Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se sia esatta questa definizione della scomunica: « Separazione dalla comunione della Chiesa quanto al frutto e ai suffragi generali »

Pare che non sia esatta la definizione proposta da alcuni in questi termini: « La scomunica è la separazione dalla comunione della Chiesa quanto al frutto e ai suffragi generali ».

Infatti:

1. I suffragi della Chiesa valgono per quelli per cui sono fatti.

Ora, la Chiesa prega per quelli che sono fuori di essa, cioè per gli eretici e per i pagani.

Quindi essa prega anche per gli scomunicati posti fuori della Chiesa.

Quindi i suffragi della Chiesa valgono anche per loro.

2. Nessuno può perdere i suffragi della Chiesa se non per una colpa.

Ma la scomunica non è una colpa, bensì una pena.

Perciò con la scomunica nessuno viene escluso dai suffragi comuni della Chiesa.

3. I frutti della Chiesa pare che si identifichino con i suffragi: poiché non può trattarsi dei frutti dei beni temporali, inquantoché da questi gli scomunicati non sono esclusi.

Perciò questa distinzione è inutile.

4. Anche la scomunica minore è una scomunica.

Eppure con essa uno non perde i suffragi della Chiesa.

Quindi la definizione data non è esatta.

Dimostrazione:

Chi col battesimo è inserito nella Chiesa è reso capace di due cose: di costituire il ceto dei fedeli e di partecipare ai sacramenti.

E questa seconda cosa presuppone la prima, poiché mediante la partecipazione ai sacramenti i fedeli sono anche in comunione tra loro.

Perciò si può essere posti fuori della Chiesa con la scomunica in due modi.

Primo, con la sola esclusione dai sacramenti: e questa è la scomunica minore.

Secondo, con l'esclusione da entrambe le cose: e questa è la scomunica maggiore definita in questo articolo.

Non ci può essere invece un terzo caso, cioè l'esclusione dalla comunione dei fedeli senza l'esclusione dai sacramenti, per il motivo indicato: poiché i fedeli sono in comunione tra loro mediante i sacramenti.

Ora, la comunione dei fedeli può essere di due generi: una nelle realtà spirituali, quali la preghiera reciproca e le sacre funzioni liturgiche, l'altra negli atti corporali legittimi; le quali cose sono compendiate in queste parole: « Chi è colpito di anatema per un delitto, è escluso dalla bocca, dalla preghiera, dal saluto, dalla comunione e dalla mensa ».

« Dalla bocca », cioè dal bacio, « dalla preghiera », poiché non si può pregare con gli scomunicati, « dal saluto », poiché essi non vanno salutati, « dalla comunione », cioè da ogni rapporto sacramentale, « dalla mensa », poiché non si può mangiare con essi.

Ora, la definizione data implica l'esclusione dai sacramenti con le parole « quanto al frutto », e dalla comunione dei fedeli quanto alle realtà spirituali con il riferimento ai « suffragi comuni della Chiesa ».

C'è poi un'altra definizione, che si fonda sull'esclusione dei due generi di atti: « La scomunica è la separazione da qualunque comunione lecita o atto legittimo ».

Analisi delle obiezioni:

1. È vero che si prega per gli infedeli, ma essi non percepiscono il frutto della preghiera finché non si convertono.

E allo stesso modo si può pregare anche per gli scomunicati, non però nelle preghiere fatte per i membri della Chiesa; essi tuttavia non percepiscono il frutto finché restano sotto la scomunica, per cui si prega perché ottengano lo spirito di penitenza, così da meritare l'assoluzione.

2. Le preghiere dell'uno valgono per l'altro in quanto c'è un legame reciproco.

Ora, l'azione di un uomo può essere legata a quella di un altro in due modi.

Primo, in forza della carità, che lega in Dio tutti i fedeli in una perfetta unità, secondo le parole del Salmo [ Sal 119,63 ]: « Sono amico di coloro che ti sono fedeli ».

Ora, non è la scomunica a distruggere questa unione: poiché uno non può essere scomunicato se non a causa di un peccato mortale, col quale viene già escluso dalla carità indipendentemente dalla scomunica.

Che se poi questa è ingiusta, non può privare alcuno della carità, la quale rientra nei « massimi beni » di cui nessuno può essere privato contro la sua volontà.

Secondo, in forza dell'intenzione dell'orante, le cui preghiere vengono applicate in favore di colui per il quale sono fatte.

E questa è l'unione che viene annullata dalla scomunica.

La Chiesa infatti, infliggendo tale censura, intende separare gli scomunicati dalla comunità dei fedeli, per i quali fa i suoi suffragi.

Di conseguenza le preghiere che vengono fatte per tutta la Chiesa non giovano agli scomunicati.

Né i fedeli possono pregare per loro in nome della Chiesa, ma uno può soltanto pregare per la loro conversione come persona privata.

3. Il frutto spirituale della Chiesa proviene non soltanto dalle preghiere, ma anche dalla ricezione dei sacramenti e dalla comunione con i fedeli.

4. La scomunica minore non è una scomunica vera e propria, ma lo è solo in parte.

Quindi non è necessario che la definizione le venga applicata in tutta la sua estensione, ma solo sotto un certo aspetto.

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