione, né riflettendo sulla tua misera vita, e nemmeno meditando sulla passione di Cristo o sulle gioie del cielo, sulla Madonna, o gli angeli e i santi, o sulle qualità e gli attributi più strani, o in generale sulle caratteristiche proprie del tuo essere o di quello di Dio.

Di certo farei meglio ad avere quella nuda, cieca coscienza di me stesso di cui ho parlato prima.

Nota quanto dico: la coscienza non delle mie azioni, ma di me stesso.

Molti confondono le proprie azioni con se stessi, ma a torto: un conto sono io che agisco, un conto sono le mie azioni; la stessa cosa vale per Dio: un conto è egli in se stesso, un conto sono le sue opere

Preferirei dunque avere il cuore a pezzi dalle lacrime per il fatto di non riuscire a percepire Dio, e di dover invece portare il penoso fardello del mio essere; e certo mi gioverebbe di più infiammare d'amore il mio desiderio e bramare ardentemente di percepire Dio così com'è, piuttosto che dedicarmi a tutte le sottili disquisizioni, le immaginazioni più straordinarie o le meditazioni più disparate, per quanto possano apparire sante o attraenti agli occhi delle tue facoltà curiose.

Ciò nonostante, queste belle meditazioni sono inizialmente il mezzo migliore che un peccatore abbia per arrivare alla percezione spirituale di se stesso e di Dio.

Ancora, mi vien da pensare che è impossibile, anche se a Dio tutto è possibile, che un peccatore possa raggiungere uno stato di chiara percezione spirituale di sé e di Dio, senza aver prima considerato, attraverso l'immaginazione e la meditazione, le opere materiali compiute da lui stesso o da Dio, e senza aver pianto o gioito a seconda che caso lo richiedesse.

Chi non passa per questa strada, non può sperare di entrare; perciò dovrà starsene fuori, e proprio nel momento in cui penserà di essere entrato.

Molti credono di aver varcato la porta spirituale, mentre rimangono all'esterno, e vi resteranno finché non cercheranno la porta con umiltà.

Alcuni la trovano facilmente e entrano prima di altri: tutto dipende dal portiere, senza alcun merito o pedaggio da parte loro.

Che dimora straordinaria, la spiritualità!

Il Signore non ne è solo il portiere, ma anche la porta: è il portiere per via della sua divinità e la porta per via della sua umanità.

Egli stesso dice nel vangelo: « Ego sum ostium; si quis per me intraverit, salvabitur: et sive egredietur, sive ingredietur, pascua inveniet.

Qui vero non intrat per ostium, sed ascendit aliunde, ille fur est et latro ».

Ed è come se dicesse, in riferimento al nostro argomento: Io, che sono onnipotente per la mia divinità e che, in qualità di portiere, sono libero di aprire a chi voglio, e da qualunque via provenga, tuttavia ho voluto che ci fosse una via ordinaria e semplice, una porta aperta a tutti quanti volessero entrare, in modo che nessuno potesse scusarsi di non conoscere la strada.

Ecco perché mi sono rivestito della natura comune a tutti gli uomini: mi sono adeguato a tal punto da diventare la porta con la mia umanità, e chiunque entra per mezzo mio, sarà salvo.

Entra per la porta chi medita sulla passione del Signore, chi si duole di esserne la causa con la sua malvagità e rimprovera amaramente se stesso per aver meritato tali sofferenze, senza averle però subite; costui deve allora provare pietà e compassione per il Signore che, malgrado la sua dignità, si abbassò a tanto soffrire senza averlo meritato; e poi deve elevare il cuore verso l'amore e la bontà della divinità che non disdegnò di umiliarsi fino al punto di assumere la nostra umanità debitrice della morte.

Chi agisce così, entra per la porta, e sarà salvo.

