Supplemento alla III parte

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Articolo 7 - Se la pena temporale che rimane da espiare dopo la confessione debba essere determinata secondo la gravità della colpa

Pare che la pena temporale che rimane da espiare dopo la confessione non debba essere determinata secondo la gravità della colpa.

Infatti:

1. Essa va determinata secondo l'intensità del piacere goduto nel peccato, come risulta dalle parole dell'Apocalisse [ Ap 18,7 ]: « Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione ».

Ma talvolta laddove il piacere è più grande, la colpa è meno grave: infatti i peccati carnali, che offrono piaceri più intensi di quelli spirituali, hanno minore colpevolezza, come insegna S. Gregorio [ Mor. 33,12 ].

Quindi la pena o penitenza non va determinata secondo la gravità della colpa.

2. I precetti morali obbligano nella legge nuova come nell'antica.

Ora, nella legge antica per il peccato era fissata la pena di sette giorni: i peccatori cioè venivano considerati immondi per sette giorni.

Poiché dunque nel nuovo Testamento viene imposta per un peccato mortale la pena di sette anni, pare che la quantità della pena non corrisponda alla gravità della colpa.

3. L'omicidio commesso da un laico è un peccato più grave della fornicazione di un sacerdote: poiché la qualifica derivante dalla specie del peccato è un'aggravante molto maggiore di quella desunta dalla condizione della persona.

Ora, al laico per l'omicidio viene imposta dai Canoni [ Decr. di Graz. 1,50,41 ] la penitenza di sette anni, mentre al sacerdote per la fornicazione vengono imposti dieci anni di penitenza [ ib. 1,82,5 ].

Quindi la pena non viene determinata secondo la gravità della colpa.

4. Il peccato più grave è quello che viene commesso verso il corpo stesso di Cristo: poiché il peccato è tanto più grave quanto più nobile è la persona verso la quale si pecca.

Ora, per chi versa il sangue di Cristo contenuto nel sacramento dell'altare viene imposta la penitenza di quaranta giorni, o poco più [ ib. 3,2,27 ]; invece per la fornicazione semplice i Canoni [ ib. 1,82,5 ] impongono la penitenza di sette anni.

Quindi la gravità della pena non corrisponde alla gravità della colpa.

In contrario:

1. In Isaia [ Is 27,8 Vg ] si legge: « In misura rimisurata la punirò, gettandola nell'esilio ».

Perciò la gravità della punizione del peccato è secondo la gravità della colpa.

2. L'uomo viene ricondotto all'uguaglianza della giustizia mediante il castigo.

Ma ciò non avverrebbe se tra la gravità della colpa e quella della pena non ci fosse corrispondenza.

Quindi l'una corrisponde all'altra.

Dimostrazione:

Dopo la remissione della colpa, la pena è richiesta per due motivi: per saldare il debito e per guarire dal peccato.

Perciò la determinazione della pena va considerata sotto questi due aspetti.

Primo, rispetto al debito.

E da questo lato la gravità della pena corrisponde radicalmente alla gravità della colpa, prima che questa venga perdonata.

Tuttavia, secondo che è più o meno grande la misura della remissione apportata dal primo di quegli atti che per loro natura sono ordinati a rimettere la pena, rimane da espiare di più o di meno mediante quelli successivi: infatti quanto più efficace è stata la contrizione nel rimettere la pena, tanto meno resta da espiare con la confessione.

- Secondo, rispetto alla guarigione, sia del peccatore stesso che degli altri.

E da questo lato talvolta per un peccato meno grave viene stabilita una pena maggiore.

O perché resistere al peccato di uno è più difficile che resistere a quello di un altro: come per la fornicazione è imposta a un giovane una pena più grave che a un vecchio, sebbene il primo pecchi meno gravemente.

Oppure perché in un dato soggetto, in un sacerdote p. es., il peccato è più pericoloso che in un altro.

O anche perché il popolo è più proclive a quel peccato, e quindi con la punizione del colpevole si deve cercare di intimorire gli altri.

Perciò nel tribunale della penitenza la pena va determinata tenendo conto di questi due aspetti.

E così non sempre per un peccato più grave viene imposta una penitenza maggiore.

- La pena del purgatorio invece serve solo a saldare il debito, non essendovi più la possibilità di peccare.

Perciò tale pena viene stabilita solo secondo la gravità del peccato; tenendo conto però dell'intensità della contrizione, della confessione e dell'assoluzione: poiché tutti questi atti rimettono in parte la pena stessa.

Perciò di essi deve tener conto anche il sacerdote nell'imporre la soddisfazione.

Analisi delle obiezioni:

1. In quelle parole si accenna a due elementi della colpa, cioè al vanto e ai piaceri.

Il primo rientra nell'orgoglio del peccatore, col quale egli si contrappone a Dio, il secondo nel piacere del peccato.

Ora, sebbene talvolta in una colpa più grave il piacere sia minore, tuttavia l'orgoglio è sempre maggiore.

Perciò l'argomento non regge.

2. La suddetta pena di sette giorni non serviva a espiare la pena dovuta al peccato: per cui se uno fosse morto dopo quella settimana sarebbe stato punito ugualmente in purgatorio.

Espiava invece una certa irregolarità, come tutti i sacrifici dell'antica legge.

Tuttavia, a parità di condizioni, uno pecca più gravemente nella legge nuova che in quella antica: sia per la consacrazione più grande che riceve nel battesimo, sia per i maggiori benefici di Dio offerti al genere umano.

E ciò risulta evidente dalle parole di S. Paolo [ Eb 10,29 ]: « Di quanto maggiore castigo », ecc. Tuttavia non è sempre vero che per ogni peccato mortale si richiedono sette anni di penitenza, ma questa è una specie di norma comune, che vale per la maggior parte dei casi; norma che bisogna però abbandonare a seconda delle varie circostanze in cui si trovano i penitenti.

3. I vescovi e i sacerdoti peccano con maggiore pericolo loro proprio e altrui.

Per questo i Canoni intervengono con più sollecitudine a ritrarli dal peccato infliggendo loro una pena più grave, quale rimedio; sebbene talvolta la colpa non ne meriti tanta per saldare il debito.

Per cui in purgatorio non si esigerà altrettanto da loro.

4. La pena ricordata vale quando ciò accade contro la volontà del sacerdote celebrante.

Se infatti tale spargimento fosse fatto di proposito, egli sarebbe degno di una pena molto più grave.

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