Concilio di Lione II

Indice

Non si devono alienare i beni della chiesa

22 Con questo ben meditato decreto proibiamo a tutti e singoli i prelati di sottomettere, assoggettare o sottoporre ai laici le chiese loro affidate, i beni immobili e i diritti loro propri senza il consenso del loro capitolo e senza speciale licenza della sede apostolica.

Non concederanno, cioè, ad essi gli stessi beni e diritti in enfiteusi, e neppure li alieneranno nella forma e nei casi permessi dal diritto; ma si dovrà stabilire, riconoscere e dichiarare ( dai laici ) che essi hanno dagli ecclesiastici questi beni e diritti come da loro superiori; e dovranno impetrarli da loro - cosa che in alcune parti si esprime con la parola avoer -.

Non dovranno, inoltre costituire i laici patroni o avvocati delle chiese e dei beni per sempre o per lungo tempo.

Decretiamo pure che tutti i contratti, anche muniti dell'aggiunta del giuramento, della pena, o di qualsiasi altra conferma, che avvenga di fare per queste alienazioni senza tale licenza e consenso, e ogni effetto ad essi seguito, siano talmente privi di valore, da non garantire nessun diritto e da non costituire motivo di prescrizione.

E tuttavia quei prelati che agissero diversamente siano sospesi ipso facto per tre anni dall'ufficio e dall'amministrazione ( dei beni loro affidati ); i chierici, inoltre, che, pur sapendo che in qualche cosa si è agito contro la proibizione predetta, hanno omesso di denunziare il fatto ai superiori, ( siano sospesi ) dal percepire il frutto dei loro benefici, che avessero nella chiesa cosi gravata.

I laici, poi, che finora avessero costretto i prelati o i capitoli delle chiese o altre persone ecclesiastiche ad assoggettarsi in tal modo, se, dopo una competente ammonizione, rinunziando a questo assoggettamento, che avevano ottenuto con la forza e con la paura, non lasceranno nella loro libertà le chiese e i beni ecclesiastici in tal modo loro sottoposti, e anche quelli che in futuro costringessero i prelati o le stesse persone ( nominate ) a tali passi, di qualunque condizione e stato essi siano, incorreranno nella sentenza di scomunica.

Da questi contratti, inoltre, anche se fatti con la dovuta licenza e consenso, o da quelli che si faranno in seguito, o anche in occasione di essi, i laici non usurpino nulla, oltre quello che ad essi appartiene per la natura degli stessi contratti, o dalla legge in cui si basano.

Quelli poi che si comportassero diversamente, qualora, ammoniti a norma di legge, non desistessero da questa usurpazione, e non restituissero quanto in tal modo hanno usurpato, incorrano senz'altro nella sentenza di scomunica, e da quel momento si proceda liberamente con l'interdetto ecclesiastico, se necessario, a sottomettere la loro terra.

Indice