Supplemento alla III parte

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Articolo 5 - Se uno possa confessarsi ad altri, e non al proprio sacerdote, per un privilegio o per un ordine del proprio superiore

Pare che uno non possa confessarsi a chi non è il proprio sacerdote nemmeno per un privilegio o per un ordine del proprio superiore.

Infatti:

1. Un privilegio non può essere concesso a danno di un'altra persona.

Ma sarebbe a danno del sacerdote se un altro ascoltasse la confessione di un suo suddito.

Quindi ciò non può essere ottenuto per privilegio, o per un permesso o comando di un superiore.

2. Ciò che impedisce l'esecuzione di un comando divino non può essere concesso dal comando o dal privilegio di alcun uomo.

Ma i rettori di chiese hanno il comando divino di ben « conoscere il volto delle loro pecore », il che è impedito se altri e non loro ne ascoltano la confessione.

Quindi ciò non può essere ordinato né per privilegio né per comando di alcun uomo.

3. Colui che ascolta la confessione deve essere il giudice proprio del penitente: altrimenti non lo potrebbe legare e sciogliere.

Ma di un unico uomo non ci possono essere più giudici o sacerdoti propri, perché allora egli sarebbe tenuto a ubbidire a più persone, il che è impossibile quando queste comandano cose contrarie o incompatibili.

Quindi uno non può confessarsi che al proprio sacerdote, nonostante il permesso dell'autorità superiore.

4. Fa ingiuria al sacramento chi lo ripete sulla medesima materia; o per lo meno compie un'azione inutile.

Ora, chi si è confessato da un sacerdote estraneo è tenuto a riconfessarsi dal proprio sacerdote, se questi lo richiede: poiché non è dispensato dall'obbedienza che a lui deve in questo.

Perciò non può essere lecito confessarsi da altri all'infuori del proprio sacerdote.

In contrario:

1. Le funzioni proprie di un ordine sacro possono essere affidate, da chi ha la facoltà di esercitarle, a chi possiede il medesimo ordine.

Ora il superiore, come il vescovo, può ascoltare la confessione dei parrocchiani dei suoi presbiteri, poiché in certi casi si riserva alcune cose, essendo egli il pastore principale.

Quindi egli può anche incaricare altri sacerdoti di ascoltare le confessioni.

2. Ciò che può l'inferiore lo può anche il superiore.

Ma il sacerdote può dare a un proprio parrocchiano il permesso di confessarsi da un altro.

A maggior ragione quindi tale permesso può darlo il superiore.

3. Il potere che il sacerdote ha sul popolo lo riceve dal vescovo.

Ora, è da tale potere che deriva la facoltà di ascoltare la confessione.

Quindi per lo stesso principio ha tale facoltà un altro a cui il vescovo la concede.

Dimostrazione:

Un sacerdote può essere impedito dall'ascoltare la confessione di qualcuno per due motivi: primo, per mancanza di giurisdizione; secondo, perché è impedito nell'esercizio dell'ordine, come gli scomunicati, i degradati e simili.

Ma chiunque abbia la giurisdizione può affidare ad altri gli atti della medesima.

Perciò se uno è inabile ad ascoltare le confessioni per mancanza di giurisdizione sui penitenti, può ottenere la facoltà di ascoltare le confessioni e di assolvere da chi ha la giurisdizione immediata su di essi, cioè dal parroco, dal vescovo o dal Papa.

Se invece uno non può ascoltare le confessioni perché impedito nell'esercizio dell'ordine, può ottenere la facoltà da colui che può togliere tale impedimento.

Analisi delle obiezioni:

1. Si arreca danno a una persona quando la si defrauda di quanto era stato concesso a suo vantaggio.

Ora, il potere di giurisdizione non viene concesso a favore del depositario, ma per il bene del popolo e per l'onore di Dio.

