Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se l'alimento si trasformi nel vero essere della natura umana

In 2 Sent., d. 30, q. 2, a. 1; In 4 Sent., d. 44, q. 1, a. 2, sol. 4; Quodl., 8, q. 3, a. 1

Pare che nessuna parte dell'alimento passi nel vero essere della natura umana.

Infatti:

1. Sta scritto [ Mt 15,17 ]: « Ogni cosa che entra nella bocca passa nel ventre e di là viene espulsa ».

Ma ciò che viene espulso non passa nel vero essere dell'uomo.

Quindi l'alimento non passa nel vero essere dell'uomo.

2. Il Filosofo [ De gen. et corr. 1,5 ] distingue tra la carne secondo la specie e la carne secondo la materia; e dice che la carne secondo la materia « viene e va via ».

Ora, ciò che è generato dall'alimento viene e va via.

Quindi l'alimento si trasforma nella carne secondo la materia e non nella carne secondo la specie.

Ma al vero essere dell'uomo appartengono gli elementi propri della specie.

Quindi l'alimento non passa nel vero essere dell'uomo.

3. Al vero essere dell'uomo pare appartenere evidentemente l'umido radicale il quale, come affermano i medici, non può essere ricuperato quando si è perduto.

Potrebbe invece essere ricuperato se il nutrimento si trasformasse in tale umido.

Quindi il nutrimento non passa nel vero essere della natura umana.

4. Se l'alimento passasse a far parte del vero essere dell'uomo, tutto ciò che nell'uomo si logora potrebbe essere riparato.

Ma la morte dell'uomo dipende unicamente dal logoramento di qualcosa.

Quindi l'uomo col nutrimento potrebbe difendersi perpetuamente dalla morte.

5. Se l'alimento passasse a far parte del vero essere dell'uomo, non vi sarebbe nulla nell'uomo che non possa essere perduto e quindi riparato: poiché quanto nell'uomo è generato dall'alimento può essere perduto e riparato.

Se dunque un uomo vivesse a lungo, alla fine non si troverebbe in lui nulla di ciò che egli possedeva materialmente al principio della sua generazione.

E così non sarebbe numericamente lo stesso uomo nel corso della sua vita, perché a ciò è richiesta l'identità della materia.

Ma ciò è inammissibile.

Quindi l'alimento non si trasforma nel vero essere dell'uomo.

In contrario:

Scrive S. Agostino [ De vera relig. 40.74 ]: « Gli alimenti del corpo, disfacendosi, cioè perdendo le loro forme, passano nella struttura delle membra ».

Ma la struttura delle membra appartiene al vero essere dell'uomo.

Quindi l'alimento si trasforma nel vero essere dell'uomo.

Dimostrazione:

Secondo il Filosofo [ Met. 2,1 ] « ogni cosa sta alla verità come sta all'essere ».

Quindi appartiene al vero essere di una cosa ciò che entra nella costituzione della sua natura.

Ma la natura può essere considerata in due modi: in universale, nella sua nozione di specie, e in particolare, nel singolo individuo.

Al vero essere di una natura considerata nella sua universalità appartengono dunque la sua forma e la sua materia prese in astratto, mentre al vero essere di una natura considerata in questo particolare individuo appartengono la materia [ concreta ] individuale e la forma individuata da tale materia: come il vero essere della natura umana in universale richiede l'anima umana e il corpo, mentre il vero essere dell'uomo considerato, p. es., in Pietro e in Martino, esige quest'anima e questo corpo.

Vi sono però alcuni esseri le cui forme non possono sussistere che in una sola materia determinata: come la forma del sole non può trovarsi che in quella materia che attualmente informa.

Ora, alcuni hanno affermato in modo analogo che la forma umana non può salvarsi se non in una data materia, e precisamente in quella materia che fu da principio attuata da tale forma nel primo uomo.

Di modo che tutto ciò che viene aggiunto dai posteri a quanto essi derivano da Adamo non entrerebbe a far parte del vero essere umano, perché non acquisterebbe la vera forma della natura umana.

Si avrebbe invece l'aumento autonomo di quella materia che nel primo uomo fu soggetta alla forma umana: e in questo modo si spiegherebbe il moltiplicarsi dei corpi umani dal corpo del primo uomo.

Quindi, secondo costoro, l'alimento non si convertirebbe nel vero essere dell'uomo, ma esso verrebbe preso come un certo combustibile della natura, per resistere cioè all'azione del calore naturale, che consuma l'umido radicale: come all'argento si aggiunge il piombo o lo stagno per non farlo consumare dal fuoco.

Ma questa tesi è irragionevole per molti motivi.

Primo, perché per una forma la possibilità di passare in un'altra materia corrisponde alla possibilità di abbandonare la materia che attualmente informa: per cui tutti gli esseri generabili sono corruttibili, e viceversa.

Ora, è evidente che la forma umana può abbandonare la materia particolare in cui si trova: in caso contrario il corpo umano non sarebbe corruttibile.

