Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se un uomo possa meritare qualcosa da Dio

Supra, q. 21, a. 4; In 3 Sent., d. 18, q. 1, a. 2

Pare che un uomo non possa meritare nulla da Dio.

Infatti:

1. Nessuno può meritare la mercede per il fatto che rende a un altro ciò che gli deve.

Ora, anche il Filosofo [ Ethic. 8,14 ] afferma che « con tutto il bene che facciamo non possiamo mai ripagare a sufficienza ciò che dobbiamo a Dio, così da sdebitarci ».

E nel Vangelo [ Lc 17,10 ] si legge: « Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili.

Abbiamo fatto quanto dovevamo fare ».

Quindi l'uomo non può meritare nulla presso Dio.

2. Per il fatto che uno procura un vantaggio a se stesso, non sembra che possa meritare qualcosa presso un altro che non ci guadagna nulla.

Ora, l'uomo nel fare il bene procura un vantaggio a se stesso, o a un altro uomo, ma non a Dio, poiché sta scritto [ Gb 35,7 ]: « Se tu sei giusto, che cosa gli dai, o che cosa riceve dalla tua mano? ».

Quindi l'uomo non può meritare nulla presso Dio.

3. Chi acquista un merito presso qualcuno se lo rende debitore: è un dovere infatti rendere la mercede a chi la merita.

Ma Dio non è debitore verso nessuno, poiché sta scritto [ Rm 11,35 ]: « Chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a ricerverne il contraccambio? ».

Perciò nessuno può meritare qualcosa presso Dio.

In contrario:

Sta scritto [ Ger 31,16 ]: « C'è un compenso per le tue opere ».

Ma il compenso, o mercede, è ciò che viene reso per un merito.

Quindi l'uomo può meritare presso Dio.

Dimostrazione:

Il merito e la mercede si riferiscono a un identico oggetto: poiché chiamiamo mercede il compenso dato per una prestazione, o per un lavoro, quasi come suo prezzo.

Come quindi pagare il giusto prezzo per un acquisto è un atto di giustizia, così è un atto di giustizia pagare la mercede per una prestazione, o per un lavoro.

Ora, la giustizia consiste in una uguaglianza, o adeguazione, come dimostra il Filosofo [ Ethic. 5,3 ].

Quindi la giustizia rigorosa esiste tra persone fra cui c'è rigorosa uguaglianza; tra quelle invece che non hanno una vera uguaglianza non si ha giustizia in senso stretto, ma ci può essere una certa specie di giustizia: e così si parla di diritto [ ius ] paterno, o di diritto padronale, come scrive il Filosofo [ ib., c. 6 ].

Di conseguenza tra persone in cui si riscontra una rigorosa giustizia esiste pure l'aspetto di merito e di mercede rigorosa.

Invece tra persone che ammettono una giustizia solo in senso relativo, e non in senso assoluto, non si riscontra neppure un merito in senso vero e proprio, ma solo in senso relativo, cioè in quanto si salvano certi aspetti della giustizia: è così infatti che un figlio può meritare qualcosa dal padre, e uno schiavo dal suo padrone.

Ora, è evidente che tra Dio e l'uomo c'è la massima disuguaglianza: infatti sono infinitamente distanti, e qualsiasi bene dell'uomo viene da Dio.

Perciò tra l'uomo e Dio non ci può essere giustizia secondo una rigorosa uguaglianza, ma soltanto secondo una certa proporzionalità: cioè in quanto l'uno e l'altro si adeguano nell'agire al modo loro proprio.

Il modo però, o misura, della capacità operativa dell'uomo è determinato da Dio.

Quindi l'uomo può avere merito presso Dio solo presupponendo l'ordinazione divina: in modo cioè che egli con la sua attività venga a ricevere da Dio a titolo di ricompensa ciò a cui Dio stesso ha ordinato la sua facoltà operativa.

Come anche gli esseri corporei raggiungono con i loro movimenti e operazioni ciò a cui Dio li ha preordinati.

Tuttavia c'è questa differenza: che la creatura razionale muove se stessa ad agire mediante il libero arbitrio, per cui il suo agire è meritorio, mentre ciò non avviene nelle altre creature.

Analisi delle obiezioni:

1. L'uomo merita proprio in quanto compie volontariamente ciò che deve.

Altrimenti non sarebbe meritorio l'atto di giustizia con cui uno soddisfa al suo debito.

2. Dal nostro bene Dio non cerca un vantaggio, ma la gloria, cioè la manifestazione della sua bontà: e questa gloria egli stesso la cerca nelle sue opere.

Dal fatto poi che noi lo onoriamo viene un vantaggio non a lui, ma a noi.

Perciò noi meritiamo qualcosa da Dio non perché gli procuriamo un vantaggio, ma in quanto agiamo per la sua gloria.

3. Dato che la nostra azione ha l'aspetto di merito solo perché presuppone l'ordinazione divina, conseguentemente Dio non diviene puramente e semplicemente debitore verso di noi, ma verso se stesso: in quanto è dovuto che la sua ordinazione venga compiuta.

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