La santità è un'utopia?

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I nomi sono solo dei contrassegni come la
medaglia che si consegna alla guardarobiera

Amante della bellezza, Fratel Teodoréto mi riporta a Sant'Agostino, vescovo di Ippona, il principe dei mistici, anche se tale definizione presso gli studiosi sia tuttora discussa.

I più non sono d'accordo sulla nozione della mistica.

Si tratta di sapere se in questa nozione ci sia posto per una visione intellettuale oppure no; se cioè intellettualismo e misticismo, schemi filosofici e contemplazione infusa, si escludano a vicenda o possono convergere.

Di quest'ultima opinione, riferendomi, e non a caso, a Fratel Teodoreto, è l'autore, in quanto Fratel Teodoreto  (non scandalizzi l'avvicinamento di due santità diverse nella forma ma non nella sostanza ) possedeva una profonda visione intellettuale delle cose divine e un amore di Dio che fu passione divorante.

Sant'Agostino ama la luce, i colori, il canto, l'armonia.

A Milano piange all'ascolto degli inni sacri composti da Ambrogio; ad Ippona si commuove udendo il popolo cantare.

Nell'universo l'essere privilegiato della bellezza è l'uomo.

La storia è vista e considerata in termini di armonia.

Dio è padre, padre della verità, della sapienza, del bene, del bello, del nostro risveglio.

La contemplazione dell'Essere Divino riprende da parte dell'uomo ossia della creatura quando esistono somma concordia, somma vita, dove nulla manca, nulla ridonda.

Riprende la contemplazione della Provvidenza Divina, «per le cui leggi ruotano i cieli... è libera la scelta dell'anima... provengono a noi tutti i beni e sono allontanati tutti i mali» ( Solil. I, 1,2-4 ).

Tutto questo lo ritrovo espresso non a parole ( Fratel Teodoreto non aveva, ne possedeva la poesia o l'estetica spirituale di un Agostino ) ma con i fatti in quel tessuto non privo di lacerazioni che è la vita del Teodoreto mistico composta di orazione continua, incessabile, da apparire talvolta, a chi di cose sante s'intende, quasi furore interno per strappare a Dio le grazie di cui la sua opera abbisognava.

Un confratello precisa «Il suo pregare! Con gli occhi semichiusi dalle palpebre quasi interamente abbassate doveva vedere il volto di Colui e di Colei a cui rivolgeva il suo pregare.

La semplicità, la naturalezza, il suo invito a pregare Gesù Crocifisso, il suo promettere di aiutare con la preghiera calmava le ansie, illuminava nelle incertezze.

Non ricordo d'averlo mai visto con un giornale politico o illustrato tra le mani, non ricordo sue parole sui fatti del di fuori, non ricordo espressioni di pessimismo o di ansia per il futuro».

Al suo passare i ragazzi, ammiccando, dicono: «Il Fratello santo».

A chi gli fa osservare che le difficoltà esistono rincuora il dubbioso: «Preghiamo fervorosamente e tutto si appianerà».

Fratel Teodoreto recita più rosari da solo che l'intera comunità; trascorre le ore libere in cappella che egli definisce: «Il mio piccolo paradiso».

Nulla al mondo, pur partecipando alla vita del mondo, lo attrae.

Fratel Angelino Villata, direttore nell'ultimo soggiorno di Fratel Teodoreto a Santa Pelagia, dopo avere affermato che nessuno come lui è stato suscitatore di vocazioni lasalliane, precisa: «Era un vero serafino tutto raccolto in conversazione con Dio, immobile come una statua.

Attorno a lui potevano passare cento persone: egli non ne avvertiva nessuna, immerso com'era nel colloquio celeste».

Fratel Arcangelo: «Era uno spettacolo vederlo pregare, spetta colo commovente. Una predica vivente.

Bastava si mettesse in preghiera e, immediatamente, entrava in contatto con Dio.

Al mattino in chiesa, tra i primissimi, faceva la sua Via Crucis.