Che poi penetri più all'interno, contemplando l'amore e la bontà della divinità di Cristo, o che si fermi a considerare le sofferenze della sua umanità, troverà sempre alimento spirituale per la sua devozione, a sufficienza e in abbondanza, per la salute e la salvezza dell'anima, anche se in questa vita non andrà mai più in là.

Chi invece non entra per la porta, ma cerca di arrampicarsi fino alla contemplazione in qualche altro modo, per mezzo di sottili indagini, capricci della fantasia e sforzi di ogni tipo delle proprie facoltà sregolate; chi dunque fa a meno dell'entrata accessibile a tutti, cui si è accennato prima, e non segue le giuste direttive dei padri spirituali, costui, chiunque sia, è non solo un ladro della notte, ma anche un brigante del giorno.

È un ladro della notte, perché cammina nell'oscurità del peccato, fidando più nella sua presunzione e nel suo personale intelletto che non nei buoni consigli di un direttore spirituale e nella facile via comune di cui si è detta.

Ma è anche un brigante del giorno, perché con il pretesto di voler condurre una vita puramente spirituale, si appropria dei segni esteriori e del vocabolario della contemplazione, senza coglierne il frutto.

E cosa a volte gli capita di sentire interiormente un piacevole desiderio, anche se piccolo, di avvicinarsi a Dio.

Accecato da questa impressione, pensa che tutto quanto va facendo sia senz'altro buono.

Invece è l'impresa più pericolosa che un giovane possa tentare, quella di seguire l'ardore del suo desiderio senza lasciarsi guidare da un direttore spirituale.

E questo vale soprattutto se vuol mettersi a scalare delle vette che non solo trascendono la sua esperienza, ma sono anche al di fuori della strada semplice e comune a tutti i cristiani; quella strada che, secondo l'insegnamento di Cristo, è la porta della devozione e il mezzo più sicuro in questa vita per arrivare alla contemplazione.

10. [ Chiamata alla salvezza e chiamata alla perfezione dell'amore contemplativo.

La triplice testimonianza del padre spirituale, della coscienza e dello Spirito santo ].

Ma ora torniamo a un argomento che è di particolare interesse per te, e per quanti si trovano nelle tue stesse disposizioni.

Mi dirai: se tale è la porta, quando un uomo l'ha trovata deve restare per sempre sulla soglia, o comunque varcarla appena appena, senza mai spingersi più in là?

Rispondo io al tuo posto e dico che fa bene a rimanere così, finché non sia stata grattata via, almeno in gran parte, la spessa ruggine della sua rozza materialità, testimoni il suo direttore spirituale e la sua coscienza.

Ma soprattutto deve attendere di essere chiamato più all'interno dalla segreta ispirazione dello Spirito di Dio.

Tale ispirazione è l'attestazione più rapida e più sicura che uno possa avere in questa vita, per sapere se è chiamato e attirato più all'interno a compiere un lavoro di grazia più particolare.

Un uomo può costatare il tocco speciale della grazia a questo modo: egli sente dentro di sé, durante i suoi continui esercizi, come un soave desiderio sempre crescente di avvicinarsi di più a Dio, per quel tanto che è possibile quaggiù per mezzo di un sentimento spirituale del tutto speciale; e prova lo stesso fervore quando sente altri parlare di questo desiderio o ne trova scritto sui libri.

Chi invece, nel sentire o nel leggere qualcosa attinente, il lavoro spirituale, e soprattutto negli esercizi giornalieri, non si sente mosso da un crescente desiderio di avvicinarsi di più a Dio, rimanga fermo sulla porta: ha la vocazione alla salvezza, ma non alla perfezione.

Ti voglio poi raccomandare una cosa, chiunque tu sia a leggere o ad ascoltare questo mio scritto, e in particolare questo punto in cui faccio una distinzione tra quanti sono chiamati alla salvezza e quanti sono chiamati alla perfezione.

Quale che sia la tua vocazione, non ti permettere di giudicare o di discutere gli atti di Dio o quelli di un uomo; limitati a esaminare i tuoi.

