Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo primo

Cristo, possibilità offerta all'uomo contemporaneo

La necessità di decifrarsi, di « decodificarsi », è sempre presente alla coscienza dell'uomo.

Si fa tuttavia sentire in modo più acuto in certi momenti di crisi della vita personale ( momenti di solitudine, di abbandono, di malattia ) e della vita dell'umanità.

Allora una forte emozione viscerale afferra l'uomo, come una stretta al cuore.

Il sentimento della fragilità si acuisce: l'uomo non sarebbe altro che questo? è tutto qui il senso della vita? come spiegare tanti apparenti controsensi?

Ogni generazione umana sperimenta questi « punti critici » che possono diventare « punti di inserimento » del Vangelo che viene incontro alla nostra solitudine per colmarla e alla nostra indigenza per guarirla.

Quali sono oggi i fattori che impongono la questione del significato dell'uomo e della condizione umana e che fanno di Cristo e del messaggio cristiano la possibile scelta dell'uomo contemporaneo?

Non si tratta qui di dare un giudizio sul valore della nostra epoca, migliore o peggiore delle altre, ma di cogliere e di descrivere i fattori che agiscono sull'uomo del XX secolo, anche a sua insaputa, e gli conferiscono una fisionomia, un linguaggio, una mentalità.

Ne indico alcuni, sulla base di osservazioni personali e di un certo numero di opere che, nel corso degli ultimi decenni, hanno avuto un impatto considerevole, in Occidente: quelle per esempio di H. Cox, H. Marcuse, J. Delumeau, A. Solgènitsyn, A. Toffler.1

I. Fisionomia dell'uomo del XX secolo

1. L'uomo areligioso o indifferente condivide almeno ufficialmente l'affermazione della « morte di Dio » decretata da un nucleo d'intellettuali ( Hegel, Feurbach, Marx, Freud, Nietzsche ).

L'ateismo più o meno cosciente di buon numero di nostri contemporanei trasmette, amalgama, rimescola le critiche di questi intellettuali che hanno eliminato l'ipotesi-Dio.2

Tuttavia, ciò che si incontra più di frequente è l'idea di un Dio che esiste ma che è « in vacanza », una specie di presente-assente, che non interviene nelle vicende umane.

Dio forse sussulta ancora, ma non turba più.

Cosa potrebbe aggiungere a quello che abbiamo o che avremo?

Perché aspirare al pane del cielo, quando quello della terra è largamente sufficiente?

2. Molti cristiani di un tempo coltivano amarezza, rancore contro un certo cristianesimo attestato dalla storia: un cristianesimo di Stato, autoritario, legato alle potenze politiche e alle potenze del denaro, armato di lance e di fulmini ( crociate, guerre di religione, processi di Inquisizione, atteggiamenti nei confronti degli ebrei, dei musulmani, delle streghe ) che dominava le coscienze con la paura più che con l'amore.

Un cristianesimo cupo, imperniato sul peccato e sulla sanzione: codice penale più che stile di vita.

Una religione di oppressione e di repressione.3

Molti cristiani si sono sbarazzati di tutti questi pesi e di tutte queste paure e vivono in margine alla Chiesa istituzionale, senza preoccuparsi di quello che essa pensa, dice e fa.

Stiamo attenti però a non sbagliarci: in fondo a questa denuncia si trova spesso, specialmente nei giovani, un desiderio di ritorno alla freschezza e alla purezza del Vangelo.

Il fascino esercitato da Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, non è forse il segno che si è disposti ad aprirsi alla salvezza che passa attraverso Cristo e il suo amore?

3. L'uomo del tempo libero che reclama pane e giochi, generato dalla civiltà dei mass-media: radio, cinema, stampa, televisione.

Questi mezzi di comunicazione di massa rappresentano un incontestabile progresso, ma con una tragica contro-partita al livello della coscienza personale.

Essi diffondono informazioni, immagini, ritmi, idee; « distraggono » nel senso positivo del termine, ma nello stesso tempo « divertono » nel senso pascaliano.

