Evidenza di un amore 1 - Il problema Cristo nel fenomeno Sindone Gesù di Nazareth, un oscuro falegname vissuto in un'insignificante provincia alla periferia dell'impero romano, ignorato dai potenti del suo tempo, mal compreso e contestato dal suo popolo, condannato a una morte infame, nei torbidi di una Pasqua ebraica a Gerusalemme, ha diviso in due la storia: prima e dopo Cristo, e continua a dividere l'umanità. Sarà un segno di contraddizione, per la rovina e la salvezza di molti, aveva, detto di lui, profeticamente, un vecchio sacerdote, accogliendolo nel Tempio quaranta, giorni dopo la nascita. Effettivamente si discuteva di lui per adorarlo o per ucciderlo quand'era appena nato a Betlemme di Giudea, si discuteva di lui mentre per le strade assolate della Palestina annunziava il più rivoluzionario messaggio che la storia ricordi, si discuteva di lui, maledicendolo come un impostore o invocandolo figlio di Dio, mentre moriva crocifisso sul Golgota e si continua a discutere da duemila anni con crescente sbigottimento di fronte al suo sepolcro vuoto. Allora come oggi qualcuno vide e credette. I più, pur intimamente scossi dalla parola del Rabbi di Nazareth, non trovano il coraggio di credergli seriamente, molti si ostinano nel rifiuto, nell'incredulità, nell'odio, perché la sua presenza, persino la sua ombra, mette in crisi. Il suo messaggio, la sua storia normalissima e straordinaria, la sua morte misteriosa, l'incrollabile certezza di chi giura di averlo visto risorto continuano a dividere la storia tra fede e incredulità, devozione e disprezzo. Tutte le culture, tutte le filosofie hanno dovuto confrontarsi con questo scomodo giustiziato. Per gli antichi Ebrei Cristo era uno scandaloso bestemmiatore, per la cultura romano-ellenistica era un pazzo predicatore dell'assurdo, per i potenti del l'Impero dei Cesari quel profeta di Galilea era un illuso rivoluzionario da strapazzo, per il colto Rinascimento non era che un moralista plebeo, incapace di adeguarsi al progresso, per la cultura scientifica era un evanescente fantasma fuori posto nel mondo del concreto, per i moderni storicisti Cristo è soltanto un grand'uomo divinizzato dai discepoli dopo la scomparsa del suo corpo dal sepolcro, per la critica radicale non è altro che un mito senza consistenza storica, per le moderne filosofie materialistiche è occhio dei popoli, narcotico borghese per alienare le plebi proletarie. Nonostante tutto Gesù di Nazareth resta un segno di contraddizione per la coscienza dell'umanità. 2 - Anche la Sindone segno di contraddizione L'inevitabile problema-Cristo grava pregiudizionalmente sul fenomeno-Sindone trasformando un antico documentò di medicina legale in preziosa reliquia per i credenti o in pericolosa montatura per i non credenti. La Sindone accumula in sé una quantità così impressionante di convergenze con il racconto evangelico della Passione di Gesù Cristo che per qualunque altro personaggio si concluderebbe semplicemente trattarsi del suo lenzuolo funebre. Ma, trattandosi di Gesù Cristo, le dimostrazioni non basteranno mai e lo scetticismo, o almeno il cauto riserbo, rimane d'obbligo. Quando nel 1902 Yves Delage, professore di anatomia alla Sorbona e agnostico convinto, dichiara alla Accademia delle Scienze che, in base alle analisi scientifiche, l'Uomo della Sindone non poteva essere che il Cristo dei Vangeli, diversi colleghi si ritennero offesi, lo irrisero e lo insultarono e l'Accademia di Francia rifiutò di pubblicare la sua relazione. Se si trattasse di Sargon, di Achille o di uno dei Faraoni, scriveva Delage commentando la cosa, nessuno avrebbe trovato da eccepire, se l'ipotesi che l'uomo della Sindone sia Gesù Cristo non ha buona udienza presso certa gente è perché molti credono che si tratti di una questione religiosa che fa velo al raziocinio. Io considero Gesù Cristo come un personaggio storico e non vedo perché ci sia da spaventarsi cimentandosi con una traccia tangibile della sua esistenza. Forse aveva intuito le profonde, inevitabili implicazioni religiose del problema-Sindone un altro agnostico: l'anatomista Evelaque. Invitato a dare un giudizio su uno studio che l'insigne chirurgo Pierre Barbet voleva pubblicare sulla Sindone, ammetteva: "Amico mio, se le cose stanno come voi avete scritto, allora Cristo è veramente risorto. L'abate Ulisse Chevalier invece, nel 1900, ricordando d'aver letto che la Sindone era stata dipinta dissotterrò alcune fra le migliaia di pergamene che sapeva a memoria e pubblicò uno studio critico sulle origini del Santo Lenzuolo con un'appendice di ben cinquanta documenti, sostenendo che si trattava di un falso. Nel 1901 l'Accademia lo premiò con una medaglia d'oro, anche se quel prodigio di erudizione aveva rifiutato pregiudizionalmente financo di vedere le foto della Sindone e nonostante che dei cinquanta documenti prodotti otto non nominano neppure la Sindone, otto sono al massimo ambigui, cinque sono parti extrapolate dai precedenti e cinque semplici commenti degli archivisti, uno è uno scritto satirico di Calvino sulle reliquie in generale e ben quattordici sono addirittura favorevoli alla autenticità della reliquia. Pirandello forse pensava a simili prodigi di erudizione quando scriveva: " La ragione è un lume che portiamo davanti agli occhi e che ci serve a perderci nel buio ". 3 - Da una scoperta casuale una provocazione per il nostro secolo. Il fenomeno-Sindone è al centro di un crescente interesse oggi, nel secolo dell'elettronica, assai più che nel pio Medio Evo, quando anche dotti uomini di Chiesa erano convinti che fosse un semplice dipinto devozionale. Fu la fotografia, una delle grandi scoperte del nostro tempo, a rivelare il mistero di una presenza insospettata proprio quando un pazzo superuomo annunziava al mondo: Dio è morto, noi l'abbiamo ucciso. Nell'imminenza dell'estensione del 1898 concessa per le nozze del futuro re Vittorio Emanuele III un sacerdote, professore di fisica, aveva chiesto di effettuare una fotografia, per poter avere una copia fedele da lasciare esposta quando la preziosa reliquia veniva rinchiusa nella sua urna segreta. Il re era contrario perché temeva una speculazione commerciale, ma poi si lasciò convincere. L'incarico dì fare una fotografia della Sindone fu affidato ad un appassionato fotografo, l'avvocato Secondo Pia, un professionista serio che poté vantarsi di non aver mai ritoccato un negativo. Il programma dell'estensione era come sempre intensissimo: in otto giorni sarebbero sfilate nel Duomo di Torino ben 800.000 persone. Al fotografo furono riservati due brevi intervalli mentre gli scaccini rimettevano in ordine il Tempio. Il primo tentativo fallì per l'irregolarità della illuminazione elettrica, non l'aveva ancora mai esperimentata nessuno, e per il calore provocato dall'arco voltaico che spezzò i filtri smerigliati posti come diffusori di luce. La sera del 28 maggio, al secondo ed ultimo tentativo, il fotografo trovò una difficoltà imprevista, oltre alla mancanza di alcuni pezzi del suo imponente armamentario che intanto gli erano stati rubati. La Principessa Clotilde, terrorizzata dal terribile calore e dalla luce delle lampade, aveva fatto disporre davanti al Lenzuolo una lastra di cristallo che creava fastidiosi riflessi. Erano le 11 della notte quando il Pia, sistemate le impalcature necessario, espose per 14 minuti la prima lastra, 51 x 65 cm. ed era mezzanotte quando, completata la seconda esposizione con una posa di 20 minuti, raccolse le sue preziose lastre e si affrettò verso casa. Qui doveva rivelarsi il prodigio. L'effetto dei bagni chimici cominciò via via a rivelare l'imponente cornice che inquadrava la Sindone, poi apparvero la grandi macchie delle bruciature, poi cominciò ad apparire l'immagine del corpo e del volto. A questo punto il fortunato fotografo si sentì venir meno: quella figura cogli occhi socchiusi nel riposo della morte era reale, quello era forse il volto del Signore, e lui, nell'oscurità del suo laboratorio, era il primo uomo che poteva contemplarlo dopo XIX secoli? La figura della Sindone svelava il suo mistero: era un negativo fotografico in formato naturale e sulla lastra appena esposta si trasformava in uno splendido ritratto in positivo. Chiuso nella camera oscura, scrisse Pia più tardi, provai una intensa emozione quando, durante lo sviluppo, vidi per la prima volta comparire in positivo sul mio negativo il Santo Volto con una tale chiarezza che rimasi di gelo. Da alcune ombre misteriose impresse duemila anni fa nell'oscurità di una tomba cominciava a sprigionarsi una luce sconcertante. Bene ha detto Einstein: La luce è l'ombra di Dio. Quelle misteriose ombre di Dio cominciavano ad essere luce per gli uomini del nuovo secolo, che doveva poi rivelarsi come il secolo dell'immag ne. Il Cardinale Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Torino, custode della Sindone, sottolinea il valore cristiano di questa immagine straordinaria; "Tutti conosciamo la figura, il volto che questo documento sconcertante rivela, è il Volto del Signore che patisce per noi uomini e per la nostra salvezza. L'immagine non è mai la realtà, ma è un cammino verso la realtà, è un annuncio di una realtà, è il richiamo ad una realtà e può anche diventare la nostalgia di una realtà. È certo un'immagine che non lascia indifferenti nessuno, è un'immagine che emoziona e sorprende e che suscita interrogativi profondi. Ecco, questo a me pare che sia il valore più grande della Sindone." 4 - La regina delle immagini non teme la scienza Dalla avventurosa scoperta della prima fotografia gli esperimenti e gli studi non si sono più fermati. Nell'estensione del 1951, per il matrimonio di Umberto di Savoia, il fotografo Giuseppe Enrie poté eseguire dodici pose, con calma e senza cristallo di protezione e le sue immagini, a tutt'oggi insuperate per precisione e bellezza, hanno invaso il mondo. Nel 1969 il Cardinale Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino, nominò una Commissione di studi e autorizzò un esame segreto della Sindone durante il quale vennero riprese le prime foto a colori. Nel 1975 la Sindone fece la sua prima apparizione sugli schermi televisivi in Mondovisione e fu sottoposta a nuovi esami scentifi ci. Dopo l'Ostensione straordinaria, del 1976, organizzata per il quarto centenario della Sindone a Torino, per quasi una settimana il venerato Lenzuolo rimase a disposizione di una équipe di scienziati e ricercatori, credenti e agnostici, cattolici, protestanti ed ebrei. Questa Reliquia straordinaria sembra non aver paura della scienza moderna e ha superato con disinvoltura ogni genere di esami: chimici, fotografici, fotometrici, radiografici, medico-legali. Persino la sua polvere antica è stata esaminata e nessun dubbio serio è rimasto circa la sua autenticità. Ma, trattandosi della Sindone di Cristo, le prove non bastano mai e c'è sempre chi giura che non può essere possibile che sia autentica. Ma la Sindone continua a stupire il mondo con il fascino silenzioso del suo mistero. 