Sulla cura dovuta ai morti

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1.1 - Domanda di Paolino:
Quale utilità per uno l'essere sepolto presso la Memoria di un santo?

È tanto tempo, o venerando coepiscopo Paolino, che alla tua santità sono in debito di una risposta, da quando mi mandasti quel tuo scritto tramite i messi della nostra religiosissima figlia Flora, e mi chiedevi quale giovamento poteva esserci per uno dal fatto che il suo corpo, dopo la morte, venisse sepolto presso la Memoria di un santo.

Era quello che aveva chiesto a te la summenzionata vedova in merito al suo figliolo che era morto in coteste parti e alla quale avevi risposto consolandola e raccontandole della salma del giovane fedele Cinegio, per il quale l'affetto religioso della madre aveva disposto che tutto fosse fatto il meglio possibile, e che venisse tumulato nella basilica del beatissimo confessore Felice.

Così hai colto l'occasione che, con gli stessi latori della tua lettera, hai scritto anche a me per coinvolgermi nella medesima questione, chiedendomi che cosa ne pensi io e, da parte tua, manifestando che cosa ne pensi tu.

Tu dichiari che non ti sembrano inutili i sentimenti di questi animi religiosi e fedeli che hanno a cuore queste cose per i loro cari.

E aggiungi che non può essere senza significato l'antica usanza della Chiesa universale di pregare per i defunti; e che da questa usanza si può dedurre anche che è utile all'uomo, dopo la morte, se la premura affettuosa dei suoi cari nell'inumarne il corpo gli assegna anche un posto che esprima già di per sé il desiderio della protezione dei santi.

1.2 - Nel comportamento in questa vita si determina ciò che gioverà per l'altra

Però, stando così le cose, tu dici di non capir bene se a questa opinione non contraddica quanto afferma l'Apostolo: Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo, sia in bene sia in male. ( 2 Cor 5,10 )

È chiaro che questo detto dell'Apostolo ammonisce che è prima della morte che si deve provvedere a ciò che può essere utile dopo.

La questione si risolve così che, vivendo bene quando si vive nel corpo, si raggiunge la possibilità che le suddette cose siano di giovamento quando si sarà morti; e perciò, secondo quello che essi fecero per mezzo del corpo, potranno esser loro di giovamento le cose che devotamente si faranno per loro dopo il tempo del corpo.

Quindi ci sono di quelli a cui queste cose non porteranno alcun vantaggio: o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto male da non esser degni di avere nessun aiuto, o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto bene da non aver bisogno di nessun aiuto.

Quindi il modo con cui ciascuno è vissuto mentre era nel corpo fa sì che giovi o non giovi quanto religiosamente si fa per lui quando non sarà più nel corpo.

Il merito per cui queste cose potranno giovare, se non si è acquistato in questa vita, invano lo si cercherà dopo questa vita.

Ecco perché la Chiesa, o anche il devoto affetto dei propri cari, fa tutto quel che può di bene per i defunti; però ciascuno riceverà la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo sia in bene che in male, perché il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere.

Perché dunque quel che si fa per uno gli possa giovare dopo la vita del corpo dipende da quanto egli ha meritato quando viveva nel corpo.

1.3 - La Chiesa ha l'antica usanza di pregare per i defunti all'interno della Messa

Per quello che mi hai domandato potrebbe bastare questa mia risposta, per quanto breve.

Ma prestami ancora un po' di attenzione su alcuni problemi che ne derivano e a cui mi par giusto di dare una risposta.

Nei libri dei Maccabei si legge che venne offerto un sacrificio per i defunti. ( 2 Mac 12,43 )

Ma anche se in nessun luogo delle antiche Scritture si leggesse qualcosa di simile, non poca cosa sarebbe l'autorità della Chiesa universale che si manifesta in questa usanza quando, tra le preghiere che dal sacerdote vengono innalzate al Signore nostro Dio davanti al suo altare, c'è un posto preminente la preghiera per i defunti.

2.3 - Per i cristiani lo scempio dei corpi e la non sepoltura non ha arrecato nessun vero danno

Però con particolare attenzione vediamo di approfondire se all'anima di un defunto arrechi qualche sollievo il luogo della sepoltura del suo corpo.

E prima di tutto chiediamoci se alle anime degli uomini dopo questa vita possa esser motivo di sofferenza, o comunque di maggiore sofferenza, il fatto che i loro corpi non siano stati sepolti: e questo non secondo le idee che per un verso o per l'altro vanno in giro tra la gente, ma secondo i sacri testi della nostra religione.

