Per un umanesimo del terzo millennio

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Prefazione

Il rischio di perdersi

L'argomento del piano inclinato

Questo libro dice tutto da sé rispetto al tema che gli dà il titolo e a quelli in cui si articola.

E lo dice bene, in modo chiaro, diretto, appassionato, e molto ben documentato.

Se uno ha la fortuna di conoscere personalmente l'autore vi sentirà anche la sua voce nitida e vibrante e vi troverà persino i suoi gesti, dallo sguardo dritto e penetrante al volto che si colora quando l'argomento arriva al cuore e gli tocca il cuore.

E allora che altro aggiungere in un'introduzione?

Direi: una serie di preoccupazioni.

Siccome monsignor Negri le conosce bene, perché sono anche le sue, non le nasconde e anzi si adopera per toglierle, è facile indicarle e utile rifletterci sopra.

Sono almeno tre.

Prima: quanto c'è nel Vangelo di rilevante per la questione sociale?

Seconda: che cosa c'è nel Vangelo di contenuto positivo per la soluzione della questione sociale?

Terza: quel tanto o poco che c'è nel Vangelo giustifica la elaborazione di una dottrina sociale?

Possiamo mettere assieme queste preoccupazioni e svolgerle con un argomento del piano inclinato o dello scivolo.

Questo: una dottrina sociale è inevitabilmente una dottrina politica, perché raccomanda un dato ordine della società, una certa organizzazione, una determinata forma.

Ma una dottrina politica diventa facilmente un programma politico, perché quell'ordine di società, per realizzarsi, ha bisogno che gli siano indicati e fomiti gli strumenti istituzionali e politici.

Non c'è allora il rischio - così comincia lo scivolo - che si parta col predicare il Vangelo e poi ci si trovi a parlare di movimenti politici o addirittura di partiti cattolici o, come si dice, di partiti di ispirazione cristiana?

E poi - ecco un'accelerazione dello scivolo - non c'è il rischio che si trascini il Vangelo su terreni infidi come quello delle sue interpretazioni, traduzioni e applicazioni politiche, e - di scivolo in scivolo - lo si trasformi, come peraltro è già stato fatto più volte, in un messaggio prevalentemente o solo mondano?

Sì che - giunti alla fine dello scivolo, che però a quel punto sarebbe diventato un precipizio - ci si troverebbe a chiedersi: non sarebbe meglio lasciare il Vangelo alla sua dimensione salvifica e liberarlo il più possibile da quella terrena, dove inevitabilmente si trasforma da "buona novella" in novella politica, forse giusta ma non facilmente distinguibile dalle molte altre, anch'esse giuste secondo i loro autori?

A rafforzare le preoccupazioni dello scivolo, si potrebbe ricordare che Cristo non predicava la salvezza dell'uomo su questa terra, ma nell'altra vita.

E neppure parlava di giustizia sociale.

Oppure si potrebbe ricordare quella meravigliosa Lettera a Diogneto che qui monsignor Negri cita, la quale dice che i cristiani stanno bene dappertutto, perché non sono interessati ai regimi politici dei Paesi in cui a essi capita, o in cui essi decidono, di vivere: « Vivendo in città greche o barbare, come a ciascun è toccato, e uniformandosi alle abitudini del luogo nel vestito, nel vitto e in tutto il resto, danno l'esempio di una vita sociale mirabile o meglio paradossale ».

Dove "uniformarsi" alle abitudini del luogo, non significa impegnarsi per cambiarle, e il "paradosso" è naturalmente quello di essere cittadini di due città, quella di Cesare e quella di Dio.

Del resto, calando dalla teoria alla pratica, che le preoccupazioni dello scivolo non siano infondate lo sa bene chi abbia vissuto in Italia a sufficienza per ricordare che spesso, anche col consenso della gerarchia e della sua, di volta in volta, "dottrina", cattolicesimo sociale ha significato cattolicesimo della sinistra politica, che cattolicesimo di sinistra ha significato socialismo o anche marxismo ( addirittura definito "apostasia del cristianesimo"! ), e che, per questa via, giustizia sociale è diventata sinonimo di uguaglianza sociale, di distribuzione politica della ricchezza, di interventismo, statalismo, assistenzialismo, e perciò clientelismo politico.

E non solo in Italia.

Oggi tutta l'Europa continentale è diventata una sorta di Kindergarten sociale.

Qualunque cosa qui ti venga in mente di fare - da un lavoro a una professione, da educarti a istruirti - oppure qualunque cosa semplicemente ti accada - da un mal di denti a una disgrazia seria - ha bisogno di una licenza dello Stato o è imputato alla buona o cattiva azione dello Stato.