Non ti deve interessare, per esempio, di sapere chi Dio muova e chiami alla perfezione, e chi no; oppure, a proposito del: tempo, perché egli chiami uno più in fretta di un altro.

Se non vuoi cadere in errore, non giudicare; ma ascolta e cerca di capire.

Se sei stato chiamato, dà lode a Dio e prega di non cadere.

Se invece non sei stato ancora chiamato, prega umilmente Dio di chiamarti, quando lui lo vorrà.

Ma non pretendere di insegnargli il suo mestiere. Lascia fare a lui.

Egli è abbastanza potente, saggio e benevolo per fare ciò che è meglio per te e per tutti quelli che lo amano.

Qualunque sia la tua parte, ritieniti soddisfatto.

Non c'è motivo che tu ti lamenti: le due parti sono entrambe preziose.

La prima è buona e assolutamente indispensabile; la seconda è migliore: chi può ottenerla, la ottenga; o, più esattamente, la ottenga chi vi è portato dalla grazia e chiamato a tanto da nostro Signore.

Noi da soli possiamo anche insistere orgogliosamente, ma alla fine inevitabilmente cadiamo; infatti, senza nostro Signore, tutto quello che facciamo è un niente.

L'ha detto lui stesso: « Sine me nihil potestis facere ».

Se non sono io il motore primo e l'artefice principale, e voi solo soggetti passivi e consenzienti, non potete far niente che mi possa piacere perfettamente e in questo modo dovrebbe svolgersi il lavoro di cui parliamo.

Tutto questo lo dico per confondere la sbagliata presunzione di quanti, spinti dall'esuberanza del loro sapere o della loro intelligenza naturale, vogliono essere sempre loro gli artefici principali dei loro atti, lasciando a Dio di acconsentire e di restare passivo, mentre è vero proprio il contrario quando si tratta della contemplazione.

In questa materia, tutte le argomentazioni sottili della propria scienza o perspicacia naturale vanno messe da parte, in modo che sia Dio l'agente principale.

Al contrario, nelle questioni attinenti la vita attiva, il sapere dell'uomo e la sua intelligenza naturale devono collaborare con Dio, al quale spetta soltanto di dare il suo consenso spiritualmente, attraverso la testimonianza delle scritture, le indicazioni del direttore spirituale e i costumi che possono variare a seconda della natura, del grado, dell'età e del temperamento di ciascuno.

Pertanto, nelle cose della vita attiva nessun uomo deve seguire un impulso spirituale, per quanto possa sembrare piacevole e santo, se questo non ricade nel campo della sua scienza o delle sue capacità naturali, anche nel caso in cui tutti e tre, o uno solo dei testimoni citati prima, dovessero caldeggiarlo con tutte le loro forze.

È certamente saggio che un uomo debba essere superiore ai suoi compiti.

È per questo motivo che gli statuti e i regolamenti della santa chiesa prevedono che nessuno possa essere ammesso all'episcopato, che è il grado più elevato della vita attiva, senza un serio esame che attesti che l'alto compito cui il candidato è chiamato non è superiore alle sue forze.

Quindi nella vita attiva il sapere dell'uomo e le sue facoltà naturali devono esercitarsi in pienezza, con il consenso e la grazia di Dio, a cui va aggiunta l'approvazione dei tre testimoni.

Ed è bene che sia così, perché tutte le cose della vita attiva sono dominate e regolate dalla prudenza umana.

Ma nelle cose contemplative, la più alta saggezza che l'uomo possa avere in quanto uomo, viene ricacciata in basso, perché Dio deve essere l'artefice principale; l'uomo deve solo acconsentire e rimanere passivo.

Quindi io interpreto queste parole del vangelo: « Sine me nihil potestis facere, senza di me non potete fare niente », in una maniera per gli attivi e in un'altra per i contemplativi.

