Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio )

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... e Giovanni si fe' Teodoreto!

Quando Gesù passava, in Galilea, accanto a un nobile cuore, se appena accennasse con la mano o dicesse una parola d'invito, c'era poco da fare: Pietro e Giovanni abbandonavano le reti, Matteo lasciava il banco, e seguivano il Maestro.

Gesù continua a passare, invisibile, anche oggi, e non solo in Galilea: nessuno lo vede, ma gli occhi puri scorgono il suo cenno e le orecchie attente odono la sua voce.

Nulla da stupire quindi che Egli sia passato, un giorno del 1887, anche da Vinchio e che Giovanni Garberoglio lo abbia scorto...

Aveva ormai i suoi sedici anni, l'età di San Giovanni Battista de La Salle appena fatto canonico...

Andava a scuola come Lui, non al Collegio « des Bons Enfants » di Reims, ma all'elementare del paese; una scuola che, sotto più d'un punto di vista, assomigliava a quella del secolo XVII in Francia, prima che vi attecchisse la pratica riforma lasalliana.

Non proprio « l'école buissonnière », ma neppure esattamente il contrario!

Intanto non parliamo di edificio scolastico; sarebbe proprio sprecare le parole di lusso.

C'era una sola stanza con un unico maestro; e l'aia, se non le siepi, attiravano i ragazzi anche più del sillabario o del pallottoliere ( che però non c'era, figuriamoci un po'! ).

Il nome del maestro lo ricordano tutti i vecchi del paese: era Francesco Benso, un buon prete, veramente buono, anzi troppo buono, perfino per i buoni ragazzi vinchiesi di quei tempi!

Morale: il profitto non era molto, a confessione degli antichi alunni.

Anche valendosi del sistema dei monitori o di qualcosa di simile, c'era troppo bailamme per potersi applicare sul serio...

Del resto, nessuna fretta di finire!

I ragazzi andavano a scuola, soprattutto d'inverno che c'era poco lavoro nella vigna, sei, sette, otto o più anni, fino a che non si stufavano essi o i loro parenti: ché don Benso d'iniziativa sua non cacciava via nessuno.

Né si parlava di esami in quella invidiabilissima scuola: si era proprio promossi per merito di costanza e di anzianità.

Bisogna però riconoscere che, presto o tardi, a leggere e scrivere imparavano tutti, così che l'analfabetismo non si sapeva davvero che bestia fosse da quelle parti.

Aveste provato a chiederne i connotati specifici anche ai più evoluti, non avreste cavato un ragno dal buco!

Quanto a far i conti, ci fu mai un contadino vinchiese che, aiutandosi con le dita o senza, non sapesse quanto gli spettava per venti, trenta, duecento brente di vino a poche lire la brenta, quanto valeva allora il più buono?

Una cosa bellissima che imparavano dal loro Maestro, e senza che facesse tanti discorsi per insegnarla, era la carità.

Sapevan tutti che dava via tutto, fino alla camicia compresa...

Talmente che, pensando a certi Maestri d'oggi, troppo preoccupati di scatti dello stipendio o di rivendicazioni economiche, più d'uno di quei tempi non invidia per nulla la scuola progredita dei tempi odierni.

Nessuno mi ha mai saputo dire in quanti anni Giovanni abbia finito le classi elementari, che erano tre o quattro o cinque?...

Non è facile precisare neppure questo particolare, data l'unicità dell'aula e del maestro e la longanime perseveranza degli uomini.

Ma se pensiamo che, stando in paese, ebbe tempo a frequentare anche certe scuole serali private, tenute da alcuni insegnati, dobbiamo concludere che fu dei più svelti a sgattaiolar vis, con o senza esami dalle scuole dell'obbligo.

Tra i quaderni di scuola di S. Andrea Fournet ce n'é uno, conservato ancora oggi, che porta questa strana intitolazione: « Quaderno di Andrea Fournet, buon ragazzo, che non sarà mai né prete né religioso ».

Come mai aveva egli sentito il bisogno da fare una così esplicita dichiarazione « in capite libri »?

Forse per reagire a qualche pressione indiscriminata? 

O per premunirsi da possibili e temute premure divine?...

