Supplemento alla III parte

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Articolo 2 - Se le indulgenze valgano secondo ciò che in esse è determinato

Pare che le indulgenze non valgano secondo ciò che in esse è determinato.

Infatti:

1. Le indulgenze non hanno alcun effetto se non in forza del potere delle chiavi.

Ma chi ha tale potere non può assolvere che una parte della pena dovuta, secondo la gravità del peccato e la contrizione del penitente.

Poiché dunque le indulgenze vengono concesse secondo il parere di chi le stabilisce, sembra che non valgano per quanto in esse è determinato.

2. A causa della pena dovuta viene differito il raggiungimento della gloria, che l'uomo deve ambire con tutte le sue forze.

Ma se le indulgenze valgono per quello che in esse è fissato ne verrebbe che l'uomo, dedicandosi a lucrare indulgenze, in poco tempo potrebbe rendersi immune da ogni reato di pena temporale.

Perciò sembra che egli dovrebbe mettere da parte ogni altra occupazione per attendere a lucrare indulgenze.

3. A volte viene concessa un'indulgenza secondo cui chi collabora alla costruzione di un edificio ottiene la remissione di una terza parte dei suoi peccati.

Se dunque le indulgenze valgono per quel che si dice, chi dà una moneta, poi una seconda e infine una terza a tale scopo, ottiene la perfetta remissione della pena dovuta a tutti i suoi peccati.

Il che pare assurdo.

4. Altre volte si concedono sette anni di indulgenza a chi visita una data chiesa.

Se dunque le indulgenze valgono per quello che in esse è determinato, allora colui che abita presso la chiesa, o i chierici che là officiano e vi si recano ogni giorno, hanno lo stesso vantaggio di colui che viene da lontano: il che sembra ingiusto.

E inoltre tante volte al giorno lucrerebbero l'indulgenza quante volte vi si recassero.

5. Sembra che condonare una pena più di quanto si merita equivalga a rimetterla senza motivo: poiché di quella parte che eccede il merito non vi è soddisfazione.

Ora, chi concede le indulgenze non può rimettere arbitrariamente tutta la pena dovuta, né parte di essa; come se il Papa dicesse a qualcuno: « Ti assolvo da ogni pena dovuta per i tuoi peccati ».

Quindi sembra che egli non possa neppure condonare più di quanto uno merita.

Ma le indulgenze spesso vengono concesse al di sopra di quanto meritano le opere soddisfattorie.

Perciò non hanno il valore che ad esse viene dato.

In contrario:

1. La Scrittura [ Gb 13,7 ] dice: « Volete forse in difesa di Dio dire il falso, e in suo favore parlare con inganno? ».

Quindi la Chiesa non mente promulgando le indulgenze.

Le quali perciò valgono secondo quanto in esse è stabilito.

2. L'Apostolo dice ai Corinzi [ 1 Cor 15,14 ]: « Se vana è la nostra predicazione, vana è pure la nostra fede ».

Perciò chiunque predica il falso, da parte sua distrugge la fede e pecca mortalmente.

Se dunque le indulgenze non hanno il valore che ad esse viene attribuito, tutti coloro che le predicano peccano mortalmente.

Il che è assurdo.

Dimostrazione:

In proposito esistono molte opinioni.

Alcuni dicono che le indulgenze non hanno il valore ad esse fissato, ma solo quello ad esse derivante in base alla fede e alla pietà di chi le lucra.

Secondo costoro dunque la Chiesa concederebbe le indulgenze per stimolare, mediante una pia frode, gli uomini a fare il bene: come una madre invoglia il suo bambino a camminare con la promessa di un frutto.

Ma questa affermazione sembra molto pericolosa.

Come infatti dice S. Agostino [ Epist. 28,3 ], se si incontra qualcosa di falso nella Sacra Scrittura, tutta la forza della sua autorità viene meno.

Parimenti, ammessa una sola menzogna nella predicazione della Chiesa, i suoi insegnamenti non avranno più autorità alcuna per confermare nella fede.

Perciò altri affermarono che [ le indulgenze ] hanno il valore ad esse attribuito secondo una giusta valutazione: non di chi concede le indulgenze, il quale potrebbe forse non valorizzare abbastanza ciò che dà, né di chi le lucra, il quale potrebbe considerare troppo poco ciò che gli viene dato, ma secondo la giusta valutazione dei buoni, tenuto conto delle condizioni della persona che le riceve e dell'utilità o necessità della Chiesa, la quale ha maggiori necessità in un tempo che in un altro.

Ma neppure questa opinione sembra accettabile.

Prima di tutto perché in tal caso le indulgenze servirebbero non per rimettere, ma per commutare la pena.

- E poi perché la predicazione della Chiesa non sarebbe esente da menzogna, dato che in alcuni casi, tenuto conto delle condizioni sopra indicate, alle indulgenze si attribuisce un valore molto maggiore di quello determinabile secondo una giusta valutazione: come quando il Papa concede sette anni di indulgenza a chi visita una determinata chiesa.

E ciò vale anche per le indulgenze concesse da S. Gregorio per le stazioni di Roma.

Per questo altri dicono che il grado di condono della pena nelle indulgenze non va misurato soltanto in base alla devozione di chi le riceve, come dice la prima opinione, né alla quantità di ciò che si dà, come dice la seconda, ma in base al motivo per cui sono concesse, in relazione al quale uno viene considerato degno di lucrare una data indulgenza.

Quindi ciascuno conseguirà un maggiore grado di perdono, totale o parziale, nella misura in cui si sarà avvicinato al motivo per cui l'indulgenza venne concessa.