Quanto agli attivi, Dio consente o lascia fare, o tutt'e due le cose insieme, a seconda che sia un atto lecito o meno, a lui gradito o no.

Quanto ai contemplativi, è lui l'artefice principale, e a loro non chiede altro che di lasciarlo fare e acconsentire.

In senso generale, quindi, è senz'altro vero che in tutte le nostre azioni, lecite o meno, attive o contemplative, senza di lui non riusciamo a combinare un bel niente.

Egli è con noi anche quando pecchiamo, perché ci lascia fare, pur negandoci il suo consenso: e tutto ciò sarà a nostra dannazione finale, se non ci correggiamo in tempo con umiltà.

Quando le nostre azioni riguardano la vita attiva e sono lecite, egli è con noi lasciandoci fare e dandoci il suo consenso: a nostro maggior biasimo se poi indietreggiamo, a nostra maggior ricompensa se invece avanziamo.

Ma in ciò che concerne la vita contemplativa, egli è con noi come motore primo e artefice principale: a noi non resta che acconsentire e rimanere passivi; siamo cosa condotti ad una perfezione più grande e all'unione spirituale della nostra anima con lui in carità perfetta.

Poiché gli uomini a questo mondo si possono dividere in tre categorie: i peccatori, gli attivi e i contemplativi, le parole del Signore si possono applicare a tutti in generale, ed è come se suonassero a questo modo: Senza di me che lascio fare ai peccatori pur negando il mio consenso alle loro opere, che nei riguardi degli attivi lascio fare e acconsento, e che, infine, per i contemplativi sono il motore primo e l'artefice principale, senza di me, dunque, non potete far niente.

Tante parole per un contenuto così semplice!

Tuttavia, se mi sono dilungato su questo argomento è per insegnarti in quali casi tu debba esercitare le tue facoltà intellettuali e in quali no; e poi come Dio sia presente in maniera diversa a seconda dei tipi di azione.

Può anche darsi che, grazie alla mia illustrazione, tu abbia a evitare degli errori in cui saresti altrimenti incorso.

Ma ora, visto che le ho già scritte, lasciamo da parte le riflessioni che non avevano troppa pertinenza con il nostro argomento, e portiamoci avanti invece con questo.

11. [ I segni con cui si può cogliere la chiamata di Dio alla contemplazione ].

Probabilmente mi vuoi porre questa domanda: Potresti dirmi, se non ti dispiace, qual è il segno o i segni attraverso cui io possa capire, nel più breve tempo e senza tema di sbagliare, se il desiderio crescente che provo nei miei esercizi quotidiani e la sensazione piacevole che avverto all'ascolto e alla lettura dell'argomento della contemplazione, sono davvero una chiamata di Dio a un lavoro di grazia più speciale, che è poi il terna ricorrente di questo libro?

Oppure non sono altro che un nutrimento normale e un sostegno dato al mio spirito perché rimanga quieto nel mio stato e continui a lavorare nel grado comune di grazia, quello che tu chiami la, porta e l'entrata comune a tutti i cristiani?

Cerco subito di risponderti meglio che posso.

Come vedrai poco più avanti, io ti indico due tipi di prove per verificare se sei chiamato da Dio al lavoro contemplativo: una è interiore, l'altra esteriore.

Nessuna delle due, secondo me, è pienamente sufficiente in questo caso senza l'altra.

Ma se le metti assieme tutt'e due e vedi che concordano, allora hai una prova certa e indubitabile; puoi star sicuro di non sbagliare.

La prima delle due prove, quella interiore, è il crescente desiderio che avverti nel dedicarti quotidianamente al lavoro spirituale.

C'è una cosa che devi sapere al riguardo: questo desiderio è di per sé un atto cieco dell'anima ( infatti, è per l'anima quel che il muovere i passi rappresenta per il corpo, e tu sai benissimo che questo avviene per una serie di atti istintivi ); ma per quanto possa essere cieco, questo desiderio è accompagnato e seguito da una certa qual visione spirituale che è, in parte, causa e contemporaneamente mezzo per alimentare il desiderio stesso.