5 - La terribile eloquenza del Segno di Giona La Sindone è forse la risposta provvidenziale allo spirare di un secolo pieno di illusioni che insultava Cristo come i Giudei sui Gol gota. "Se sei veramente Figlio di Dio scendi dalla Croce e mostrati vincitore". Come il Vangelo la Sindone provoca questa generazione perversa mostrandole il Segno di Giona, cioè un figlio d'uomo composto nella maestà della morte, che esce dalle viscere della terra, gettato misteriosamente sui lidi del nostro tempo a turbarne la sufficienza. Dietrich Bonhoffer, il coraggioso testimone di Cristo tra i fratelli, morto vittima della follia nazista, intuì che la teologia, cioè ogni discorso serio su Dio, nel nostro secolo avrebbe dovuto prendere le mosse dal rovescio della storia, all'opposto di troppa devozione sentimentale, di tanta grazia a buon mercato, grazia senza sequela, senza croce, senza Gesù vivente e incarnato. In questa età adulta, diceva Bonhoffer, Dio ci fa sapere che dobbiamo vivere come uomini che se la cavano senza Dio, Dio si lascia cacciare dal mondo, sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e soltanto così rimane con noi e ci aiuta. La dottrina su Cristo inizia nel silenzio, parlare di cristo significa tacere, tacere su Cristo significa parlare. Gli occhi che hanno visto Auschwitz e Hiroshima non potranno più contemplare Dio, esclama Hemingway. Forse non potranno più contemplare il vecchio buon Dio da operetta, facile consolatore di infantili delusioni, forse spariranno dall'empireo tormentato del nostro tempo i pallidi dei della metafisica, immutabili e insensibili nella loro inumana perfezione, ma ad Auschwitz come a Hiroshima, come ad ogni angolo del pianeta sofferenza, Dio geme con gli sconfitti, Cristo muore con i poveri scuotendo la storia con i sussulti della sua interminabile agonia. Gesù sarà in agonia fino alla fine del mondo, scriveva Pascal, ma fino ad allora il mondo non potrà dormire tranquillo. Padre Massimiliano Kolbe, l'eroico sacerdote polacco che volle morire in un campo di sterminio nazista, per salvare un altro condannato, atterriva i suoi aguzzini con l'insostenibile mitezza del suo sguardo, tanto che gli imponevano di voltarsi e di non guardarli quando entravano nel bunker della fame dove si consumava il suo martirio. Dalla Sindone un uomo martoriato giudica il mondo con la terribile eloquenza del suo muto dolore. In quella carne miserabile, scrive Francois Mauriac, uscita da un abisso di umiliazione e di tortura, Dio risplende con una grandezza dolce e terribile, e quel volto augusto richiama all'adorazione forse ancor più dell'amore. Di fronte ad uno sguardo di una infinita mitezza, di una incredibile serenità tra tanto tormento inutilmente l'uomo tenta di profanare il mistero del silenzio con il vuoto delle sue parole o con il non senso del dubbio. L'Uomo della Sindone si impone proprio al nostro secolo con la maestà, invincibile della mitezza. "Sei tu, sei tu!" grida a Cristo il nostro tempo, come Dostojevski nella leggenda del Grande Inquisitore, "Sei tu! non risponderci, taci, e che potresti dire ancora? so troppo bene quel che vuoi dire, non hai il diritto di aggiungere nulla a ciò che già dicesti una volta. Perché sei tornato a disturbarci? Sei venuto a disturbarci, lo sai anche tu " Siamo in un momento in cui Dio ci parla in modo più toccante e fecondo attraverso il suo silenzio, scrive Italo Mancini commentando Bonhoffer, Cristo diventa l'oggetto di un grande amore, di una immensa pietà, perché ha accettato, attraverso la morte, di indicare la presenza di Dio al mondo, nel segno doloroso e opaco d'una conturbante assenza. Scrive il Moltman: "Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginochiarci ai piedi di una croce, perché il vero volto del Dio cristiano va cercato unicamente dove la parola che ha scandalizzato Pietro lo ha indicato presente. Nell'oscurità del Venerdì Santo venne la luce della Pasqua." 6 - Più che un'immagine, è una presenza "In quel triste periodo che va dal 1890 al 1910, scrive Paul Claudel, periodo di materialismo e di scetticismo aggressivi e trionfanti, quanti sforzi furono compiuti per offuscare la divinità di Cristo, per nascondere quel Volto di cui non si può sostenere lo splendore, per ridurre il fatto cristiano, cancellandone i contorni sotto le "bende intricate dell'erudizione e del dubbio. Il Vangelo ridotto a brandelli non costituiva che un ammasso di materiali incoerenti e sospetti. La figura di Gesù svaniva sommersa in una foschia di letteratura storicistica e romanzesca. Finalmente ci si era riusciti. Gesù non era che un pallido contorno, un incerto lineamento fluido, prossimo a svanire. Maddalena poteva ora andare al Sepolcro, le avevano definitivamente sottratto il suo Signore. Ed ecco che, dopo secoli di oblio, l'immagine dimenticata riappare di colpo sulla tela, con una veracità spaventosa, con l'autenticità di un documento incontestabile ed un fatto attuale. Diciannove secoli sono cancellati di colpo, il passato è trasferito nell'immediato presente, quello che i nostri occhi hanno visto, dice Giovanni nel Vangelo, quello che le nostre mani hanno toccato del Verbo della vita è lì, in un'impronta, in un'immagine che porta in sé la propria garanzia. Improvvisamente, nel 1898, dopo Strauss, a coronamento di tanto prodigioso lavoro di indagini e di esegesi realizzato dal secolo che muore, noi siamo in possesso della fotografia di Cristo. È una fotografia non fatta da mani d'uomo tra quel Volto e noi non c'è alcun intervento umano. Lui ha impregnato questo negativo e questo negativo a sua, volta rapisce il nostro spirito. La scoperta fotografica della Sindone di Torino è così grande, conclude Paul Claudel, così importante che non esito a paragonarla a una seconda Resurrezione. Più che un'immagine è una presenza. È un negativo, come dire? una testimonianza nascosta, oserei dire, un po' come la Sacra Scrittura, in grado di rivelare un'evidenza. 7 - Il fascino misterioso del più bello tra i figli dell'uomo Da sempre l'umanità ha cullato il profondo desiderio di vedere Dio. Gesù di Nazareth si è presentato come immagine di Dio, come la rivelazione incarnata del Padre dei Cieli. Non risulta dai Vangeli che Gesù fosse riconoscibile per il fascino del suo aspetto fisico. La donna di Samaria, incontrandolo al pozzo di Giacobbe, lo canzona come un Giudeo qualunque, Giuda deve indicarlo ai nemici con il suo tradimento, le guardie, gli inservienti del Gran Sacerdote lo maltrattano come un pover'uomo qualsiasi, anche dopo la Resurrezione Maria di Mandala lo confonde con l'ortolano, i discepoli di Emmaus non lo riconoscono sotto le mentite spoglie di un compagno di viaggio, i discepoli sul lago lo credono un fantasma. Eppure molti abbandonarono ogni cosa e lo seguirono conquistati al suo primo sguardo. Quando noi amiamo, scrive Francois Mauriac, ci meravigliamo dell'indifferenza altrui davanti al viso che riassume per noi tutto lo splendore del mondo. Quei tratti che riflettono il cielo e la cui sola vista ci fa fremere di gioia o d'angoscia altri non pensano nemmeno di guardarli. Quel fascino penetrante e irresistibile che conquistò Pietro, Giacomo, Giovanni, che conquistò le folle e l'amore sincero di uomini e donne, è ancora impresso forse nel misterioso Lenzuolo di Torino. La Sindone, per chi sa contemplarla come segno di una autentica, inconfondibile presenza, può manifestare l'uomo-Dio dominatore dei cuori, capace di guarire gli innumerevoli ciechi nati del nostro tempo, che hanno smarrito la luce della speranza. Paolo VI, il Papa che ha interpretato il tormento e le delusioni del nostro tempo, così diceva in occasione dell'Ostensione; "Noi pensiamo all'ansioso desiderio che la presenza di Gesù nel Vangelo suscitava di vederlo. Più che curiosità attrazione. Così Zaccheo che, come ricorda l'Evangelista Luca, cercava di vedere Gesù, così i Greci, arrivati a Gerusalemme proprio al momento della manifestazione Messianica cosiddetta delle Palme, i quali si rivolgono all'apostolo Filippo chiedendo: Noi vogliamo vedere Gesù. Vedere Gesù, noi pensiamo alla faccia straziata e sfigurata, di Cristo paziente quale ce la descrive il Profeta Isaia: Non ha alcuna bellezza ne splendore. Noi l'abbiamo visto e non aveva alcuna apparenza. L'ultimo degli uomini, l'uomo dei dolori, e noi l'abbiamo considerato come un lebbroso, Lui, il più bello dei figli degli uomini. Sì, noi ripensiamo a quel Volto benedetto che nella notte della Trasfigurazione sul Monte abbaglia gli occhi esterefatti dei tre discepoli in una apparizione indimenticabile, quasi esoterica, teologica, che Gesù apre davanti a loro, ma che poi, all'Ultima Cena, quando uno, con ingenuo trasporto, gli chiede di fargli vedere il Padre invisibile ed ineffabile, dichiara: "Chi vede me, vede il Padre". Allora, quale fortuna, quale mistero vedere Gesù, Lui, proprio Lui. Ma per noi, lontani nel tempo e nello spazio, questa beatitudine è sottratta? Come anche noi potremo fissare lo sguardo in quel viso umano che in Lui rifulge quale figlio di Dio e figlio dell'uomo? Siamo forse anche noi come i viandanti sul cammino di Emmaus con gli occhi annebbiati che non riconobbero Gesù risorto nel pellegrino che li accompagnava? Ovvero dovremo rassegnarci, con la tradizione attestata, ad esempio da Sant'Ireneo e da Sant'Agostino, a confessare del tutto ignote a noi le sembianze umane di Gesù? Fortuna grande dunque la nostra se questa asserita superstite effigie della Sacra Sindone ci consente di contemplare qualche autentico lineamento dell'adorabile figura fisica di Nostro Signore Gesù Cristo e se davvero essa soccorre alla nostra avidità oggi tanto accesa di poterlo anche visibilmente conoscere. Raccolti intorno a così prezioso e pio cimelio crescerà in noi tutti, credenti o profani, il fascino misterioso di Lui e risuonerà nei nostri cuori il monito evangelico della sua voce, la quale ci invita a cercarlo poi là, dove egli ancora si nasconde e si lascia scoprire, amare e servire in umana figura. "Tutte le volte che voi avrete fatto qualche cosa per uno dei minimi miei fratelli, lo avrete fatto a me" Anche il Cardinale Anastasio Ballestrero invita a considerare la Sindone non tanto, o non soltanto come un documento sul quale discutere, ma piuttosto una testimonianza del Cristo giunta a noi in un modo storicamente ancora incerto, ma meravigliosamente esplicita per la meditazione cristiana. "Noi sappiamo che nella Santa Sindone l'immagine misteriosa dell'Uomo Crocifisso è sconvolgente. È un segno al quale possiamo fare riferimento per rendere più viva la nostra meditazione sulla Passione e Morte del Signore. È un segno al quale possiamo guardare per vedere in quell'Uomo Crocifisso non solo il Signore Gesù al quale noi crediamo e che noi amiamo e adoriamo, ma anche tutti i fratelli crocifissi ai quali siamo legati dalla carità del Vangelo e nei quali possiamo e dobbiamo amare il Salvatore." Davanti alla Sindone, raccolti nella fede e nell'amore per l'uomo-Dio morto per noi e vivente per la nostra speranza, preghiamo con Papini: "Noi, gli ultimi, ti aspettiamo, aspetteremo ogni giorno te, Crocifisso, che fosti tormentato per nostro amore e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore". 