Diciassette questioni sul Vangelo secondo Matteo

1 Nell'espressione: Furono uccisi dei bambini da due anni in giù, si allude agli umili che hanno la carità nel suo duplice aspetto; ( Mt 22,37-40 ) e si dice che essi, come quei bambini di due anni, sono in grado di morire per Cristo.

2 Quello che vi dico nelle tenebre, cioè mentre vi possiede ancora il timore carnale ( poiché il timore si ha quando ci sono le tenebre ), ditelo nella luce, cioè animati dalla fiducia nella verità che avrete una volta ricevuto lo Spirito Santo.

E ciò che ascoltate all'orecchio predicatelo sopra i tetti.

Significa che quanto avete udito nel segreto predicatelo mettendovi sotto i piedi la dimora della corporeità.

3 Non crediate che sia venuto a recare la pace sulla terra. Non sono venuto a recare la pace ma la spada.

Sono venuto infatti a separare l'uomo da suo padre: cosa che avviene quando uno rinunzia al diavolo, che antecedentemente era stato suo padre. ( Gv 8,44 )

E la figlia da sua madre, cioè il popolo di Dio dalla città terrestre, intendendo con essa la disgraziata struttura sociale dell'umanità, che la Scrittura chiama ora Babilonia, ora Egitto, ora Sodoma ( Ap 11,8 ) o in altre ed altre maniere.

E la nuora dalla suocera, cioè la Chiesa dalla Sinagoga, anche se questa partorì secondo la carne Cristo, ( Rm 9,5 ) sposo della Chiesa.

Tale divisione poi si effettua mediante la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. ( Ef 6,17 )

E i domestici dell'uomo diverranno suoi nemici.

Li chiama domestici perché antecedentemente condivideva con loro lo stesso genere di vita.

4 Disceso dal monte, dove aveva impartito precetti ai discepoli e alla folla, ( Mt 5-7 ) stese la mano e immediatamente risanò un lebbroso.

Vuol significare che quanti dubitavano di poter eseguire quelle ingiunzioni egli col suo aiuto li purifica da tale lebbra.

5 Il Signore disse allo scriba che voleva seguirlo: Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i ripari, mentre il Figlio dell'uomo non ha dove poggiare il capo.

Ci si lascia intendere che quel tale voleva seguire il Signore perché impressionato dai suoi miracoli; era tuttavia mosso anche da vana ostentazione, raffigurata appunto dagli uccelli.

Egli poi fece mostra di quel rispetto che sogliono avere i discepoli, finzione significata dal nome di volpi.

Viceversa, nel presentarsi come uno che china la testa il Signore allude alla propria umiltà, dote che mancava completamente a quell'uomo finto e superbo.

6 Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti.

Chiama morti i non credenti, e loro morti coloro che, nonostante tutto, se ne erano andati da questo mondo privi di fede.

7 Scuotete la polvere dai vostri piedi.

Ciò a conferma del lavoro materiale cui si erano inutilmente sobbarcati per il bene degli uditori o anche come segno che essi non cercavano da loro alcun vantaggio materiale, tanto che non tolleravano nemmeno che la polvere della loro terra si attaccasse ai propri piedi.

8 Siate dunque prudenti come i serpenti, quando si tratta d'evitare il male per salvaguardare il capo, cioè Cristo. ( 1 Cor 11,3 )

Il serpente infatti, a chi infierisce contro di lui, presenta tutto il resto del corpo ma non la testa.

Il medesimo serpente poi si caccia in spazi ristretti per deporre la pelle vecchia e così rinnovarsi: la qual cosa fanno quando, imitando coloro ai quali è stato detto: Entrate per la porta stretta, ( Mt 7,13 ) depongono l'uomo vecchio. ( Col 3,9 )

Se infatti avesse voluto esortarli ad opporre una resistenza violenta ai cattivi e così evitare il male, non avrebbe detto in antecedenza: Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi.

Volle ancora che fossero semplici come colombe, nel senso che non avrebbero dovuto nuocere a nessuno.

Questo genere di uccelli infatti non uccide assolutamente nessun animale: non solo tra i grandi, contro i quali non ha forze sufficienti, ma nemmeno fra i più piccoli, dei quali invece si nutrono perfino i passeri, sebbene siano anche loro assai piccoli.

C'è quindi anche fra gli animali irragionevoli una specie di vicendevole società, come ce n'è una propria fra gli esseri razionali, cioè gli uomini, associati non solo tra loro ma anche con gli angeli.

Imparino dunque gli uomini dall'immagine della colomba a non nuocere assolutamente a nessuno fra quanti appartengono alla loro società in quanto partecipe della stessa natura razionale.

9 Confesso a te, Padre, Signore del cielo e della terra.

Notare come qui si parli di una confessione di lode a Dio.

Il Signore infatti non confessava i suoi peccati poiché non ne aveva nessuno ( 1 Pt 2,22 ) e per di più perché un altro evangelista ci dice che egli pronunziò tali parole esultando. ( Lc 10,21 )

Del resto le stesse parole che pronuncia non permettono di dubitare che siano state dette a lode di Dio.