Quindi è pure possibile che essa passi a informare un'altra materia, e che qualcosa di estrinseco passi a far parte del vero essere dell'uomo.

- Secondo, perché in tutti gli esseri corporei la cui materia è posseduta tutta da un solo individuo, non esiste che un solo individuo per ogni specie: come è evidente per il sole, per la luna e per altri esseri consimili.

Quindi, ammessa tale tesi, anche nella specie umana non ci sarebbe che un solo individuo.

- Terzo, perché non è possibile che l'aumento della materia si compia al di fuori di questi due modi: o secondo la sola quantità, come avviene nei corpi soggetti a rarefarsi, che crescono e diminuiscono di volume, o anche secondo la sostanza della materia.

Ma se l'identica sostanza della materia rimane sola non si può affermare che essa si sia moltiplicata: infatti nessuna cosa, finché resta identica a se stessa, può costituire una pluralità, poiché ogni pluralità dipende necessariamente da una divisione.

Quindi è necessario che sopraggiunga dall'esterno dell'altra materia, o per creazione o per trasformazione di altre cose.

Quindi, in definitiva, una materia non si può moltiplicare che in tre modi: o per rarefazione, come quando dall'acqua si produce il vapore; o per trasformazione di altre sostanze, come il fuoco si propaga con l'aggiunta della legna; o per creazione di nuova materia.

Ora, è evidente che l'aumento della materia nei corpi umani non avviene per rarefazione: perché altrimenti i corpi degli uomini di età perfetta sarebbero più imperfetti dei corpi dei bambini.

E neppure avviene per creazione di nuova materia: poiché, come insegna S. Gregorio [ Mor. 32,12 ], « tutte le cose furono create insieme quanto alla sostanza della materia, sebbene non quanto alla specie delle loro forme ».

Quindi non rimane da concludere se non che l'aumento del corpo si compie mediante la trasformazione degli alimenti nella vera sostanza del corpo umano.

- Quarto, perché non essendovi differenza tra l'uomo e gli animali e le piante quanto all'anima vegetativa, ne seguirebbe che anche i corpi degli animali e delle piante non aumenterebbero in forza della trasformazione degli alimenti nel loro essere, ma per una specie di moltiplicazione.

Questa però non potrebbe essere naturale: sia perché la materia, per legge di natura, non può estendersi oltre una ben definita quantità, sia perché non esiste un essere corporeo che cresca se non per rarefazione o per trasformazione di altro in se stesso.

E così tutte le funzioni delle facoltà generativa e nutritiva, che sono denominate facoltà naturali, sarebbero miracolose.

Cosa questa assolutamente inammissibile.

Altri perciò sostengono che la forma umana può certamente passare a esistere in una nuova materia, se però la natura umana viene considerata in universale; non invece se viene considerata come esistente in questo individuo, nel quale la forma umana resterebbe come fissata in una certa materia determinata, alla quale è originariamente impressa al momento della generazione dell'individuo, in modo da non abbandonarla se non alla dissoluzione dell'individuo stesso.

E questa materia dicono che apparterrebbe principalmente al vero essere dell'uomo.

Poiché però tale materia non basta al debito sviluppo dell'individuo, si richiederebbe l'aggiunta di altra materia, ottenuta mediante la conversione degli alimenti nella sostanza dell'individuo, nella misura appunto necessaria al suo sviluppo.

E questa materia, essi dicono, apparterrebbe al vero essere dell'uomo solo in modo secondario: perché non sarebbe richiesta al primo essere dell'individuo, ma solo alla sua debita quantità.

Che se poi dagli alimenti derivasse qualche altra cosa, essa non apparterrebbe propriamente al vero essere dell'uomo.

Ma anche questa tesi è illogica.

Primo, perché giudica della materia dei corpi viventi alla stregua della materia dei corpi inanimati nei quali, benché vi sia una forza atta a generare un essere specificamente simile, non vi è però una virtù capace di generare un essere ad essi consimile nella loro individualità: virtù che invece nei corpi viventi è la potenza nutritiva.

La potenza nutritiva non verrebbe dunque ad aggiungere nulla ai corpi viventi se gli alimenti non si trasformassero nel loro vero essere.

- Secondo, perché la virtù attiva che risiede nel seme è una specie di impulso impresso dall'anima del generante, come si è spiegato [ q. 118, a. 1 ].

Ora, questa virtù non può possedere nell'azione maggiore capacità della stessa anima da cui deriva.

Se quindi è possibile che per la virtù del seme una materia acquisti la vera forma dell'essere umano, tanto più sarà possibile che l'anima, con la sua potenza nutritiva, imprima la vera forma dell'essere umano all'alimento col quale è a contatto.

- Terzo, perché si ha bisogno dell'alimento non solo per lo sviluppo - che altrimenti, terminata la fase dello sviluppo, non sarebbe più necessario -, ma anche per riparare le perdite causate dal calore naturale.

Ora, non vi sarebbe riparazione se ciò che viene generato dagli alimenti non dovesse sostituire ciò che si è perduto.