Il fatto è che egli si fece sacerdote; e se religioso non divenne nel senso corrente della parola, fu però fondatore delle Figlie della Croce, un origine che operò bene durante  la Rivoluzione Francese e in seguito ancora.

Perciò il Fournet conservò sempre sull'inginocchiatoio quel quaderno, che gli ricordava come talvolta Dio ama scherzare con le sue creature di predilezione.

La vocazione è un fatto che ha sovente per noi del misterioso.

Fra i quaderni di scuola del nostro Giovanni, non ce n'è nessuno che raccolga confidenze intorno alle sue prime intenzioni.

Anzi, tutti i suoi oggetti scolastici andarono smarriti.

Distrutti furono poi, parte da lui personalmente e parte da un incendio, i notes di ordine spirituale, nei quali qualche cosa avremmo forse trovato intorno alla genesi di quel suo proposito di darsi tutto a dio.

Siamo quindi costretti a non tentar di risalire, per dissipare questo mistero, oltre i suoi 16 anni, e cioè oltre al 1887, quando per l'appunto passò da Vinchio il Maestro Divino a chiamarlo.

Ma il cenno per il preciso cammino da infilare, fra i tanti che menano al divino servizio, Gesù lo fece dare al nostro Giovanni dal signor Chiorra, il papà del Fratello Candido, che per il primo ebbe occasione di parlare dei Fratelli delle Scuole Cristiane a quel piissimo tra i suoi più giovani « battuti ».

gli descrisse probabilmente, come una delle cose che più lo avevano colpito, le bianche facciole e le maniche svolazzanti; e chissà non gli sia fiorito sul labbro, a lui, o sia frullata in fantasia al suo uditore, l'immagine delle rondinelle in volo!?...

Il fatto si è che a quei discorsi il pio adolescente si sentiva frugare dentro l'anima da non so quale voce o fremito, che lo moveva a dire di sì.

A informarci intorno all'origine esteriore della sua vocazione è il Fratel Teodoreto stesso in due scritti autografi.

Il primo è una nota inviata, nel 1942, alla Casa Generalizia, per la notizia biografica del Fr. Candido, Assistente.

Dopo aver informato che il pio Defunto aveva conosciuto casualmente l'Istituto lasalliano attraverso un certo Fr. Leopoldo, nativo del vicino paese di Belveglio, recatosi in famiglia per una visita, scrive esattamente cos:

"Entrato nella Congregazione dei Fratelli, divenne zelantissimo nel procurare altre vocazioni nello stesso suo paese nativo.

Quando ebbe l'occasione di recarsi a Vinchio, invitò parecchi giovani a seguirlo, e, ciò che non poté fare di persona, per il breve soggiorno al paese, lo continuò per mezzo del Padre suo.

Cominciò allora una serie di vocazioni che continua attualmente.

"Io pure sono di quelli che ebbero la fortuna di entrare nell'Istituto dei Fratelli per mezzo del C.mo Fr. Candido e del di lui Padre, che fecero le pratiche occorrenti per la mia accettazione.

Il Signore ricompensi entrambi per il bene che mi hanno fatto".

Il secondo scritto è rivolto al suo Benefattore, in occasione di un bel giubileo di vita religiosa.

Eccolo integralmente:

G. M. G.
G. B.

Collegio S. Giuseppe
TORINO

Torino, 27 ottobre 1938-XVI

Carissimo Fr. Assistente Candido,

Permetta anche a me, che ebbi la grazia inestimabile della vocazione religiosa per mezzo di Lei e dell'indimenticabile suo Papà, di unire le mie povere preghiere e i miei più cordiali auguri a quelli che i Fratelli di Torino e di Roma Le offrono per il cinquantesimo di professione perpetua.

A me si unisce l'Unione Catechisti del SS. Crocifisso che ricevette tanti benefizi da Lei, a cominciare dal nome fino all'ultimo scritto di approvazione dell'On.mo Fratello Superiore Generale.

Il Signore La ricolmi delle sue più elette benedizioni e La conservi ancora molti anni per il bene di tante anime.

Devot.mo e riconoscent.mo

Fr. Teodoreto

Non è già da credere che il nostro Giovanni abbia trovato liscio liscio il cammino per seguire il cenno del Signore.