Ne segue che, quando la Scrittura parla di confessione, ne parla in senso generico per dire che una cosa è enunziata in forma palese, cioè così come la si vede.

Così è delle parole: Se uno mi confesserà dinanzi agli uomini, anch'io lo confesserò dinanzi al Padre mio, ( Mt 10,32 ) o come si legge altrove: Dinanzi agli angeli di Dio. ( Lc 12,8 )

È ovvio che chi confessa Cristo non confessa i peccati.

E se qualcuno pensasse che si parli di confessione perché al tempo delle persecuzioni nominare Cristo era considerato un delitto, forse che anche Cristo confessa in questo senso, dinanzi al Padre o dinanzi agli angeli, la persona che lo ha confessato?

Inoltre c'è da ricordare il testo dell'Ecclesiastico: Nella vostra confessione direte così: Tutte le opere del Signore sono infinitamente buone. ( Sir 39,20-21 )

È indubitato che in questo passo si esaltano le lodi di Dio.

Dico questo riferendomi all'ignoranza di certi fratelli che, quando nella lettura ascoltano il termine confessione subito si battono il petto, senza badare al senso del testo e ritenendo che non ci possa essere altra confessione se non quella dei peccati.

10 Sul fatto che i giudei ritennero illecito l'operato dei discepoli quando, in giorno di sabato, strapparono le spighe.

Notare che a loro fu replicato con un primo esempio, preso da Davide cioè dall'autorità regale, e poi con un altro, preso dall'autorità sacerdotale cioè da quei sacerdoti che nell'esercizio del loro ministero nel tempio contravvengono alle norme sul sabato.

Ne derivava che l'avere strappato le spighe di sabato era una colpa ancora meno grave per lui, vero re e vero sacerdote, e quindi padrone del sabato.

11.1 Mentre gli uomini dormivano venne un suo nemico e in mezzo al grano gettò i semi della zizzania e se ne andò.

In un tempo in cui le persone poste a capo della Chiesa agivano con negligenza, o anche dopo che gli apostoli si furono addormentati nella morte, venne il diavolo e buttò la semente di quella genìa che il Signore denomina figli cattivi.

Al riguardo è giusto chiedersi se si tratti degli eretici o dei cattolici dalla cattiva condotta.

Potrebbero infatti chiamarsi figli cattivi anche gli eretici perché traggono origine dallo stesso seme del Vangelo e portano il nome di Cristo, anche se poi per opinioni devianti aderiscono a dogmi falsi.

Tuttavia, siccome precisa che sono seminati in mezzo al grano, sembrerebbe piuttosto che vi si rappresentino coloro che vivono nella stessa comunione.

In direzione opposta orienta però il fatto che il Signore, spiegando cosa sia il campo, dice che non è la Chiesa ma il mondo: per cui nella zizzania si possono vedere gli eretici i quali, sebbene in questo mondo non siano mescolati ai buoni ( Mt 3,12 ) per l'appartenenza all'unica Chiesa o per la professione dell'unica fede, lo sono tuttavia perché portano lo stesso nome di cristiani.

Quanto poi a coloro che vivono male pur professando la stessa fede cattolica, li si deve identificare con la paglia piuttosto che con la zizzania, poiché la paglia ha in comune con il frumento anche lo stelo e la radice.

Mi sembra pertanto non assurdo se in quella rete dove sono inclusi pesci buoni e pesci cattivi ( Mt 13,47-50 ) questi ultimi li si identifichi con i cattivi cattolici.

Una cosa infatti è il mare, che simboleggia questo mondo, e un'altra la rete, che, a quanto sembra, rappresenta la comunione nell'unica fede e nell'unica Chiesa.

Tra gli eretici e i cattivi cattolici infatti c'è questa differenza: gli eretici credono in false dottrine, gli altri, pur credendo nella verità, non vivono in conformità con la loro fede.

11.2 Si suole indagare sulla differenza fra scismatici ed eretici.

La conclusione è che si diventa scismatici non perché si crede in verità differenti ma perché si rompe l'unità della comunione.

E si può dubitare se gli scismatici siano o no da computarsi tra la zizzania.

Sembrerebbero infatti rassomigliare di più alle spighe guaste, di cui sta scritto: Il figlio cattivo sarà guastato dal vento, ( Pr 10,5 ) ovvero anche agli steli staccati dalla spiga o rotti e avulsi dalla pianta, i quali più sono alti, cioè superbi, più sono fragili e sottili.

Da ciò tuttavia non segue che ogni eretico o scismatico sia corporalmente separato dalla Chiesa.

Ecco, ad esempio, uno che ha false idee su Dio o su qualche altro articolo della dottrina che rientra nell'edificio della fede. ( Ef 4,29 )

In ciò egli non si modera rimanendo nell'atteggiamento di attesa proprio di chi è in ricerca, ma dissente con la convinzione erronea di uno che crede indubitatamente, pur non comprendendo nulla di nulla.

Costui è un eretico, e con l'animo è fuori, sebbene corporalmente sembri dentro.

E di gente simile la Chiesa ne contiene molta, e sono tutti coloro che difendono la loro falsa dottrina senza richiamare l'attenzione del pubblico, poiché se facessero anche questo sarebbero espulsi.

