Summa Teologica - I-II

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Articolo 5 - Se la prudenza sia una virtù necessaria per l'uomo

II-II, q. 51, a. 3, ad 3; De Virt., q.1, a. 6

Pare che la prudenza non sia una virtù necessaria a ben vivere.

Infatti:

1. Come l'arte sta alle opere da farsi, di cui è la retta ragione, così la prudenza sta alle azioni da compiersi, secondo le quali si considera la vita umana: infatti la prudenza è la retta ragione di queste azioni, come insegna Aristotele [ Ethic. 6,5 ].

Ora, l'arte è necessaria per le opere da farsi solo fino a che queste siano compiute.

Quindi anche la prudenza non è necessaria all'uomo per ben vivere quando è già virtuoso, ma caso mai solo per diventarlo.

2. Scrive Aristotele [ Ethic. 6, cc. 5,7,9 ] che « la prudenza è fatta per ben consigliarsi » nel deliberare.

Ma uno può agire anche dietro un buon consiglio di altri.

Perciò non è necessario che uno per ben vivere abbia egli stesso la prudenza, ma basta che segua i consigli di persone prudenti.

3. Una virtù intellettuale fa sì che si dica sempre la verità e mai il falso.

Ma ciò non può accadere nel caso della prudenza: infatti non è umano che nel deliberare su azioni da compiere non si sbagli mai, essendo le azioni umane realtà contingenti.

Perciò sta scritto [ Sap 9,14 ]: « I ragionamenti dei mortali sono timidi, e incerte le nostre riflessioni ».

Quindi la prudenza non va enumerata fra le virtù intellettuali.

In contrario:

Nella Sacra Scrittura la prudenza è ricordata fra le virtù necessarie alla vita umana, là dove si dice della divina sapienza [ Sap 8,7 ]: « Essa insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita ».

Dimostrazione:

La prudenza è una virtù sommamente necessaria per la vita umana.

Infatti il ben vivere consiste nel ben operare.

Ma perché uno operi bene non si deve considerare solo ciò che compie, ma anche il modo in cui lo compie: si richiede cioè che agisca non per un impeto di passione, ma seguendo un'opzione retta.

E poiché l'opzione, o scelta, ha per oggetto i mezzi indirizzati a un fine, la rettitudine dell'opzione richiede due cose: il debito fine e i mezzi ad esso proporzionati.

Ora, un uomo viene ben orientato al debito fine da quelle virtù che perfezionano la parte appetitiva dell'anima, che ha per oggetto il bene e il fine.

Invece la buona predisposizione di un uomo rispetto ai mezzi richiede il diretto intervento di un abito della ragione: poiché deliberare e scegliere atti aventi per oggetto i mezzi appartiene alla ragione.

È quindi necessario che nella ragione vi sia una virtù intellettuale che le conferisca una predisposizione retta nei riguardi dei mezzi ordinati al fine.

E questa virtù è la prudenza.

Quindi la prudenza è una virtù necessaria a ben vivere.

Analisi delle obiezioni:

1. La bontà nel campo delle arti non risiede nell'artefice, ma nei suoi prodotti, essendo l'arte la retta norma delle cose da farsi: infatti il produrre, essendo un'azione transitiva, non è la perfezione di chi produce, ma del prodotto, come il moto è l'atto del soggetto posto in movimento; e l'arte ha per oggetto le cose fattibili.

Il bene della prudenza invece appartiene all'agente medesimo, che ottiene la sua perfezione proprio nell'agire: infatti la prudenza è la retta norma delle azioni da compiere, come si è detto [ a. 4 ].

Perciò nell'arte non si richiede il ben operare dell'artefice, ma soltanto la bontà del suo prodotto.

Piuttosto si richiederebbe il ben operare del prodotto medesimo, cioè che il coltello tagliasse bene o la sega segasse bene, se invece di essere cose fatte per essere usate, mancando loro il dominio dei propri atti, fossero cose capaci di agire.

Quindi l'arte non è richiesta per il ben vivere dell'artigiano medesimo, ma solo per costruire e conservare un buon prodotto.

Invece la prudenza è necessaria all'uomo per vivere bene, e non soltanto per diventare buono.

2. Quando un uomo compie il bene mosso dal consiglio altrui, e non dal proprio, la sua operazione non è del tutto perfetta, rispetto alla ragione dirigente e all'appetito movente.

Perciò, anche se compie il bene, non lo compie bene puramente e semplicemente, come invece richiederebbe il ben vivere.

3. La verità dell'intelletto pratico va giudicata diversamente dalla verità dell'intelletto speculativo, come nota Aristotele [ Ethic. 6,2 ].

Infatti la verità dell'intelletto speculativo viene misurata in base alla conformità dell'intelletto con la realtà.

E poiché l'intelletto non può conformarsi con esattezza alla realtà nelle cose contingenti, ma soltanto in quelle necessarie, nessun abito speculativo che si interessi del contingente può essere una virtù intellettuale, ma lo possono solo quegli abiti che riguardano il necessario.

- Invece la verità dell'intelletto pratico viene desunta dalla conformità col retto volere.

La quale conformità non esiste nel campo del necessario, che non dipende dalla volontà umana, ma solo nel campo dei contingenti che possono essere compiuti da noi, siano essi azioni da compiersi o opere esterne da farsi.

Ed è per questo che la virtù dell'intelletto pratico si limita ai soli contingenti: virtù che rispetto alle cose fattibili è arte, mentre rispetto alle azioni da compiere è prudenza.

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