Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la magnanimità abbia per oggetto i grandi onori

Infra, a. 4, ad 1; I-II, q. 60, a. 5; In 2 Ethic., lect. 9; 4, lect. 9

Pare che la magnanimità di per sé non abbia per oggetto i grandi onori.

Infatti:

1. La materia propria della magnanimità, come si è visto [ a. prec. ], è l'onore.

Ma è accidentale all'onore essere grande o piccolo.

Quindi la magnanimità come tale non ha di mira i grandi onori.

2. La magnanimità riguarda gli onori come la mansuetudine riguarda l'ira.

Ma la mansuetudine di per sé non ha per oggetto le grandi più che le piccole ire.

Quindi anche la magnanimità non ha di per sé come oggetto i grandi onori.

3. Un onore modesto dista dagli onori grandi meno del disonore.

Ma il magnanimo è portato a comportarsi bene anche di fronte al disonore.

Quindi è suo compito farlo anche di fronte agli onori più modesti.

Quindi non si limita ai grandi onori.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 2,7 ] insegna che « la magnanimità riguarda i grandi onori ».

Dimostrazione:

Aristotele [ Phys. 7,3 ] scrive che « la virtù è una perfezione ».

E si intende la perfezione di una potenza, di cui costituisce « il coronamento » [ De caelo 1,11 ].

Ora, la perfezione di una potenza non si riscontra in un'opera qualsiasi, ma in un'opera grande e difficile: poiché qualunque potenza, anche quella meno perfetta, è capace di un atto modesto e facile.

Perciò la nozione di virtù richiede che questa abbia di mira « il difficile e il bene », come dice Aristotele [ Ethic. 2,3 ].

Ora, nell'atto della virtù la obiezioni e la grandezza, che in realtà si identificano, possono essere considerate da due punti di vista.

Primo, rispetto alla ragione, cioè in quanto il difficile sta nel determinare e nell'applicare in una data materia il giusto mezzo.

E questa obiezioni si riscontra solo nell'atto delle virtù intellettuali e nell'atto della giustizia.

C'è poi una seconda obiezioni dalla parte della materia, la quale può essere ribelle alla misura della ragione a cui deve sottostare.

E questa obiezioni si riscontra specialmente nelle altre virtù morali, che hanno per oggetto le passioni: poiché « le passioni sono in lotta con la ragione », come dice Dionigi [ De div. nom. 4 ].

E a proposito di queste ultime si deve tener presente che alcune oppongono una grande resistenza dalla parte della passione, altre invece dalla parte delle cose che formano l'oggetto delle passioni.

Ora, le passioni non hanno una grande capacità di resistere alla ragione se non sono violente: poiché l'appetito sensitivo, in cui le passioni risiedono, è sottoposto per natura alla ragione.

Quindi le virtù assegnate a questo genere di passioni sono soltanto quelle che hanno di mira la materia più ardua: come la fortezza riguarda i più gravi timori e le più grandi audacie, la temperanza le concupiscenze dei più grandi piaceri e la mansuetudine le ire più violente.

Ci sono invece delle passioni, quali ad es. l'amore e la brama del danaro e degli onori, che devono la loro forte resistenza contro la ragione alle cose esterne che ne formano l'oggetto.

E per queste la virtù è richiesta non solo rispetto alle cose più importanti, ma anche rispetto a quelle meno rilevanti o minori: poiché le cose esterne, anche se piccole, possono essere molto appetibili, in quanto necessarie alla vita.

E così per la brama del danaro si riscontrano due virtù, cioè la liberalità per le ricchezze moderate e la magnificenza per quelle rilevanti.

Parimenti anche rispetto agli onori ci sono due virtù.

L'una per quelli più modesti, e questa è senza nome; sono tuttavia ricordati i suoi estremi, che sono la filotimia, cioè l'« amore degli onori », e l'afilotimia, cioè la « mancanza di amore per gli onori »: infatti talora è lodato chi ama gli onori, talora invece chi non se ne cura, purché le due cose vengano fatte con moderazione.

Invece rispetto ai grandi onori si ha la magnanimità.

Perciò si deve concludere che la materia propria della magnanimità è costituita dai grandi onori; e il magnanimo tende a quelle cose che sono degne di grande onore.

Analisi delle obiezioni:

1. La grandezza e la piccolezza sono condizioni accidentali per l'onore considerato in se stesso, ma costituiscono una grande differenza in rapporto alla ragione, di cui si deve accettare la misura nell'uso degli onori: questa è infatti molto più difficile da osservarsi nei grandi che nei piccoli onori.

2. Nell'ira, come in altre materie, presentano notevoli obiezioni solo i casi estremi, per i quali soltanto si richiede la virtù.

Invece per le ricchezze e per gli onori, che sono cose esterne all'anima, la condizione è diversa.

3. Chi sa fare buon uso delle cose grandi, a maggior ragione sa fare buon uso delle piccole.

Perciò il magnanimo considera i grandi onori come cose di cui si sente degno; o anche come inferiori ai suoi meriti, poiché la virtù, che merita l'onore di Dio, non può essere adeguatamente onorata dagli uomini.

Perciò egli non si esalta per i grandi onori: poiché non li considera superiori a se stesso, ma piuttosto li disprezza.

E molto di più quelli moderati o piccoli.

Come pure egli non si abbatte per il disonore, ma lo disprezza come una cosa ingiusta.

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