Analogamente è di coloro che, odiando i buoni, cercano tutte le occasioni per farli escludere o degradare e sono pronti a difendere ad ogni costo i loro crimini.

Se tali colpe vengono scoperte e loro rinfacciate, essi pensano di dover suscitare conventicole di separatisti e sommosse nella Chiesa.

Ebbene, costoro sono già scismatici e nel cuore separati dall'unità ecclesiale, anche se, per mancanza di occasioni o perché sanno nascondere le loro malefatte, rimangono nella disciplina esterna uniti al sacramento della Chiesa.

11.3 A parlare quindi con proprietà, sono cattolici, anche se cattivi, coloro che in materia di fede credono conforme a verità e in ciò che eventualmente non sanno si ritengono in obbligo di fare ricerche e discuterne col dovuto rispetto, senza mai contrapporsi alla verità.

Essi inoltre amano i buoni e coloro che ritengono buoni; li amano e come meglio possono li onorano, anche se poi in concreto essi stessi vivono in gravi abusi o delitti, in opposizione con il genere di vita che secondo la loro fede dovrebbero condurre.

Costoro, se vengono pubblicamente accusati o corretti o magari anche scomunicati, conforme esigono la disciplina della Chiesa e la loro salvezza eterna, non pensano affatto essere il caso d'interrompere la comunione con la Chiesa cattolica ma cercano il modo di riparare il male, qualunque sia il genere di penitenza che viene loro assegnato.

Attraverso questa penitenza succede a volte che si cambino in buon frumento: cosa che avviene mediante la correzione o la segregazione o magari solo perché spaventati dalla parola di Dio, senza che alcun uomo intervenga direttamente accusandoli o rimproverandoli.

Succede anche, a volte, che nella stessa condizione di penitenti seguitino a vivere com'erano soliti o non molto meno, alcuni anzi peggio; tuttavia in nessun modo si separano dall'unità cattolica.

Che se la morte li sorprende in questo loro genere di vita, sono da ritenersi paglia che brucerà sino alla fine.

Di questo sono persuasi loro stessi poiché se pensassero diversamente e a tale opinione fossero tenacemente attaccati, sarebbero per ciò stesso da collocarsi fra gli eretici.

Riterrebbero infatti che alla fine Dio accorderà il perdono a tutti, anche a coloro che rimangono ostinatamente e sino alla fine della vita in gravi colpe, per il solo fatto che si sono mantenuti nell'unità della Chiesa mossi non da un amore sincero - altrimenti comincerebbero a vivere bene - ma piuttosto dal timore del castigo.

Costoro dunque non credono a cose come queste né in ciò è ferma la loro convinzione, anche se forse ciò si chiedono in forma dubitativa.

Quel che li fa cadere in errore è la speranza d'avere del tempo.

Credono di vivere a lungo e così poter cambiare in meglio i loro perversi costumi.

Contro di loro è detto: Non tardare a convertirti a Dio né rimandarlo di giorno in giorno; improvvisa infatti sopraggiungerà la sua ira e nel tempo della vendetta ti spazzerà via. ( Sir 5,8-9 )

Ora questo convertirsi è attuato da coloro che cominciano a vivere bene, poiché convertirsi è tornare a Dio.

Al contrario coloro che seguono le loro concupiscenze e non se ne staccano, in certo qual modo volgono a Dio le spalle, ( Ger 32,33 ) sebbene per il fatto di rimanere nell'unità della Chiesa spesso tentano di guardare a lui, sia pure a collo torto.

In realtà anche costoro, come afferma il profeta, sono carne e spirito che passano e non ritornano; ( Sal 78,39 ) tuttavia, come si diceva sopra, e per l'identità della fede e per l'unità ecclesiale non si possono collocare fra la zizzania, la quale ha radici estranee.

E non si possono collocare nemmeno tra la paglia delle spighe, dal momento che con aspri dissensi e grande, per quanto fragile, superbia osano sovrapporsi al buon grano.

Sebbene quindi siano la stoppia sistemata in basso nello stelo del frumento, occorrerà comunque annoverarli fra quella paglia che verrà separata nell'ultima trebbiatura. ( Mt 3,11 )

11.4 Buoni cattolici sono coloro che posseggono una fede integra e buoni costumi.

Quanto alla dottrina della fede, se sorge in loro un qualche problema, fanno le debite ricerche evitando ogni alterco che sia pericoloso o a chi chiede la spiegazione o a colui al quale la chiede o a coloro che ascoltano il dibattito.

Se invece hanno un qualche insegnamento da impartire, quando si tratta di cose già entrate nell'uso e assodate, le presentano con grande sicurezza, molto risolutamente e usando tutta la dolcezza possibile.

Se viceversa si tratta di cose nuove, anche se loro personalmente le hanno comprese mediante una indubitata penetrazione della verità, tuttavia per la debolezza dell'uditore le insegnano come chi è in ricerca e non come uno che detta legge o parla da maestro.

In effetti se una verità è così carica di significato da superare le capacità di chi la deve apprendere, bisogna interrompersi finché non sia maturo colui che sta crescendo; né deve succedere che la verità imposta schiacci chi è ancora bambino.