Sì che non c'è da meravigliarsi se, alla fine, le assistenti, infermiere, maestre, collaboratrici, operatrici, accompagnatrici, intrattenitrici, che il bravo Stato sociale ha fatto assumere al Kindergarten per curare i nostri corpi si siano trasformate in badanti della nostra anima.

Oggi sta allo Stato decidere se e come nascere, morire, educarsi, curarsi, divertirsi, salvarsi o dannarsi ( che altro sono le legislazioni europee su aborto, eutanasia, eugenetica, eccetera, se non licenze di uccidere con tanto di sinecura e assoluzione statale contro la perdita dell'anima? ).

Di tutto questo la dottrina sociale cristiana non ha colpa, ma non ne è neppure estranea.

Il "modello sociale europeo", la "economia sociale di mercato", le conquiste dei "diritti sociali" e tutta la variopinta socialità che ci avvolge e soffoca dalla culla alla bara si sono affermati sì a causa del marxismo, del comunismo, del socialismo, della crisi dello Stato liberale e la nascita e sviluppo di quello democratico, ma non senza il favore o l'accondiscendenza o la simpatia o la benevolenza di tanti politici cattolici nutriti da una dottrina, appunto "sociale", la quale è caduta nella trappola o ha fornito l'esca o comunque non si è opposta abbastanza alla identificazione strisciante e poi dilagante di sociale con pubblico e di pubblico con statale.

Che c'entra il Vangelo con tutto ciò?

Il Vangelo, la persona, i principi fondamentali

Proprio qui viene prezioso il libro di monsignor Negri, perché egli questo scivolo verso il Kindergarten lo ha presente, non lo condivide e cerca di arrestarlo.

Alla fine della lettura, il lettore simpatetico o semplicemente attento trova modo di capire che il piano è stato inclinato ma non è esso stesso inclinato, che è la storia, la quale è andata come è andata, che deve essere corretta non la fonte della dottrina, che invece deve essere riaffermata.

E però capirà anche che la dottrina deve essere presa e compresa con attenzione e cura.

Cominciamo dalla prima preoccupazione: c'è nel Vangelo qualcosa di rilevante per la questione sociale?

Monsignor Negri ricorda, a buon titolo, che c'è.

Non perché Cristo dica come deve essere un ordine sociale cristiano, ma perché dice chi è un cristiano.

E siccome un cristiano è un uomo e un uomo è un figlio di Dio e un figlio di Dio è una persona, perché fatto "a sua immagine e somiglianza", ecco che il Vangelo contiene un nucleo di diritti dell'uomo, fors'anche di diritti sociali.

Come scrive monsignor Negri, « gli esempi non mancano: la sacralità di ogni persona creata a immagine e somiglianza di Dio, la sua natura sociale, la carità come legge nuova del discepolo che perfeziona la giustizia; l'esigenza di spazi adeguati per vivere liberamente la propria sequela di Cristo con tutti i fratelli della comunità ecclesiale; la dignità e i significati del lavoro, la destinazione universale dei beni e il diritto di proprietà; il primato del Regno di Dio nei confronti di ogni realtà o istituzione terrena, la reale possibilità della Chiesa di svolgere la sua missione dando a Dio quel che è di Dio ».

La preoccupazione del primo passo dello scivolo può dunque essere tolta.

E però occorrono precauzione e precisazioni.

Perché i diritti sociali del Vangelo, se proprio vogliamo chiamarli così, sono propriamente e primariamente diritti della persona, non della società.

Perciò il messaggio sociale del Vangelo è più di tipo difensivo che costruttivo.

Nel senso che quel messaggio richiede che l'ordine sociale sia non ostativo alla sua predicazione, cioè che sia libero, aperto, accogliente, anziché propositivo, cioè configurato in un regime particolare, con istituzioni particolari.

Insomma, vale la Lettera a Diogneto, anche se in una lettura meno indifferente alla situazione in cui i cristiani vivono: essi si trovano bene non in tutti i regimi sociali e politici, ma solo in quelli che a essi consentono la professione di fede e la testimonianza.

Perciò i cristiani non sono chiamati solo a tollerare e rispettare l'ordine costituito di Cesare, ma anche a chiedere a Cesare che siano concesse almeno le condizioni sufficienti alla predicazione del loro messaggio e al tipo di vita che ne consegue.

Con ciò siamo sulla strada per togliere o alleviare anche la seconda preoccupazione: che cosa, in positivo, c'è nel messaggio cristiano di utile a risolvere la questione sociale e che impegna i cristiani ad affrontarla?

Qui monsignor Negri si distacca non poco dal modo consueto di affrontare la questione e sfugge alle insidie delle traduzioni politiche del cristianesimo, sempre fonte di equivoci, frizioni, dispute.

Il contenuto positivo dell'impegno politico e sociale dei cristiani non mette capo ad alcun prontuario o ricettario che si trovi bell'e pronto nelle Scritture.

