Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se la morte sia il castigo del peccato dei nostri progenitori

I-II, q. 85, a. 5; In 2 Sent., d. 30, q. 1, a. 1; In 3 Sent., d. 16, q. 1, a. 1; In 4 Sent., Prolog.; d. 4; q. 2, a. 1, sol. 3; C. G., IV, c. 52; De Malo, q. 5, a. 4; Comp. Theol., c. 193; In Rom., c. 5, lect. 3; In Hebr., c. 9, lect. 5

Pare che la morte non sia il castigo del peccato dei nostri progenitori.

Infatti:

1. Ciò che per l'uomo è naturale non può dirsi castigo di un peccato: poiché il peccato non perfeziona, ma degrada la natura.

Ora, la morte è naturale per l'uomo: come appare evidente dal fatto che il suo corpo è composto di elementi contrari, e anche dal fatto che il termine mortale è incluso nella definizione dell'uomo.

Quindi la morte non è il castigo di un peccato dei nostri progenitori.

2. La morte e le altre miserie corporali si trovano nell'uomo come anche negli altri animali, secondo quelle parole [ Qo 3,19 ]: « La sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste muoiono quelli ».

Ma per gli animali bruti la morte non è la pena di un peccato.

Quindi neppure per gli uomini.

3. Il peccato dei nostri progenitori fu una colpa di persone determinate.

Invece la morte colpisce tutto il genere umano.

Perciò questa non può essere il castigo del peccato dei nostri progenitori.

4. Tutti deriviamo ugualmente dai nostri progenitori.

Se quindi la morte fosse un castigo del loro peccato ne seguirebbe che tutti gli uomini dovrebbero subirla allo stesso modo.

Il che è falso: poiché alcuni ne sono colpiti prima, o più gravemente.

Quindi la morte non è un castigo del primo peccato.

5. Il male della pena, come si è detto sopra [ q. 19, a. 1, ad 3; I, q. 48, a. 6; q. 49, a. 2 ], viene da Dio.

Ma la morte non viene da Dio, poiché sta scritto [ Sap 1,13 ]: « Dio non ha creato la morte ».

Perciò la morte non è la pena del primo peccato.

6. I castighi non sono meritori: infatti il merito è nella categoria del bene, mentre il castigo rientra in quella del male.

Ma la morte talora è meritoria: come nel caso dei martiri.

Quindi la morte non è un castigo.

7. Un castigo deve essere afflittivo.

Invece la morte non può essere afflittiva: poiché quando arriva non la si sente più, e quando non c'è ancora non la si può sentire.

Quindi la morte non può essere un castigo del peccato.

8. Se la morte fosse un castigo del peccato sarebbe seguita immediatamente al peccato.

Ma ciò non è vero: infatti i progenitori vissero a lungo dopo il peccato, come risulta dalla Genesi [ Gen 4,25 ].

Quindi la morte non è un castigo del peccato.

In contrario:

L'Apostolo [ Rm 5,12 ] insegna: « A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e con il peccato la morte ».

Dimostrazione:

Se uno a motivo di una sua colpa viene privato di un beneficio, la carenza di esso è un castigo del suo peccato.

Ora, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 95, a. 1; q. 97, a. 1 ], l'uomo nella sua creazione ricevette da Dio questo beneficio: che fino a quando la sua mente fosse rimasta soggetta al Signore, le potenze inferiori dell'anima sarebbero restate sottomesse alla ragione, e il corpo all'anima.

Ma poiché la mente dell'uomo rifiutò di sottomettersi a Dio, ne seguì che anche le potenze inferiori non furono più totalmente soggette alla ragione, per cui è così grande la ribellione degli appetiti della carne contro la ragione; e anche il corpo non fu più totalmente soggetto all'anima, cosicché ne seguì la morte, e tutte le altre miserie corporali.

Infatti la vita e l'incolumità del corpo consistono nel suo essere sottomesso all'anima, come il soggetto perfettibile alla sua perfezione: per cui, al contrario, la morte, le malattie e tutte le altre miserie corporali derivano dalla mancata soggezione del corpo all'anima.

Risulta quindi evidente che, come la ribellione della carne allo spirito, così anche la morte e tutte le miserie corporali sono un castigo del peccato dei nostri progenitori.

Analisi delle obiezioni:

1. Si dice naturale ciò che viene prodotto da cause naturali.

Ora, le cause intrinseche della natura sono la materia e la forma.

Ma la forma dell'uomo è l'anima razionale, che per sua natura è immortale.

Quindi la morte non è naturale per l'uomo dal lato della sua forma.

La materia dell'uomo invece è un corpo composto di elementi contrari: dal che segue necessariamente la corruttibilità.

Perciò da questo lato la morte è naturale per l'uomo.

Ma questa corruttibilità del corpo umano deriva da una necessità della materia: poiché bisognava che il corpo umano fosse l'organo del tatto, e quindi in una condizione di equilibrio tra i corpi da percepire; il che non poteva verificarsi se esso non fosse stato composto di elementi contrari, come spiega Aristotele [ De anima 2,10 ].

Ora, questa non è una condizione imposta dalla forma: poiché se fosse stato possibile, essendo la forma incorruttibile, bisognava piuttosto provvederla di una materia incorruttibile.