A ciò si riferisce il detto del Signore: Cosa credi? Quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra? ( Lc 18,8 )

A volte occorre anche tenere nascosta [ la verità ], esortando però [gli uditori] e infondendo loro speranza, affinché la mancanza di fiducia non li raffreddi ma il desiderio li dilati.

Fa a proposito il detto del Signore: Avrei da dirvi molte cose, ma per il momento non siete in grado di sostenerle. ( Gv 16,12 )

Riguardo poi alla condotta, ecco espresso con esattezza e brevità quel che bisogna dire: Occorre lottare contro l'amore per i beni terreni perché non prenda il sopravvento; lo si deve anzi domare e assoggettare perché, nel caso che tenti di sollevarsi, lo si reprima con facilità, o lo si estingua al punto che non sollevi in nessuna maniera i suoi moti.

Con ciò si spiega il fatto che per la verità alcuni affrontano la morte con coraggio, alcuni solo rassegnati, mentre altri con animo lieto.

Questi tre comportamenti sono le tre misure diverse del terreno fertile: del trenta, del sessanta e del cento per uno. ( Mt 13,8.23 )

In una di queste tre categorie deve trovarsi al momento della morte chiunque si propone di passare degnamente da questa all'altra vita.

11.5 Prima di tutto è necessario sopportare la zizzania fino al tempo della mietitura: dove per zizzania intendiamo il seme gettato in un secondo momento dal diavolo, quando cioè egli sparse perniciosi errori e false dottrine o, in altre parole, disseminò le eresie là dove era stato predicato il nome di Cristo.

Questo egli fece di nascosto e poi si rese totalmente occulto, come dice il testo: Egli si dileguò.

Fino alla trebbiatura ( Mt 3,12 ) occorre però sopportare anche la paglia.

Non c'è infatti modo più valido per provare il peso del frumento che l'essere agitato dalla paglia.

Se tali urti non si possono evitare difendendo la verità, li si deve tollerare per conservare l'unità.

Per questo il Signore, nella conclusione della parabola, dà ad intendere che col nome di zizzania si indicano non alcuni ma tutti gli scandali e tutti coloro che operano l'iniquità.

11.6 Quando crebbero le pianticelle e produssero il frutto, allora apparve anche la zizzania.

Si riferisce all'uomo che, quando comincia ad essere spirituale e quindi capace di giudicare ogni cosa, ( 1 Cor 2,15 ) comincia anche ad accorgersi degli errori.

Ma i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla? Questi servi saranno forse coloro che un po' dopo chiamerà mietitori?

Nella spiegazione della parabola egli però disse che i mietitori sono gli angeli.

E allora chi oserà dire, senza essere tacciato di faciloneria, che gli angeli non sapevano chi avesse seminato la zizzania e che questa apparve loro solo quando lo stelo produsse il frutto?

O non bisognerà piuttosto intendere che in questo passo col nome di servi si indichino gli stessi fedeli, che vengono designati anche col nome di buon seme?

Non è strano che gli stessi individui vengano chiamati e buon seme e servi del padrone di casa.

Basti pensare che il Signore, parlando di se stesso, dice che è la porta e nello stesso tempo il pastore. ( Gv 10,7.11 )

Presa con significati diversi una stessa cosa può usarsi per parecchie e differenti similitudini.

Inoltre, riguardo ai servi di cui sopra, notiamo che, rivolgendo loro la parola, non dice: Nel tempo della mietitura vi dirò: Raccogliete prima la zizzania, ma: Dirò ai mietitori.

Da cui si comprende che l'incarico di raccogliere la zizzania e bruciarla è diverso dall'altro e che nessun figlio della Chiesa deve presumere che questo incarico spetti a lui.

11.7 Ne consegue che quando uno entra nel numero degli spirituali, si accorge subito degli errori in cui incappano gli eretici, e li giudica con competenza sapendo distinguere, per averlo udito o letto, quanto ripugna con la norma della verità.

Tuttavia, finché non abbia raggiunto la perfezione propria degli stessi spirituali e in certo qual modo non diventi frutto maturo quello che lo stelo ha prodotto, può restare sorpreso di come mai sotto il nome cristiano siano potuti sorgere tanti eretici e tante falsità.

È questo il motivo per cui i servi chiesero: Non hai tu forse seminato del buon seme nel tuo campo? Come dunque c'è la zizzania?

In un secondo momento quell'uomo s'accorge che si tratta di una truffa del diavolo, il quale, sentendosi impotente di fronte all'autorità del nome di Cristo, nascose le sue menzogne sotto il nome di lui.

Al che può sorgere nel suo cuore la voglia di spazzar via di fra mezzo agli uomini e alle loro attività individui di questa fatta, sempre supponendo che il tempo glielo consenta.

Prima tuttavia di stabilire se abbia l'obbligo di fare ciò, egli consulta Dio e la sua giustizia per vedere se glielo comanda o permetta e se voglia che un tale compito spetti o no agli uomini.

In ordine a questo i servi chiedono: Vuoi che andiamo a raccoglierla?