Esso non deriva da un programma, ma da una tavola di valori e principi fondamentali.

« All'inizio non c'è la società, c'è la persona », scrive monsignor Negri, parlando di questa tavola.

L'uomo diventa uomo non quando assume la posizione eretta o quando entra in società o quando diventa cittadino di uno Stato.

Piuttosto, l'uomo diventa uomo quando egli riconosce a sé la sua persona.

Ciò segna la sua socialità: il primo "tu" dell'uomo, la sua prima manifestazione di comunità è un rapporto interno di comunione con il suo creatore, non è una relazione esterna con un altro uomo o il gruppo o la collettività.

La persona è e viene prima di tutto, e la sua priorità è ontologica e assiologica.

Ontologica, perché la persona è creata per prima, assiologica perché essa vale di più delle varie sedi sociali in cui si trova ad agire.

Si può dire che l'educazione, la relazione familiare, l'esperienza sociale "fanno l'uomo", perché effettivamente esse contribuiscono alla sua identità culturale, alla qualità del sua vita, ma non si può dire che relazioni e esperienze sociali "fanno la persona".

Solo il creatore, per chi è credente, o un'attribuzione originaria di valore, per chi non ha quella fede, fanno la persona.

A partire da questo valore primo, monsignor Negri deriva coerentemente alcuni principi propri di una dottrina politica e sociale cristiana: quelli della priorità della persona sulla società, della priorità della società sullo Stato, del bene comune, della solidarietà, della sussidiarietà.

E qui si vede come questa dottrina illustrata da monsignor Negri sia non poco diversa da quelle consuete.

Perché questi principi sono assai meno congruenti con lo Stato sociale a cui la maggior parte dei cattolici si sono votati che con quello liberale, almeno fino a che la teoria liberale dello Stato si è ricordata che il primato dell'individuo su società e Stato che essa professa, e il conseguente riconoscimento dei diritti fondamentali della persona che essa tutela, sono sana e classica dottrina cristiana, indissolubilmente legata com'è al principio cristiano della sacralità della persona.

Non solo. Il primato dell'individuo porta assai meno, anzi non porta affatto, allo Stato assistenziale, pesante, invadente, occhiuto.

Piuttosto, porta allo Stato delle libertà di tutte le iniziative dei corpi intermedi fra esso e l'individuo - famiglie, associazioni, leghe, scuole, banche, eccetera.

Il principio di sussidiartela non può essere inteso assistenzialmente e ancor meno clientelarmente.

La sua espressione corretta è: solo se tu individuo, singolo o associato in un corpo sociale intermedio, con i tuoi sforzi non ce la fai e solo se il tuo obiettivo non è egoistico, cioè il piacere, la felicità, il benessere, allora io, corpo sociale superiore o Stato, ho il diritto di interferire con i tuoi progetti di vita e il dovere di aiutarti a realizzarlo.

Proprio il contrario del rendere tutti uguali per legge.

E non è un caso, anzi è una felice, deliberata, intenzione, che monsignor Negri mai indichi fra i principi della dottrina cristiana, quello dell'uguaglianza sociale.

L'umanesimo cristiano e lo Stato

A questo punto sta per cadere anche la terza preoccupazione, perché si può dire che una dottrina sociale cristiana c'è e si può giustificarla con solidi fondamenti.

Essendo basata sulla centralità della persona, essa è tipicamente una dottrina umanistica.

Su questo punto - sull'umanesimo integrale e solidale - monsignor Negri scrive pagine davvero mirabili che il lettore è invitato a gustare da solo.

Qui possiamo dire che l'umanesimo è legato al Rinascimento e all'Illuminismo.

Sono due legami storicamente successivi ma concettualmente divergenti.

Il Rinascimento scopre la classicità e orienta la centralità dell'uomo verso Dio.

L'Illuminismo scopre il primato dell'uomo ma ne orienta l'autonomia fuori da Dio.

Quello dell'Illuminismo è un esperimento prometeico: costruire la società della ragione, della scienza, della tecnica, del progresso, affidando alle sole risorse umane il destino dell'uomo.

Come qui scrive monsignor Negri, « la modernità ha cercato di realizzare un umanesimo senza Dio … [ L' ] opzione fondamentale che la modernità ha radicalmente posto [ è ]: o si è moderni o si è cristiani ».

Questo esperimento ha funzionato - e quanto e come ha funzionato! - perché ha reso l'uomo ricco, potente, sapiente, dominatore, conquistatore, legislatore.

Ma, alla fine della corsa, lo ha reso anche solo, angosciato, smarrito, incerto, confuso, disperato.

Padrone e servo, al tempo stesso, con una serie di dubbi che irrompono nella sua coscienza.

