Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se altre virtù debbano dirsi principali più di queste

In 3 Sent., d. 33, q. 2, a. 1, sol. 4; De Virt., q. 1, a. 12, ad 26; q. 5, a. 1; In 2 Ethic., lect. 8

Pare che altre virtù debbano dirsi principali più di queste.

Infatti:

1. In qualsiasi genere quanto c'è di più grande sembra essere principale.

Ora, stando ad Aristotele [ Ethic. 4,3 ], « la magnanimità opera ciò che è grande in tutte le virtù ».

Quindi specialmente la magnanimità deve dirsi virtù principale.

2. Principale deve essere specialmente quella virtù che dona stabilità alle altre.

Ma tale è l'umiltà: infatti S. Gregorio [ In Evang. hom. 7 ] fa osservare che « chi raduna le altre virtù senza l'umiltà non fa che esporre delle pagliuzze al vento ».

Quindi l'umiltà è una virtù quanto mai principale.

3. Dire principale è come dire la cosa più perfetta.

Ora, questa qualifica spetta alla pazienza, secondo l'espressione di S. Giacomo [ Gc 1,4 ]: « La pazienza rende l'opera perfetta ».

Quindi la pazienza deve considerarsi come principale.

In contrario:

Cicerone [ De invent. 2, cc. 53,54 ] riduce a queste quattro tutte le altre virtù.

Dimostrazione:

Abbiamo già visto [ a. prec. ] che queste quattro virtù cardinali si desumono dalle quattro ragioni formali della virtù morale.

Queste però si riscontrano principalmente in determinati atti e passioni.

Il bene p. es. che si attua nell'esercizio medesimo della ragione si riscontra principalmente nel comando della stessa, come si è notato [ q. 57, a. 6 ], e non nel consiglio o nel giudizio.

E così il bene di ordine razionale, presente nelle operazioni sotto l'aspetto di cosa retta o dovuta, si riscontra principalmente negli scambi o nelle ripartizioni che indicano rapporti con altri su una base di uguaglianza.

Invece il bene che consiste nel frenare le passioni si trova principalmente nelle passioni che sono più difficili a reprimersi, cioè nei piaceri del tatto.

La bontà poi che consiste nel persistere nel bene di ordine razionale contro l'impeto delle passioni si riscontra principalmente nei pericoli di morte, contro i quali è difficilissimo resistere.

Quindi possiamo considerare le quattro virtù suddette in due modi.

Primo, sotto l'aspetto di ragioni formali universali.

E in questo senso si dicono principali, ossia generali rispetto a tutte le virtù, cioè: tutte le virtù che attuano la bontà nell'esercizio della ragione vengono denominate prudenza; tutte le virtù che nelle operazioni [ della volontà ] pongono in atto ciò che è retto e dovuto vengono denominate giustizia; tutte le virtù che reprimono e moderano le passioni vengono dette temperanza; tutte le virtù infine che danno fermezza d'animo contro qualsiasi passione vengono dette fortezza.

Ed è così che molti, sia fra i santi dottori che tra i filosofi, parlano di queste virtù.

Le quali così vengono a contenere anche le altre.

- Per cui cadono tutte le obiezioni.

Secondo, le suddette virtù possono essere considerate in quanto sono denominate da ciò che costituisce l'elemento principale nella materia rispettiva.

E allora sono virtù specifiche, contraddistinte dalle altre.

Tuttavia si dicono principali rispetto alle altre per la priorità della loro materia: così denomineremo prudenza la virtù che ha per oggetto il comando; giustizia quella che riguarda le azioni dovute agli uguali; temperanza quella che reprime le concupiscenze o desideri dei piaceri del tatto; fortezza, quella che dà la costanza di fronte ai pericoli di morte.

E anche da questo lato cadono le obiezioni: poiché le altre virtù possono avere preminenze di altro genere, ma quanto alla materia le principali sono queste, come si è dimostrato [ nel corpo ].

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