Perciò considera con attenzione i tuoi esercizi spirituali di ogni giorno e vedi in che cosa consistono essenzialmente.

Se sei occupato dalla coscienza della tua miseria, dalla passione di Cristo o da qualsiasi altro argomento che appartiene alla suddetta entrata comune a tutti i cristiani, e se quindi la visione spirituale che accompagna e segue il tuo cieco desiderio, nasce da simili considerazioni alla portata di tutti, allora è per me un indice manifesto che la crescita del tuo desiderio non è che un nutrimento e un sostegno dato al tuo spirito perché rimanga tranquillo e continui a lavorare nello stato comune di grazia.

Perciò non vi è in questo caso né una chiamata né una spinta di Dio a operare in uno stato di grazia più speciale.

E ora l'altra prova, quella esteriore: si tratta di una sensazione piacevole che senti all'ascolto o alla lettura del lavoro contemplativo.

Questa prova la chiamo esteriore, perché proviene dal di fuori, dalle finestre dei sensi corporei, le orecchie e gli occhi nel nostro caso.

Se questa sensazione piacevole non perdura al di là del tempo dedicato a tale lettura o ascolto, ma cessa subito o poco dopo; se non rimane in te e con te sia quando dormi che quando ti risvegli; e soprattutto se non ti accompagna costantemente nei tuoi esercizi quotidiani, insinuandosi e frapponendosi fra te e loro, ravvivando e dirigendo il tuo desiderio: se dunque non capita così, è segno evidente, secondo me, che quella sensazione piacevole non è altro che una contentezza naturale che prova ogni cristiano quando vede e ascolta la verità.

Quella sensazione piacevole è ancora più viva quando è provocata da una spiegazione più precisa ed esatta delle caratteristiche della perfezione che più si accordano all'anima dell'uomo e alla natura di Dio.

Non è quindi un tocco spirituale della grazia, né una chiamata di Dio a un lavoro di grazia più speciale di quello rappresentato dalla porta e dall'entrata comune a tutti i cristiani.

È ben diverso, invece, se questa sensazione piacevole è così sovrabbondante che ti accompagna a letto, si alza con te al mattino e ti segue per tutta la giornata, qualsiasi cosa tu faccia.

Ti strappa ai tuoi soliti esercizi quotidiani e si intromette tra te e loro; si associa al tuo desiderio e lo segue così bene che tutti e due sembrano formare un unico desiderio o comunque qualcosa di inspiegabile.

Trasforma i tuoi gesti e ti dà un bell'aspetto; finché dura, tutto ti piace e niente ti può dar fastidio.

Se dovessi venire a sapere che uno prova la tua stessa sensazione, faresti volentieri mille miglia per comunicare con lui; eppure, una volta incontratolo, ti verrebbero meno le parole, perché è la cosa stessa che ti interessa, non il parlarne.

Ne parli invece chi vuol farlo.

Allora le tue parole sono veramente poche: ma piene di frutto e di fuoco.

Una semplice parola della tua bocca contiene un mondo di saggezza; eppure sembra follia a quelli che si affidano alle facoltà naturali.

Il tuo silenzio è soave, il tuo parlare opportuno, la tua preghiera segreta, la consapevolezza di quello che vali del tutto veritiera; le tue maniere sono umili, la tua gioia contenuta, il tuo desiderio quello di giocare amabilmente con un bambino.

Ti piace restar solo, seduto con te stesso; hai paura che la compagnia degli uomini ti possa ostacolare; a meno che si mettano anche loro a fare il tuo lavoro.

Non ti va di ascoltare o leggere libri che esulino da questo argomento.

Se dunque ti succede proprio così, le due prove, quella interiore e quella esteriore, vanno di pari passo e confluiscono in una sola.

