Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

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ART. III. Pratica della mortificazione

767. Principi.

1° La mortificazione deve abbracciare l'uomo intero, corpo ed anima; perché appunto l'uomo intero, ove non sia ben disciplinato, è occasione di peccato.

Chi pecca, propriamente parlando, è la sola volontà; questo è vero, ma la volontà ha per complici e strumenti il corpo coi sensi esterni e l'anima con tutte le sue facoltà; onde tutto l'uomo dev'essere disciplinato e mortificato.

768. 2° La mortificazione prende di mira il piacere.

Il piacere in sè non è propriamente un male; è anzi un bene quando è subordinato al fine per cui Dio l'ha istituito.

Dio volle annettere un certo diletto all'adempimento del dovere a fine di agevolarne la pratica; ond'è che proviamo un certo diletto nel mangiare e nel bere, nel lavoro e in altri simili doveri.

Quindi, nell'intenzione divina, il piacere non è un fine ma un mezzo.

Gustare dunque il piacere per meglio adempiere il dovere non è cosa proibita: è l'ordine stabilito da Dio.

Ma volere il piacere per se stesso, come fine, senza alcuna relazione al dovere, è per lo meno cosa pericolosa, perché uno si espone a scivolare dai diletti permessi ai diletti peccaminosi; guastare il piacere escludendo il dovere è peccato più o meno grave, perché è violazione dell'ordine voluto da Dio.

Onde la mortificazione consisterà nel privarsi dei piaceri cattivi, contrari all'ordine della Provvidenza o alla legge di Dio o della Chiesa; nel rinunziare pure ai piaceri pericolosi per non esporsi al peccato; e perfino nell'astenersi da alcuni piaceri leciti per rendere più sicuro l'impero della volontà sulla sensibilità.

Allo stesso fine uno non solo ,si priverà di alcuni piaceri ma si infliggerà pure alcune mortificazioni positive; perché l'esperienza insegna che nulla è più efficace ad attutire l'inclinazione al piacere quanto l'imporsi qualche lavoro o qualche patimento di supererogazione.

769. 3° Ma la mortificazione deve praticarsi con prudenza o discrezione: onde vuole essere proporzionata alle forze fisiche e morali di ciascuno e all'adempimento dei doveri del proprio stato:

1) Bisogna aversi riguardo alle forze fisiche; perché, secondo San Francesco di Sales, "siamo esposti a grandi tentazioni in due casi, quando il corpo è troppo nutrito e quando è troppo estenuato".

Nell'ultimo caso infatti si cade facilmente nella nevrastenia, che obbliga poi a pericolosi riguardi.

2) Bisogna aversi pur riguardo alle forze morali, non imponendosi a principio privazioni eccessive che non si potranno continuare a lungo e che nel lasciarle possono poi condurre al rilassamento.

3) Ciò che soprattutto importa è che queste mortificazioni s'accordino coi doveri del proprio stato, perché, essendo essi obbligatori, debbono andare avanti alle pratiche di supererogazione.

Così sarebbe male per una madre di famiglia praticare austerità che le impedissero di adempiere i doveri verso il marito e verso i figli.

770. Vi è poi tra le mortificazioni un ordine gerarchico: le interne valgono certamente più delle esterne, perché prendono più direttamente di mira la radice del male.

Ma non bisogna dimenticare che queste agevolano molto la pratica di quelle; chi, per esempio, volesse disciplinare la fantasia senza mortificare gli occhi, non ci riuscirebbe gran fatto, appunto perché gli occhi forniscono alla fantasia le immagini sensibili di cui si pasce.

Fu errore dei modernisti il beffarsi delle austerità dei secoli cristiani.

Infatti i Santi di tutti i tempi, quelli beatificati ultimamente come i precedenti, castigarono duramente il corpo e i sensi esterni, convinti che, nello stato di natura decaduta, per appartenere intieramente a Dio, l'intero uomo dev'essere mortificato.

Verremo dunque percorrendo una dopo l'altra le varie specie di mortificazione, cominciando dalle esterne per arrivare alle più interne; tal è l'ordine logico; in pratica però bisogna saper usare nello stesso tempo, in prudente misura, le une e le altre.

I. Della mortificazione del corpo e del sensi esterni.

771. 1° La sua ragione.

a) Nostro Signore aveva raccomandato ai discepoli la pratica moderata del digiuno e dell'astinenza, la mortificazione della vista e del tatto.