Impediscono all'uomo di cercare e di trovare se stesso.

L'agitazione dell'animus uccide l'anima.

Il solo a solo scompare; scompare anche il dialogo.

Una sala di televisione è spesso una riunione di solitudini l'una accanto all'altra.

Il rapido susseguirsi della pubblicità e dei programmi proibisce le pause necessario alla riflessione.

Si riempiono gli occhi e le orecchie, ma non si pensa più.

Soprattutto si fugge da sé.

È impossibile rientrare in se stessi.

4. L'uomo del progresso e della tecnica.

Grazie ai mezzi di comunicazione, viviamo tutti nell'ora del presente « universale ».

Il nostro pianeta è diventato una casa di vetro dove ciascuno è visibile a ciascuno.

Gli avvenimenti di una nazione, di una città, di un villaggio, sono avvenimenti dell'universo.

Sappiamo e viviamo nel medesimo tempo quello, che avviene nel mondo intero.

Così percepiamo oggi con un'acutezza sempre crescente la presenza minacciante di due spettri: la miseria e la guerra.

Due realtà d'altronde legate tra loro.

Come allontanare infatti la minaccia della guerra se non si elimina la fame e non si placa la collera e l'odio accesi dall'ineguaglianza delle condizioni?

Come pensare che tra trent'anni, quando l'umanità avrà sei miliardi di abitanti, l'abisso possa continuare a dividere un miliardo di ben pasciuti da cinque miliardi di affamati, senza che scoppino le violenze?

D'altra parte, di fronte all'accresciuta potenza degli attuali mezzi di aggressione, l'ipotesi della distruzione massiccia dell'umanità deve essere freddamente prospettata come una possibilità.

Il nostro pianeta vive in un reticolato di ordigni di morte sulla terra, nell'aria e sotto i mari.

Gli accordi intervenuti tra URSS e USA per ridurre il numero dei missili atomici autorizzati in ognuno del due campi, non modificano affatto i dati del problema.

Come impedire una simile ipotesi?

Ma allora che diventa l'uomo di fronte a questa minaccia incombente e brutale? che cos'è questa massa di uomini ridotti a numero?

Di conseguenza l'ottimismo suscitato dal progresso si mescola col timor panico e cosmico.

Questa presenza della guerra genera una psicosi di dimensioni planetarie.

Dopo « l'uomo per la morte » di Heidegger, si dovrà parlare di « umanità per la morte »?

Il tragico è che l'uomo stesso ha seminato i germi di questa morte universale.

Al momento stesso in cui l'uomo sperimenta l'ebrezza del progresso, si scopre triste e inquieto.

Lavora forse per la sua distruzione ed è questo il suo destino?

Lo scandalo delle ultime due guerre ha rivelato la fragilità di una civiltà incapace di rispettare i valori cui si appella, capace soltanto di uccidere gli uomini col pretesto di difendere i diritti dell'uomo.

5. L'uomo della grande città o tecnopoli,4 ragnatela di Strade, buildings, cabine d'ascensore, autobus, metrò, taxi; e il concetto di vita che ne deriva: quello della contiguità e quello dell'anonimato.

Nella tecnopoli i contatti coi vicini sono rari, rapidi e superficiali.

Si sta fianco a fianco, senza conoscersi.

Ciò che importa non sono le persone, ma quello che si fa, quello che serve e come ce ne serviamo, quello che funziona e come funziona.

Si chiede agli altri di essere utili o per lo meno di non nuocere.

Nelle città tentacolari dove la violenza e il terrorismo si aggiungono all'anonimato, ci si asserraglia e si ha paura.

Non è una fatalità della tecnopoli, ma un fenomeno sempre più frequente.

In un tale contesto si ha, o almeno si rischia, una svalutazione della persona.

6. L'uomo dei cervelli elettronici.

Nell'era dei computers si dà valore solo alla verifica, alla sperimentazione, al calcolo.