12. [ Desolazioni e consolazioni che si incontrano nell'esercizio della contemplazione.

Le ragioni per cui Dio ci manda le une e le altre, durante la navigazione della nostra vita ].

Tutto ciò è vero; ma può darsi benissimo che i due segni che ho appena indicato, una volta riscontrati in te, con tutte le loro caratteristiche o con qualcuna soltanto, vengano meno per un poco di tempo: ti ritroverai come spogliato di tutto, privato sia di questo nuovo fervore che del vecchio lavoro a cui ti eri abituato.

Avrai l'impressione di essere caduto tra i due, senza possedere né l'uno né l'altro, e soffrirai per la perdita di entrambi.

Ma non lasciarti prendere dallo sconforto: sopporta con umiltà e attendi con pazienza il volere di nostro Signore.

Ora ti trovi, per usare una similitudine, in pieno mare spirituale: hai lasciato tutto ciò che sa di materiale per far vela verso la terra dello spirito.

Allora, forse, si leveranno grandi tempeste e innumerevoli tentazioni, e tu non saprai dove correre al riparo.

Ti sembrerà che tutto sia sparito: grazia ordinaria e grazia speciale.

Non temere più del dovuto, anche se ti sembrerà di averne motivo; confida amorosamente, per quel poco che ne sarai capace al momento, in nostro Signore, perché egli non si troverà affatto lontano.

Forse non passerà molto tempo che egli getterà gli occhi su di te e ti raggiungerà con un tocco di grazia ancor più fervente di quanto abbia mai potuto fare prima.

E subito ti sentirai ristabilito; e tutto ti sembrerà bello finché durerà questa grazia.

Ma a un tratto, prima ancora di rendertene conto, tutto si allontana di nuovo e ti ritrovi solo, abbandonato sulla tua imbarcazione, sbattuto dai colpi del vento che ora tirano da una parte ora dall'altra, senza che tu sappia donde provengano, né dove ti portino.

Tuttavia non disperare, perché ti assicuro che « il Signore verrà e non tarderà »; quando egli lo riterrà opportuno, ti consolerà e ti libererà con potenza da ogni pericolo, in modo ancor più grandioso di quanto abbia mai fatto.

Sì, e se anche si allontanerà spesso, ritornerà sempre; e ogni volta, se sopporterai con pazienza la prova, si rifarà vivo in modo ancor più splendido e ti ridarà una gioia più grande.

Agisce a questo modo perché vuol renderti docile alla sua volontà, come un guanto di pelle sulla mano.

E siccome va e viene, egli ti mette alla prova segretamente in due maniere e ti modella secondo il suo disegno.

Quando ti ritira il fervore, di cui a torto confondi l'assenza con quella di Dio, vuol soltanto provare la tua pazienza.

Sappi che se a volte ritira queste dolcezze sensibili, questi sentimenti di fervore e questi desideri ardenti, Dio non toglie per ciò stesso la sua grazia ai suoi eletti.

In verità, credo proprio che egli non ritiri mai la sua grazia speciale a coloro cui l'ha donata un tempo, a meno che essi non cadano in peccato mortale.

Ma tutte le dolcezze e consolazioni di cui ho detto, non costituiscono la grazia, sono soltanto dei segni della grazia; e se ci vengono ritirate, a volte è per esercitare la nostra pazienza, altre volte per procurarci molti altri vantaggi spirituali, al di là della nostra immaginazione.

D'altra parte la grazia è di per sé cosa eccelsa, così pura e cosa spirituale, che non la si può percepire con le nostre facoltà sensitive; i segni indicati prima, quelli sì possono essere percepiti, la grazia no.

Pertanto nostro Signore a volte ti priverà delle consolazioni sensibili per aumentare e insieme per provare la tua pazienza: ma non solo per questo motivo, anche per altri che non sto qui a dirti in questo momento.

Piuttosto, proseguiamo con il nostro argomento.