8 - Duemila anni di peripezie Secondo una antica leggenda, Abbegar V, re di Edessa dal 15 al 50 dopo Cristo, colpito dalla lebbra, sentì parlare dei prodigi operati da un profeta di nome Gesù. Allora mandò a Gerusalemme un pittore perché gli facesse un ritratto e gli consegnasse una supplica che diceva: "Abbegar, re di Edessa a Gesù Cristo eccellente medico in Gerusalemme, salute. Ho saputo di te e delle guarigioni che operi senza medicamenti, raccontano che fai vedere i ciechi, mondi i lebbrosi e persino risusciti i morti. Io ho pensato che, o tu sei figlio di Dio, che solo può operare queste cose, oppure sei tu stesso Dio. Perciò, ti prego di venire a mondarmi dalla lebbra e a stabilirti presso di me. Infatti dicono che i Giudei vogliono farti del male, la mia città è piccola, ma potrà bastare a te e a me per vivere in pace." Il bravo Anania, così si chiamava il pittore, consegnò la lettera, ma per quanto provasse non riusciva ad eseguire il ritratto. Gesù, intuendo il disappunto, impresse miracolosamente il suo volto su un asciugatoio e lo inviò al re, che fu battezzato e guarì dalla lebbra quando giunse a Edessa l'apostolo Taddeo. L'immagine miracolosa fu esposta nel punto più bello della città, venerata da tutto il popolo divenuto cristiano. La leggenda di Abegar è forse, pur colorata con devota fantasia, la vera storia della Sindone. È narrata da antichi autori e fa parte del Sinassario, un arcaico testo liturgico che si leggeva per la festa del sacro Mandilion di Edessa. Il Mandilion era un'immagine miracolosa detta Teoteuktos, che vuoi dire fatta da Dio o Akeropta, cioè non fatta da mano d'uomo, che molti storici ritengono fosse proprio la Sindone. I primi versi del Sinassario cantavano infatti: Su una Sindone, perché vivente, hai impresso le tue sembianze e perché morto, vestisti ultima la Sindone. Era forse il carattere misterioso dell'immagine sindonica, con l'inspiegabile incongruenza del negativo a meravigliare i cronisti di allora. Per questo la leggenda diceva che neppure il pittore del re poteva eseguire un ritratto così, dove le luci sono scure e le ombre diventano chiare. 9 - Una Sindone bianca nell'oscurità del Golgota La storia della Sindone ha origini lontane. Leggiamo nel Vangelo di Marco: "Venuto mezzogiorno si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, alle tre Gesù gridò con voce forte: Eioì, Eioì, lema sabactani, che significa Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Poi Gesù, dando un forte grido, spirò. Allora il Centurione, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente quest'uomo era Figlio di Dio. Sopraggiunta la sera, perché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d'Arimatea, membro autorevole del Sinedrio, che aspettava anche lui il Regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il Centurione, lo interrogò da quanto tempo fosse spirato. Informato dal Centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora calò Gesù dalla Croce e, avvoltolo in un lenzuolo che aveva comprato, lo depose in un sepolcro nuovo scavato nella roccia." ( Mc 15,42-47 ) In greco e in latino, lenzuolo si dice sindone. L'evangelista Matteo precisa, che si trattava di una sindone bianca, nuova, mai usata prima. ( Mt 27,59 ) Giovanni, l'apostolo prediletto, aggiunge; "C'era anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da Gesù di notte e portò una mistura di mirra ed aloè di circa 100 libbre. Essi presero il corpo di Gesù e lo avvolsero nelle bende insieme con gli aromi, com'è usanza seppellire presso i Giudei". ( Gv 19,39-40 ) 10 - Una sera troppo breve per il giorno più lungo dell'amore Il rituale funebre dei Giudei al quale accenna l'Evangelista avrebbe richiesto ben più tempo di quanto ne disponessero i pochi fedeli rimasti sul Golgota nel tramonto di quel tragico Venerdì Santo. Normalmente i morti si ponevano nel sepolcro avvolti semplicemente nella loro veste, con il volto coperto da un piccolo sudario, oppure, per chi poteva disporre, in una sindone o lenzuolo funebre. Alcune antiche sepolture hanno conservato cadaveri avvolti in varie sindoni sovrapposte, ma, secondo quanto prescriveva la legge del lutto, i giustiziati non potevano essere sepolti con più di una sindone. Il corpo del defunto doveva essere accuratamente lavato e rasato prima della sepoltura, nel caso di Gesù però mancò il tempo, infatti, dice il Vangelo di Luca: Già brillavano le prime stelle che annunziavano l'inizio del grande riposo del sabato, e perdipiù una discussa prescrizione legale vietava di lavare e rasare il corpo degli uccisi e dei giustiziati. Giuseppe di Arimatea ottenne in fretta l'autorizzazione di dare onorata sepoltura al Maestro di Nazareth per sottrarlo alla fossa dei malfattori, considerata ultima dimora dei maledetti. Gesù venne pertanto deposto dalla croce, portato al sepolcro nuovo che Giuseppe si era, fatto scavare proprio lì vicino e, essendo privo di vestiti, tirati a sorte dai soldati, avvolto nella sindone nuova, insieme ad una notevole quantità di mirra e di aloè, quasi trenta chili, portati da Nicodemo quali profumo e antisettico. Il volto fu sicuramente deterso e un piccolo sudario fu legato intorno al capo per tener chiusa la bocca. L'affrettata sepoltura fu completata con alcune semplici legature, forse attorno ai piedi e alle ginocchia, intorno alla vita e intorno al collo, perché non si disperdesse la mirra e l'aloè sparse con abbondanza intorno alla salma. L'uso ebraico infatti non imponeva le strette fasciature delle sepolture egizie, alcune salme riportate alla luce nel cimitero degli Essemi, ad esempio, hanno le braccia incrociate e i gomiti liberi, non legati strettamente lungo il corpo al modo delle mummie. 11 - Nel segreto d'un sepolcro nuovo Il pietoso trasporto della salma al sepolcro, attraverso una piccola entrata scavata, nella roccia, era normalmente compiuto dagli u mini. Una foto recente lascia intravvedere sulla pianta del piede sinistro dell'Uomo della Sindone l'impronta di una mano; è forse quella di Nicodemo, o di Giuseppe d'Arimatea, o di Giovanni, l'unico discepolo rimasto presso la croce? I Vangeli annotano che le donne stavano a distanza, a osservare dove Gesù veniva deposto, rimandando il completamento della toeletta funebre al mattino del primo giorno dopo il sabato. Così quel terribile Venerdì di morte si concluse quando una grossa pietra fu fatta rotolare davanti all'ingresso del Sepolcro. Nell'oscurità di quella piccola grotta scavata vicino al Golgota, il bianco lenzuolo di Giuseppe d'Arimatea doveva, trasformarsi in una impressionante fotografia di sangue, in quella che Enrico Medi poté salutare come la più stupenda pagina sanguiscritta, autoracconto fedele e dinamico della Passione e Morte di Gesù Cristo. I discepoli, dispersi dalla terribile esperienza di quella Parasceve, non avevano ancora compreso che Gesù doveva risorgere da morte, secondo le Scritture, come dice il Vangelo di Giovanni. Infatti avevano cosparso il corpo con sostanze aromatiche per ritardarne la corruzione e si preparavano a completare con le donne i riti della sepoltura appena trascorso il sabato. Ma qui cominciano gli sconvolgenti eventi della Pasqua di Risurrezione. 12 - Il lino sepolcrale testimone della Resurrezione Giovanni, il discepolo che era stato testimone della sepoltura, annota alcuni particolari interessanti. "Nel giorno dopo il sabato Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e all'altro Discepolo, quello che Gesù amava e disse loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto. Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo e si recarono al Sepolcro, correvano insieme, tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al Sepolcro. Chinatesi, l'ingresso era scavato in basso, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel Sepolcro e vide le bende per terra e il Sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra, con le bende, ma ripiegato al suo posto. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al Sepolcro, e vide e credette". ( Gv 20,1-8 ) 13 - La Sindone, quel mattino di Pasqua, cominciava a parlare nel suo misterioso silenzio Giovanni infatti sapeva bene come era disposta la sepoltura del Signore e vedendo la Sindone vuota stesa per terra, con il Sudario ancora arrotolato e ripiegato al suo posto, capì che il corpo non poteva essere stato rapito, ma doveva essersi liberato miracolosamente dai lini funerari, senza scomporne la disposizione. Perciò, vide e credette finalmente che cosa significava che Gesù doveva risorgere dai morti. Un antico Messale mozarabico, di probabile derivazione bizantina, nella liturgia di Pasqua canta così: Pietro e Giovanni corsero al Sepolcro e videro nella Sindone le recenti impronte del morto che era risuscitato. 14 - Un problematico trofeo di morte per il re della vita Fu verosimilmente Giovanni, colui che sotto la Croce aveva accettato di essere il nuovo figlio della Madre di Gesù, il naturale erede e quindi il custode della preziosa tela della Resurrezione. Ma la Sindone non poteva venire esposta come trofeo, anzitutto perché ricordava troppo violentemente la tragedia della Passione e soprattutto per che la legge imponeva di distruggere con il fuoco tutto ciò che aveva avuto contatto con i morti. Eventuali oggetti raccolti in un sepolcro macchiavano l'incolumità legale e venivano considerati compromettenti corpi del reato di profanazione. La nascente comunità cristiana fu presto perseguitata e i suoi uomini ripetutamente dispersi. Gerusalemme fu distrutta dai soldati di Vespasiano e di Tito nel 70 d.C. e anche la Sindone dovette conoscere i duri tempi delle peregrinazioni e del nascondimento. Solo un antico scritto apocrifo, fiorito dalla pietà popolare del 2° secolo la ricorda come un noto oggetto di venerazione, poi per i primi secoli cristiani la Sindone è avvolta nel silenzio. Forse in riferimento alla Sindone candida Papa S. Silvestro, appena cessate le persecuzioni, ordinò che la Messa venisse celebrata non su tovaglie di seta o dipinte, ma su un lino bianco, in ricordo di quello in cui fu avvolto il Signore. Cirillo di Gerusalemme ricorda, intorno al 740, i testimoni della Risurrezione, la rupe rossa venata di bianco e la Sindone. La leggenda di Abbegar, che abbiamo già ricordato, è forse la spiegazione fantasiosa di come la Sindone raggiunse Edessa, l'attuale Urfa in Turchia, la città celebre appunto per il santo Mandilion o Volto santo, venerato come immagine acheropita, cioè non fatta da mano di uomo. 15 - Il segreto del Santo Mandilion, non un corpo piagato, ma un volto di sovrumana bellezza Negli antichi documenti si parla sempre di Volto Santo perché probabilmente la Sindone era stata ripiegata, in otto e si mostrava ai fedeli solo il Volto del Signore, per non documentare troppo crudamente la sua terribile Passione in quei secoli di fede popolare entusiasta, ma ancora insicura. Difatti il Santo Mandilion è sempre rappresentato come un'ampia tavola, rettangolare sulla quale è steso un ritratto centrale trattenuto da un ricamo di corde con chiodi e un antico testo lo qualifica tetradiplon, cioè piegato due volte in quattro. Significativo è anche il fatto che le antiche copie del Mandilion riportano un Volto monocromo, color sepia, su tela bianca, proprio come la Sindone. Il Sacro Mandilion scomparve quando il successore di Abbegar tornò all'idolatria. Forse inseguiti dai soldati del nuovo re i cristiani riuscirono a nascondere il prezioso simulacro murandolo in una nicchia, appena prima di essere sopraffatti, forse uccisi. Del Sacro Volto rimase vivo il ricordo, ma si perse ogni traccia, finché nel 525, durante occasionali lavori di restauro alle mura della città, esso riapparve fortunatamente intatto. La devozione della miracolosa immagine acheropita del Salvatore, con quel suo fascino misterioso e inspiegabile si diffuse presto per tutto l'Oriente e condizionò tutta l'arte cristiana. 