Sappiamo anzi che il Padre suo, favorevole a vedere il figliuolo sacerdote, era invece contrario a lasciarlo partire per farsi religioso, e laico per giunta.

Siamo a conoscenza di queste difficoltà da una confidenza che il Fratel Teodoreto fece, il 26 gennaio 1919, a un suo Catechista, per consolarlo in un grave lutto.

Fra l'altro gli disse coma anche le cose più avverse siano disposte o permesse dal Signore per il meglio dei suoi fedeli; ed esemplificò coll'affermare che se non fosse avvenuta la morte del suo caro Papà, difficilmente egli avrebbe potuto entrare in religione.

« Allora - sono le sue precise parole - pareva la più grande disgrazia per la mia famiglia, ma adesso credo che anche mio Padre di lassù è contento, perché ogni giorno ho potuto pregare per lui, ciò che forse non avrei potuto fare stando nel secolo ».

Rimosse finalmente le ultime difficoltà, fatte le pratiche occorrenti, un bel giorno partì.

Era finita la vendemmia, volgeva al termine la prima decade di ottobre, quando le foglie cominciavano ad ingiallire.

A lui si erano ormai sbiadite tutte le tinte delle cose terrene, alle quali dava volentieri un addio definitivo.

Come San Bernardo, avviato al Monastero, disse anch'egli ai suoi fratelli di sangue: « Tutte queste vigne, questi prati, queste case le lascio per voi!? »

Parole simili egli pronunziava alcuni anni più tardi, durante una visita in famiglia: indicando tutte le terre che lo sguardo di lassù abbracciava, esclamò: « Non cambierei davvero il mio abito per tutti questi beni! ».

E il tono di convinzione era tale da impressionare un ragazzetto decenne lì presente, a tal segno che... ne uscì un Fratello: il Fratello Ilario, che nel nome stesso ancor si allieta della bella scelta ispiratagli quel giorno dalle parole del suo santo Compaesano!

È un vero peccato che le cronache non ci diano nulla di preciso sulle circostanze della sua partenza, così da obbligarci a... indovinare!

In altre cronache più loquaci, quella di Lu, per esempio - ch'è in Italia il paese prolifico per eccellenza in fatto di vocazioni religiose e sacerdotali - viene raccontato che in certe annate migliori, di ragazzi ce n'era un'intera carrata a muovere verso la stazione di Asti, per raggiungere poi, da Torino, la casa di formazione dei Fratelli.

Vi sta anche precisato che, almeno una volta, sotto la guida di un reclutatore luese acceso di zelo eccessivo, all'ultima svolta da cui si vedeva la torre dominante il paese, tutti quei bravi ragazzetti vennero invitati a fare un gesto d'addio irrevocabile; un gesto ancor più espressivo dell'evangelico scuotere la polvere dai calzari, e che, a buon conto, non si faceva coi piedi, ma con le labbra.

È probabile che Giovanni abbia percorso in biroccio, accompagnato da qualcuno della famiglia, i venti buoni chilometri fino alla stazione di Asti, servita dalla linea Torino-Genova, già funzionante da buon numero di anni.

Seguendo l'itinerario tradizionale, dovè presentarsi al Collegio San Giuseppe di Torino, ove il Fratel Genuino ( Prof. Giovanni B. Andorno ), Provinciale, ci teneva tanto ad accogliere personalmente i postulanti, e a far loro festa.

Se io fossi pittore, vorrei tentare un quadro che mi riproducesse la scena di questo primo incontro dei tre Giovanni, situati verticalmente in ordine d'ascesa gerarchica: in basso il nostro Giovanni, adolescente; più in alto, il secondo Giovanni, il Provinciale, nella maturità degli anni, dell'ingegno, della virtù: il vero creatore della provincia lasalliana piemontese, in atto di salutare il promettente discepolo; e al vertice della piramide, Giovanni B. de La Salle, non ancora Beato o Santo nei fasti ecclesiastici, ma già tutto fulgente della sua gloria celeste, ad accogliere e benedire!

Dopo una buona cena, si trattava di intraprendere il viaggio fino alla Savoia, ove allora i Lasalliani piemontesi facevano i primi anni della loro formazione religiosa.