Altre volte, al contrario, Dio ti accorda queste dolcezze sensibili, che tu confondi a torto con la sua ricomparsa, in maniera più eccelsa e con maggior frequenza e forza; lo fa per nutrire il tuo spirito, e per insegnargli a vivere continuamente nell'amore e nell'adorazione.

In questo modo, con la pazienza acquistata quando mancano le consolazioni sensibili, che sono i segni della grazia, e con il nutrimento vitale e pieno d'amore che viene all'anima quando le dolcezze ricompaiono, Dio ti renderà, in entrambi i casi, gioiosamente docile e amabilmente sottomesso alla sua volontà, in una perfetta unione spirituale: questa unione è la carità perfetta.

Avverrà così che tu sarai ugualmente felice e contento di perdere le consolazioni sensibili, se tale è la sua volontà, come di possederle e gustarle in continuazione per tutta la vita.

A questo punto il tuo amore è casto e perfetto.

Ora hai una visione simultanea di Dio e del tuo amore e riesci a percepire lui direttamente, così com'è in se stesso, unendoti spiritualmente al suo amore nel punto più eccelso del tuo spirito; ma tutto ciò avviene nella oscurità, come si conviene quaggiù, e a condizione che ti sia spogliato del tuo io fino alla nudità completa e ti sia rivestito di Dio solo.

Naturalmente non devono più accompagnarti e avvolgerti tutte quelle impressioni sensibili che possono capitare in questa vita, anche se sono dolci e sante.

Allora sì che Dio viene percepito in purezza di spirito in maniera adeguata e perfetta, in se stesso e così com'è, ben lontano da ogni costruzione fantastica o idea errata che si possa avere di lui in questa vita.

Perché tu possa meglio comprendere quel che vai sperimentando, ricordati che la visione e la percezione di Dio così com'è in se stesso, non si possono separare da Dio in quanto tale, proprio come non si può separare Dio dal suo essere, dal momento che egli è uno nella sostanza e per natura.

Pertanto, come Dio non può restare separato dal suo essere a causa dell'unità della sua natura, così l'anima che gode questa visione e questa percezione, non può restare distinta da ciò che vede e percepisce, a causa dell'unità che si crea in virtù della grazia.

Ecco, questi segni ti permetteranno di costatare e verificare in parte quale sia la natura e l'eminenza della tua chiamata e di quel moto di grazia che avverti, interiormente, nel tuo lavoro spirituale, e esteriormente, in seguito all'ascolto o alla lettura dell'argomento della contemplazione.

Quando dunque avrai sperimentato, tu o qualsiasi altro si trovi nelle tue stesse disposizioni d'animo, tutti questi segni o qualcuno soltanto ( sono pochissimi, infatti, coloro che hanno ricevuto il tocco e il marchio speciale della grazia, così da provarli tutti quanti subito all'inizio ); se perlomeno ne avrai sperimentato uno o due, il che è già sufficiente, bisogna sottoporli alla testimonianza delle Scritture e all'esame del tuo direttore spirituale e della tua coscienza.

Una volta fatto questo, ti conviene lasciar perdere di tanto in tanto le complicate meditazioni e le raffinate rappresentazioni della tua mente che hanno per tema le qualità del tuo. essere e dell'essere di Dio, le tue azioni e le sue opere: sono servite a nutrire le tue facoltà e a scioglierti dai legami della materia e della carne per innalzarti al tuo stato attuale di grazia, ma ora non servono più.

13. [ Bisogna passare dalla contemplazione dell'umanità di Cristo a quella della sua divinità, attraverso la pratica di una preghiera pura ].

Lascia da parte, dunque, la conoscenza di Dio che si acquista con la riflessione e l'immaginazione, e se vuoi imparare come dedicarti spiritualmente alla semplice coscienza del tuo io e, di Dio, considera l'esempio che Cristo stesso ci ha dato nella sua vita.