I suoi rapporti con il Signore e la Madonna Santissima erano filiali e dolci.

Quando parlava della Madonna si commoveva.

Seminava le sue Ave Maria per i corridoi, per le strade, ovunque».

Le testimonianze non finiscono. È un coro di lodi e di riconoscimenti.

Fratel Teodoreto nei giorni di ritiro trascorre lunghe ore ( per lui brevissime ) dinanzi al tabernacolo.

Durante una malattia, un confratello lo sente mormorare: «Vieni Gesù, vieni Gesù», mentre il volto si irradia di luce.

È evidente che tra Fratel Teodoreto e Dio esiste un filo diretto, un discorso che si prolunga, un qualcosa che agli altri sfugge.

Nessuno meglio di lui saprebbe rispondere alla domanda Chi è Dio, perché nella Sua persona, tempio dello Spirito Santo, il soffio del Vangelo penetra in ogni fibra e arricchisce l'anima.

I suoi estimatori ammettono che l'amor di Dio tocca il sublime.

Le vette del misticismo Fratel Teodoreto le ha raggiunte con un fervore che solo i privilegiati posseggono.

Chi non lo ha conosciuto, non riuscirà ad immaginare la profondità del suo spirito.

Straordinaria la devozione alla Madonna.

L'Unione Catechisti da lui fondata la intitola, oltre che a Gesù Crocifisso, a Maria SS. Immacolata.

La Madonna, Madre della Chiesa, è la piena di grazia, la piena d'amore.

L'atteggiamento con cui la dipingono i pittori primitivi nella Natività: in ginocchio, a mani giunte, a capo chino, davanti al Bimbo appena nato da Lei, è quello della sua vita.

Nello Stabat Mater di Jacopone da Todi, che Fratel Teodoreto conosce a memoria, c'è un finale a sorpresa: quello che chiede Jacopone, lo chiede anche Dante alla Madonna al termine della Commedia: la visione di Dio.

La Madonna come intermediaria, l'unica, quasi uno specchio che riflette i raggi del sole divino.

Il dono, perché dono è, frutto della grazia, non ha nessuna proporzione con i nostri meriti.

Quando Jacopone chiude il canto dello Stabat con il Paradisi gloria ( la gloria del Paradiso ), Fratel Teodoreto ripete la frase e nelle pupille gli splende la luce della fede, quella fede tanto difficile anche da conservare, perché l'uomo è tormentato dal dubbio, dall'insicurezza, dal «mai nessuno è tornato dall'aldilà» e «se poi le mie fatiche fossero state vane?», questo susseguirsi di scontenti demoniaci.

Una cara amica, l'avvocatessa Lina Furlan, parlando al teatro Carignano di Torino sulla vita e sull'opera di Pitigrilli, tornato nell'ovile della Chiesa, a chi le faceva osservare che avrebbe potuto iniziare la conferenza dalla morte dello scrittore ( 1975 ) rispose: «Non sia mai. Piti non è morto. Piti è vivo. Piti è fra noi» dichiarando a voce alta e ferma la sua fede nella risurrezione dei morti come ci insegna il Vangelo.

Non si può parlare di Gesù senza parlare della Madonna e di San Giuseppe: legame indivisibile per un cattolico di provata solida serietà.

Ho visto spesso, girovagando alla ricerca dell'arte, che i Santi protettori,trasfigurati da pittori e scultori, tengono in braccio il simbolo della loro virtù.

San Luigi Gonzaga è rappresentato con gli occhi rivolti al ciclo mentre in mano stringe un giglio, purezza, candore, illibatezza.

I fondatori di Ordini o di Congregazioni generalmente li dipingono con il libro delle Regole in mano; Crispino e Crispiniano, martiri romani a Soissons durante la persecuzione di Diocleziano ( 287 ) protettori dei calzolai, li ritraggono con i ferri del mestiere, seduti al loro deschetto di lavoro.

Per Fratel Teodoreto avanzo una proposta: che sia ricordato come un grande artiere costruttore dei disegni di Dio.

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