16 - Un'immagine canonica per il nuovo Impero Cristiano Nei primi secoli, superando persino le ben note proibizioni bibliche, i Cristiani delle Catacombe tentarono di raffigurarsi le sembianze mortali del Cristo e si ispirarono, in mancanza di documenti e per i rischi delle persecuzioni ricorrenti, all'arte imperiale. Così abbiamo il Buon Pastore e altre raffigurazioni di Gesù che ricalcano variamente Apollo giovane e imberbe o un filosofo o un medico in toga. Nel secolo IV si impone dappertutto un'immagine nuova del Cristo, che diventa ufficiale, rigorosamente fissa e dovunque viene imitata come originale, assolutamente credibile. Costantino non voleva essere adorato come gli Imperatori prima di lui, che si facevano erigere statue e altari, per questo nel nuovo Impero, divenuto cristiano, si diffuse un'immagine canonica di Colui che solo doveva essere adorato e questa immagine sembra esplicitamente ispirata alla Sindone. Infatti solamente un documento straordinario, riconosciuto come autentico e indiscutibile, di origine misteriosa e inspiegabile come la Sindone poteva imporre una tale svolta all'arte cristiana su tutto l'impero. Le più antiche testimonianze in proposito sono concordi. I sarcofaghi di S. Sebastiano e del Museo Lateranense in Roma, come quelli di Arie e di Sant'Ambrogio a Milano, databili intorno al 380, 400 d. C., così come gli antichissimi pantocratori di Santa Sofia a Costantinopoli, di Santa Caterina al Sinai, del mosaico oggi al Bargello, del Monastero di Dafni vicino ad Atene e innumerevoli icone, rilievi, dipinti, riproducono un volto dai capelli fluenti e avvolgenti divisi sulla fronte, con i baffi, la barba a due punte, i grandi occhi ineguali, gli zigomi accentuati in modo diverso, l'ampia fronte segnata da una linea trasversale. Attenti studiosi di storia dell'arte hanno riscontrato almeno 20 particolari ricorrenti nell'arte cristiana antica che si ispirano alla Sindone. Persino un piccolo ricciolo che spesso appare in mezzo alla fronte del Pantocrator richiama il Volto Sindonico, con il suo caratteristico epsilon di sangue interpretato erroneamente come una ciocca di capelli. Questa nuova iconografia del Cristo è forse il documento più evidete della, conoscenza della Sindone in quei primi secoli. Sant'Epifanie, in un sermone della fine del 500, qualifica questa nuova immagine come strana e non comune, burlandosi anzi della sua bruttezza che pur riesce ad imporsi ovunque. Anche gli antichi, splendidi pantocratori, che campeggiano nelle ispirate absidi bizantine erano detti "apomasso", cioè "impronta", perché si ritenevano derivati dal Mandllion e riproducono un volto canonico, che sembra, ispirato alla Sindone. 17 - Il Volto Santo da Edessa a Costantinopoli, a Torino Quando nel 639 gli Arabi occuparono Edessa, per non provocare sollevazione del popolo, tollerarono la venerazione del Sacro Volto, la cui festa si celebrava solennemente in tutto l'Oriente. La venerazione della miracolosa immagine acheropita del Salvatore si diffuse anche a Costantinopoli e in Occidente. L'eco di fatti miracolosi, come la liberazione dalle peste o l'allontanamento dei nemici provocò anzi un proliferare di copie di tale immagine che i pellegrini portavano come ricordo dei luoghi santi e che si esponevano nelle chiese per solennizzare la Liturgia della Passione. Così nel Medio Evo si esponevano per devozione non meno di quaranta copie della Sindone, in ogni parte d'Europa e d'Oriente. Forse era una copia del Volto Santo anche l'immagine di Cristo che S. Agostino di Canterbury portò a re come dono di Papa Gregorio, che a sua volta l'aveva portata con sé da Costantinopoli, ove era stato Legato Pontificio per alcuni anni. A Costantinopoli la Sindone fu venerata per circa tre secoli, come risulta da cronisti, storici e pellegrini. Nel 1092 l'Imperatore Alessio I invita Roberto di Fiandra a occupare Costantinopoli per evitare che le preziose reliquie della Passione cadano in mano agli infedeli. Nel 1147 il re Luigi VII di Francia si reca a venerare la Sindone in occasione di un suo pellegrinaggio nei Luoghi Santi. Roberto di Clary, cavaliere francese alla IV Crociata e testimone del sacco di Costantinopoli annoterà successivamente: "Tra gli antichi Monasteri c'era quello di Santa Maria di Blacherne, dove era conservata la Sindone in cui fu avvolto Nostro Signore. Essa veniva esposta ogni venerdì, pendente e diritta, sicché si poteva vedere bene la figura del Signore. Nessuno però sa, né greco né francese, dove essa sia andata a finire quando la città fu presa." Nel 1202 infatti Costantinopoli era stata messa a ferro e fuoco e anche la Cappella imperiale fu profanata e saccheggiata. La Sindone scomparve dalla chiesa di Santa Maria, nel quartiere occupato dai soldati francesi di Ottone De Laroche. In quella stessa occasione i veneziani trafugarono i celebri cavalli di bronzo che l'Imperatore Augusto aveva trasferito da Alessandria a Roma, che Costantino aveva portato nella sua capitale sul Bosforo e che ornavano la facciata di S. Marco a Venezia. Inutilmente il Vescovo Garnier, custode della Cappella Imperiale, esortò tutti i Crociati a restituire le reliquie saccheggiate. Un cronista della Crociata annota: "Solo alcuni ricevettero bene l'esortazione, quello che nobili e villani tennero nascosto per sé fu molto e nessuno venne a saperlo". La Sindone riapparirà qualche tempo dopo in Francia, proprio nelle terre dei De Laroche, presso una famiglia imparentata, con un inserviente del Vescovo Garnier. Siccome era troppo pericoloso trattenerla privatamente, venne affidata al Vescovo di Besançon. Scomparve nuovamente nel 1349, durante un furioso incendio che distrusse la Cattedrale e fu sostituita con una copia eseguita in modo maldestro, che sarà distrutta durante la Rivoluzione Francese. La Sindone vera riappare a Lirey, presso Troyes, dove il Vescovo Pietro d'Arcis, nel 1389, ne proibì l'Ostensione, preoccupato sembra delle basse speculazioni operate ai danni dei pellegrini. Clemente VII, Antipapa in Avignone, se ne occupa in due documenti, autorizzando l'Ostesione ai fedeli per scopo devozionale. Nel 1453 la Sindone passò da Margherita di Charny, ultima erede di quella casata, ad Anna di Lusignano, moglie del Duca di Savoia Ludovico I, e da allora la preziosa reliquia appartiene alla Dinastia Sabauda, che la custodì a Chambery, capitale del Ducato, nella Sainte Chapelle, eretta appositamente nel 1502. Solo occasionalmente, per ragioni di sicurezza in tempo di guerra, o per celebrare importanti eventi della Casa Savoia, la Sindone lascierà Chambery. Si possono ricordare alcuni viaggi a Rivoli, a Pinerolo, a Nizza, a Vercelli, a Genova, a Milano, finché, nel 1578, Emanuele Filiberto deciderà di portarla a Torino, sua nuova capitale, per abbreviare il viaggio di S. Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, che voleva venerarla per adempiere un voto. Così Torino diventerà definitivamente la città della Sindone, che nel 1694 sarà riposta nel monumentale altare marmoreo sotto la cupola eretta da Guarino Guarini in una cappella del Palazzo reale adiacente al Duomo. Da allora le estensioni si susseguirono con frequenza trentennale, per celebrazioni giubilari o per i matrimoni di Casa Savoia. Nel 1698 la prima fotografia rivelerà l'insospettabile caratteristica negativa di quell'immagine evanescente e misteriosa. Dal 1939 al 1946, per proteggerla dai rischi della guerra, la Sindone sarà nascosta a Montevergine, presso Avellino. Nel 1969 verranno scattate le prime foto a colori, nel 1975 apparirà in diretta sulle televisioni di tutto il mondo e nel 1978 una estensione straordinaria per il 4° centenario della Sindone a Torino richiamerà quasi quattro milioni di visitatori e un'imponente équipe di studiosi d'ogni parte del mondo. Così, attraverso persecuzioni e ruberie, incendi e saccheggi, incuria e devozione, rispetto e incoscienza forse è giunta sino a noi la più straordinaria delle reliquie, rivelata come eloquente testimonianza di sangue proprio in questo nostro secolo dell'immagine e della scienza. Dopo aver parlato col mistero del suo silenzio a Gerusalemme, a Edessa, Costantinopoli, Lirey, Chambery e chissà in quante altre chiese cristiane rimaste ignote. 18 - La polvere della Sindone documenta la sua storia Una insperata conferma delle peregrinazioni della Sindone è data recentemente dalla palinologia o scienza dei pollini. Max Frei, esperto medico legale svizzero, chiamato a Torino nel 1975 per autenticare le foto a colori scattate nel 1969, raccolse per curiosità su appositi adesivi sterili un po' di polvere della Sindone per esaminarla, come era solito fare, con i reperti di casi criminosi o polizieschi. La sua meraviglia fu grande quando cominciò a classificare i microscopici pollini contenuti in quella polvere. Ogni varietà di pianta infatti contiene uno spettro cromosonico individuale, differente per ogni specie, e da quelle piccolissime testimonianze si può leggere la provenienza di un reperto. Vi trovò pollini e spore tipici della Palestina, della zona del Mar Morto, vicino a Gerusalemme, piante della costa mediterranea, dell'Anatolia e dell'attuale Turchia, dove sorge Edessa, di Costantinopoli, della Francia e dell'Italia. Max Frei non era cattolico e non si preoccupava della Sindone come reliquia, ma piuttosto come importante documento medico legale della sofferenza e della morte del Giusto. Entusiasta dei risultati di questa analisi del tutto casuale l'attento ricercatore svizzero ha ripreso l'esperimento dopo l'Ostensione del 1978, raccogliendo campioni di polvere da diversi punti della Sindone e l'analisi ha confermato i precedenti risultati. "Lo spettro palinologico, scriveva Max Frei, comprende ora 57 nomi e permette di provare statisticamente il passato della Sindone. Gli storici moderni ne hanno ricostruito i viaggi da Gerusalemme a Edes sa, a Costantinopoli, a Cipro, in Francia e in Italia, la palinologia è in grado di confermare questo itinerario. Non ho trovato però pollini di piante che crescono esclusivamente a Cipro, quindi, o il Lenzuolo non ha mai fatto scalo in questa isola, durante il ritiro dei Crociati da Costantinopoli, oppure è rimasto chiuso nel suo scrigno e non fu esposto all'aria libera. Due esempi molto belli di varietà botanica caratteristica sono la Onasma Siriacum e il Ioscriamus Aureus, specializzati nella vita sulle rupi e sui muri e le rovine. Il loro polline si trova sulla Sindone e le stesse piante crescono ancora oggi sulle mura della vecchia Gerusalemme. Siccome il Sacro Lenzuolo è sotto controllo da almeno cinque secoli, un eventuale falso avrebbe dovuto essere perpetuato nel Medio Evo e probabilmente in Francia. In quell'epoca lo studio dei pollini non era conosciuto, come poteva un falsario procurarsi una tela di lino della Palestina già con indubbie difficoltà e impolverarlo oltre che in questa zona anche con polveri dell'Anatolia e di Costantinopoli? Lo spettro pollinico quindi permette di escludere una falsificazione. Posso affermare che sulla Sindone non ho trovato alcun elemento che debba valutarsi come controprova di un'età di circa 2000 anni. Un polline molto bello, a suo dire, non ha ancora trovato una classificazione, nonostante Max Frei abbia consultato gli archivi scientifici di tutto il mondo. Forse si tratta di una pianta antica oggi scomparsa, che potrebbe offrire nuovi elementi per datare scientificamente la Sindone. 