Come il fatto che la sega sia di ferro si accorda con la sua forma e la sua operazione, in modo che essa possa segare con la sua durezza, ma che essa sia soggetta alla ruggine dipende dalle esigenze di tale materia, e non dalla scelta di chi l'ha fatta: se infatti l'artigiano potesse, la farebbe con un ferro non soggetto alla ruggine.

Ora Dio, che ha creato l'uomo, è onnipotente.

E così per un beneficio gratuito egli tolse all'uomo nella sua prima creazione la necessità di morire che derivava da tale materia.

Ma questo beneficio fu ritirato per la colpa dei nostri progenitori.

Quindi la morte è naturale per la condizione della materia, ma è anche un castigo per la perdita del dono divino che preservava dalla morte.

2. La suddetta somiglianza dell'uomo con gli animali si riscontra quanto alla condizione della materia, cioè del corpo composto di elementi contrari, ma non quanto alla forma.

Infatti l'anima dell'uomo è immortale, mentre le anime delle bestie sono mortali.

3. I nostri progenitori non furono creati da Dio solo come persone determinate, ma quali princìpi di tutta la specie umana, che doveva essere trasmessa ai posteri assieme al dono gratuito dell'immortalità.

E così il loro peccato privò tutta la specie umana di tale beneficio, abbandonandola alla morte.

4. Una menomazione può derivare da una colpa in due modi.

Primo, come un castigo inflitto dal giudice.

E tale menomazione deve essere uguale in tutti quelli che sono ugualmente partecipi della colpa.

- Secondo, la menomazione può derivare dal suddetto castigo indirettamente: come uno che ha subito per sua colpa l'accecamento, può cadere lungo la strada.

Ora, tale menomazione non è proporzionata alla colpa; e neppure viene considerata dal giudice, il quale non può prevedere tutti i casi fortuiti.

Così dunque il castigo inflitto per il primo peccato, e ad esso adeguato, è la privazione del dono divino della rettitudine e dell'integrità della natura umana.

Le menomazioni invece che seguono la sottrazione di questo dono sono la morte e le altre miserie della vita presente.

Quindi non è necessario che tali castighi siano uguali in tutti quelli a cui ugualmente appartiene il primo peccato.

Tuttavia, siccome Dio prevede tutti gli eventi futuri, queste penalità si trovano nelle varie persone in grado diverso per disposizione della divina provvidenza: non già per i meriti acquistati in una vita antecedente, come pensava Origene [ Peri arch. 2,9 ] ( ciò infatti è contro le parole di S. Paolo [ Rm 9,11 ]: « Quando ancora nulla avevano fatto di bene o di male »; e anche contro ciò che abbiamo già dimostrato nella Prima Parte [ q. 90, a. 4; q. 118, a. 3 ], che cioè l'anima non è creata prima del corpo ), ma o come castigo delle colpe dei genitori, e ciò capita spesso, essendo il figlio come qualcosa del padre, per cui spesso i genitori sono puniti nella prole, oppure anche a beneficio spirituale di chi è sottoposto a queste sofferenze, per distoglierlo dal peccato, immunizzarlo dall'orgoglio e coronarne la pazienza.

5. La morte può essere considerata sotto due aspetti.

Primo, in quanto è un male della natura umana.

E da questo lato essa non viene da Dio, ma è una menomazione dovuta a una colpa dell'uomo.

- Secondo, sotto l'aspetto di bene, come giusto castigo.

E sotto questo aspetto essa viene da Dio. Scrive infatti S. Agostino [ Retract. 1, cc. 21,26 ] che Dio non è causa della morte se non in quanto essa è un castigo.

6. « Come gli iniqui », spiega S. Agostino [ De civ. Dei 13,5 ], « fanno cattivo uso non solo delle cose cattive, ma anche di quelle buone, così i giusti non fanno buon uso solo delle cose buone, ma anche di quelle cattive.

Ed è così che i malvagi abusano della legge, sebbene essa sia buona; e i buoni muoiono bene, sebbene la morte sia un male ».

Perciò la morte diviene meritoria per i santi perché ne fanno buon uso.

7. Il termine « morte » può indicare due cose.

Primo, la privazione della vita.

E così la morte non può essere sentita: essendo essa la privazione del sentire e del vivere.

In questo senso dunque non è una privazione afflittiva, ma privativa.

Secondo, può indicare la corruzione che porta alla suddetta privazione.

Ora, per corruzione noi possiamo intendere due cose.

Primo, il termine del moto d'alterazione.

E in questo senso si dice che c'è la morte nell'istante in cui si ha la privazione della vita.

E anche in questo caso la morte non è una pena afflittiva.

- Secondo, nel termine corruzione possiamo includere l'alterazione che la precede: come diciamo ad es. che uno muore quando sta per morire; o che una cosa è generata mentre sta per nascere.

E in questa accezione la morte può essere considerata una pena afflittiva.

8. Come nota S. Agostino [ De pecc. merit. et remiss. 1,16 ], « sebbene i nostri progenitori siano poi vissuti molti anni, tuttavia essi cominciarono a morire dal giorno in cui cominciarono a subire la legge della morte col proprio invecchiamento ».

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