Ad essi la verità personificata risponde che nella vita presente l'uomo mai può esser certo di come sarà in seguito colui che al momento attuale vede essere nell'errore né quale utilità possa ricavarsi dal suo errore per il progresso dei buoni.

Pertanto non bisogna eliminare i cattivi durante la vita presente, perché non succeda che, mentre si tenta di uccidere i cattivi, si uccidano i buoni, quali loro stessi potrebbero diventare, o si danneggino quei buoni, ai quali anche se loro malgrado essi arrecano dei vantaggi.

Questa eliminazione è giusto che avvenga alla fine, quando non c'è più tempo per cambiar vita o per penetrare meglio la verità in base e mediante il confronto con l'errore altrui.

Allora però questa mansione non sarà più espletata da uomini ma da angeli.

Per questo motivo il padrone risponde: No, perché non succeda che raccogliendo la zizzania sradichiate anche il frumento; ma nel tempo della mietitura dirò ai mietitori, ecc.

In tal modo li rende pazientissimi e tranquillissimi.

11.8 Un problema può porsi circa le parole: Legatela in piccoli fasci e bruciatela, e cioè perché non abbia detto di fare della zizzania un unico fascio o mucchio.

L'affermazione sembra motivata dalla diversità delle eresie, che differiscono non solo dal buon grano ma anche fra loro.

Egli pertanto col nome di piccoli fasci volle rappresentare le congreghe proprie di ciascuna eresia, stretti come sono fra loro nella propria comunione i singoli eretici.

In vista di ciò essi già al presente cominciano ad essere legati per la condanna al fuoco eterno.

Ciò avviene già quando, separandosi dalla comunione cattolica, cominciano ad avere le loro proprie chiese, per chiamarle così.

Se pertanto la loro condanna al fuoco avverrà alla fine dei tempi, la legatura in fasci avviene adesso.

Tuttavia, se le cose stessero realmente così, non ci potrebbero essere quei tanti che rinsavendo e tornando alla Chiesa cattolica si distaccano dall'errore.

Per cui è da concludersi che anche l'essere legati in fasci avverrà alla fine, con la conseguenza che la punizione non avverrà in maniera indiscriminata ma secondo la perversione di ciascuno e la pertinacia con cui ritenne l'errore.

11.9 Perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, sradichiate anche il buon grano.

Può per un verso significare che anche i buoni, quando sono ancora deboli, per qualche verso hanno bisogno della presenza dei cattivi: o perché siano messi alla prova o perché dal confronto con i cattivi ricavino uno stimolo pressante a tendere al meglio.

Se infatti venissero eliminati i cattivi, la grandezza della carità, come sradicata, si affloscerebbe: e ciò appunto significa il termine sradicare, come l'intende anche l'Apostolo quando scrive: Radicati e fondati nella carità, possiate comprendere. ( Ef 3,17-18 )

Per un altro verso però potrebbe dirsi che il buon grano viene sradicato quando si va a togliere la zizzania: e cioè in relazione al fatto che molti in un primo tempo sono zizzania e solo più tardi diventano buon grano.

Ora, se costoro quando sono cattivi non li si tollerasse con pazienza, non giungerebbero al cambiamento in meglio che elogiamo.

Se fossero stati strappati prima, si sarebbe sradicato anche il buon grano: ciò infatti essi sarebbero diventati se non fossero stati recisi.

12 - [ 13 ] Il Regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose.

Trovata una perla preziosa, se ne va, vende tutto ciò che possiede e la compra.

Fa problema il passaggio dal numero plurale al singolare: quell'uomo, che cercava perle preziose, ne trova una veramente di gran pregio e, venduto tutto ciò che possedeva, la compra.

Questo tale, dunque, nel ricercare uomini buoni con i quali vivere con profitto, ne incontra soprattutto uno che è senza alcun peccato: ( 2 Cor 5,21 ) il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )

Forse anche egli era alla ricerca di precetti, osservando i quali potesse comportarsi bene con gli uomini, e incontrò l'amore del prossimo, nel quale da solo, al dire dell'Apostolo, sono contenuti tutti gli altri.

Infatti non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza e ogni altro comandamento sono le singole perle che si riassumono in questa massima: Ama il prossimo tuo come te stesso. ( Rm 13,8-9 )

O, forse, si tratta di un uomo che è alla ricerca di concetti intellegibili e trova colui nel quale tutti sono contenuti, cioè il Verbo, che era in principio, era presso Dio ed era Dio: ( Gv 1,1 ) il Verbo luminoso per lo splendore della verità, stabile perché immutabile nella sua eternità e sotto ogni aspetto simile a se stesso per la bellezza della divinità: quel Verbo che quanti riescono a oltrepassare la copertura della carne identificano con Dio.

C'è stato infatti un uomo che raggiunse questa perla, per un certo tempo nascosta negli spessi veli della mortalità che ne ostacolava la vista come un guscio e la cacciava nelle profondità del secolo presente e tra la durezza dei giudei, paragonabile a quella della pietra.

Quest'uomo dunque, che aveva toccato con mano quella perla è colui che poteva dire: Che se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. ( 2 Cor 5,16 )

In effetti nessuna concezione merita assolutamente il nome di perla all'infuori di quella a cui si perviene eliminando tutti gli involucri terreni.

