Supplemento alla III parte

Indice

Articolo 1 - Se l'aureola sia distinta dal premio essenziale, che ha il nome di corona aurea

Pare che l'aureola non si distingue dal premio essenziale, denominato corona aurea.

Infatti:

1. Il premio essenziale non è altro che la beatitudine.

Ma secondo Boezio [ De consol. 3, pr. 2 ] la beatitudine « è lo stato perfetto risultante dall'insieme di tutti i beni ».

Quindi il premio essenziale include ogni bene della patria beata.

E così l'aureola è inclusa nella corona aurea.

2. « Il più e il meno non mutano la specie ».

Ora, coloro che osservano i consigli e i precetti vengono premiati più di quelli che osservano solo i precetti; e d'altra parte il loro premio non sembra differire se non per il fatto che uno è maggiore dell'altro.

Siccome dunque l'aureola indica il premio dovuto alle opere di perfezione, sembra che essa non indichi nulla di distinto dalla corona aurea.

3. Il premio corrisponde al merito.

Ma la radice di tutto il merito è la carità.

Corrispondendo dunque la corona aurea alla carità, sembra che nella patria non ci debba essere un premio distinto dalla corona aurea.

4. « Gli uomini beati », scrive S. Gregorio [ In Evang. hom. 34 ], « vengono assunti agli ordini degli angeli ».

Ma nella società degli angeli, « sebbene ad alcuni certi doni siano dati in modo più eccellente, tuttavia nulla è posseduto in modo esclusivo: infatti tutti i doni sono in tutti, anche se non nella stessa misura, poiché alcuni possiedono in modo più eccelso di altri ciò che tutti possiedono », come dice sempre S. Gregorio [ ib. ].

Perciò neppure nei beati ci sarà un premio diverso da quello comune a tutti.

Quindi l'aureola non è un premio distinto dalla corona aurea.

5. A un merito più eccelso si deve un premio più eccellente.

Se quindi la corona aurea è dovuta alle opere di precetto, e l'aureola a quelle di consiglio, l'aureola sarà superiore alla corona.

Ma allora non dovrebbe essere indicata col diminutivo.

Perciò sembra che l'aureola non sia un premio distinto dalla corona aurea.

In contrario:

1. A proposito di quelle parole dell'Esodo [ Es 25,25 ]: « Farai un'altra corona d'oro più piccola [ aureolam ] », la Glossa [ ord. di Beda ] afferma: « In questa corona rientra il cantico nuovo che soltanto i vergini canteranno al cospetto dell'Agnello »; dal che risulta che l'aureola non è una corona comune a tutti, ma è offerta ad alcuni in particolare.

Ora, la corona aurea è data a tutti i beati.

Quindi l'aureola è un'altra cosa.

2. Alla battaglia seguita dalla vittoria è dovuta una corona, secondo le parole di S. Paolo [ 2 Tm 2,5 ]: « Non riceve la corona se non chi avrà lottato secondo le regole ».

Laddove quindi si riscontra un aspetto particolare di lotta ci deve essere una corona speciale.

Ora, in certe opere buone si riscontra un aspetto particolare di lotta.

Ad esse quindi è dovuta una corona distinta dalle altre.

Ed è appunto questa che chiamiamo aureola.

3. La Chiesa militante deriva da quella trionfante, secondo le parole dell'Apocalisse [ Ap 21,2 ]: « Vidi la città santa », ecc.

Ma nella Chiesa militante a coloro che vantano opere speciali vengono attribuiti dei premi speciali: come ai vincitori la corona e ai corridori il trofeo.

Quindi anche nella Chiesa trionfante ci deve essere qualcosa di simile.

Dimostrazione:

Il premio essenziale dell'uomo, che è la sua beatitudine, consiste nell'unione perfetta dell'anima con Dio, in quanto questa è ammessa a fruirne perfettamente con la visione e con l'amore.

Ora, questo premio è denominato metaforicamente corona, ovvero corona aurea: sia a motivo del merito, che viene acquistato con un combattimento, poiché « la vita umana sulla terra è un combattimento » [ Gb 7,1 ], sia a motivo del premio, mediante il quale l'uomo è reso partecipe in qualche maniera della divinità [ 2 Pt 1,4 ], e quindi del potere regale, secondo le parole dell'Apocalisse [ Ap 5,10 ]: « Li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti, e regneranno sopra la terra »; ora, la corona è appunto il simbolo del potere regale.

Di conseguenza anche il premio che viene ad aggiungersi a quello essenziale ha l'aspetto di corona.

Inoltre la corona indica una certa perfezione, a motivo della sua forma circolare: per cui anche per questo si addice alla perfezione dei beati.

Non essendo però possibile che quanto viene ad aggiungersi non sia meno perfetto, ne viene che il premio aggiuntivo è detto « aureola ».

Al premio essenziale però, che è denominato corona aurea, si può fare un'aggiunta in due modi.