19 - Il microscopio elettronico e la dimensione della Fede Un'autorevole conferma è venuta dal Prof. Ettore Morano, libero docente e Primario di Anatomia Patologica. Analizzando al microscopio elettronico a scansione alcuni fili prelevati da mummie del Museo Egizio abbiamo rilevato, scrive nel suo reperto, un quadro ultrastrutturale di superficie che usiamo definire assolutamente sovrapponibile a quello del filo della Sindone. La straordinaria somiglianza con tele egizie, sicuramente databili a più di 2000 anni fa, pone una seria ipoteca sull'antichità del tessuto Sindonico. Come si vede, l'indagine storica, la ricerca scientifica, gli esami di laboratorio, perfino la polvere depositata dal tempo, confermano la probabilità che la Sindone di Torino sia quella che avvolse il corpo di Gesù Cristo il tragico Venerdì Santo dell'anno 30 a Gerusalemme. Ma una storia così complessa e problematica, l'incostante memoria dei secoli e la difficile concordanza di testimonianze e di dati impongono al credenti di affrontare il fenomeno Sindone con serietà, senza sentimentalismi preconcetti. La Sindone può essere, e probabilmente è, quella di Gesù, i Cristiani la venerano come prezioso documento della sua Passione e Morte, ma non si può farne una questione di Fede. Come già di fronte a Cristo, di fronte alla Sindone che, autentica o no, comunque lo ricorda, non è facile prendere posizione. L'uomo moderno, maestro del sospetto, a tutto impone la teoria del sospetto, piuttosto che il vero, ricerca il verificabile, il sempre più verificabile, il mai abbastanza verificabile. È fatale, e forse per decisioni che dovrebbero sconvolgere l'esistenza è giusto che sia così. Da quasi un secolo, da quando cioè la fotografia rivelò per caso il mistero di quella "bruttezza che innamora", la scienza ha sottoposto la Sindone ad ogni genere di esami, di misurazioni, di prove per quelle conferme che la fede dei semplici non esige. Forse per confortare questa fede dei semplici, un innocente pruneto selvatico continua a fiorire fuori stagione a Bra, nel Cuneese, ogni volta che la Sindone viene esposta in pubblico. È il biancospino detto della Madonna dei fiori, un fenomeno inspiegabile che fiorisce a dicembre, secondo un calendario che potremmo definire liturgico, sfidando le leggi della natura. Chi non crede afferma che si tratta di un caso; può darsi, ma quando un caso ai ripete in modo così puntuale, è ancora un caso? 20 - Una misteriosa fotografia di sangue La Sindone è un tessuto di lino lungo 4 metri e 36 centimetri, largo 1 metro e 10 centimetri, piuttosto irregolare nel filato e nella tessitura, opaco e compatto, molto simile a quelli trovati in antiche sepolture egizie, a Pompei e in Siria. Il termine Sindone si trova già nei Vangeli, significa semplicemente stoffa d'India, cioè tessuta al modo indiano. Anche oggi si chiamano dal luogo di provenienza tessuti come cashemirè, jersey, calicoat, tulle. Questa stoffa d'India poteva servire agli usi più diversi: vestiti, bende per fasciare, tela per avvolgere e per usi domestici, vele per imbarcazioni e teli funerari. Il Vangèlo di Marco ad esempio ricorda che nel Getzemani c'era un giovinetto vestito soltanto d'un lenzuolo: in greco e in latino si dice sindone: lo fermarono, ma egli, lasciato il lenzuolo, o sindone, fuggì via nudo. La tessitura della Sindone è detta di saia o sargia di quattro, cioè con tre fili di trama sotto e uno sopra, che formano le caratteristiche diagonali dette a spina di pesce oppure a spiga. Nel museo Egizio di Torino c'è una stoffa analoga, di purissimo lino, lunga ben 7 metri, appartenuta alla XII Dinastia tra il 1966 e il 1784 a.C. Al tempo di Gesù il centro di maggior produzione di questa stoffa era Palmira, presso Damasco, in Siria, regione collegata con Gerusalemme da una strada carovaniera e da fitti rapporti commerciali. Tracce di cotone, scoperte recentemente tra le fibre del lino, fanno pensare che la stoffa sia stata tessuta su un telaio usato per il cotone; questo, come si sa, era coltivato in tutto l'Oriente Romano, ma non in Europa, dove fu portato dagli Arabi nel Medio Evo. Anche la tessitura di sargia esclude che la Sindone sia di origine europea perché tale tecnica fu introdotta nell'Europa Occidentale soltanto verso la fine del secolo XIV. La Sindone, così come appare oggi, reca purtroppo evidenti i segni del tempo, di innumerevoli peripezie, passaggi di mano in mano, pii spostamenti e trafugamenti sacrileghi, ostensioni frequenti in condizioni precarie e senza troppe cautele, incendi e bagni in acqua. Vi si notano pieghe indurite dal plurisecolare invariato modo di riporla, graffi, polvere e usura del tessuto, macchie accidentali, tracce di inchiostro dovute forse all'imperizia di qualche notaio curiale, tracce di fumo, ditate e persino un bel colaticcio di cera eredità di un chierichetto sbadato di chissà quale secolo. Pare manchino alcuni pezzi agli estremi e sui bordi, forse asportati da incoscienti devoti per farne reliquie. Una banda di circa 8 cm. sul lato sinistro è stata ripiegata e ricucita probabilmente per infilarvi un'asta durante l'ostensione in pubblico. 21 - La prova del fuoco La prima cosa che si vede nella Sindone è una doppia linea scura che la segna per tutta la lunghezza allargandosi in otto grandi macchie simmetriche con otto coppie di piccoli triangoli più chiari. Si tratta delle bruciature prodotte da un incendio sviluppatesi nella notte del 5 dicembre 1532 nella Cappella di Chambery, in Savoia, dove la Sindone era conservata in un cofano d'argento ripiegata in 48 strati. La preziosa reliquia fu salvata dall'intervento coraggioso di un consigliere del Duca di Savoia e da due francescani quando già l'argento dell'urna cominciava a fondere per il calore. Il metallo fuso colò sulla tela ripiegata, producendo i quattro fori simmetrici visibili a metà del drappo, mentre il calore dell'incendio carbonizzò la tela lungo la linea delle piegature longitudinali, squarciandola e distruggendola dove ora appaiono le grandi macchie scure. Fortunatamente la figura centrale dell'Uomo della Sindone fu rispettata dal fuoco, eccetto all'altezza degli omeri e in corrispondenza della ferita al costato. L'acqua usata per domare le fiamme inzuppò il lenzuolo, formando 21 aloni simmetrici a forma di losanga intera nei punti alterni della piega centrale: sono molto visibili quelli sulle ginocchia, sul petto e sopra il capo nella figura frontale e a forma di losanga dimezzata, aperta verso l'esterno, lungo i bordi. Queste macchie romboidali corrispondono alle parti non raggiunte dall'acqua dello spegnimento e raccolgono, nella loro geometrica fioritura, residui di polvere, pollini microscopici, impurità del tessuto, fibre carbonizzate dal fuoco recente e persino tracce infinitesimali dei minerali del sangue asportato dalle macchie vicine. Per questo sono visibili nelle lastre a raggi X eseguite durante i recenti esami di laboratorio. IL tessuto così seriamente danneggiato venne rappezzato dalle Clarisse di Chambery nel 1564 con 6 doppi triangolini di rinforzo, ricavati, per devozione, da lino bianco di corporali da altare. Altri rappezzi vennero applicati sul rovescio, con doppi rammendi e successivamente vennero applicate analoghe rappezzature con toppe sovrapposte di diversa tonalità. Nel 1694 il Beato Sebastiano Valfrè, devotissimo della Sindone, ricucì con filo nero, in modo piuttosto maldestro, alcuni rappezzi, specialmente nella zona della ferita al costato. In occasione dell'estensione del 1868 la Principessa Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II, ripassò le cuciture esterne, applicando sotto l'intera Sindone una nuova stoffa di rinforzo, per meglio garantirne la conservazione. Soltanto nel 1978, dopo l'ultima estensione pubblica, gli scienziati poterono osservare la faccia nascosta della Sindone, scucendo in parte quella fodera e introducendo particolari strumenti di osservazione. Sul retro della Sindone non c'è traccia della figura, ma soltanto alcune macchie di sangue che hanno impregnato la stoffa. L'incendio di Chambery non fu l'unico nella tormentata storia della Sindone. Già nel 1394 essa era stata seriamente danneggiata da un incendio della Cattedrale di Besancon provocato da un fulmine. Ne resta traccia nei fori simmetrici che si vedono ancora all'altezza delle mani e delle coscie dell'Uomo della Sindone e che il Durer, in una copia del 1516, aveva riprodotto come macchie di sangue, ingannato forse dalla stoffa rossa applicata come rappezzo sul rovescio. Anche recentemente un incosciente piromane, calandosi acrobaticamente dalla cupola del Guarini il 1° e il 21 ottobre 1972, tentò inutilmente di incendiare la Sindone, oggi fortunatamente ben protetta da un rivestimento di amianto. Queste ripetute prove del fuoco, pur così pericolose, si dimostrarono provvidenziali come esami di laboratorio che nessuno avrebbe mai osato tentare. La reazione del tessuto e dell'impronta al fuoco e all'acqua ha dimostrato infatti in modo inequivocabile che non può trattarsi di un dipinto e che non c'è traccia di pigmenti organici, polvere colorante o vernice, cose tutte che alle altissime temperature che hanno ripetutamente carbonizzato la tela avrebbero subito trasformazioni evidenti. 22 - Un'impressionante fotografia di sangue Superate finalmente tutte queste macchie di disturbo nella parte mediana della Sindone, si vede la doppia impronta d'un uomo composto nella solennità della morte, colle braccia incrociate e le mani sovrapposte. Le due immagini, anteriore e posteriore, sono capovolte l'una rispetto all'altra. Il bellissimo disegno del corpo, anatomicamente perfetto, si presenta sfumato, evanescente, e si vede bene soltanto da una certa distanza. La tinta dell'immagine è tra il giallo, il carminio e il sepia. Ma nella misteriosa incongruenza del negativo presenta invertiti i valori di chiaroscuro, come avviene nel moderni processi fotografici. All'opposto di come vediamo normalmente, le parti chiare sono in ombra e le ombre sono chiare. Su tutto il corpo dell'Uomo della Sindone risultano numerose tracce di sangue di color bruno-carminio: sono macchie di due tipi, di colore uniforme e con contorni netti le tracce di sangue vivo, più irregolari e con alone chiaro quelle di siero ematico defluito dopo la morte. Le tracce di sangue sono positive, cioè appaiono scure come nella realtà, non in negativo come la figura del corpo. Più evidenti appaiono le piaghe maggiori ai polsi, ai piedi, al costato e le colature più copiose, come quelle sulla nuca, sulla fronte, sul volto e sugli avambracci. Un po' più sfumate appaiono le altre ferite dovute a colpi di flagello, a cadute, a percosse, che segnano tutto il corpo. Il prof. Luigi Baima Bollone, Ordinario di Medicina Legale nell'Università di Torino e direttore del Centro Internazionale di Sindono logia, ha dimostrato che il sangue sindonico è vero sangue umano, in composizione con aloè e mirra e recentemente ha rilevato il gruppo sanguigno dell'Uomo della Sindone, così chiarisce l'importante scoperta: "Da sempre la tradizione popolare ha ritenuto di vedere nelle macchie della Sindone delle tracce di sangue. È stato il Barbet, nel 1939, che ha dimostrato che quelle macchie corrispondono, nei loro contorni, a macchie sperimentali di sangue. In altre parole, che il liquido che ha lasciato le macchie sulla Sindone aveva lo stesso comportamento fisico del sangue. Sono stati fatti diversi tentativi negli anni successivi per accertare la presenza di sangue con degli esami di laboratorio. Ricordo qui le prove eseguite da Frachet, Mari Rizzatti e Marit nel 1969, che però hanno avuto un esito negativo. Successivamente, all'atto degli esami dell'ottobre del 1978, è stato concesso