Ma nemmeno questa analisi giustifica pienamente l'uso della Chiesa, la quale talvolta concede un'indulgenza maggiore pur restando identico il motivo della concessione: come a colui che visita una chiesa nelle stesse circostanze ora è concesso un anno di indulgenza, ora solo quaranta giorni, secondo quanto il Papa ha determinato nella promulgazione.

Per cui il grado di perdono non va misurato in base all'opera buona che rende degni dell'indulgenza.

Perciò dobbiamo affermare che la quantità dell'effetto segue alla quantità della causa.

Ora, la causa per cui con le indulgenze viene condonata la pena non è altro che l'abbondanza dei meriti della Chiesa, i quali sono sufficienti a espiare tutta la pena: le indulgenze quindi non derivano dalla devozione, dal lavoro o dal dono di chi intende lucrarle, e neppure dalla causa per cui vengono concesse.

Quindi non bisogna condizionare il grado di perdono a qualcuno di questi motivi, ma soltanto ai meriti della Chiesa, che sono sempre sovrabbondanti: per cui si otterrà il perdono secondo che quei meriti verranno applicati a una determinata persona.

Per applicarli poi a una data persona è necessaria sia l'autorità di dispensare questo tesoro, sia l'unione, attraverso la carità, tra colui che gode di tali meriti e colui che li ha guadagnati.

E così pure è richiesto un motivo che giustifichi tale trasmissione di meriti: e questo è l'onore di Dio e l'utilità della Chiesa in genere.

Conseguentemente sarà un motivo sufficiente per concedere le indulgenze qualunque cosa o azione che ridondi a utilità della Chiesa e a onore di Dio.

Quindi, con altri autori, dobbiamo dire che le indulgenze hanno il valore che ad esse è dato: purché in chi le concede vi sia l'autorità, in chi le riceve la carità, e nella loro motivazione non manchi la pietà, che include l'onore di Dio e l'utilità del prossimo.

In questa maniera dunque « non si fa troppo mercato della misericordia di Dio », come alcuni dicono, e neppure si deroga alla divina giustizia: poiché nessuna pena viene condonata, ma solo compensata con i meriti di altri.

Analisi delle obiezioni:

1. Il potere delle chiavi è duplice: di ordine e di giurisdizione.

Il potere di ordine viene esercitato nei sacramenti.

Poiché dunque gli effetti dei sacramenti non vengono fissati dagli uomini, ma da Dio, non può il sacerdote determinare quale grado di pena dovuta al peccato venga condonato nella confessione, ma viene perdonato soltanto quanto Dio ha stabilito.

Il potere di giurisdizione invece non viene esercitato nei sacramenti, e i suoi effetti soggiacciono alla volontà dell'uomo.

Ora, la remissione che viene concessa con le indulgenze è un effetto di questo potere, dato che non appartiene all'amministrazione dei sacramenti, ma alla distribuzione dei beni comuni della Chiesa.

Perciò possono concedere indulgenze anche i legati pontifici non sacerdoti.

Di conseguenza lo stabilire quale grado di pena venga condonato con le indulgenze spetta a chi le concede.

- Se però costui agisce arbitrariamente, in modo cioè che gli uomini quasi per nulla vengono dispensati dal compiere opere di penitenza, egli pecca, benché i sudditi non cessino per questo di usufruire della completa indulgenza.

2. Benché le indulgenze siano molto utili per la remissione della pena, tuttavia altre opere soddisfattorie sono più meritorie quanto al premio essenziale, che è infinitamente superiore al condono della pena temporale.

3. Quando in maniera indeterminata viene concessa un'indulgenza a coloro che « collaborano alla costruzione di una chiesa », bisogna intendere che si tratti di un aiuto adeguato alla persona che lo offre: questa dunque otterrà un grado maggiore o minore di indulgenza in proporzione alla sua generosità.

Così, ad es., un povero che offre un danaro lucra l'indulgenza intera, a differenza di un ricco, al quale non fa onore dare così poco per un'opera così pia; come non si potrebbe dire che un re è un benefattore di un altro uomo se gli ha dato appena pochi soldi.

4. Chi abita vicino alla chiesa, come pure i sacerdoti e i chierici che là ufficiano, lucrano la stessa indulgenza di coloro che vengono da una distanza di mille giornate di cammino: poiché il perdono non è proporzionato alla fatica, come si è già detto [ nel corpo ], ma ai meriti che vengono elargiti.

Però chi fatica di più ha un merito maggiore.

Questa interpretazione tuttavia va data quando l'indulgenza viene concessa senza distinzioni.

Talora invece queste ci sono.

Come quando il Papa, nelle assoluzioni generali, concede cinque anni di indulgenza a chi deve attraversare il mare, tre a chi ha da valicare i monti, e agli altri un anno solo.

Inoltre non sempre si può lucrare l'indulgenza ogni volta che si va in chiesa.

Infatti in certi casi essa è limitata a un determinato periodo di tempo; così quando è detto: « Chi visita tale chiesa fino a tale tempo, lucra tanto di indulgenza », si intende « una volta soltanto ».

Se però in una chiesa vi è l'indulgenza perpetua, come quella di quaranta giorni a S. Pietro, allora ciascuno può lucrare l'indulgenza ogni volta che vi si reca.

5. L'opera buona che motiva la concessione non è richiesta quale misura del condono della pena, ma perché l'intenzione di coloro i cui meriti vengono applicati possa raggiungere una determinata persona.

Ora, il bene di una persona può valere per un'altra in due modi.

Primo, in forza della carità: e in questo modo chiunque vive nella carità è partecipe di tutto il bene che viene fatto nel mondo.

Secondo, in forza dell'intenzione di chi lo compie.

Ed è in questa maniera appunto che l'intenzione di chi ha operato per il bene della Chiesa, se interviene la causa legittima, può raggiungere per mezzo delle indulgenze un'altra persona.

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