Quindi, come faceva parte del vero essere umano ciò che vi era prima, così fa parte di esso anche ciò che viene generato dagli alimenti.

Per conseguenza, stando alla sentenza di altri, è necessario affermare che gli alimenti si trasformano realmente nel vero essere dell'uomo, in quanto realmente acquistano la natura della carne, delle ossa e delle altre sue parti.

E questo è quanto insegna Aristotele [ De anima 2,4; De gen. et corr. 1,5 ] quando afferma che « l'alimento nutre perché è carne in potenza ».

Analisi delle obiezioni:

1. Il Signore non dice che viene espulso tutto ciò che entra nella bocca, ma ogni cosa, perché da ogni cibo viene sempre espulso qualcosa di impuro.

- O si potrebbe anche dire, con S. Girolamo [ In Mt 15,17 ], che tutto quanto viene generato dagli alimenti può anche essere dissociato per mezzo del calore naturale ed eliminato attraverso pori invisibili.

2. Alcuni per carne secondo la specie intesero quell'elemento che nell'individuo assume per primo la natura umana e deriva dal generante: e affermano che tale elemento permane sempre, finché dura la vita dell'individuo.

Invece per carne secondo la materia intendono quella formata dagli alimenti: e questa, secondo essi, non permane sempre, ma come viene così pure se ne va.

- Tale interpretazione è però contro il pensiero di Aristotele.

Egli infatti in quel punto dice che « come in ogni essere avente la sua specie nella materia », p. es. nel legno o nella pietra, « così pure nella carne si verifica che altra cosa è ciò che è secondo la specie e altra cosa ciò che è secondo la materia ».

Ora, è evidente che la predetta distinzione non può aver luogo negli esseri inanimati, che non hanno origine dal seme e non si nutrono.

Siccome poi ciò che viene generato dagli alimenti viene aggiunto al corpo che si nutre come l'acqua al vino, secondo l'esempio portato dal Filosofo [ De gen. et corr. 1,5 ], è impossibile che l'essere di ciò che viene aggiunto rimanga distinto dall'essere che riceve l'aggiunta, essendosi già formato un solo essere in forza di una vera composizione.

Quindi non vi è alcuna ragione perché l'uno debba essere consumato dal calore naturale e l'altro debba rimanere.

Perciò bisogna spiegare la cosa altrimenti, e dire che questa distinzione del Filosofo non riguarda carni diverse, ma una medesima carne considerata diversamente.

Se infatti la carne viene considerata secondo la specie, secondo cioè quanto è formale in essa, allora è vero che essa permane sempre: poiché sempre permane la natura della carne e la sua intrinseca costituzione.

Se invece la carne viene considerata secondo la materia, allora non permane sempre, ma si consuma e viene riparata a poco a poco: come avviene, ad es., per il fuoco di una fornace, la cui forma permane sempre mentre la materia continuamente si consuma, e dell'altra viene a sostituirla.

3. All'umido radicale si sogliono attribuire tutti gli elementi su cui si fonda la virtù della specie.

E questi, una volta perduti, non possono più essere sostituiti: come non potrebbero essere più sostituiti un piede o una gamba amputati.

L'umido alimentare è invece quello che non è giunto ancora a possedere perfettamente la natura della specie, ma tende ad essa: come sono il sangue e altre cose del genere.

Per cui anche se queste vengono perdute, la virtù della specie rimane sempre nella sua radice, che non viene per questo eliminata.

4. Tutte le facoltà di un corpo passibile si indeboliscono con la continua attività, essendo agenti soggetti anch'essi alla passibilità.

Quindi la facoltà di assimilazione da principio è tanto forte da essere capace di assimilare non solo quanto basta a riparare le perdite, ma anche quanto serve allo sviluppo.

In seguito invece riesce ad assimilare solo quanto serve a riparare le perdite: e allora lo sviluppo cessa.

Poi non arriva più neppure a questo: e allora ha inizio il deperimento.

Finalmente, scomparsa totalmente tale virtù, l'animale muore.

Come, per usare l'esempio del Filosofo [ De gen. et corr. 1,5 ], la forza del vino che trasforma l'acqua ad esso mescolata si snerva gradatamente con l'aggiunta di altra acqua, fino a che il vino diventa del tutto acquoso.

5. Come spiega il Filosofo [ ib. ], quando una data materia incendiandosi acquista la forma del fuoco si dice che viene generato un fuoco nuovo; quando invece una materia si trasforma in un fuoco preesistente, allora si dice che viene alimentato il fuoco vecchio.

Quindi, nel caso in cui tutta la vecchia materia perdesse simultaneamente la specie del fuoco e questa venisse presa da un'altra materia, si avrebbe un fuoco numericamente diverso.

Nel caso invece in cui, bruciato a poco a poco un legno, se ne sostituisse un altro, e così di seguito fino a che i primi siano tutti consumati, resterà sempre numericamente lo stesso fuoco: perché la legna aggiunta si trasforma in ciò che preesisteva.

E lo stesso avviene nei corpi viventi, nei quali gli alimenti risarciscono le perdite dovute al calore naturale.

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