Primo, in base alla condizione della natura di colui che viene premiato: come alla beatitudine dell'anima viene ad aggiungersi la gloria del corpo.

Per cui anche la gloria del corpo talora viene denominata aureola: spiegando infatti quel testo dell'Esodo [ Es 25,25 ]: « Farai un'altra corona d'oro più piccola », [ la Glossa ord. di Beda ] afferma che « alla fine sopravverrà un'aureola, poiché nella Scrittura si legge che ai beati è riservata una gloria più sublime nella riassunzione dei loro corpi ».

Ma adesso noi non parliamo di questo tipo di aureola.

Secondo, l'aggiunta può avvenire in base al valore delle opere meritorie.

Queste ultime infatti possono avere l'aspetto meritorio in rapporto a due cose, dalle quali deriva anche la loro bontà: cioè in rapporto alla radice della carità, che si riferisce al fine ultimo e in base alla quale è loro dovuto il premio essenziale, ossia il raggiungimento del fine, e questa è la corona aurea, oppure in rapporto alla natura stessa dell'atto, il quale può essere degno di lode sia per le debite circostanze, sia per la virtù da cui promana, sia per il suo fine immediato.

E sotto questo aspetto si deve alle opere meritorie un premio accidentale che è denominato aureola.

Ed è in questo senso che adesso parliamo dell'aureola.

Per cui dobbiamo concludere che l'aureola esprime qualcosa che si aggiunge alla corona aurea: cioè una certa gioia per quelle opere compiute che hanno un aspetto di vittoria eccellente; gioia che è distinta da quella con cui godiamo dell'unione con Dio, e che è invece la corona aurea.

Analisi delle obiezioni:

1. La beatitudine include tutti i beni che sono necessari alla perfetta vita dell'uomo, la quale consiste nell'attività umana più perfetta.

Ma a questi beni se ne possono aggiungere altri, non perché necessari all'attività perfetta, quasi che questa non possa essere concepita senza di essi, ma perché la loro aggiunta rende la beatitudine più splendente.

Essi quindi costituiscono il coronamento e l'ornamento della beatitudine.

Come anche la felicità politica, al dire di Aristotele [ Ethic. 1,8 ], viene decorata dalla nobiltà, dalla bellezza fisica e da altri beni consimili, pur potendo sussistere senza di essi.

E tale è appunto il rapporto fra l'aureola e la beatitudine della patria.

2. Chi osserva i consigli e i precetti merita sempre in grado maggiore di chi osserva solo i precetti, considerando il merito in base alla natura stessa delle opere; ciò però non è sempre vero se si considera il merito in base alla radice della carità, poiché talora uno osserva i precetti con una carità maggiore di chi osserva i precetti e i consigli.

Sebbene normalmente accada l'inverso: poiché, come dice S. Gregorio [ In Evang. hom. 30 ], « la prova dell'amore è la pratica delle opere ».

Perciò il termine aureola non indica un premio essenziale più intenso, ma ciò che è aggiunto al premio essenziale: sia che il premio essenziale di chi ha l'aureola sia maggiore, sia che sia minore o uguale a quello di chi non ha l'aureola.

3. La carità è il principio del merito, ma i nostri atti sono come gli strumenti con i quali si merita.

Ora, per conseguire l'effetto non si richiede solo la debita disposizione nel primo motore, ma anche la buona disposizione degli strumenti.

Perciò negli effetti si riscontra qualcosa di derivante dal primo principio, che è la causa principale, e qualcosa di derivante dagli strumenti, che sono le cause secondarie.

Quindi anche nel premio c'è qualcosa che deriva dalla carità, cioè la corona d'oro, e qualcosa che deriva dalle opere, cioè l'aureola.

4. Gli angeli hanno meritato la loro beatitudine tutti col medesimo genere di atto, cioè mediante la loro conversione a Dio: perciò nessuno di essi ha un premio singolare per qualcosa che in qualche modo non appartenga agli altri.

Invece gli uomini meritano la beatitudine con atti di generi diversi.

Perciò il paragone non regge.

Tuttavia ciò che tra gli uomini uno sembra avere singolarmente appartiene in qualche modo a tutti, in quanto cioè per la perfetta carità ognuno reputa proprio il bene altrui.

Però questa gioia, con la quale uno partecipa alla gioia altrui, non può essere detta aureola, poiché non viene data in premio della vittoria propria, ma di quella altrui: infatti la corona viene concessa ai vincitori, non a coloro che con essi si rallegrano.

5. L'eccellenza del merito derivante dalla carità è superiore a quella del merito che deriva dalla natura dell'atto: infatti, come dice Aristotele [ Reth. 1,7 ], « il fine », a cui ordina la carità, « è superiore ai mezzi », i quali costituiscono l'oggetto dei nostri atti.

Perciò il premio che corrisponde al merito dovuto alla carità, per quanto piccolo, è sempre superiore al premio dovuto all'atto in ragione della sua natura.

Per questo l'aureola si presenta quale diminutivo della corona aurea.

Indice