ad alcuni ricercatori di applicare dei nastri autoadesivi sulla superficie della Sindone. A me, che avevo avuto l'idea di richiederlo, venne concesso di distaccare alcuni fili. Sono stati portati avanti gli esami, sia sui nastri, sia sui fili. Debbo dire che la quantità di questi ultimi era molto modesta; si trattava di dodici campioni di trama e di ordito della lunghezza media di due millimetri. Le indagini sono andate avanti, sui nastri sull'altra sponda dell'Atlantico e invece sui fili in Europa, e precisamente in Italia. Nel 1980 Heller e Adler hanno riferito di avere ottenuto la trasformazione di un eme in una porfirina su di un prelievo eseguito alla superficie della Sindone con nastro autoadesivo. Contemporaneamente le prove ematologiche da me eseguite sui fili mi consentivano di dimostrare che su di questi vi erano delle tracce di sangue, e questo con i metodi della ematologia forense. In una tappa successiva riuscivo a dimostrare in collaborazione con le professoresse lorio e Massaro dell'Avis di Torino, che si trattava di sangue umano. Intanto dall'America veniva la conferma che le tracce erano effettivamente di sangue. Finalmente, sempre con la collaborazione delle professoresse lorio e Massaro, sono riuscito a dimostrare il gruppo di sangue rispetto al Bistema ABO. Si tratta di sangue di gruppo AB. Un piccolo campione dato in esame a Samuel Adler, microchimico della Western Connecticut University, rivelò tracce di sangue. Il ricercatore pensava di trovarsi davanti a un normale problema di medicina legale e soltanto quando dichiarò che esso conteneva inequivocabilmente sangue un collega gli rivelò che si trattava della Sindone di Torino. Adler, ebreo di nascita e credente piuttosto tiepido, si lasciò sfuggire un significativo: "Mio Dio!" e dichiarò: "È altrettanto certo che ci sia sangue nella Sindone come nelle vostre vene". Nel 1978, scucendo in parte la stoffa di rinforzo ed esaminando la faccia nascosta della Sindone, che nessuno aveva osservato negli ultimi secoli, si è notato che alcune macchie di sangue con colatura più copiosa hanno impregnato i fili della trama e sono visibili anche nel retro della stoffa. Il fenomeno è particolarmente evidente in corrispondenza delle trafitture al costato, anche se la bruciatura e i diversi successivi rattoppi non hanno consentito di staccare completamente la fodera in quel punto. Visibile sul retro della Sindone è anche il curioso coagulo a forma di epsilon greco o di 3 rovesciato che documenta drammaticamente sulla fronte dell'Uomo della Sindone gli spasimi dell'agonia. 23 - Un'immagine inspiegabile che sfida la scienza Come si sono formate le impronte della Sindone rimane un mistero. La scienza non sa dircelo, nonostante i decenni di studio e infinite prove di laboratorio. La prima ipotesi proposta dai ricercatori fin dall'inizio del secolo fu quella detta vaporigrafica. L'impronta si sarebbe formata sulla tela per effetto di vapori. In un luogo fresco e umido l'urea del sudore potrebbe trasformarsi in ammoniaca e ossidare la soluzione di mirra e di aloe presente sulla tela, scurendola. Così spiegava il primo grande studioso della Sindone, Paul Vignon, e le prove di laboratorio confermarono in parte l'ipotesi, anche se le immagini ottenute con questi vapori erano di penosa imprecisione, ben diverse da quella dettagliatissima e precisa della Sindone. Secondo un'altra ipotesi l'immagine sindonica potrebbe essersi formata per contatto. Prove di laboratorio hanno dimostrato che un corpo insanguinato e inumidito da sudorazione abbondante può lasciare una traccia sulla tela in cui è avvolto, reagendo con la mirra e l'aloe in un contatto di circa 35 ore. Passate le 40 ore infatti la traccia si confonde e diventa una semplice macchia di sporco. Quest'ipotesi corrisponderebbe cronologicamente con la sepoltura di Gesù, avvenuta secondo i Vangeli al tramonto del venerdì e cessata con la Risurrezione all'alba della domenica. Ma le impronte di laboratorio, pur tentate con ogni riguardo, hanno evidenti deformazioni prospettiche, quando si distende la stoffa prima adagiata a contatto con le rotondità del corpo, inoltre tali impronte non hanno caratteristiche tridimensionali che mostra la Sindone. Anche le macchie di sangue nei tentativi per contatto si deformano e si rovinano quando la stoffa si stacca dal corpo, mentre nella Sindone sono nitidissime e rifinite. Per questo la Commissione di Studi nominata nel 1969 dichiarava che si deve scartare l'ipotesi che la figura sia stata prodotta per contatto, ma si deve supporre la concomitanza di qualche altro effetto. Un altro particolare fa dubitare gli scienziati circa l'ipotesi vaporigrafica e del contatto: i capelli e la barba dell'Uomo della Sindone sono fluenti e soffici e ciò farebbe pensare che l'aloe e la mirra non siano stati usati in mistura oleosa, ma allo stato secco, come polvere antisettica, balsamica e deodorante, sparsa abbondantemente intorno alla salma e forse per tutta la tomba, come appare in alcune sepolture ebree riportate alla luce negli scavi di Villa Torlonia a Roma. 24 - Un'ipotesi affascinante: esplosione di energia o lenta ossidazione? Sul fatto che le bruciature del 1532 hanno un colore analogo alla impronta del corpo e che questa non si è modificata neppure nelle immediate vicinanze del fili carbonizzati dal fuoco, si fonda l'ipotesi più moderna e fascinosa: la Sindone potrebbe essersi impressa per radiazione. "Le macchie non stanno assolutamente come in rilievo sul tessuto, ma sono segnate a fuoco dentro di esso" scrive David Wellis. La Sindone, secondo questa ipotesi, potrebbe essere nata da una esplosione di energia, perché, come spiegano gli scienziati, se scompare una porzione di materia, si trasforma in energia. "La Sindone, scrive lo studioso spagnolo José Luìs Carreno, rivela il passaggio di uno scoppio di energia, il tessuto rimase come abbruciato e l'intensità dell'impronta è inversamente proporzionale alla distanza del telo dal corpo." Per i credenti una simile ipotesi potrebbe rimandare al mistero della Risurrezione, ma secondo Baima Bollone la struttura delle impronte cadaveriche è ben diversa dalle parti bruciate, per cui non sembra accettabile l'ipotesi d'una loro genesi ad opera di una fonte di energia. Recentemente è stata avanzata un'altra ipotesi secondo la quale l'immagine della Sindone potrebbe essersi formata per scolorimento della stoffa. La cellulosa del lino avrebbe subito una trasformazione chimica nei punti di contatto con il corpo reagendo al sudore, all'aloe e alla mirra, che agirono come catalizzatori per la luce e il calore, producendo un'ossidazione, cioè una scolorazione della cellulosa stessa. Esami di laboratorio in questo senso hanno richiesto un trattamento di invecchiamento chimico della stoffa, da cui deriva l'ulteriore ipotesi di una immagine rimasta latente per un certo periodo, finché luce e calore la svilupparono completamente col passare del tempo. Che sia questa la ragione per cui nei primi tempi del Cristianesimo non si parla d'una Sindone coll'immagine di Gesù? 25 - Non è un dipinto, ma uno straordinario documento tridimensionale Le analisi microchimiche e l'uso di ben diciotto solventi diversi non hanno rivelato traccia né di pittura, né di pigmenti, né di vernici, né di olii e non può trattarsi di dipinto, come dimostrano anche le foto tridimensionali. L'immagine sindonica, diversamente dalle macchie di sangue, non è formata da nessun materiale colorante d'apporto, ma è provocata da un viraggio di colore, che segna le fibre del lino in modo superficiale, senza impregnarle, e senza alcun fenomeno di capillarità. L'immagine consiste semplicemente in una tenue ossidazione monocroma della cellulosa del lino, come dicono gli esperti, cioè in un cambiamento di colore delle fibre in superficie, dovuto a un'alterazione chimica della cellulosa che per ora non si sa spiegare. In altre parole, la cellulosa della stoffa avrebbe subito una misteriosa trasformazione chimica che neppure la scienza moderna sa imitare. Elaborazioni recenti hanno dimostrato che l'immagine sindonica è tridimensionale, cioè ha una costante corrispondenza tra luminosità dell'immagine e rilievo del corpo: quanto più il corpo era vicino alla tela, tanto più l'immagine appare scura. Questa caratteristica, rivelata la prima volta dai laboratori di Los Alamos in America, non si riscontra nelle normali fotografie, né nei dipinti, esclude assolutamente possa trattarsi di un falso e rende assai dubbia l'ipotesi di una impronta per contatto. In quest'ultimo caso infatti tutti i punti a contatto con la tela dovrebbero avere identica intensità luminosa, gli strumenti di analisi tridimensionale rivelano invece che la Sindone doveva trovarsi relativamente piatta e ad una qualche pur piccola distanza dal corpo dell'uomo riprodotto. Anche l'ipotesi più volte avanzata di un'impronta ottenuta per riscaldamento di una statua o d'un rilievo metallico si è dimostrata insostenibile perché le bruciature delle fibre tessili non potrebbero essere così tenui e così superficiali. E soprattutto perché, come risuta da misurazioni recentissime, sotto le macchie di sangue la stoffa è perfettamente pulita e non segnata dal colore del corpo. Ciò significa che un eventuale falsario avrebbe dovuto prima tracciare le macchie di sangue, e con autentico sangue umano, e poi disporre la Sindone sul rilievo riscaldato, facendo combaciare le ferite con le parti anatomiche corrispondenti. Sarebbe impossibile anche per chi disponesse delle più sofisticate tecnologie di oggi, e sarebbe davvero un mostro di intelligenza e di perfidia chi avesse lavorato con tale abilità, rimanendo anonimo, per il solo piacere di mettere in crisi i ricercatori del secolo XX. Secondo il prof. Luigi Gonella, assistente dell'equipe scientifica del 1978, gli scienziati possono dimostrare soltanto che nulla si può per ora concludere sul meccanismo di formazione dell'immagine, perché nessuno dei tanti esami riesce a render conto di tutte le caratteristiche dell'immagine sindonica. Sappiamo cos'è, ma non sappiamo come s'è fatta. Concludendo una sua relazione il medesimo docente affermava: "La scienza non potrà dimostrare che l'Uomo della Sindone sia Gesù Cristo, perché non esiste in archivio un riferimento che possa confermarne i'identità. La scienza dice soltanto che ciò è estremamente probabile, dato il numero impressionante di coincidenze e di conferme. Per parte mia posso affermare che se la Sindone è un falso, si dovrà riscrivere tutta la storia della tecnologia, perché, per farla così mille e più anni fa, avrebbero dovuto conoscere delle tecniche che noi oggi ignoriamo. 26 - Resta la domanda: "E voi, chi dite che io sia?" Per questo la Sindone continua ad appassionare l'opinione pubblica, sfidando la scienza e provocando credenti e non credenti con il fascino d'un mistero che ciascuno vorrebbe definitivamente svelato. Nel silenzio della morte l'Uomo della Sindone interpella l'umanità come il Cristo 2000 anni fa: "E voi, chi dite che io sia?". La risposta non è facile perché riconoscere il Cristo morto e risorto vorrebbe dire sconvolgere l'esistenza. La Sindone, come il Cristo, non ha fretta, pare non temere il tempo. Il segno di Giona non si impone, pazienta e aspetta, ma non si può cancellare, come scriveva Domenico Giuliotti: "Cristo è l'inabolibile povero, bimillenario pellegrino presente al tempo stesso su tutte le strade del mondo, a tutte le porte si ferma, a tutte le porte bussa, a tutte le porte domanda umilmente ricovero per la salute di chi dovrebbe ospitarlo, e l'uomo, sentendo bussare, corre alla porta ed apre, ma non appena travede nel mendicante un giudice gli sputa addosso con ira e chiude la porta e inchiavaccia. Allora, il Redentore del mondo, malinconicamente, si pone a sedere sullo scalino e prega; "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno". Ciascuno ha sullo scalino della propria porta questo terribile povero non ricevuto che prega." 