Da poco tempo ( dal 1860 ) la Savoia aveva cessato d'esser una Provincia italiana, sicché quasi non ci si accorgeva di lasciare la Patria.

Poi il viaggio era così interessante!

Durava ore ed ore, e c'era da passare in quell'interminabile buco del Fréjus, il primo dei grandi tunnel d'Europa inaugurato pochi lustri prima, esattamente nell'anno di nascita del nostro pellegrino ( 1871 ).

L'impresa, guidata da tre ingegneri dell'allora Regno di Piemonte e Sardegna, che hanno ognuno una via di Torino dedicata al proprio nome, era parsa ciclopica, e un originale monumento in Piazza Statuto, rappresentante i giganti e i geni della montagna che rotolano giù fra i massi violati dal genio dell'uomo, diceva bene e dice tuttora l'aria di leggenda che tale impresa ebbe nella mente dei contemporanei.

Di là da quei quattordici chilometri circa, allora purtroppo pieni di fumo, anche per non aver potuto risolvere adeguatamente il problema della ventilazione, si era in Savoia.

Non ci voleva molto per giungere all'antica capitale Chambéry, e quindi a La Villette ( Comune di La Ravoire ) ove da quell'anno aveva sede il noviziato.

Egli vi giunse esattamente il giorno 12 ottobre 1887, come risulta dal registro che fortunatamente si salvò nell'incendio del 1918 ad Annecy, dove si trovavano e si trovano tuttavia gli archivi del Distretto Savoiardo.

Dodici Ottobre: la fatidica data della scoperta dell'America: e meglio dell'America fu per il nostro adolescente aver trovato la via sicura per la quale il Signore intendeva condurlo all'eterna dimora dei cieli.

Giovanni aveva i suoi sedici anni sonati; aveva fatto studi discreti e questo spiega perché non abbia dovuto passare al Piccolo Noviziato di Annecy, situato proprio sulla sponda del delizioso lago omonimo.

Là avrebbe trovato, giusto in quegli anni, un bel gruppetto di italiani - e fra questi parecchi validi Biellesi - che difendevano bene, pare, i colori della bandiera; è certo che, dopo i primi mesi necessari ad apprendere la nuova lingua, si mettevano in testa alla classe, anche nella dictée e nella composition française, che erano fra le bestie più nere di tutto il programma...

Per il Nostro, il postulantato fu abbastanza breve, poiché già il 1° novembre di quell'anno 1887, egli era ammesso a vestire l'abito religioso e riceveva il nome di Fratel Teodoreto.

Pur senza conoscere il greco, egli dovè accorgersi che il nome del nuovo Protettore assegnatogli portava nel becco nientemeno che il nome di Dio: The-os, quelle due sillabe di cui diceva S. Bernardo, « esse sono tutto ciò che noi possiamo desiderare ».

Fu augurio e fu presagio: ché per davvero il neo-vestito Fratel Teodoreto ebbe sempre Dio in cima ai suoi pensieri, ai suoi affetti, alle sue opere.

Per Lui poteva ripetersi ancora una volta: nomen, omen.

La vestizione religiosa rappresenta una tale stazione d'arrivo - e di partenza al tempo stesso - che qui s'impone una pausa.

Anzi s'impone cambiar binario, ecco perché passiamo ad un altro capitolo.

Prima voglio solo più aggiungere che, per salvare la vocazione così generosamente seguita, Egli ebbe poi anche da lottare con il cuore.

Quando era ancor giovane Fratello, la Mamma che - per lo spavento d'un incendio era alquanto svanita - più volte fu a Torino affine di ricondurlo con sé al paese.

Fratel Teodoreto seppe però resistere agli assalti materni.

Col permesso dei Superiori, l'una o l'altra volta riaccompagnò a casa La Mamma, le tenne compagnia due o tre giorni, e tornò alla sua Comunità, felice di ritrovarsi in quel nido di perfezione e di pace interiore.

Per restar fedele alla vocazione, Egli non aveva davvero bisogno di ripensare alle parole di Gesù: « Chi, dopo aver posto la mano all'aratro, volge indietro lo sguardo, non è degno del regno dei cieli! ».

Il regno dei cieli in terra pareva a Lui d'averlo già trovato per l'appunto nella sua magnifica missione di « Fratello! ».

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