Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se il dono dell'intelletto sia compatibile con la fede

Pare che il dono dell'intelletto sia incompatibile con la fede.

Infatti:

1. S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 15 ] ha scritto: « Una cosa intesa è racchiusa nella comprensione di chi intende ».

Ora, ciò che è creduto non può essere compreso; poiché l'Apostolo [ Fil 3,12 ] precisa: « Non che io abbia compreso, o che sia arrivato alla perfezione ».

Quindi è chiaro che l'intelletto e la fede non sono compatibili nel medesimo soggetto.

2. Tutto ciò che viene inteso è evidente all'intelletto.

Ma la fede è di cose inevidenti, come si è detto [ q. 1, a. 4; q. 4, a. 1 ].

Quindi la fede non può trovarsi con l'intelletto nel medesimo individuo.

3. L'intelletto è più certo della scienza.

Eppure di una stessa verità, come si è visto [ q. 1, a. 5 ], non è possibile avere la scienza e la fede.

Perciò meno ancora sono compatibili la fede e l'intelletto.

In contrario:

S. Gregorio [ Mor 1,32 ] insegna che « l'intelletto illumina la mente sulle cose udite ».

Ma chi ha la fede può essere illuminato sulle cose udite: narra infatti il Vangelo [ Lc 24,45 ] che il Signore « aprì la mente dei discepoli all'intelligenza delle Scritture ».

Quindi l'intelletto può coesistere con la fede.

Dimostrazione:

A questo proposito sono necessarie due distinzioni: una per la fede e l'altra per l'intelletto.

Per la fede dobbiamo ricordare che ci sono delle verità che, essendo al disopra della ragione naturale, come l'unità e la trinità di Dio o l'incarnazione del Figlio di Dio, ricadono direttamente nel dominio della fede.

Ci sono invece delle verità che sono oggetto di fede perché subordinate a queste in qualche maniera: e sono tutte le affermazioni contenute nella Sacra Scrittura.

Per l'intelletto poi dobbiamo notare che possiamo dire di intendere una cosa in due modi.

Primo, perfettamente: cioè arrivando a conoscere l'essenza della cosa intesa, e la verità stessa di un enunziato in tutta la sua portata.

E in questo modo noi non possiamo intendere le cose che direttamente sono oggetto di fede, mentre dura lo stato presente.

Alcune delle altre verità ordinate alla fede invece le possiamo intendere anche in questo modo.

- Secondo, imperfettamente: quando cioè non si conosce l'essenza di una cosa nella sua quiddità e la verità di un enunciato in tutta la sua portata, però si conosce che le realtà visibili esterne non si oppongono alla verità: si comprende cioè che non si devono abbandonare i dogmi della fede per le apparenze esterne delle cose.

E in questo senso nulla impedisce che nello stato presente si possano intendere anche delle verità che sono direttamente oggetto di fede.

Sono così risolte anche le obiezioni.

Infatti le prime tre valgono a escludere un'intellezione perfetta.

L'ultima [ s. c. ] poi riguarda l'intellezione di ciò che è ordinato alla fede.

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