L'uomo, con la sua libertà, la sua inviolabilità, il suo mistero, con le sue convinzioni, emozioni, affezioni ( tutte cose di cui è il solo a possedere il segreto e a poter fare la rivelazione ) non offre alcun interesse.5

Codificato, ridotto a schede, alimenta i cervelli elettronici e arricchisce le statistiche.

Ma il paradosso è che questa minaccia della tecnica calcolatrice si estende fino alle scienze dell'uomo, concepito anche lui come un micromeccanismo, smontabile come i pezzi di un motore.

L'uomo non pensa più, non parla più: sono strutture incoscienti ( linguistiche, biologiche, psichiche ) che pensano e parlano per lui e che lo guidano a sua insaputa.

Quest'uomo assorbito e digerito dalla scienza, non è contento di sé, perché ci sono in lui delle zone profonde di mistero e di verità, mai raggiunte e mai appagate.

L'incredulità dell'uomo ha per oggetto l'uomo.

7. L'uomo della pubblicità.

D'altra parte l'uomo rappresenta una sfida perché è il solo elemento dell'universo che resiste alla volontà di dominazione della civiltà della tecnica.

Perciò la volontà di potenza che caratterizza il mondo della tecnica, cerca di penetrare il segreto della persona con l'effrazione, per strapparglielo.

Da qui le indiscrezioni, l'impudenza, la violentazione delle coscienze esercitata con tutte le risorse della stampa sulla vita privata delle persone per sbandierare la loro vita intima davanti all'opinione pubblica, e così ferirle, svalutarle, avvilirle.

È una delle forme più immonde dell'onnipotenza della pubblicità moderna.

8. L'uomo unidimensionale o agente di produzione.

Nella società contemporanea la produttività è il valore supremo.6

Il processo di produzione è una cosa a sé stante, si impone e diventa aggressivo.

L'ossessione della produttività porta presto al disprezzo delle persone.

Produzione delle cose e distruzione degli uomini procedono con lo stesso ritmo.

Facciamo notare che il marxismo e il capitalismo, a questo proposito, hanno lo stesso concetto riduttivo della persona.

Nei due casi si considera l'uomo come strumento di produzione, di efficienza.

Il valore dell'uomo va molto al di là della produttività del suo lavoro: esso si basa sulla dignità della persona, sulla sua vocazione di figlio di Dio.

Ridurre l'uomo alla sua funzione di « produttore » vuol dire apprezzarlo in funzione di ciò che fa, non di ciò che è.

L'uomo unidimensionale abdica la sua apertura sull'Assoluto personale, per rinchiudersi nelle categorie dello sfruttamento, della sistemazione delle risorse: è un essere sottovalutato.

Di nuovo siamo agli antipodi della libertà interiore.7

9. L'uomo della lotta di classe.

Questa lotta, concepita come una legge del progresso sociale, è di origine marxista, ma essa si è imposta poco a poco in tutti i regimi.

Di conseguenza, padroni e operai, governo e sindacati, datori di lavoro e lavoratori, si presentano come antagonisti.

L'essenziale è vincere, con la pressione o con la violenza.

L'uomo si ritrova col suo volto orrendo di homo homini lupus.

Nei regimi totalitari, il singolo deve pensare come il regime, o sparire.

In ogni caso gli atteggiamenti di accoglienza, di rispetto, di carità, sono soppressi lasciando posto solo ad avversari che si affrontano.

Il più forte diventa il partito della giustizia.

Il terrorismo diventa il nuovo mezzo di comunicazione.

10. L'uomo del consumismo.

Ci hanno fatto diventare dei consumatori che vivono in un'aria contaminata dalla pubblicità.

La libertà significa uso sfrenato, senza ritegno, del denaro e dei beni che esso procura.

Lo sviluppo significa possedere sempre di più, estendere i mercati, aumentare i benefici, trasformare la terra in « centri d'affari » e « borse valori ».