Era davvero quello il suo posto nel mondo?

Era davvero la ragione l'unica fonte della liberazione?

Era davvero la protesi della tecnica l'unico mezzo per sfuggire alla fatica e al dolore?

Era davvero lo Stato lo strumento più efficiente per la felicità? O c'è dell'altro?

Il senso della vita. La consolazione. La pace dello spirito. Il dono della grazia. La speranza.

Tutti beni perduti se, come scrive monsignor Negri, è accaduto che « per affermare una società perfetta, uno Stato perfetto, è stato necessario privare l'uomo della sua costitutiva libertà ».

I più sensibili e lungimiranti degli Illuministi classici che ci fossero altri beni lo avevano capito, e anche quelli che, coerentemente al loro progetto, volevano ricondurre « la religione nei limiti della sola ragione », quando si trovarono a dettare le norme morali e a identificarne i valori supremi si votarono consapevolemente a scrivere i loro imperativi come repliche laiche o duplicati razionali di comandamenti cristiani.

« Agisci in modo da rispettare la tua e l'altrui persona sempre anche come fine in sé e mai solo come mezzo » è la formula con cui Kant traduceva il primo corollario del principio cristiano della persona.

Onde la società senza Dio quale concepita dall'Illuminismo migliore non era una propriamente una società contro Dio, atea, piuttosto una società basata su una finzione, un "anche se", Vetsi Deus non daretur.

E però, sempre per i migliori Illuministi, questo "anche se" era pronto a convertirsi in "come se", velut si Deus daretur.

Dio, per la ragione, non c'è, ma, come scrisse ancora Kant, per la morale è necessario agire come se ci fosse, anzi "è moralmente necessario ammettere l'esistenza di Dio".

Dunque, il cristianesimo sotto la maschera del razionalismo.

Oggi questa maschera è caduta.

Il "nuovo Illuminismo" non crede neppure alla replica laica di Dio.

Non crede agli imperativi categorici.

Non alla ragion pratica.

E neppure crede alla ragione universale.

Tanto si è perduta la fede nel Logos che esso si è frammentato in tanti logoi di tanti demoi, cioè tante forme di vita - ciascuna razionale o buona come qualunque altra - quante sono le tradizioni, le civiltà, le comunità.

Sicché quell'universalismo etico a cui, anche senza porgli a base il Dio cristiano, la ragione del vecchio Illuminismo comunque mirava, oggi si è rovesciato nel suo opposto, il relativismo, del vero, del bello, del buono, del giusto.

In questa caduta, almeno in Europa, e non, per esempio, in America, solo un Dio ha resistito: lo Stato.

Il dispensatore di benefici, il regolatore, il gestore, il consolatore, si è sostituito agli dèi caduti.

Contro questo mostro, monsignor Negri ha parole di fuoco e coraggiose.

Anche storiograficamente.

C'è qualcuno oggi che si senta di rivalutare Pio IX?

Eppure la sua condanna della proposizione XXXIX del Sillabo annesso alla Quanta cura - "lo Stato, come origine e fonte di tutti i diritti, gode di un diritto tale che non ammette confini" - ha un valore profetico, come oggi si vede dalla dismisura perversa delle competenze affidate allo Stato, anche sulle tradizionali "questioni di coscienza".

Scrive monsignor Negri: « Il diritto di un tale Stato non conosce confini, né quelli posti da Dio e dalle sua legge, né quelli posti dalla coscienza personale.

Ciò significa che esso acquisisce un potere assoluto; i diritti fondamentali dell'uomo, tanto proclamati dalla modernità, finiscono per derivare dall'essere cittadini dello Stato che non avrebbe limiti nell'intervento sulla persona …

Lo Stato si presenta, dunque, come una forma totalizzante: non è funzione della totalità, ma coincide con essa.

È l'abolizione della libertà, cioè l'abolizione dell'uomo ».

Eppure, le costituzioni dei nostri Stati liberali e democratici, parlano ancora un linguaggio diverso.

Esse non dicono che lo Stato crea i diritti o conferisce la dignità della persona, dicono che lo Stato "riconosce'' questi diritti e "tutela" quella dignità.

Questo linguaggio non è casuale, e neppure è "moderno" nel senso dell'esperimento illuministico.

Al contrario, è un richiamo trasparente alla priorità e al primato cristiano della persona, un riferimento esplicito, a cui i moderni e ottusi laicisti non sanno prestare attenzione, alla fondazione religiosa dello Stato.

Monsignor Negri lo sa. Chiede che questa consapevolezza si diffonda, che se ne traggano le conseguenze, che si inverta la rotta.

Il pericolo non è quello di tornare "pre-modemi"; il pericolo è quello di perdersi. Tutti.

Marcello Pera

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