Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se la beatitudine sia un'operazione

In 4 Sent., d. 49, q. 1, a. 2, sol. 2; C. G., I, c. 100; In 1 Ethic., lect. 10; In 9 Metaph., lect. 8

Pare che la beatitudine non sia un'operazione.

Infatti:

1. Dice l'Apostolo [ Rm 6,22 ]: « Voi raccogliete il frutto che vi porta alla vostra santificazione, e come destino avete la vita eterna ».

Ma la vita non è un'operazione, bensì l'essere stesso dei viventi.

Quindi l'ultimo fine, cioè la beatitudine, non è un'operazione.

2. Insegna Boezio [ De consol. 3, pr. 2 ] che la beatitudine « è uno stato risultante dall'insieme di tutti i beni ».

Ma uno stato non indica un'operazione.

Quindi la beatitudine non è un'operazione.

3. La beatitudine, essendo l'ultima perfezione dell'uomo, sta a indicare una proprietà esistente nei beati.

L'operazione invece non indica un fatto esistente in chi opera, ma piuttosto un fatto che da lui procede.

Quindi la beatitudine non è un'operazione.

4. La beatitudine rimane stabilmente nei beati.

L'operazione invece non rimane, ma è transitoria.

Quindi la beatitudine non è un'operazione.

5. Un uomo non può avere che un'unica beatitudine.

Le operazioni invece sono molteplici.

Quindi la beatitudine non è un'operazione.

6. La beatitudine si trova nei beati senza interruzione.

L'operazione umana invece spesso si interrompe, ad es. per il sonno, per altre occupazioni o per il riposo.

Quindi la beatitudine non è un'operazione.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 1,13 ] scrive che « la felicità è un'operazione che promana da una virtù perfetta ».

Dimostrazione:

È necessario affermare che la beatitudine dell'uomo, in quanto è qualcosa di creato esistente in lui, è un'operazione. Infatti la beatitudine è l'ultima perfezione dell'uomo.

Ma ogni essere è perfetto nella misura della sua attualità: poiché la potenza priva dell'atto è imperfetta.

Quindi è necessario che la beatitudine consista nell'atto ultimo dell'uomo.

Ora, è evidente che l'operazione è l'ultimo atto dell'operante, per cui dal Filosofo [ De anima 2,1 ] viene chiamata « atto secondo »: un essere infatti, dal momento che ha una forma, è operante in potenza, come chi ha la scienza è pensante virtualmente.

E per tale motivo anche a proposito degli altri esseri Aristotele [ De caelo 2,3 ] afferma che ogni cosa è « per la sua operazione ».

Quindi è necessario che la beatitudine dell'uomo sia un'operazione.

Analisi delle obiezioni:

1. Il termine vita ha due significati.

Prima di tutto significa l'essere stesso del vivente.

E in questo senso la beatitudine non è una vita: infatti abbiamo già dimostrato [ q. 2, a. 5 ] che l'essere di un uomo, quale che sia, non è la beatitudine dell'uomo: poiché solo in Dio la beatitudine si identifica col suo proprio essere.

- Altre volte invece il termine vita significa le operazioni del vivente, nelle quali il principio vitale si attua: e in questo senso parliamo di vita attiva, contemplativa o gaudente.

Ora, la vita eterna è l'ultimo fine in questo senso, come si rileva da quelle parole del Signore [ Gv 17,3 ]: « Questa è la vita eterna, che conoscano te, unico vero Dio ».

2. Boezio, nel definire la beatitudine, ha di mira la sola nozione generica della felicità.

Infatti il concetto generico di beatitudine comporta solo un bene universale perfetto; e ciò è indicato da quelle parole: « stato risultante dall'insieme di tutti i beni », espressione che significa soltanto che i beati sono nello stato del bene perfetto.

Aristotele invece volle esprimere l'essenza stessa della beatitudine, mettendo in evidenza ciò per cui l'uomo viene a trovarsi in tale stato, e che è precisamente un'operazione.

Nell'Etica [ 1,7 ] poi egli stesso dimostra che la beatitudine è « un bene perfetto ».

3. Come spiega Aristotele [ Met. 9,8 ], le azioni sono di due specie.

Le une si riversano dall'agente sulla materia esteriore, come bruciare e segare.

E la beatitudine non può essere una di queste: poiché tali azioni, nota lo stesso Aristotele, non costituiscono una perfezione per l'agente, ma per il paziente.

Ci sono invece altre azioni che rimangono nell'agente medesimo, come sentire, intendere e volere: e tali azioni sono perfezioni e atti dell'agente.

La beatitudine quindi può essere una di queste.

4. La beatitudine indica una certa perfezione ultima: perciò essa dovrà avere applicazioni diverse nei vari esseri capaci di raggiungere la felicità, secondo i diversi gradi di perfezione.

Infatti la beatitudine si trova in Dio per essenza: poiché l'essere stesso in lui è la sua attività, mediante la quale egli non gode di altro che di se stesso.

Negli angeli beati invece si ha la perfezione ultima secondo una certa operazione, mediante la quale essi si uniscono al bene increato: operazione che in essi è unica e sempiterna.

Negli uomini, infine, la beatitudine della vita presente è l'ultima perfezione raggiunta nell'atto mediante il quale l'uomo aderisce a Dio; ma tale atto non è continuo, e quindi non è unico, poiché un'operazione, interrompendosi, diviene molteplice.

Quindi nella vita presente non ci può essere nell'uomo la beatitudine perfetta.

Infatti il Filosofo [ Ethic. 1,10 ], nel determinare la beatitudine dell'uomo in questa vita, la dice imperfetta, concludendo dopo molte riflessioni: « Li chiamiamo beati come possono esserlo gli uomini ».

Ma il Signore nel Vangelo [ Mt 22,30 ] ci ha promesso la perfetta beatitudine, quando saremo « come gli angeli nel cielo ».

Riguardo alla beatitudine perfetta, dunque, l'obiezione cade: poiché in quello stato di beatitudine la mente umana sarà unita a Dio mediante un'operazione unica, continua e sempiterna.

E nella vita presente tanto siamo lontani dalla perfetta beatitudine quanto lo siamo dall'unità e dalla continuità di tale operazione.

Vi è tuttavia una certa partecipazione della beatitudine: e tanto maggiore quanto più l'operazione viene a essere unitaria e continua.

Quindi nella vita attiva, che si occupa di molte cose, troviamo una minore affinità con la beatitudine che non nella vita contemplativa, la quale ha un unico oggetto, cioè la contemplazione della verità.

E anche se l'uomo non sempre compie tale operazione, tuttavia questa si presenta quasi come un'azione continuata poiché egli è sempre preparato a compierla, e ordina ad essa le stesse pause del sonno o di altre occupazioni naturali.

5, 6. Sono così risolte anche la quinta e la sesta obiezioni.

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