Al centro di tutto questo: io.

Gli altri: possibilità di guadagno.

La motivazione: il profitto, sempre maggior profitto.

Di nuovo l'uomo si trova ridotto al rango di mezzo.

In questo caso, di consumismo.

Evidentemente in un tale contesto, il prossimo non esiste più, ma solo profitti da realizzare, un capitale da aumentare.

Tutto ciò che costituisce la dignità dell'uomo, cioè la capacità di amare, di servire, di accogliere, di compatire, sembra abolito.

11. Il culto del corpo.

Questo aspetto della svalutazione dell'uomo non è secondario.

Il culto del corpo si manifesta nell'assoluto dello sport, nella valutazione eccessiva concessa agli atleti ( salari inauditi ) di fronte agli impegni superiori della società ( studiosi, ricercatori, artisti ), nell'ondata ciclonica della pornografia, nella creazione delle concupiscenze artificiali ( le mode ).

L'imposizione di questi bisogni crea la spirale dell'inflazione per i soddisfatti.

Anche questa volta la dignità dell'uomo è distrutta.

Così l'uomo di oggi, più che mai fissato sull'uomo, si sente squilibrato, asservito dalle sue creazioni, vuoto di senso in un mondo ridotto in pezzi, di cui egli stesso è responsabile.

In questo mondo disperatamente tecnicizzato, matematicizzato, abbandonato alle potenze anonime del cervello elettronico, in un mondo desacralizzato, diventato opaco, ma dominato da imperativi materialistici non meno dispotici di quelli del potere politico; in un mondo che si esalta del suo progresso, ma che si degrada nella guerra, nel terrorismo, nelle torture, nei conflitti razziali; in un .mondo apparentemente provvisto di tutto, ma incapace di una vera condivisione, di perdono vero, di vero amore, la vita sembra aver perduto il suo significato.

L'ora non è lontana in cui l'umanità, soprattutto l'Occidente, non sopporterà più il vuoto sul quale sfocia il problema del significato.

L'eclissi di Dio, la perdita di Dio, la morte di Dio, la mancanza di Dio: è questo un evento che rarefa l'ossigeno di cui l'uomo ha bisogno per respirare.

In fondo a se stessi gli uomini disperatamente attendono ciò che darà un significato a ogni cosa: alla vita, al lavoro, alla sofferenza, alla solitudine, alla morte ( a meno di dissolversi nel buio del suicidio ).

Il rumore delle macchine non riesce a soffocare queste domande di fondo che sorgono e risorgono sempre: dove andiamo? chi siamo? perché esistiamo?

Sotto la sua maschera di sicurezza, l'uomo non può sfuggire a queste domande; esse sono troppo profonde, troppo viscerali.

I fattori che agiscono sull'uomo contemporaneo ( spesso a sua insaputa ) modellano la sua mentalità, il suo linguaggio, il suo comportamento, possono creare l'impressione che l'uomo del XX secolo è un campione molto poco interessante, il sottoprodotto di una umanità avvilita, in ogni caso un cattivo candidato per il Vangelo.

Noi pensiamo invece che questi fattori di crisi generano proteste, rivolte, frustrazioni, inquietudini, angosce e possono diventare punti di inserimento, addentellati per il Vangelo e costituire la « chance » inattesa di un incontro e di un dialogo con Cristo.

Paradossalmente gli handicaps della fede possono diventare le possibilità della fede.8

Nell'uomo, la coscienza della Sua immagine difforme può essere l'occasione per ritrovare la sua immagine autentica, il suo vero volto d'uomo in Gesù Cristo.

Infatti, in un mondo in-sensato, ecco che Cristo, figura evanescente, perduta nello spazio e nel tempo, e tuttavia sempre vivente, sempre presente, appare come mediatore del significato, come esegeta dell'uomo e dei suoi problemi.

