Supplemento alla III parte

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Articolo 1 - Se i voti semplici dirimano il matrimonio contratto

Pare che l'emissione dei voti semplici possa dirimere il matrimonio già contratto.

Infatti:

1. Un vincolo più forte pregiudica un vincolo più debole.

Ora, il vincolo del voto è superiore a quello del matrimonio: poiché questo lega a un uomo, quello invece a Dio.

Quindi il vincolo del voto pregiudica il vincolo del matrimonio.

2. La legge di Dio non vale meno di quella della Chiesa.

Ma la legge ecclesiastica obbliga al punto che se uno contrae matrimonio contro di essa, il matrimonio viene dichiarato nullo: come nel caso di chi sposa un parente in un grado di consanguineità proibito dalla Chiesa.

Siccome dunque adempiere i voti è una legge divina, sembra che un matrimonio incompatibile con un voto fatto a Dio debba essere dichiarato nullo.

3. Nel matrimonio un uomo può avere rapporti sessuali senza peccato.

Chi invece ha fatto i voti semplici non può mai avere tali rapporti senza commettere peccato.

Quindi il voto semplice dirime il matrimonio.

Prova della minore.

Chi contrae matrimonio dopo aver fatto i voti semplici commette peccato mortale: poiché, come dice S. Girolamo [ Agostino, De bono viduit. 9 ], « per chi ha fatto voto di verginità è riprovevole non solo sposarsi, ma anche desiderare di sposarsi ».

Ora, il contrarre matrimonio non si oppone al voto di castità se non per il rapporto sessuale.

Perciò nel primo atto del matrimonio costui pecca mortalmente.

E per lo stesso motivo tutte le volte successive: poiché un peccato non può giustificare quelli successivi.

4. L'uomo e la donna devono godere gli stessi diritti nel matrimonio, specialmente quanto ai rapporti coniugali.

Ma chi ha fatto voto semplice di castità non può mai chiedere il debito coniugale senza peccato: poiché questo è espressamente contro il suo voto.

Quindi neppure può rendere il debito coniugale senza peccato.

In contrario:

Il Papa Clemente [ Alessandro III in Decretales 4,6,4 ] afferma che il voto semplice impedisce di contrarre matrimonio, ma non dirime quello contratto.

Dimostrazione:

Uno cessa di essere padrone di una cosa quando questa diventa proprietà di un altro.

Ora, non basta la promessa di una cosa per trasferirne il dominio.

Quindi per il fatto che uno promette una cosa questa non cessa di essere in suo dominio.

Siccome dunque nei voti semplici c'è solo la promessa di impegnare il proprio corpo nella custodia della castità, dopo i voti semplici uno rimane padrone del suo corpo.

Quindi può darlo ad altri, cioè alla moglie, mediante il matrimonio, che è indissolubile.

Per cui sebbene il voto semplice impedisca di contrarre matrimonio, poiché chi è legato da tale voto di castità pecca nel contrarlo, tuttavia non può dirimerlo, essendo il matrimonio un vero contratto.

Analisi delle obiezioni:

1. Il voto è un vincolo superiore al matrimonio sia rispetto all'oggetto, sia rispetto agli obblighi che ne derivano: poiché col matrimonio uno si obbliga in rapporto alla moglie a rendere il debito coniugale, mentre col voto si obbliga in rapporto a Dio a osservare la castità.

Tuttavia quanto al modo di obbligare il matrimonio è superiore al voto semplice: poiché il matrimonio consegna attualmente e di fatto l'uomo in potere della moglie; non così invece il voto semplice, come si è detto [ nel corpo ]: ora, « la condizione di chi possiede di fatto è sempre più vantaggiosa » [ Dig. 50,17,126 ].

I voti semplici invece da questo punto di vista obbligano come gli sponsali.

Per cui il voto semplice dirime gli sponsali.

2. La legge che proibisce il matrimonio tra consanguinei dirime il matrimonio contratto non in quanto è un precetto di Dio o della Chiesa, ma in quanto rende il corpo del consanguineo incapace di passare sotto il dominio dell'altro.

Non è questo invece l'effetto della legge che proibisce il matrimonio dopo i voti semplici, come è evidente da quanto si è detto [ nel corpo e ad 1 ].

Perciò l'argomento non vale: poiché vi si prende per causa ciò che non lo è.

3. Chi contrae il matrimonio dopo avere emesso il voto semplice [ di castità ] non può avere rapporti coniugali senza peccato mortale: poiché egli ha sempre la possibilità di adempiere il voto di continenza prima di consumare il matrimonio [ q. 61, a. 2 ].

Ma dopo aver consumato il matrimonio diventa illecito per lui non rendere il debito coniugale al coniuge che lo domanda, sebbene ciò sia per sua colpa.

Perciò l'obbligo del voto in tal caso non sussiste, come risulta dalle cose già dette [ ad 1 ]; tuttavia egli deve espiare con la penitenza la trasgressione del voto.

4. Rispetto a ciò in cui può essere osservato, il voto di castità vale anche dopo il matrimonio.

Cosicché, morta la moglie, uno è tenuto alla castità perfetta.

E poiché il vincolo coniugale non obbliga a chiedere il debito coniugale, costui non può chiederlo senza peccato; sebbene possa renderlo senza peccato, dopo esservisi obbligato con la consumazione del matrimonio.

- E ciò vale sia per la richiesta esplicita che per quella implicita, o interpretativa, come quando la donna è vergognosa e il marito capisce il suo desiderio del debito coniugale: allora egli può farlo senza peccato, specialmente se teme per la castità della moglie.

- Il fatto poi che i coniugi non siano uguali rispetto all'atto del matrimonio non fa obiezioni: poiché uno può sempre rinunziare al proprio diritto.

Alcuni però sostengono che l'uomo in questo caso può sia chiedere che rendere il debito coniugale, per non rendere gravoso il matrimonio alla moglie costringendola sempre a chiederlo.

- Ma a ben considerare la cosa, ciò si riduce al caso della richiesta implicita o interpretativa.

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