Summa Teologica - I-II

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Articolo 5 - Se la beatitudine sia un'operazione dell'intelletto speculativo o dell'intelletto pratico

In 4 Sent., d. 49, q. 1, sol. 3; In 10 Ethic., lect. 10 sqq.

Pare che la beatitudine consista in un'operazione dell'intelletto pratico.

Infatti:

1. L'ultimo fine di ogni creatura consiste nella somiglianza con Dio.

Ma l'uomo diventa più simile a Dio mediante l'intelletto pratico, il quale causa le cose conosciute, che non mediante quello speculativo, la cui scienza deriva dalle cose.

Quindi la felicità dell'uomo consiste più nell'operazione dell'intelletto pratico che in quella dell'intelletto speculativo.

2. La beatitudine è il bene umano perfetto.

Ma l'intelletto pratico è più ordinato al bene di quello speculativo, che è ordinato al vero.

Infatti siamo denominati buoni in base alla perfezione dell'intelletto pratico, e non in base all'eccellenza dell'intelletto speculativo, dalla quale risulta piuttosto la denominazione di sapienti o di intelligenti.

Quindi la felicità dell'uomo consiste più nell'atto dell'intelletto pratico che in quello dell'intelletto speculativo.

3. La felicità è un bene dell'uomo stesso.

Ora, l'intelletto speculativo si interessa piuttosto delle cose che sono fuori dell'uomo, mentre l'intelletto pratico si occupa di quelle che appartengono all'uomo stesso, cioè delle sue operazioni e delle sue passioni.

Quindi la felicità dell'uomo consiste più in un'operazione dell'intelletto pratico che in un'operazione di quello speculativo.

In contrario:

S. Agostino [ De Trin. 1,8.15 ] scrive: « Ci è promessa la contemplazione, fine di tutte le azioni ed eterna perfezione del godimento ».

Dimostrazione:

La beatitudine consiste più in un'operazione dell'intelletto speculativo che in un'operazione dell'intelletto pratico.

E ciò è evidente per tre motivi.

Primo, perché se la felicità è un'operazione umana, è necessario che sia l'operazione umana più nobile.

Ora, l'operazione umana più nobile è quella che spetta alla facoltà più nobile in rapporto all'oggetto più nobile.

Ma la facoltà più nobile è l'intelletto e il suo oggetto più nobile è il bene divino, il quale non è oggetto dell'intelletto pratico, bensì di quello speculativo.

Quindi la beatitudine consiste principalmente in tale operazione, cioè nella contemplazione delle realtà divine.

E poiché, come dice Aristotele [ Ethic. 9,8; 10,7 ], « ogni essere sembra identificarsi con ciò che in esso vi è di più nobile », tale operazione è massimamente propria dell'uomo, e sommamente dilettevole.

Secondo, la stessa conclusione deriva dal fatto che la contemplazione, più di ogni altra cosa, viene desiderata per se stessa.

Invece le operazioni dell'intelletto pratico non sono desiderate per se stesse, ma per le azioni [ esterne ].

E queste azioni sono ordinate a qualche fine.

Quindi è evidente che l'ultimo fine non può consistere nella vita attiva, che è di competenza dell'intelletto pratico.

Terzo, la vita contemplativa affianca l'uomo agli esseri superiori, cioè a Dio e agli angeli, ai quali egli diviene simile in forza della beatitudine.

Invece nelle operazioni della vita attiva gli animali stessi si affiancano all'uomo, sebbene in un grado inferiore.

Perciò la felicità ultima e perfetta, che ci attende nella vita futura, consiste totalmente nella contemplazione.

Invece la beatitudine imperfetta che è possibile avere al presente consiste innanzitutto e principalmente nella contemplazione, però in modo secondario consiste anche nelle operazioni dell'intelletto pratico che regola le azioni e le passioni umane, come dice Aristotele [ Ethic. 10, cc 7,8 ].

Analisi delle obiezioni:

1. Questa somiglianza dell'intelletto pratico con Dio è secondo la proporzionalità: esso cioè sta al proprio oggetto come Dio sta al suo.

Invece la somiglianza dell'intelletto speculativo con Dio ha carattere di unione e di « informazione », e questa è molto più intima.

- E del resto si potrebbe anche rispondere che in rapporto al suo oggetto principale, che è la sua propria essenza, Dio non ha una conoscenza pratica, ma solo speculativa.

2. L'intelletto pratico è ordinato a un bene esterno ad esso; invece l'intelletto speculativo possiede in se stesso il bene, cioè la contemplazione della verità.

E se questo bene è perfetto tutto l'uomo viene a essere perfezionato e diventa buono: cosa che non si verifica per l'intelletto pratico, il quale può soltanto predisporre a quel bene.

3. L'argomento potrebbe valere se l'uomo fosse l'ultimo fine di se stesso: allora infatti la considerazione e la disciplina delle proprie azioni e passioni potrebbe essere la sua felicità.

Ma siccome l'ultimo fine dell'uomo è un bene estrinseco, e cioè Dio, raggiungibile mediante l'operazione dell'intelletto speculativo, è evidente che la beatitudine dell'uomo consiste più nelle operazioni dell'intelletto speculativo che in quelle dell'intelletto pratico.

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