S. Paolo era, tanto convinto della necessità di domare il corpo, che severamente lo castigava per schivare il peccato e la dannazione: "[Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efficiar] Castigarli il mio corpo, e lo riduco in, che talora, dopo aver predicato agli altri, io stesso dovrei diventare un naufrago".

La Chiesa pensò anch'essa a prescrivere ai fedeli alcuni giorni di digiuno e d'astinenza.

b) Qual ne è la ragione?

Certo il corpo, ben disciplinato, è servo utile e anche necessario, alle cui forze bisogna aver riguardo per poterle mettere a servizio dell'anima.

Ma, nello stato di natura decaduta, il corpo cerca i sensuali diletti senza darsi pensiero del lecito o dell'illecito; ha anzi un'inclinazione speciale per i piaceri illeciti e si rivolta talora contro le superiori facoltà che glieli vogliono interdire.

È nemico tanto più pericoloso in quanto che ci accompagna dovunque, a tavola, a letto, a passeggio, e incontra spesso complici pronti ad aizzarne la sensualità e la voluttà.

I sensi, infatti, sono come tante porte aperte per cui furtivamente s'insinua il sottile veleno dei proibiti diletti.

È dunque assolutamente necessario vigilarlo, padroneggiarlo, ridurlo in schiavitù: altrimenti ci tradirà.

772. 2° Modestia del corpo.

A domare il corpo, cominciamo con l'osservar bene le regole della modestia e della buona creanza, ove trovasi largo campo di mortificazione.

Il principio che ci deve servire di regola è quello di S. Paolo: "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?

Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi? Nescitis quoniam corpora vestra membra sunt Christi?… Membra vestra templum sunt Spiritus Sancti".

A) Bisogna dunque rispettare il proprio corpo come un tempio santo, come un membro di Gesù Cristo; via dunque quelle mode più o meno invereconde, buone solo a provocare la curiosità e la voluttà.

Porti ognuno le vesti richieste dalla propria condizione, semplici e modeste, ma sempre pulite e decenti.

Nulla di più saggio dell'avvertimento di S. Francesco di Sales su questo punto: "Siate pulita, o Filotea, e nulla si vegga in voi di sciatto e di male aggiustato … ma guardatevi bene dalle vanità, dalle affettazioni, dalle curiosità e dalle stranezze.

Attenetevi, per quanto sarà possibile, alla semplicità e alla modestia, che sono il più grande ornamento della bellezza e il migliore palliativo della bruttezza … le donne vanitose fanno dubitare della loro castità: o almeno, se sono tali, la loro, castità non è visibile sotto tutto quell'ingombro e quelle frascherie ».

S. Luigi dice in poche parole: "che uno deve vestirsi secondo il proprio stato, in modo che le persone savie e la gente per bene non possano dire: vi acconciate troppo; né i giovani: vi acconciate troppo poco".

Quanto ai religiosi e alle religiose, come pure gli ecclesiastici, hanno sulla forma e sulla materia dei vestiti regole a cui devono conformarsi; è inutile dire che la mondanità e la civetteria sarebbero in loro totalmente fuori di posto e non potrebbero che scandalizzare gli stessi mondani.

773. B) La buona creanza è anch'essa ottima mortificazione alla portata di tutti: schivare diligentemente un contegno molle ed effeminato, tenere il corpo dritto senza sforzo e senza affettazione, non curvo né pencolante da un lato o dall'altro; non cangiar posizione troppo di frequente; non incrocicchiare né i piedi né le gambe; non abbandonarsi mollemente sulla sedia o sull'inginocchiatoio: evitare i movimenti bruschi e i gesti disordinati: ecco, fra cento altri, i mezzi di mortificarsi senza pericolo per la salute, senza attirare l'attenzione, e che ci danno intanto grande padronanza sul corpo.

774. C) Vi sono altre mortificazioni positive che i penitenti generosi s'impongono volentieri per domare il corpo, calmarne gli ardori intempestivi, e stimolare il desiderio della pietà: i più comuni sono quei braccialetti di ferro che si infilano alle braccia, quelle catenelle che si cingono alle reni, cinture o scapolari di crine, o alcuni buoni colpi di disciplina quando uno se li può dare senza attirar l'attenzione.

Ma bisogna in tutto questo consultare premurosamente il direttore, schivare tutto ciò che sapesse di singolarità o lusingasse.

La vanità, senza parlare poi di ciò che fosse contrario all'igiene o alla pulizia; il direttore non permetterà queste cose che con discrezione, a modo di prova solo per un poco di tempo, e, se vi notasse inconvenienti di qualsiasi genere, le sopprimerà.

