Summa Teologica - III

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Articolo 4 - Se dopo che è stata rimessa la colpa con la penitenza rimanga un reato o debito di pena

I-II, q. 87, a. 6; In 4 Sent., d. 14, q. 2, a. 1, sol. 2; C. G., III, c. 158; In Rom., c. 11, lect. 4

Pare che dopo che è stata rimessa la colpa con la penitenza non rimanga alcun reato o debito di pena.

Infatti:

1. Eliminata la causa, si elimina anche l'effetto.

Ma la colpa è la causa del debito della pena: poiché uno è degno di pena proprio perché ha commesso una colpa.

Perciò, una volta eliminata la colpa, non può rimanere un debito di pena.

2. Come dice l'Apostolo [ Rm 5,15ss ], il dono di Cristo ha più efficacia del peccato.

Ora, l'uomo col peccato incorre simultaneamente nella colpa e nel debito della pena.

Quindi a maggior ragione col dono della grazia vengono rimessi simultaneamente la colpa e il debito della pena.

3. La remissione dei peccati si ottiene nella penitenza per virtù della passione di Cristo, secondo l'affermazione di S. Paolo [ Rm 3,25 ]: « Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede nel suo sangue, per la remissione dei peccati passati ».

Ma la passione di Cristo basta a soddisfare per tutti i peccati, come si è visto sopra [ q. 48, a. 2; q. 49, a. 3 ].

Quindi dopo la remissione della colpa non rimane alcun debito di pena.

In contrario:

Nella Scrittura [ 2 Sam 12,13s ] si legge che, avendo Davide penitente detto a Natan: « Ho peccato contro il Signore », Natan gli rispose: « Il Signore ha perdonato il tuo peccato: tu non morirai.

Tuttavia il figlio che ti è nato dovrà morire »; e ciò in pena del peccato precedente, come si legge nello stesso punto.

Perciò, rimessa la colpa, rimane il debito di una certa pena.

Dimostrazione:

Come si è visto nella Seconda Parte [ I-II, q. 87, a. 4 ], nel peccato mortale vanno considerate due cose: l'allontanamento dal bene [ eterno ] incommutabile e la conversione [ o adesione ] disordinata al bene commutabile [ o temporale ].

Per l'allontanamento quindi dal bene incommutabile il peccato mortale è accompagnato dal debito della pena eterna, in modo che colui che ha peccato contro il bene eterno venga punito per l'eternità.

Invece per la disordinata conversione al bene commutabile il peccato mortale è accompagnato dal debito di un'altra pena: poiché il disordine della colpa non viene riassorbito nell'ordine della giustizia che mediante una pena.

È infatti giusto che colui che ha concesso alla propria volontà più del dovuto, soffra qualcosa di contrario alla sua volontà.

E così si ottiene l'uguaglianza.

Per cui si legge nell'Apocalisse [ Ap 18,7 ]: « Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione ».

Tuttavia, poiché l'adesione al bene commutabile non è infinita, da questo lato il peccato non merita una pena eterna.

Per cui nel caso di una conversione disordinata a un bene temporale senza allontanamento da Dio, come accade nei peccati veniali, il peccato merita una pena non eterna, ma temporale.

Quando dunque mediante la grazia viene rimessa la colpa, finisce l'allontanamento dell'anima da Dio, poiché con la grazia l'anima si unisce a lui.

E così viene per ciò stesso eliminato il debito della pena eterna.

Può tuttavia restare il debito di una qualche pena temporale.

Analisi delle obiezioni:

1. La colpa mortale presenta tutti e due questi aspetti: l'allontanamento da Dio e l'adesione o conversione al bene creato; però, come si è spiegato nella Seconda Parte [ I-II, q. 71, a. 6 ], l'allontanamento da Dio è l'elemento formale del peccato, mentre la conversione al bene creato è l'elemento materiale.

Ora, se viene eliminato l'elemento formale di una cosa, questa perde la sua natura specifica: come eliminando la razionalità si elimina la specie umana.

Perciò si dice che la colpa mortale viene rimessa per il fatto che con la grazia viene tolto l'allontanamento dell'anima da Dio e insieme il reato o debito della pena eterna.

Rimane però l'elemento materiale, cioè l'adesione disordinata al bene creato: per cui si ha un debito di pena temporale.

2. Come si è visto nella Seconda Parte [ I-II, q. 111, a. 2 ], è compito della grazia operare nell'uomo giustificando dal peccato, e cooperare con l'uomo nel ben operare.

Perciò la remissione della colpa e del debito della pena eterna appartiene alla grazia operante, mentre la remissione del debito della pena temporale spetta alla grazia cooperante, in quanto cioè l'uomo, sopportando con pazienza le sue pene mediante l'aiuto della grazia, viene sciolto dal debito della pena temporale.

Come quindi l'effetto della grazia operante precede quello della grazia cooperante, così la remissione della colpa e della pena eterna precede la piena remissione della pena temporale.

Entrambi gli effetti derivano perciò dalla grazia: ma il primo dalla sola grazia, mentre il secondo deriva insieme dalla grazia e dal libero arbitrio.

3. La passione di Cristo è sufficiente per se stessa a eliminare qualsiasi debito di pena non solo eterna, ma anche temporale: e nella misura in cui l'uomo partecipa la virtù della passione di Cristo, partecipa anche l'affrancamento dal debito della pena.

Ora, nel battesimo l'uomo partecipa pienamente la virtù della passione di Cristo, inquantoché mediante l'acqua e lo Spirito Santo viene a morire al peccato insieme con Cristo, e viene rigenerato in lui a una vita nuova.

Perciò nel battesimo l'uomo ottiene la remissione di tutta la pena.

Nella penitenza invece partecipa la virtù della passione di Cristo secondo la misura dei propri atti, i quali, come si è visto sopra [ q. 84, a. 1, ad 1 ], sono la materia della penitenza, come l'acqua lo è del battesimo.

E così il debito di tutta la pena non viene subito rimesso con il primo atto di penitenza con cui viene rimessa la colpa, ma solo dopo che sono stati compiuti tutti gli atti della penitenza.

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