In effetti, se non ci fosse stata perfezione più alta quaggiù del fatto di considerare e amare la sua umanità, io sono convinto che egli non sarebbe asceso al cielo prima della fine del mondo; e non avrebbe privato della sua presenza corporea quelli che su questa terra lo amano di un amore speciale.

E invece c'è una perfezione più alta, accessibile all'uomo già in questa vita: è l'esperienza puramente spirituale dell'amore della sua divinità.

Ecco perché Cristo disse ai suoi discepoli, rattristati dall'idea di perdere la sua presenza corporea ( come in fondo capita anche a te quando devi abbandonare le tue meditazioni particolari e le sottigliezze della tua mente speculativa ), che era bene per loro che se ne andasse via con il corpo: « Expedit vobis ut ego vadam; È meglio per voi che io me ne vada » col corpo.

E il dotto re commenta così: « Se non venisse tolta ai nostri occhi corporei la forma della sua umanità, i nostri occhi spirituali non resterebbero fissi all'amore della sua divinità ».

Perciò ti dico che è bene tralasciare di tanto in tanto le ricerche delle nostre facoltà curiose, per imparare a gustare qualcosa dell'amore di Dio all'interno della tua esperienza spirituale.

A questa percezione arriverai per la strada che ti ho mostrato, aiutato dalla grazia preveniente li Dio.

In altre parole, abbandonati sempre di più e senza mai stancarti, alla nuda coscienza del tuo io, offrendo in continuazione a Dio il tuo essere come l'offerta più preziosa che tu possa presentargli.

Ma bada bene, come ho detto più volte, che sia una percezione nuda, altrimenti cadresti in errore.

Se dunque è nuda, all'inizio sarà per te motivo di grande sofferenza restare in questo stato, perché, lo ripeto ancora, le tue facoltà non vi troveranno alcun alimento.

Non importa; se fossi al tuo posto l'amerei ancora di più.

Fa' digiunare per un po' le tue facoltà, te ne prego, così che non trovino la soddisfazione naturale insita nel conoscere.

Come è stato giustamente detto, l'uomo per natura desidera conoscere ma in verità, è solo per la grazia che può gustare l'esperienza spirituale di Dio, quali che siano le sue capacità intellettuali o la sua scienza.

Cerca perciò di aver coscienza, te ne prego, invece di conoscenza.

Il sapere a volte fa cadere in errore a causa dell'orgoglio; invece questa esperienza d'amore che si ottiene nell'umiltà, non può ingannare.

« Scientia inflat, caritas aedificat ».

La conoscenza intellettuale esige fatica, l'esperienza spirituale dona il riposo.

A questo punto puoi anche dirmi: « Di quale riposo parli? Tutto mi sembra fatica e sofferenza, non certo riposo.

Quando mi metto a lavorare secondo le tue indicazioni, non trovo altro che pena e battaglia da tutte le parti.

Da una parte le mie facoltà vorrebbero distogliermi dal mio lavoro, ma io non voglio; dall'altra, io vorrei aver coscienza di Dio e perdere coscienza di me stesso, ma non ci riesco.

Come vedi, è battaglia da tutte le parti e grande pena: se questo è il riposo di cui parli, per conto mio è un riposo ben strano! ».

Ti rispondo subito: non sei ancora avvezzo a questo lavoro, ed ecco il motivo per cui ti procura una sofferenza più grande del dovuto.

Se invece tu fossi già allenato e potessi sapere per esperienza quanto profitto deriva da un simile lavoro, non vorresti lasciarlo perdere, di tua spontanea volontà, per tutto il riposo del corpo e tutte le gioie di questo mondo.

Eppure devo confessare che non è esente da grandi fatiche e dolori.

Ma io lo chiamo ugualmente riposo, perché l'anima non ha dubbi su cosa fare, e in più è resa certa, durante il tempo che dedica a questo lavoro, di non cadere in grave errore.

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