Non si può prestar fede infatti a quanto si legge in [ Virgilio ] Marone che a coloro che non sono stati sepolti non è concesso di percorrere e attraversare il fiume infernale, appunto perché né è dato traghettarli tra gli orridi dirupi e il fragore dei flutti prima che riposino le loro ossa nei sepolcri.1

Chi potrà indurre il cuore di un cristiano a credere a queste stravaganti fantasticherie poetiche, quando il Signore Gesù, perché i Cristiani affrontassero senza paura la morte tra le mani dei loro nemici, che solo sui loro corpi potevano infierire, assicura che neanche un capello del loro capo sarebbe andato perduto ( Mt 10,28-30 ) e li esorta a non aver paura di quelli che possono, sì, uccidere il corpo, ma dopo non possono fare più nulla? ( Lc 12,4 )

Io nel primo libro della Città di Dio ho detto abbastanza, mi pare, per rompere i denti a coloro che, nel tentativo di addebitare ai tempi cristiani le atrocità compiute dai barbari, e particolarmente quelle che di recente ha subito la stessa città di Roma, anche questo portano per argomento che in quel frangente neanche dei suoi è venuto in aiuto Cristo.

E avendo loro risposto che egli aveva raccolto le anime dei fedeli come ricompensa della loro fede, essi hanno ritorto l'insulto riferendolo ai cadaveri rimasti insepolti.

Ecco il testo intero con cui ho spiegato tutto l'argomento della sepoltura.

2.4 - Tuttavia il rispetto dei cadaveri, che per i vivi è un conforto, è anche un atto di pietà per i defunti

"Però", dico, "in una strage così immane non si poté dare sepoltura neanche ai cadaveri.

Ma una fede autentica non ha paura di questo, fondata com'è sul presupposto che neanche le bestie che li hanno divorati potranno impedire che risorgano quei corpi, dei quali non andrà perduto neanche un capello della testa. ( Lc 12,17 )

Se quello che i nemici hanno voluto fare sul corpo degli uccisi avesse potuto pregiudicare anche alla loro vita futura, mai la Verità stessa avrebbe affermato: Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo, ma poi non hanno il potere di uccidere l'anima. ( Mt 10,28 )

A meno che non si sia talmente sciocchi da sostenere che quelli che uccidono il corpo non si debbono temere prima di morire che appunto l'uccidano, ma si debbano temere che, dopo la morte, non lo lascino seppellire.

Se tanto male potessero fare ancora a dei cadaveri, sarebbe falso quello che dichiara Cristo: Quelli che uccidono il corpo, ma poi non possono fare più nulla. ( Lc 12,4 )

Ma Dio ci guardi dal pensare che possa esser falso quello che afferma la Verità stessa.

È detto, sì, che qualcosa possono fare nel momento che uccidono, perché nel corpo che viene ucciso c'è ancora sensibilità; ma dopo non possono fare più nulla, perché nel corpo ucciso ogni sensibilità è spenta.

È vero, molti corpi dei Cristiani la terra non li ha accolti in sé; però nessuno poté mai buttar fuori uno di loro o dal cielo o dalla terra che tutta riempie con la sua presenza Colui che sa come risuscitare quello che ha creato.

Certo, viene detto nel salmo: Hanno abbandonato i cadaveri dei tuoi servi in pasto agli uccelli del cielo, le carni dei tuoi fedeli agli animali selvaggi; hanno versato il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme; e non c'era chi li seppellisse. ( Sal 79,2-3 )

Questo però più per mettere in risalto la ferocia di coloro che fecero queste cose, che la sofferenza di coloro che le subirono.

Per quanto infatti agli occhi degli uomini queste cose appaiano orrende, agli occhi di Dio la morte dei suoi santi è preziosa. ( Sal 116,15 )

E allora tutte quelle cose, la solennità del funerale, la nobiltà della sepoltura, la grandiosità delle esequie sono più un sollievo per quelli che restano che un vantaggio per quelli che vanno.

Se una sepoltura grandiosa a un empio arrecasse qualche vantaggio, a un pio sarebbe di svantaggio una modesta, o addirittura inesistente.

Però se a quel ricco che vestiva di porpora la gran turba dei famigli allestì un funerale splendido agli occhi degli uomini, molto più splendido agli occhi di Dio ne fu allestito uno a quel povero pieno di piaghe dal servizio degli Angeli, i quali non lo issarono su un mausoleo di marmo, ma lo innalzarono fino al seno di Abramo. ( Lc 16,19-22 )

Su queste cose ci ridono quelli contro i quali ci siamo presi l'impegno della difesa della città di Dio.