Dico di ciò che lo copre a motivo di parole umane o di similitudini artefatte, per cui non è dato vederlo con certezza di motivazioni puro, solido e mai diverso da sé.

Ora tutti i concetti veri, stabili e perfetti li contiene quell'unico Verbo, ad opera del quale sono state fatte tutte le cose, ( Gv 1,3 ) e cioè il Verbo di Dio.

Ognuna di queste tre spiegazioni, come pure altre che possano venire in mente, è ben raffigurata dall'unica perla preziosa della quale siamo prezzo noi stessi.

Per ottenere però il suo possesso noi non siamo liberi ma dobbiamo conseguire la nostra liberazione disprezzando tutto ciò che possediamo a livello materiale.

Vendendo queste nostre cose non ricaviamo alcun compenso maggiore del possesso di noi stessi, i quali quando eravamo impastoiati in cose materiali non eravamo di nostra proprietà.

Diamo dunque noi stessi in cambio di quella perla, non perché tale è il suo valore ma perché noi non possiamo dare di più.

13.1 - [ 14 ] E chiusero i loro occhi per non vedere con gli occhi.

Vuol dire che essi furono la causa per cui Dio chiuse loro gli occhi.

Dice infatti un altro evangelista: Accecò i loro occhi.

Ma questo accadde perché non vedessero mai o perché ad un certo momento avessero a vedere?

Rammaricandosi cioè della loro cecità e di ciò addolorati, umiliati e presi da inquietudine si sarebbero indotti a confessare i propri peccati e a cercare fiduciosamente Dio.

Marco infatti si esprime così: Affinché non succeda che una buona volta si convertano e vengano loro rimessi i peccati, ( Mc 4,12 ) dove si lascia intendere che essi con i loro peccati avevano meritato di non capire.

Ciò tuttavia fu un tratto di misericordia loro usato perché riconoscessero i propri peccati e convertendosi meritassero il perdono.

Riferendosi allo stesso detto Giovanni scrive: Non potevano credere perché a più riprese Isaia aveva detto: Egli accecò i loro occhi e indurì il loro cuore affinché non vedessero con gli occhi né credessero col cuore e si convertissero e io li potessi guarire. ( Gv 12,39-40 )

L'affermazione sembra contrastare con la soluzione proposta ed escluderla del tutto, per cui le parole del Vangelo: Affinché non succeda che abbiano a vedere con gli occhi non si dovrebbero intendere nel senso che " almeno così una buona volta vedano con gli occhi ", ma in maniera radicale: " Essi non potranno mai vedere ".

Dice infatti espressamente: Per questo essi non vedranno con gli occhi.

E anche l'altra espressione: Per questo non potevano credere mostra con sufficiente chiarezza che il loro accecamento non avvenne perché, sconvolti e addolorati del fatto di non riuscire a comprendere, alla fine si sarebbero pentiti e ravveduti.

Questo infatti non sarebbe potuto avvenire senza la fede: credendo si sarebbero convertiti, convertiti sarebbero stati risanati, sanati avrebbero compreso.

Viceversa, essi furono effettivamente accecati e così non poterono credere.

Dice infatti apertamente: Per questo non potevano credere.

13.2 Se pertanto le cose stanno veramente così, chi non vorrà levarsi in difesa dei giudei, proclamandoli esenti da colpa quando non hanno creduto?

In realtà essi non potevano credere perché aveva accecato i loro occhi. ( Gv 12,39-40 )

Ma di Dio dobbiamo assolutamente ritenere che in lui non c'è colpa; e quindi dobbiamo ammettere che essi stessi per altri peccati, qualunque siano stati, meritarono l'accecamento e che per questo accecamento non potevano raggiungere la fede.

Così infatti suonano le parole di Giovanni: Essi non potevano credere perché a più riprese Isaia aveva detto: Egli accecò i loro occhi.

È inutile quindi proporre la spiegazione che essi furono accecati perché si convertissero, quando è detto che non potevano convertirsi perché non credevano e credere non potevano perché erano accecati.

Probabilmente dunque riteniamo non assurdo dire che alcuni fra i giudei erano sulla via della salvezza ma, gonfi di superbia, incorsero nel pericolo di non saper valutare, in un primo tempo, i vantaggi della fede e così restarono accecati.

Non compresero il Signore allorché parlava in parabole; non comprendendo le parabole non credettero in lui; non credendo in lui lo crocifissero, uniti in ciò a coloro che erano senza speranza.

Si convertirono solo dopo la sua resurrezione.

Fu allora che, profondamente umiliati della colpa di aver ucciso il Signore, amarono con ardente slancio colui che aveva loro perdonato un così grave delitto, e furono pieni di gioia sentendo che la loro superbia, certo assai grande, era stata abbattuta da una così profonda umiliazione.