Se quindi i prelati superiori giudicano, per il bene del popolo e per l'onore di Dio, di dover estendere ad altri i compiti della giurisdizione, non si arreca alcun pregiudizio ai prelati inferiori; se non [ forse ] a quelli che « cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo » [ Fil 2,21 ], e che conducono le pecore « non per pascerle, ma per esserne pasciuti » [ Ez 34,2 ].

2. I rettori di chiese devono conoscere « il volto delle loro pecore » in due modi.

Primo considerando con attenzione il loro comportamento esterno, in modo da vigilare sul gregge loro affidato.

E in questa conoscenza non è necessario che essi credano ai loro sudditi, ma per quanto è possibile devono accertarsi dei fatti.

- Secondo, mediante le rivelazioni avute in confessione.

E in questo tipo di conoscenza non si può ottenere una certezza maggiore di quella procedente dalla fiducia accordata al penitente: poiché si tratta di sollevare la sua coscienza.

Per cui in confessione si deve credere al penitente sia in favore che contro di sé; non così invece nel foro esterno.

Quindi per tale conoscenza basta che i rettori di chiese credano al suddito che dice di essersi confessato da uno che era in grado di assolvere.

È evidente quindi che il privilegio concesso ad alcuni di ascoltare le confessioni non impedisce questa conoscenza.

3. L'inconveniente ci sarebbe se nel medesimo popolo venissero costituiti due superiori in pari grado.

Ma l'inconveniente non esiste se uno dei due è superiore all'altro.

E in questo modo sul medesimo popolo sono costituiti il parroco, il vescovo e il Papa; e ciascuno di essi è in grado di affidare ad altri i compiti giurisdizionali che a lui spettano.

- Se però a dare l'incarico è il superiore principale, esso può conferire tale incarico in due modi: primo, costituendo il delegato quale suo vicario, ossia come il Papa e i vescovi costituiscono i loro penitenzieri: e allora il delegato è superiore rispetto ai prelati inferiori, come il penitenziere del Papa è sopra il vescovo, e il penitenziere del vescovo è sopra il parroco; per cui il penitente è tenuto a ubbidirgli maggiormente.

- Secondo, costituendo il delegato coadiutore del sacerdote [ in cura d'anime ].

E poiché il coadiutore è subordinato al sacerdote col quale deve cooperare, gli risulta inferiore.

Perciò il penitente non è tenuto a ubbidirgli come al proprio sacerdote.

4. Nessuno è tenuto a confessare i peccati che non ha.

Perciò se uno si è confessato dal penitenziere del vescovo, oppure da un altro delegato dell'autorità vescovile, dal momento che i suoi peccati sono stati rimessi sia di fronte a Dio che di fronte alla Chiesa, non è tenuto a riconfessarli al proprio sacerdote, per quanto costui lo reclami.

Tuttavia per il precetto ecclesiastico [ Decretales 5,38,12 ] di confessarsi « una volta all'anno dal proprio sacerdote », deve comportarsi come chi ha soltanto dei peccati veniali.

Costui infatti deve confessare solo i peccati veniali, come dicono alcuni; oppure limitarsi a dichiarare di essere senza peccati mortali.

E il sacerdote [ parroco ] in foro interno è tenuto a credergli.

Tuttavia, anche se egli fosse tenuto a riconfessarsi, la prima confessione non sarebbe stata inutile: poiché quanto più numerosi sono i sacerdoti a cui uno si confessa, tanto più gli viene condonata la pena: sia per la vergogna della confessione, che si risolve in una pena soddisfattoria, sia per il potere delle chiavi.

Per cui uno potrebbe essere liberato da ogni pena ripetendo molte volte la confessione.

Né la ripetizione reca ingiuria al sacramento, all'infuori di quei sacramenti che implicano una consacrazione, o perché imprimono il carattere, o perché consacrano la materia: il che non avviene nella confessione.

Per cui è bene che chi ascolta la confessione come delegato del vescovo esorti il penitente a riconfessarsi dal proprio sacerdote.

Se però egli si rifiuta, lo deve assolvere ugualmente.

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