Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se l'ira sia sempre un peccato mortale

I-II, q. 88, a. 5, ad 1; De Malo, q. 7, a. 4, ad 1; q. 12, a. 3; Expos. in Decal., c. De Quinto Praecepto; In Gal., c. 5, lect. 5

Pare che l'ira sia sempre un peccato mortale.

Infatti:

1. In Giobbe [ Gb 5,2 ] si legge: « La collera fa morire lo stolto »; e si parla della morte spirituale, da cui prende nome il peccato mortale.

Perciò l'ira è un peccato mortale.

2. Solo il peccato mortale merita la dannazione eterna.

Ma l'ira merita la dannazione eterna, poiché il Signore [ Mt 5,22 ] afferma: « Chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio »; e la Glossa [ ord. ] spiega che « con le tre cose ricordate in quel passo evangelico », cioè « col giudizio, col sinedrio e con la geenna vengono indicate le diverse dimore nella sede dei dannati, secondo la gravità del peccato ».

Quindi l'ira è un peccato mortale.

3. Ciò che è contrario alla carità è un peccato mortale.

Ma l'ira è contraria alla carità del prossimo, come risulta evidente dal commento di S. Girolamo [ In Mt 1 ] a quel passo evangelico [ Mt 5,22 ]: « Chiunque si adira con il proprio fratello », ecc.

Quindi l'ira è un peccato mortale.

In contrario:

Nel commentare l'esortazione del Salmo [ Sal 4,5 ]: « Adiratevi, ma senza peccare », la Glossa [ ord. ] insegna: « L'ira che non passa all'atto è un peccato veniale ».

Dimostrazione:

Come si è visto sopra [ a. prec. ], i moti dell'ira possono essere disordinati e peccaminosi in due modi.

Primo, a motivo di ciò che si desidera: come quando uno brama una vendetta ingiusta.

E allora l'ira nel suo genere è un peccato mortale: poiché è in contrasto con la carità e con la giustizia.

Tuttavia può darsi che tale desiderio sia un peccato veniale per l'imperfezione dell'atto.

Imperfezione che può aversi o dalla parte del soggetto, come nel caso in cui il moto dell'ira previene il giudizio della ragione, oppure anche dalla parte dell'oggetto, come quando uno desidera vendicarsi in cose da poco e insignificanti, che non sarebbero peccato mortale neppure se fossero messe in esecuzione: come tirare un poco per i capelli un ragazzo, o altre cose del genere.

Secondo, i moti dell'ira possono essere disordinati quanto al modo in cui ci si adira: p. es. se uno eccede nell'ardore interno dell'ira, o nelle sue manifestazioni esterne.

E da questo lato l'ira di per sé non è un peccato mortale.

Tuttavia può diventarlo: se p. es. uno per la violenza dell'ira manca alla carità verso Dio o verso il prossimo.

Analisi delle obiezioni:

1. Da quel testo non si rileva che l'ira sia sempre un peccato mortale, ma che gli stolti vengono uccisi dall'ira: poiché essi, non frenandone i moti con la ragione, cadono in qualche peccato mortale, p. es. in bestemmie contro Dio o in ingiurie contro il prossimo.

2. Il Signore con quelle parole sull'ira intese integrare quel testo della legge [ Es 20,13; Dt 5,17 ]: « Non uccidere ».

Perciò egli parla di quei moti dell'ira nei quali si brama l'uccisione del prossimo, o qualsiasi altra grave lesione: e questo desiderio, se è accompagnato dal consenso della ragione, senza dubbio è un peccato mortale.

3. Nel caso in cui l'ira è incompatibile con la carità, è un peccato mortale; ma ciò non accade sempre, come si è visto [ nel corpo ].

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