Qualcuno potrebbe pensare che tutto questo lo diciamo a vanvera; ma leggendo gli Atti degli Apostoli si riscontra che le cose accaddero proprio così. ( At 2,36-41 )

Ne segue che le parole di Giovanni: Essi non potevano credere perché egli accecò i loro occhi in modo che non vedessero non ripugnano con quell'interpretazione secondo la quale riteniamo che furono accecati perché si convertissero. ( Mc 4,12 )

Ciò significa che il pensiero del Signore fu nascosto nell'oscurità delle parabole affinché dopo la resurrezione tornassero in se stessi con un pentimento ancor più salutare.

Accecati dall'oscurità del suo parlare, non capirono quanto il Signore voleva dire.

Non comprendendo non credettero in lui; non credendo in lui lo crocifissero; ma dopo la sua resurrezione, spaventati dai miracoli che si compivano in suo nome, si sentirono trafiggere dalla responsabilità aggravata del loro delitto e umiliati se ne pentirono.

Ricevuto il perdono, si convertirono e con amore ancor più ardente si sottomisero alla fede.

13.3 Ci furono comunque alcuni ai quali quella cecità che derivava dal linguaggio parabolico non fu di giovamento in ordine alla conversione.

Di loro in un altro passo il profeta dice quanto ricorda l'Apostolo allorché parla dell'oscurità delle lingue: Parlerò a questo popolo in altre lingue e in altri accenti, ma nemmeno così mi ascolteranno, dice il Signore. ( 1 Cor 14,21-25; Is 28,11 )

Non avrebbe detto: Nemmeno così mi ascolteranno se l'intenzione non fosse stata quella che almeno così lo avrebbero dovuto ascoltare, cioè che la cosa avrebbe dovuto produrre un'umile confessione, una premurosa ricerca, una docile conversione e un fervente amore.

Con tali motivazioni si ricorre anche alle medicine corporali.

Molte medicine infatti, usate certo per guarire, in principio arrecano dolore.

Così il collirio che si usa per gli occhi: lo si versa all'esterno e non può giovare se prima non annebbi e turbi l'organo della vista.

13.4 Né impressioni quanto dice lo stesso profeta: Se non crederete non comprenderete, ( Is 7,9b sec. LXX ) né lo si creda contrario alle parole di Giovanni: Per questo non potevano credere perché egli accecò i loro occhi, ( Gv 12,39-40 ) perché cioè le parabole erano dette in modo che non potevano essere da loro comprese.

Qualcuno infatti potrebbe obiettare: Se per comprendere avevano bisogno di credere, come si fa a dire che non potevano credere perché non capivano, cioè perché Egli aveva accecato i loro occhi?

In effetti le parole di Isaia: Se non crederete non comprenderete sono dette di quella comprensione delle cose ineffabili di cui godremo in eterno.

Se invece ci si dicono altre cose che occorre credere, non le si può credere se non si comprende quel che ci viene detto.

Insomma, se si tratta di cose che si possono esprimere a parole, per crederle occorre comprendere quanto ci viene detto; se invece si tratta di cose ineffabili, per comprenderle occorre credere a quel tanto che la parola può esprimere.

14 - [ 15 ] E senza parabole non parlava loro: non nel senso che non si espresse mai in linguaggio proprio ma in quanto in ogni discorso, o quasi, la spiegazione stessa comprende elementi parabolici, anche se non mancano parti dove è usato il senso proprio.

Ne segue che s'incontrano spesso discorsi interi composti di sole parabole, mentre non se ne trova nessuno espresso totalmente in linguaggio proprio.

Parlo dei discorsi completi, cioè quelli nei quali il Signore comincia a parlare partendo da un'occasione che gli si presenta e conclude esponendo tutto ciò che ad essa si riferisce, per passare poi ad un altro argomento.

Da notare in proposito che talvolta un evangelista collega fra loro cose che un altro riferisce essere state dette in altro tempo.

Ciascuno di loro infatti ordinò il racconto che intendeva comporre non secondo l'ordine reale dei fatti ma piuttosto come gli era consentito dal ricordo che ne serbava.

15 - [ 16 ] Avete capito tutte queste cose? Gli rispondono: Sì.

Replicò loro: Perciò ogni scriba istruito sul regno dei cieli è simile a un padrone di casa che dal suo tesoro tira fuori cose nuove e cose vecchie.

Ci si chiede se con questa conclusione abbia o no voluto spiegare che cosa intendeva chiamare col nome di tesoro nascosto nel campo. ( Mt 13,44 )

Con esso infatti ci si intendono le sacre Scritture, raccolte in quelli che si chiamano i due Testamenti, il Nuovo e il Vecchio, conforme sembra abbia egli voluto designare in quella spada doppiamente tagliente ( Ap 1,16 ) di cui si parla nell'altro evangelista.

Bisogna però tener presente che egli aveva parlato in parabole e che, avendo chiesto ai discepoli se le avessero capite, essi avevano risposto di sì.

In tal caso con quest'ultima immagine, quella del padrone di casa che dal suo tesoro tira fuori cose nuove e cose vecchie, volle forse mostrare che nella Chiesa deve ritenersi dotto colui che comprende anche le Scritture antiche, spiegate per mezzo di parabole, ricavando norme di vita attraverso queste nuove forme.

È quel che faceva lo stesso nostro Signore quando illustrava mediante parabole.