775. 3° Modestia degli occhi.

A) Vi sono sguardi gravemente colpevoli, che offendono non solo il pudore ma la stessa castità e da cui bisogna assolutamente astenersi.

Ve ne sono altri pericolosi, quando uno fissa, senza ragione, persone o cose capaci di suscitare tentazioni: quindi la S. Scrittura ci avverte di non fissare lo sguardo sopra una giovane, perché la sua bellezza non diventi per noi occasione di scandalo: "[Virginem ne conspicias, ne forte scandalizeris in decore illius] Virgin non ha visto, perché non vengano scandalizzati in suo onore".

Oggi poi che la licenza degli abbigliamenti e l'immodestia delle mode o i perniciosi ritrovi dei teatri e di certi salotti offrono tanti pericoli, di quanto riserbo non è necessario armarsi per non esporsi al peccato!

776. B) Quindi il sincero cristiano che vuole ad ogni costo salvarsi l'anima, va anche più oltre, e per essere sicuro di non cedere alla sensualità, mortifica la curiosità degli occhi, schivando, per esempio, di guardare dalla finestra per vedere chi passa, tenendo gli occhi modestamente bassi, senza affettazione, nelle gite di affari o nel passeggio.

Li posa volentieri piuttosto su qualche pia immagine, campanile, croce, statua, per eccitarsi all'amor di Dio e dei Santi.

777. 4° Mortificazione dell'udito e della lingua.

A) Richiede che non si dica ne che si ascolti cosa alcuna che sia contraria alla carità, alla purità, all'umiltà e alle altre virtù cristiane; perché, come dice S. Paolo, le conversazioni cattive corrompono i buoni costumi "[corrumpunt mores bonos colloquia prava] comunicazioni male corrompono i buoni costumi".

Quante anime infatti si pervertirono per aver ascoltato conversazioni disoneste o contrarie alla carità!

Le parole lubriche eccitano una morbosa curiosità, destano le passioni, accendono desideri e provocano al peccato.

Le parole poco caritatevoli causano divisioni perfino nelle famiglie, diffidenze, inimicizie, rancori.

Bisogna quindi vigilare anche sulle minime parole per evitare tali scandali, e saper chiudere l'orecchio a tutto ciò che può turbare la purità, la carità e la pace.

778. B) A meglio riuscirvi, si mortificherà qualche volta la curiosità col non interrogare su ciò che può stuzzicarla, o col reprimere quella smania di discorrere che va poi a finire in chiacchiere non solo inutili ma anche pericolose: "[in multiloquio non deerit peccatum] Quando le parole non mancano".

C) E poiché i mezzi negativi non bastano, si baderà a condurre la conversazione sopra argomenti non solo innocui, ma buoni, onesti, edificanti, senza però rendersi gravosi con osservazioni troppo serie che non vengano spontanee.

779. 5° Mortificazione degli altri sensi.

Quanto abbiamo detto della vista, dell'udito e della lingua, s'applica pure agli altri sensi; ritorneremo sul gusto parlando della golosità e sul tatto a proposito della castità.

Quanto all'odorato, basti dire che l'uso immoderato dei profumi è spesso pretesto per appagare la sensualità ed eccitare talora la voluttà; e che un cristiano serio non ne usa se non con moderazione e per ragione di grande utilità; e che i religiosi e gli ecclesiastici hanno per norma di non usarne mai.

II. Della mortificazione dei sensi interni.

I due sensi interni che bisogna mortificare sono la fantasia e la memoria, le quali generalmente operano insieme, essendo il lavoro della memoria accompagnato da immagini sensibili.

780. 1° Principio.

La fantasia e la memoria sono due preziose facoltà che non solo forniscono all'intelletto i materiali di cui ha bisogno per lavorare, ma lo aiutano ad esporre la verità con immagini e con fatti che la rendono più afferrabile, più viva, e quindi pure più interessante: un'esposizione pallida e fredda non avrebbe che poca attrattiva per lo comune dei mortali.

Non si tratta quindi di annullare queste facoltà, ma di disciplinarle e di subordinarne l'attività all'impero della ragione e della volontà; altrimenti, abbandonate a se stesse, popolano l'anima di un mondo di ricordi e d'immagini che la dissipano, ne sciupano le energie, le fanno perdere, mentre prega o lavora, un tempo prezioso, e causano mille tentazioni contro la purità, la carità, l'umiltà e le altre virtù.

É dunque necessario regolarle e metterle a servizio delle facoltà superiori.