Quando l'uomo ascolta Cristo, capisce come Egli s'interessa all'uomo più che l'uomo a se stesso, che lo decifra, lo eleva e lo realizza oltre misura, Cristo non violenta nessuno.

Invita, propone, ma non costringe.

La fede, che è adesione alla sua parola, è una resa a Dio, ma nella piena e libera padronanza di sé.

Il rispetto di Cristo per la dignità, l'inviolabilità, l'interiorità della persona umana, l'ha condotto fino alla morte.

Per lui ogni uomo ha un nome, perché è stato, eletto, scelto, predestinao, chiamato da Dio alla vita stessa di Dio.

Di tutti gli uomini dispersi Cristo forma un popolo, unito nell'amore.

I piccoli, gli umili, i poveri, i miseri, gli emarginati, tutti coloro che l'umanità ignora, disprezza o respinge, Cristo li proclama « beati » e « primi » nel suo Regno.

Il nostro mondo parla di produzione, di consumo, di profitti e guadagni, di capitale: Egli parla di servizio gratuito, di dedizione, di amore per gli altri fino al dono della propria vita.

Il nostro mondo parla di guerra, di armamento a oltranza: Egli parla di perdono, di amore dei nemici, di pace.

Proibisce di maneggiare la spada e lui stesso tende la guancia a chi lo colpisce, piega le spalle sotto la croce.

In Cristo gli uomini scoprono l'esistenza di un amore assoluto che ama l'uomo in se stesso e per se stesso.

Improvvisamente hanno la rivelazione di un mondo nuovo è di un uomo nuovo.

Pensiamo che Cristo è la « chance » offerta all'uomo contemporaneo.

Per l'uomo esasperato di non essere riconosciuto e trattato per ciò che è, Cristo è la sola risposta valida, la sola luce, la sola chiave del crittogramma umano.

A condizione, tuttavia, che siano spiegate le ricchezze insondabili del suo mistero.

Così quest'uomo del XX secolo, in apparenza tanto lontano da Dio, ne è forse molto vicino.

Non è « schernito » e « sfigurato » come Cristo?

Aspetta che gli si rendano la sua dignità e il suo vero volto.

Pensiamo anche che una certa sensibilità contemporanea, sempre più attenta al senso della dignità umana, dei diritti dell'uomo ( libertà di coscienza, libertà religiosa ), al senso della responsabilità, dell'interdipendenza dei popoli, del necessario dialogo, sia il risultato conscio o inconscio, dichiarato o no, dell'attrattiva esercitata dal Vangelo e dai valori cristiani su un'umanità in crisi e in ricerca di significato, per la quale Cristo appare come una luce nella notte, come una sorgente d'acqua viva offerta al viandante sfinito.

Indice

1 H. Cox, Thè Secular City, 1965 ( trad. it. La-città secolare, Vallecchi, Firenze, 1968 );
A. TOPFLER, La troisième vague, Paris, 1980; H. MARCUSE, One-dimensional Man, Boston, 1964 ( trad. franc. L'homme unidimensionnel, Paris, 1968; it. L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 197111 );
J. DELUMEAU, Le christianisme vatil mourir?, Paris, 1977; A. SOLGENITSYN, « Le declin du courage », traduzione da L'Express ( 19-25 giugno 1978 ), pp. 69-76.
La nostra descrizione riguarda innanzitutto l'uomo dell'Occidente.
Per tener conto degli altri ambienti, dovrebbe essere più sfumata.
2 J. DELUMEAU, Le christianisme vatil indurir?, Paris, 1977, pp. 14-18;
3 Ibld:, pp. 27-71.
4 H. Cox, Thè Secular City, Boston, 1964
5 G. LANGEVIN « Les chances et les handicaps de la foi a notre époque », Science et Esprit 28, (1976), pp. 113-114.
6 H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 197111.
7 G. LANGEVIN, « Les chances et les handicaps de la foi a notte époque », Sciente et Esprit 28, (1976), pp. 116-117.
8 Ibid., pp. 111-112.