Supplemento alla III parte

Indice

Articolo 1 - Se la soddisfazione sia una virtù o un atto di virtù

Pare che la soddisfazione non sia né una virtù né un atto di virtù.

Infatti:

1. Ogni atto di virtù è meritorio.

Ma la soddisfazione evidentemente non è meritoria, poiché il merito suppone un atto spontaneo, mentre la soddisfazione è dovuta.

Quindi la soddisfazione non è un atto di virtù.

2. Ogni atto di virtù è volontario.

Invece talora uno è costretto a dare soddisfazione: come quando uno è punito dal giudice per l'offesa fatta ad altri.

Perciò la soddisfazione non è un atto di virtù.

3. Secondo il Filosofo [ Ethic. 8,13 ], « in una virtù morale la cosa più importante è la deliberazione ».

Ma la soddisfazione non è compiuta mediante una deliberazione, poiché riguarda principalmente opere esterne.

Quindi non è un atto di virtù.

In contrario:

1. La soddisfazione fa parte della penitenza.

Ma la penitenza è una virtù.

Quindi la soddisfazione è un atto di virtù.

2. Nessun atto può contribuire a distruggere il peccato se non è un atto di virtù, poiché « una cosa viene distrutta dal suo contrario ».

Ora, il peccato viene totalmente distrutto dalla soddisfazione.

Quindi la soddisfazione è un atto di virtù.

Dimostrazione:

Un atto può essere considerato un atto di virtù in due modi.

Primo, materialmente.

E in questo senso qualsiasi atto che non implichi malizia, né assenza delle debite circostanze, può essere considerato un atto di virtù, poiché una virtù può servirsi di un qualsiasi atto del genere, come ad es. camminare, parlare e fare altre cose simili, per raggiungere il proprio fine.

Secondo, un atto può essere detto atto di virtù formalmente, in quanto implica la nozione di virtù nel suo nome: come si dice che sopportare con coraggio è un atto di fortezza.

Ora, il costitutivo formale di qualsiasi virtù morale è il giusto mezzo.

Perciò ogni atto che implica l'idea di giusto mezzo è formalmente un atto di virtù.

E poiché tale è l'uguaglianza implicita nel termine « soddisfazione » - infatti non si può dire che una data cosa è soddisfatta se non perché ha raggiunto la proporzione di uguaglianza con un'altra cosa -, è evidente che la soddisfazione è anche formalmente un atto di virtù.

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene il soddisfare sia di per sé una cosa dovuta, tuttavia, poiché chi soddisfa esegue l'opera volontariamente, la soddisfazione riceve la natura di cosa spontanea dalla parte dell'operante: e così costui « fa di necessità virtù » [ Gir., Epist. 54 ].

Il debito infatti diminuisce il merito in quanto implica la necessità, che è il contrario della volontarietà.

Se quindi la volontà acconsente alla necessità, il merito non viene eliminato.

2. L'atto virtuoso richiede la volontarietà non in chi lo subisce, ma in chi lo compie: poiché è a lui che appartiene.

Siccome dunque colui sul quale il giudice esercita la giusta vendetta subisce e non compie la soddisfazione, di conseguenza la soddisfazione volontaria non si riscontra in lui, bensì nel giudice che la impone.

3. In una virtù l'elemento principale può essere determinato da due punti di vista.

Primo, da quello della virtù in quanto virtù.

E da questo lato le cose principali sono quelle attinenti alla ragione, o che più ad essa si avvicinano.

E così sono principali nella virtù in quanto virtù la deliberazione e gli atti interiori dell'animo.

Secondo, si può considerare principale ciò che specifica quella virtù come tale.

E in questo senso l'elemento principale nella virtù è quello da cui essa desume la sua determinazione.

Ora, in certe virtù gli atti interiori sono determinati da quelli esteriori: poiché la deliberazione, che è comune a tutte le virtù, per il fatto che è la deliberazione di quel dato atto diviene propria di quella data virtù.

E da questo lato gli atti esterni in certe virtù sono principali.

E così avviene anche nel caso della soddisfazione.

Indice