È vero infatti che Cristo è il fine ( Rm 10,4 ) di tutte le realtà del Vecchio Testamento e che in lui esse sono giunte a compimento; tuttavia egli, nel quale tutto si compiva e palesava, seguitò a parlare in parabole finché la sua Passione non squarciò il velo, ( Mt 27,51 ) sicché non restò nulla di occulto che non fosse rivelato. ( Mt 10,26 )

A molto maggior ragione dobbiamo ritenere che erano celate dal velo della parabola tutte quelle cose che furono scritte molto tempo prima sul suo conto affinché fosse apprezzato il grande mistero della salvezza.

Tali cose i giudei seguitano ancora a prenderle alla lettera e non hanno mai voluto istruirsi sul Regno dei cieli né passare a Cristo, perché fosse tolto il velo posto sopra il loro cuore. ( 2 Cor 3,15-16 )

16.1 - [ 17 ] Non sono forse suoi fratelli Giacomo e Giuseppe, Simone e Giuda, e le sue sorelle non sono forse tutte in mezzo a noi?

Donde vengono allora a costui tutte queste cose? E si scandalizzavano di lui.

Presso i giudei si è soliti chiamare fratelli tutti i parenti. È una cosa dimostrata.

E si chiama così non solo chi è imparentato con uguale grado di affinità come i figli dei fratelli e delle sorelle ( costoro, anche noi in via del tutto ordinaria li chiamiamo fratelli ), ma anche lo zio e il figlio di sua sorella, come erano Giacobbe e Labano, che la Scrittura chiama fratelli. ( Gen 29,13-15 )

Non è quindi da stupirsi se siano stati chiamati fratelli del Signore tutti i parenti del casato di sua madre; anzi alcuni del parentado stesso di Giuseppe poterono essere chiamati suoi fratelli da quanti credevano che Giuseppe fosse realmente padre di lui.

16.2 Pecca contro la comune giustizia in primo luogo colui che, schiavo di voglie disordinate, contravviene alle norme della convivenza umana, come chi commette furto, rapina, adulterio, incesto e cose simili.

Altrettanto colui che pecca contro natura, ad esempio con le colpe di vilipendio, strage, omicidio, sodomia, bestialità.

Ovvero colui che nelle stesse cose lecite non sa moderarsi, come ad esempio colpire più del necessario il servo o il figlio, esagerare nel mangiare, bere oltre misura, essere sfrenato nei rapporti coniugali, e cose del genere.

16.3 È facile comprendere il motivo per cui lo Spirito Santo diede per primo agli uomini il dono delle lingue. ( At 2,4 )

Queste sono state istituite dagli uomini stessi con una loro convenzione arbitraria e si apprendono dal di fuori attraverso i sensi del corpo con l'ascolto assiduo.

In tal modo lo Spirito voleva mostrare la grande facilità con cui poteva renderli sapienti della sapienza di Dio, che risiede all'interno dell'uomo.

16.4 La volontà del Verbo eterno è immutabile per sempre poiché possiede simultaneamente tutte le cose.

La nostra volontà al contrario è instabile perché non possiede tutto contemporaneamente, sicché noi ora vogliamo questo ora quello.

Pertanto erano già nel Verbo tutte le creature, e la stessa assunzione della natura umana nella sua Persona divina fu da lui conosciuta in antecedenza.

Fece come un pittore che vuol dipingere tutt'intera una casa, e pensa e si rappresenta anche il luogo dove deve dipingere.

Nell'arte, nella predisposizione e nella volontà egli ha già tutto quello che successivamente attuerà distribuendo ogni cosa a suo tempo.

Così accade per ogni creatura; così è accaduto anche in quell'uomo che misteriosamente con una assunzione mirabile fu chiamato a reggere la persona stessa della Sapienza.

Sebbene crei ogni cosa a suo tempo, egli da sempre era presente in questa Sapienza, che è come un'arte eterna di Dio, e si estende con forza da un confine all'altro e dispone ogni cosa con soavità ( Sap 8,1 ) e, rimanendo stabile in se stessa, rinnova tutte le cose. ( Sap 7,27 )

16.5 Caso di uno che è giunto a voler morire come desiderava di voler morire.

Se egli ha la retta fede e sa dove deve arrivare, progredisce anche con il lasciare di buon grado la vita presente.

Non è infatti la stessa cosa sapere dove si deve arrivare e amare questa mèta e desiderare d'esserci arrivati.

Certo, se nell'animo di qualcuno ci sono sentimenti di questo genere, è naturale che vada volentieri incontro alla morte.

È pertanto immotivato quel che dicono certuni che pur hanno la retta fede, e cioè che essi non vogliono morire per poter progredire ancora, se è vero che tutto il progresso da loro fatto sta nel voler morire.

Costoro, se vogliono esser sinceri, non possono dire: " Non voglio morire perché debbo progredire ancora ", ma piuttosto: " Non voglio morire, ho progredito poco ".

Infatti il non voler morire non è, per i credenti, un atteggiamento che giova a progredire ma un segno che si è progredito poco.

Questi tali dunque vogliano quel che, adducendo la scusa di doversi perfezionare ora non vogliono, e saranno davvero perfetti.