781. 2° Regole da seguire.

A) A reprimere i traviamenti della memoria e della fantasia, uno deve innanzitutto studiarsi di scacciare inesorabilmente, subito fin da principio, appena se ne accorge, le immagini o i ricordi pericolosi, che, richiamandoci un tristo passato o trasportandoci fra le seduzioni del presente o dell'avvenire, sarebbero per noi fonte di tentazioni.

Ma, essendovi spesso una specie di determinismo psicologico che ci fa passare dalle fantasie vane a quelle pericolose, ci premuniremo contro quest'ingranaggio, mortificando i pensieri inutili, che ci fanno già perdere un tempo prezioso e preparano la via ad altri più pericolosi: la mortificazione dei pensieri inutili, dicono i Santi, è la morte dei pensieri cattivi.

782. B) A ben riuscirvi, il mezzo positivo migliore è di applicarci con tutta l'anima al dovere presente, ai nostri lavori, ai nostri studi, alle nostre abituali occupazioni.

É questo del resto anche il mezzo migliore per riuscire a far bene ciò che si fa, concentrando tutta l'attività sull'azione presente: "[age quod agis] Vieni come sei".

Rammentino i giovani che, per progredire negli studi come negli altri doveri del loro stato, devono far lavorare più l'intelligenza e la riflessione che le facoltà sensitive; cosi, mentre si assicureranno l'avvenire, schiveranno pure le pericolose fantasie.

783. C) Finalmente e cosa utilissima servirsi della fantasia e della memoria per alimentare la pietà, cercando nella S. Scrittura, nelle preghiere liturgiche e negli autori spirituali i più bei testi, i più bei paragoni e le immagini più belle; adoprando pure la fantasia per mettersi alla presenza di Dio e rappresentarsi le varie particolarità dei misteri di Nostro Signore e della SS. Vergine.

Così la fantasia, in cambio di intorpidirsi, si verrà popolando di rappresentazioni pie che ne bandiranno le pericolose e ci porranno in grado di capire meglio e meglio spiegare ai nostri uditori le scene evangeliche.

III. Della mortificazione delle passioni.

784. Le passioni, intese in senso filosofico, non sono necessariamente e assolutamente cattive: sono forze vive, spesso impetuose, di cui uno può giovarsi così per il bene come per il male, purché le sappia regolare e volgere a un nobile fine.

Ma nel linguaggio popolare e presso certi autori spirituali, questa parola si usa in senso peggiorativo, per designare le passioni cattive.

Noi dunque:

1° richiameremo le principali nozioni psicologiche sulle passioni;

2° ne indicheremo i buoni e i cattivi effetti;

3° esporremo alcune regole pel buon uso delle passioni.

I. La psicologia delle passioni.

Qui richiamiamo soltanto ciò che viene più ampiamente esposto nella Psicologia.

785. 1° Nozione.

Le passioni sono moti impetuosi dell'appetito sensitivo verso il bene sensibile con più o meno forte ripercussione sull'organismo.

a) Vi è dunque alla radice della passione una certa conoscenza almeno sensibile d'un bene sperato o acquistato o d'un male contrario a questo bene; da questa conoscenza scaturiscono i moti dell'appetito, sensitivo.

b) Sono moti impetuosi che si distinguono quindi dagli stati affettivi grati o ingrati, i quali sono calmi, tranquilli, senza quell'ardore e quella veemenza che è nelle passioni.

c) Appunto perché impetuosi e fortemente attivi sull'appetito sensitivo, hanno una ripercussione sull'organismo fisico per ragione della stretta unione tra il corpo e l'anima.

Così la collera fa affluire il sangue al cervello e tende i nervi, la paura fa impallidire, l'amore dilata il cuore e il timore lo stringe.

Questi effetti fisiologici però non si hanno in tutti nello stesso grado, dipendendo dal temperamento di ciascuno, dalla intensità della passione e dal dominio che uno ha su se stesso.

786. Le passioni quindi differiscono dai sentimenti, che sono moti della volontà, onde suppongono la conoscenza dell'intelletto, e che, pur essendo forti, non hanno la violenza delle passioni.

Così vi è un amore-passione e un amore-sentimento, un timore passionale e un timore intellettuale.

Aggiungiamo che nell'uomo, animale ragionevole, le passioni e i sentimenti spesso, anzi quasi sempre, si mescolano in proporzioni molto varie, e che con la volontà aiutata dalla grazia si riesce a trasformare in nobili sentimenti le passioni anche più ardenti, subordinando queste a quelli.

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