27 - Un Vangelo concreto nel secolo dell'immagine La Sindone, antico lenzuolo funerario, reca in negativo la doppia impronta di un uomo composto nella tragica solennità della morte, con le braccia incrociate. Ad una osservazione attenta appaiono molti particolari: numerose ferite inferte con un flagello su tutto il corpo; macchie di sangue sulla fronte e sulla nuca prodotte da trafitture profonde, trafitture sui polsi e sui piedi, colature sulle braccia, una grande ferita al costato, con copiosa fuoriuscita di sangue e liquido sieroso nella zona lombare, contusione sulla scapola e sulla spalla con escoriazioni provocate da un oggetto pesante e rugoso, piedi sovrapposti e contratti nella rigidità cadaverica. Sul volto dell'Uomo della Sindone appaiono ferite, ecchimosi e tumefazioni d'ogni genere. L'impressionante corrispondenza tra l'immagine sindonica e la figura evangelica dell'Uomo dei dolori crocifisso a Gerusalemme quand'era Procuratore Ponzio Filato rende possibile - la scienza moderna dice anzi "estremamente probabile" che il lenzuolo conservato a Torino sia efettivamente quello che avvolse il corpo di Cristo 2000 fa. Per questo la Sindone è venerata come la più preziosa reliquia, come un misterioso Vangelo della Passione, concreta e toccante cristologia della sofferenza. La Chiesa, pur onorando le reliquie che conservano nel tempo il ricordo di importanti eventi e testimoniano concretamente una presenza che può elevare fino a Dio, non ha mai riconosciuto ufficialmente l'autenticità della Sindone, anche se non mancano significative testimonianze di devozione e di fede. Pio XI scriveva al Cardinal Fossati Arcivescovo di Torino: "Abbiamo seguito personalmente gli studi sulla Sindone e ci siamo persuasi della autenticità. Si sono fatte tante opposizioni, ma, non reggono." Al fotografo Enrie, che gli aveva presentato le nuove e bellissime foto della Sindone il Papa disse che esse, da sole, valevano più che tutta la ricerca storica messa insieme. Papa Giovanni XXIII diceva: "Qui c'è il dito di Dio". E Giovanni Paolo II, che aveva voluto visitarla durante l'Ostensione del 1978, un mese prima di salire al soglio pontificio, saluta la Sindone come la più splendida reliquia della Passione e della Resurrezione del Signore, testimone muto ma meravigliosamente eloquente. La Sindone può a ragione definirsi "Il Vangelo sceneggiato della Passione" e un'osservazione attenta di quella tragica fotografia di sangue è un'intensa meditazione. 28 - L'Uomo dei dolori si è addossato le nostre iniquità come Agnello condotto al macello L'Uomo della Sindone è alto circa 1 metro e 75, ha un fisico imponente, d'armonica proporzione ed è soffuso d'una calma, solenne bellezza. Il volto, pur nella strana incongruenza del negativo, appare in una sovrumana compostezza, inspiegabile dopo una così tormentosa agonia: è un particolare che impressiona. Normalmente i giustiziati spirano in tragiche smorfie disperate. Qui il Giusto, immolato, giudica il mondo dal trono muto e severo del suo composto dolore. Il volto è sfigurato, sulla fronte c'è un'ampia ecchimosi e una tumefazione rotonda da percossa, l'occhio destro, la guancia e lo zigomo sono deformati e tumefatti, il setto nasale è deformato e la cartilagine infranta, il labbro superiore è gonfio, e la mandibola visibilmente tumefatta, forse lussata. All'analisi attenta dei moderni strumenti di misura tutto il volto appare insanguinato, anche se mani pietose l'han forse deterso. Ciascuno di questi particolari rimanda all'Uomo dei dolori e alla sua Passione narrati dai Vangeli. Leggiamo nel testo di Luca: "Giunto al monte degli Ulivi in preda all'angoscia pregava e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra". ( Lc 22,44 ) Giovanni ricorda: "Allora legarono Gesù e lo condussero da Anna, suocero di Caifa, che era sommo Sacerdote in quell'anno, e una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: Così rispondi al Sommo Sacerdote?" ( Gv 18,13.22 ) Il Vangelo di Marco annota; "Il Sommo Sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia, che ve ne pare? Tutti sentenziarono che era reo di morte. Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto e a schiaffeggiarlo dicendogli: Indovina! E i servi lo percuotevano." ( Mc 14,63-65 ) Ma cerchiamo di leggere nei particolari quel Vangelo di sangue che è la Sindone. 29 - L'Uomo della Sindone fu flagellato secondo l'uso romano Sono evidenti sul Corpo sindonico i segni di una terribile flagellazione inferta secondo l'uso romano, senza limitazione di colpi. È una testimonianza agghiacciante di un supplizio condotto con bestiale accanimento da due aguzzini posti al lati del condannato, non soltanto sulle spalle, ma su tutto il tronco e sugli arti, sia posteriormente che anteriormente. Il terribile "flagrum" o flagello romano era uno strumento di tortura riservato agli schiavi e consisteva in un breve manico con due o tre lacci con piccoli ossicini o palline di piombo che ad ogni colpo laceravano la carne del condannato. La legge romana vietava di flagellare un cittadino romano, mentre gli ebrei limitavano questo tormento ad un massimo di 40 colpi. L'Uomo della Sindone reca sul suo corpo i segni di non meno di 120 ferite da flagello. Normalmente i condannati alla croce erano colpiti dai flagelli lungo il percorso verso il luogo del supplizio. Era una forma di orribile pietà, perché in tal modo il condannato si indeboliva perdendo molto sangue e avrebbe avuto un'agonia più breve. Nel caso dell'Uomo della Sindone però, la flagellazione fu inferta a parte, con attenta distribuzione a raggiera e con precisa geometria dei colpi, dai due lati della vittima. Anche le spalle sono lacerate dal flagello e ciò dimostra che mentre veniva flagellato l'Uomo della Sindone non portava il patibolo. Solo la regione intorno al cuore fu risparmiata dai carnefici, evidentemente il condannato non doveva morire sotto i flagelli e gli aguzzini sapevano bene che flagellando il pericardio si provocano reazioni mortali. Dal Vangelo sappiamo che Filato fece flagellare Gesù per impietosire i suoi nemici ed evitare di condannarlo a morte. Narra infatti l'Evangelista Giovanni: "Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. Pilato intanto uscì di nuovo e disse: 'Ecco, io ve lo conduco fuori perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa. ' Allora Gesù uscì, portando la corona di spine ed il mantello di porpora, e Pilato disse loro: 'Ecco l'uomo'. Al vederlo i sommi Sacerdoti e le guardie gridarono: Crocifiggilo! Crocifiggilo! " ( Gv 19,1-6 ) 30 - L'Uomo della Sindone fu coronato di spine La fronte e la nuca dell'Uomo della Sindone sono segnati da colature di sangue provocate da strumenti a punta, aculeati, calcati e strisciati. Sulla nuca le ferite sono disposte a raggiera e le colature fanno pensare che le spine fossero non una corona ordinata, come spesso vediamo nei dipinti tradizionali, ma piuttosto disposte come un casco tenuto insieme da una brutale legatura, che stringendo i capelli favorì un ampio coagulo. "Dunque tu sei re" aveva chiesto Pilato a Gesù. E Gesù aveva risposto! "Io sono re, per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità". ( Gv 18,37 ) Una manciata di sterpi spinosi, la celebre "spina Christi" palestinese, raccattata vicino al fuoco, divenne il satanico diadema per questo re da burla. "E intrecciata una corona di spine", dicono i Vangeli, "gliela posero sul capo, e gli misero addosso un mantello di porpora, quindi gli venivano davanti e gli dicevano; 'Salve, re dei Giudei' e gli percotevano il capo con una canna". ( Gv 19,2-3 ) È impressionante la colatura sulla fronte a forma di epsilon greca o di tre rovesciato, originata dalla trafittura dell'arteria temporale, che documenta il movimento del capo a destra e a sinistra e insieme il corrugamento della fronte per le dolorose contrazioni del muscolo frontale. Recenti esami a luce ultravioletta, che mette in risalto i residui organici, dimostrano che il volto è tutta una maschera di sangue, nonostante che appaia, all'osservazione diretta, più pulito del corpo. Forse una pietosa Veronica deterse quel volto, come dimostra anche la duplice colatura di sangue sui capelli, all'altezza della tempia, interrotta vicino alle gote e visibile nuovamente più in basso. È forse una conferma della pietà cristiana che venera, fin dall'antichità la Vera Icone, o Veronica del Salvatore in un lino antichissimo, conservato già nella Basilica Costantiniana di S. Pietro e successivamente in Santa Maria del Sudario, ricordato anche da Dante. Oggi su quel lino è svanita ogni traccia di immagine, ma fino al 1800 circa numerose testimonianze affermano che assomigliava alla Sindone e vari artisti fecero anche dei confronti fotometrici. Inoltre, le macchie di sangue sulla nuca pendono tutte verso sinistra perché, nel terribile tormento, l'Uomo della Sindone teneva il capo leggermente piegato a destra, mentre le colature del volto non hanno quella direzione. Evidentemente il volto fu deterso e le macchie di sangue che ora vediamo sul volto si sono formate dopo. Un particolare interessante notato dai medici legali è che il sangue fuoriuscito dalle trafitture delle spine è sicuramente vivo, avendo intorno la fibrina per il coagulo. La lastra all'ultravioletto documenta anche che l'Uomo della Sindone non era svenuto quando le trafitture delle spine sanguinavano, perché le palpebre, aprendosi e chiudendosi, hanno corrugato il rivolo di sangue che le tocca. Le occhiaie, relativamente libere dal sangue, dimostrano che la colatura è avvenuta quando l'uomo era eretto, col capo inclinato in avanti e non durante o dopo la deposizione nel sepolcro. L'impronta circolare sulla palpebra destra pare documentare una pressione regolare e prolungata. Fu forse una monetina, posta sugli occhi dell'Uomo della Sindone, per tenerli chiusi nel rigore della morte? Tale uso, comune ai tempi di Cristo, scomparve nel II secolo. 31 - L'Uomo della Sindone portò sulle spalle un pesante patibolo Due vaste escoriazioni segnano la zona scapolare destra e sottoscapolare sinistra dell'Uomo della Sindone. Lo sfregamento di un corpo pesante, verosimilmente un trave, portato sulle spalle dopo la flagellazione e probabilmente sopra il vestito, riaprì le ferite allargandone i bordi e deformandole. Si tratta del patibulum, cioè del trave della croce che i condannati dovevano portare legato alle braccia fino al luogo del supplizio, ove si trovava già infisso nel terreno il palo dell'esecuzione. Ricorda il Vangelo di Marco: "Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo". ( Mc 15,20 ) L'Evangelista Giovanni annota ancora: "Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del cranio, detto in ebraico Golgota". ( Gv 19,17 ) E nel Vangelo di Marco leggiamo: "Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, a portare la croce". ( Mc 15,21 ) Le esecuzioni capitali al tempo di Gesù erano un triste spettacolo regolato da norme precise. Il condannato non doveva morire durante il percorso verso il supplizio, altrimenti venivano multati gli aguzzini incapaci di portare a termine lo spettacolo. I condannati, quando erano più di uno, formavano un triste corteo, ciascuno aveva il patibolo sulle spalle, legato alle braccia, e per impedire che smaniasse violetemente o cercasse di fuggire, la corda che fermava il trave gli veniva fissata alla caviglia e i condannati erano legati l'uno all'altro. Era facile pertanto che si provocassero delle cadute, strattonandosi l'un altro per le asperità del percorso è per le percosse dei soldati. Gesù, indebolito dalla precedente flagellazione, fu trascinato in rovinose cadute, come dimostra l'ampia escoriazione sul ginocchio sinistro; non potendo attutire la caduta con le braccia legate al patibolo, si cadeva sempre sulle ginocchia. Anche le tumefazioni sulla fronte e sul volto, deformati, il setto nasale infranto sono forse la testimonianza delle tradizionali cadute della Via Crucis. 