Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se il reato, o obbligazione alla pena, sia un effetto del peccato

In 2 Sent., d. 32, q. 1, a. 1; In 4 Sent., d. 14, q. 2, a. 1, sol. 2; C. G., III, c. 140; De Malo, q. 7, a. 10

Pare che il reato, o obbligazione alla pena, non sia tra gli effetti del peccato.

Infatti:

1. Non sembra essere l'effetto proprio di una cosa ciò che ne deriva solo indirettamente.

Ora, l'obbligazione alla pena deriva solo indirettamente dal peccato, essendo estranea all'intenzione del peccatore.

Quindi l'obbligazione alla pena, o reato, non è un effetto della colpa.

2. Il male non può essere causa di un bene.

Ma la pena è un bene, essendo giusta e da Dio.

Quindi non è effetto del peccato, che è un male.

3. S. Agostino [ Conf. 1,12.19 ] scrive che « ogni animo disordinato è punizione a se stesso ».

Ma una punizione non può meritare un'altra punizione, perché altrimenti si andrebbe all'infinito.

Quindi il peccato non causa l'obbligazione a una pena.

In contrario:

S. Paolo [ Rm 2,9 ] afferma: « Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male ».

Ora, operare il male è peccato.

Perciò il peccato provoca la punizione, indicata coi termini di tribolazione e di angoscia.

Dimostrazione:

Sia nel mondo fisico che in quello umano si verifica il fatto che chi insorge contro una cosa deve subirne la rivincita.

Infatti vediamo nel mondo fisico che le energie contrarie agiscono con più forza quando si incontrano: per cui, come dice Aristotele [ Meteor. 1,12 ], « l'acqua riscaldata viene congelata con più forza ».

Perciò anche fra gli uomini avviene, secondo la naturale inclinazione, che uno tenti di umiliare chi insorge contro di lui.

Ora, è evidente che tutte le cose racchiuse in un dato ordine formano come una cosa sola rispetto al suo principio.

Dal che deriva che quanto insorge contro un dato ordine viene represso dall'ordine medesimo, oppure da chi lo presiede.

Ora, essendo il peccato un atto disordinato, è chiaro che chi pecca agisce sempre contro un dato ordine.

Perciò ne segue che dall'ordine medesimo deve essere represso.

E questa repressione è appunto la pena.

Perciò in base ai tre ordini a cui è soggetta la volontà umana un uomo può subire tre tipi di pena.

In primo luogo infatti la natura umana è soggetta all'ordine della propria ragione; in secondo luogo all'ordine di chi governa l'uomo dall'esterno, sia spiritualmente che civilmente, sia nella società politica che in quella domestica; in terzo luogo all'ordine universale del governo divino.

Ora, col peccato ciascuno di questi ordini viene sconvolto: infatti chi pecca agisce contro la ragione, contro la legge umana e contro la legge divina.

Perciò tre sono le pene che incorre: la prima da parte di se medesimo, cioè il rimorso della coscienza, la seconda da parte degli uomini, la terza da parte di Dio.

Analisi delle obiezioni:

1. La pena segue al peccato in quanto è un male, cioè sotto l'aspetto del disordine.

Come quindi nell'atto di chi pecca è indiretto [ per accidens ] il male, in quanto preterintenzionale, così è indiretta anche l'obbligazione alla pena.

2. La pena in se stessa, inflitta da Dio o dagli uomini, può certamente essere giusta: per cui come tale la pena non è un effetto diretto del peccato, che si limita a predisporre ad essa.

Invece il peccato rende l'uomo reo di pena, e questo è un male: poiché, come nota Dionigi [ De div. nom. 4 ], « non è un male essere puniti, ma diventare degni di punizione ».

Per cui tra gli effetti diretti del peccato si mette [ non la pena, ma ] l'obbligazione alla pena.

3. L'accennata pena dell'animo disordinato è dovuta alla colpa in quanto sconvolge l'ordine della ragione.

Ma il peccatore diviene reo di altre pene in quanto sconvolge l'ordine della legge divina e umana.

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