32 - L'Uomo della Sindone ebbe i piedi e i polsi trafitti da chiodi La devozione popolare ha sempre rappresentato il Crocifisso innalzato tra cielo e terra e inchiodato mani e piedi al legno del patibolo. Normalmente i condannati alla croce, giunti sul luogo dell'esecuzione, venivano semplicemente issati sul palo già infisso nel terreno, legati per le braccia al trave trasversale che avevano portato. Nel caso di Gesù, siccome il trave era portato dall'uomo di Cirene, giunti sul Golgota venne escogitata la triste soluzione dei chiodi. Il Salmo 22, che fa eco ai carmi del Servo di Jahvè, cantava profeticamente la sofferenza del Messia: "Io sono un verme, non un uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo, mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo, hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa, essi si dividono le mie vesti e sul mio vestito gettano la sorte". La tradizione pittorica poneva nel palmo della mano i chiodi della crocifissione, ispirandosi all'affermazione di Tommaso, che nel Vangelo esclama: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, non credo". ( Gv 20,25 ) Solo Van Dick dipinse il chiodo nel polso del Crocifisso, forse perché aveva visto la Sindone in una estensione pubblica a Genova. Secondo gli anatomisti, per reggere il peso del corpo umano, il chiodo deve passare nel cosiddetto punto di Destot, cioè nel carpo tra gli ossicini del polso. Qui provoca un dolore terribile, ledendo il nervo mediano che contrae il pollice all'interno della mano e a volte provoca un'infezione tetanica. Nella Sindone i pollici non si vedono e le dita della mano sono molto allungate, forse per una deformazione tetanica o per ipertensione dei tendini flessori anch'essi lesi nel punto di Destot. Anche i piedi dell'Uomo della Sindone sono trafitti, il sangue sull'intera pianta fa pensare che il piede destro aderisse al legno della croce, mentre il sinistro, rimasto contratto nel rigore cadaverico e ora meno visibile, era sovrapposto. Non è possibile dalla Sindone stabilire se fu usato un solo chiodo oppure due per inchiodare i piedi, ma è evidente che quando il corpo venne deposto dalla croce la ferita del chiodo sanguinò copiosamente, colando verso il tallone e macchiando in modo simmetrico e rovesciato, fuori dalla figura, il lenzuolo che doveva trovarsi ripiegato e forse avvolto e legato. Il particolare delle gambe piegate e contratte nel rigore cadaverico, con i piedi sovrapposti e leggermente divaricati, hanno forse provocato una curiosa interpretazione. Le croci russe riportano sempre in basso un piccolo asse trasversale inclinato, detto "subpedaneo", cioè sostegno dei piedi. Sulla Cattedrale dei Dodici Apostoli, presso il Cremlino a Mosca svettano ancora, muta testimonianza della Chiesa del silenzio, queste caratteristiche croci. La pietà popolare spiegava che il Signore in croce aveva la gamba destra più corta della sinistra. È un'errata interpretazione della Sindone che tutti i venerdì era esposta a Costantinopoli e che i Missionari Bizantini conoscevano bene. Il Signore non era zoppo, ma la sua immagine sindonica lo mostra così e le croci russe ne sono significatava testimonianza. 33 - L'Uomo della Sindone morì crocifisso I rivoli di sangue che segnano gli avambracci dell'Uomo della Sindone, formando una strana geometria di anelli irregolari consecutivi, hanno un preciso significato per chi osserva la Sindone come un reperto medico-legale. Essi fanno pensare ad una agonia lunga e sofferta, a braccia distese, in stato di forte adduzione. Per capire quella drammatica testimonianza, dobbiamo immaginare il tormento di un crocifisso. Per non morire in pochi minuti di asfissia e collasso ortostatico, il condannato doveva innalzare la cassa toracica e respirare, puntando sui piedi, poi, per il terribile sforzo, si accasciava, abbandonandosi sulle braccia. "Questa tragica ginnastica è la causa del rincorrersi ritmico delle colature sanguigne sulle braccia e della triplice colatura al polso sinistro. Il sangue tendeva a scorrere lungo il braccio, quando questo era più in verticale, mentre tendeva a gocciolare verso terra, attraverso il braccio, quando variava l'angolazione, durante le fasi ritmiche di sollevamento e di accasciamento. Per questa ragione il colpo di grazia dei crocifissi consisteva in una mazzata che spezzava le gambe. Venendo a mancare il punto di appoggio per il sollevamento, la morte sopraggiungeva per asfissia. Sul volto dell'Uomo della Sindone, tutta una maschera di sangue, l'analisi recente ha scoperto che tutti i rivoli scendono verso l'esterno, perché era sospeso sopra un patibolo, con il volto leggermente chinato in avanti. Il sangue, da vivo, non invade le occhiaie e non colò lateralmente, come sarebbe avvenuto per uno che moriva disteso a terra. Il Vangelo annota: "Era verso mezzogiorno quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Allora il velo del tempio si squarciò nel mezzo e Gesù gridando a gran voce disse: 'Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito' e chinato il capo, spirò". ( Lc 23,44-46 ) Evidentemente, Gesù spirò in fase di sollevamento, non cadde in coma, ne si spense nei rantoli dell'asfissia. L'elaborazione tridimensionale della Sindone documenta che il capo rimase leggermente inclinato in avanti, nella rigidità cadaverica. 34 - L'uomo della Sindone fu trafitto al costato da una lancia romana Per accelerare la morte dei crocifissi, normalmente si spezzavano loro le gambe, togliendo loro ogni possibilità di respirare. Ricorda l'Evangelista Giovanni: "Era il giorno della Parasceve e perché i corpi non rimanessero in croce durante il Sabato, era infatti un giorno solenne quel Sabato, chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e all'altro che era stato crocifisso con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli trafisse il costato con la lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua". ( Gv 19,31-34 ) L'Uomo della Sindone non ebbe il normale colpo di grazia riservato ai crocifissi; ha le gambe intatte e una vistosa ferita al costato, con una abbondante colatura sanguigna e sierosa che durante la deposizione e la sepoltura ha macchiato anche la schiena, probabilmente lungo una legatura della Sindone stessa. La causa della morte dell'Uomo della Sindone è argomento ancora dibattuto tra gli specialisti. Il responso che potremmo definire tradizionale ascrive quella morte a un cedimento del cuore. La relazione presentata al Congresso di Sindonologia dal Professor Ugo prendendo le mosse dalla duplice, evidente colatura provocata dalla trafittura del costato, si domanda: "Da dove proveniva quel sangue e quell'acqua? Dove si era formata una tale raccolta ematica sedimentata? Il soggetto ha avuto, almeno 60 ore prima della morte un infarto miocardico per shock o spasmo coronarico, che rigonfia il pericardio e invade lo spazio pleurico. Potremmo porre questo evento durante l'agonia nell'orto del Getzemani colla misteriosa sudorazione di sangue ricordata dai Vangeli? Forse. Anche se questo costringerebbe a ritoccare la cronologia tradizionale della Settimana Santa, come del resto già impone l'esegesi più accreditata. L'Ultima Cena sarebbe stata celebrata il mercoledì, o addirittura il martedì sera, in tal modo si spiegherebbero meglio le ingarbugliate fasi del processo religioso e di quello civile, del passaggio di competenza da Erode a Pilato e i tentativi di quest'ultimo per guadagnar tempo e salvare quello strano prigioniero. Forse, in un ennesimo sforzo, tendente a risollevare il corpo crocifisso, così recita la relazione al Congresso, l'aumento pressorio endocardiaco e l'accelerazione del corpo crearono una possibile fisurazione miocardica. Il paziente avverte un atroce dolore, lancia un urlo e muore. I carnefici allora gli risparmiano il clurifragios era inutile ormai spezzargli le gambe, ma un soldato lo trafigge al costato. La misura della ferita registrata sulla Sindone corrisponde alla forma biconvessa e alla larghezza effettiva di una lancia romana, circa 5 cm. Il colpo al cuore era un punto d'onore della scherma romana. Si colpiva il costato destro, perché a sinistra normalmente c'era lo scudo. E un soldato, con un colpo tipico, frutto di un lungo allenamento, centra da destra il cuore attraverso il quinto spazio intercostale. La lancia romana lacerò il pericardio, che il precedente infarto aveva riempito di liquido sieroso e l'orecchietta destra del cuore sempre piena di sangue nei cadaveri recenti, mentre se la lancia si fosse diretta verso sinistra avrebbe lacerato i ventricoli che nei cadaveri sono vuoti, scrive il chirurgo Pierre Barbet. La fibrina raccolta al centro dell'abbondante colatura sanguigna del costato documenta in modo inequivocabile che il sangue fu versato dopo la morte del condannato. L'Evangelista Giovanni vede in questi fatti un adempimento rituale: Gesù, il nuovo Agnello della nostra Pasqua, è immolato come vuole l'Esodo. Non gli sarà spezzato alcun osso e, come ha scritto il Profeta Zaccaria, tutti gli uomini volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto. ( Zc 12,10 ) La Passione dell'Uomo della Sindone è conclusa. Nella sepoltura le ferite si stamperanno nel lenzuolo come impressionante documento del dolore. Quel Venerdì di Passione, il giorno più lungo della storia umana, del dolore e dell'amore, dalla Sindone continua a parlare. È ancora la Parasceve della nostra Pasqua. Inutilmente cerchiamo di togliere il Crocifisso dal patibolo per celebrare in pace la nostra festa. Quella presenza che ha turbato la storia non si cancella più. 35 - Oltre la Sindone, nei fratelli crocifissi il volto di Cristo Concludiamo con le parole che il Cardinale Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino, pronunciò in occasione della straordinaria Ostensione televisiva della Sindone il 25 novembre 1973. "Presentiamoci a Cristo, morto e vivente per sempre, con tutto il peso delle nostre sofferenze, delle sofferenze dei poveri, degli oppressi, dei malati, degli emarginati, dei quali più viva si riflette l'immagine di Cristo, perché, se si può dubitare, come alcuni dubitano, che l'immagine da noi piamente venerata sia veramente l'impronta lasciata dal corpo di Cristo sul lenzuolo nuovo in cui l'avvolse Giuseppe d'Arimatea, una cosa è certa: il volto di Cristo è impresso in quello dei fratelli suoi e nostri, di quanti non hanno per troppi uomini egoisti e indifferenti né volto né voce."