Ma anche i loro filosofi non hanno dato troppa importanza alle solennità della sepoltura; e più volte interi eserciti, nell'affrontare la morte per la loro patria terrena, non si sono dati il minimo pensiero di come sarebbero andati a finire e quali bestie se li sarebbero mangiati: e i loro poeti li poterono giustamente esaltare con questo elogio: Dal cielo è coperto chi non ha la sua urna.2

Tanto meno costoro dovrebbero prendersela contro i Cristiani a motivo dei corpi non sepolti, quando ad essi è promesso che la carne e tutte le membra si riformeranno non solo dalla terra, ma anche dalla più intima struttura degli altri elementi in cui i cadaveri decomposti si sono agglutinati, e in un solo attimo ( 1 Cor 15,52 ) saranno ricostituiti e risuscitati".3

3.5 - Ragioni per cui merita lode la cura dei morti

"Questo non vuol dire che i corpi dei defunti si debbano buttar là o trascurare, specialmente quelli dei giusti e dei fedeli, di cui, come di strumenti o di vasi, si è santamente servito lo spirito per compiere tante opere buone.

Se un vestito o un anello o qualunque altro oggetto di questo genere, che era appartenuto al proprio padre, tanto più è caro ai figli quanto maggiore è l'affetto verso i genitori, in nessun modo si può trascurare il corpo, che noi portiamo con un legame ben più stretto e profondo di qualunque altro indumento.

Perché esso non è un ornamento o un sostegno che adopriamo come esterno a noi, ma appartiene alla natura stessa dell'uomo.

Ecco perché anche per i giusti dell'antichità furono curati i funerali, e celebrate le esequie, e provvedute le sepolture con la dovuta pietà.

Anzi essi stessi, mentre erano ancora in vita, diedero ai loro figli disposizioni per la sepoltura o anche per il trasferimento delle loro ossa. ( Gen 23,3; Gen 25,9-10; Gen 47,30 )

E Tobia, per testimonianza dell'Angelo, viene elogiato per i meriti acquisiti davanti a Dio per aver seppellito i morti. ( Tb 2,9; Tb 12,12 )

E il Signore stesso, che pur doveva risorgere il terzo giorno, elogia, e consegna agli elogi dei futuri il bel gesto di quella pia donna che versò il suo unguento prezioso sulle sue membra e lo fece come anticipazionedella sua sepoltura. ( Mt 26,7-13 )

E ancora nel Vangelo vengono ricordati ed elogiati coloro che, calato il corpo dalla croce, provvidero ad avvolgerlo e a seppellirlo con diligenza e venerazione. ( Gv 19,38 )

Ora queste autorevoli testimonianze non è che vogliano far pensare che nei cadaveri ci possa essere una qualche sensibilità, ma vogliono significare che la Provvidenza di Dio, che gradisce anche questi doveri di pietà, si prende cura anche dei corpi dei defunti per confermare la fede nella risurrezione.

Inoltre da queste cose un'altra salutare lezione si impara: quanto grande cioè possa essere la ricompensa per le elemosine che facciamo a coloro che sono ancor vivi ed hanno sensibilità, se davanti a Dio non si perdono neanche quei servizi e quelle premure che si fanno alle membra esanimi degli uomini.

E ci sarebbero altre cose che i santi Patriarchi intesero dire con spirito profetico nel dar disposizioni sulla sepoltura o sul trasferimento dei loro corpi; ( Gen 47,30; Gen 50,25 ) ma non è questo il luogo per trattarne.

Qui è sufficiente quanto abbiamo già detto.

Ad ogni modo come la mancanza di ciò che è necessario alla vita, come il vitto o il vestito, per quanto dolorosa, tuttavia non incrina nei buoni la virtù della tolleranza e della sopportazione e non sradica dall'animo la pietà, ma anzi la rende più ricca a motivo dell'esercizio; così e a maggior ragione la mancanza di ciò che si è soliti fare nel curare i funerali e nel tumulare le salme dei defunti non potrà esser di danno per coloro che ormai hanno raggiunto la pace nelle dimore invisibili dei buoni.

Perciò quando queste onoranze non vennero fatte per i cadaveri dei Cristiani nella strage della grande Roma o degli altri paesi, questo non fu né colpa dei vivi, perché si trovarono nell'impossibilità di farle, né pena dei morti, perché erano nell'impossibilità di sentirle".4

Questo è quel che io penso sull'argomento della sepoltura e le sue motivazioni.

E io l'ho qui riportato dall'altro mio libro, perché mi era più facile ricopiarlo che trattar di nuovo la medesima cosa in una maniera diversa.

4.6 - Essere sepolti presso un santo non giova di per se stesso, ma in quanto è un ricordo costante per tenere l'anima del defunto sotto la sua protezione

Se questo è vero, allora anche il desiderio di seppellire i corpi presso le Memorie dei santi fa parte di un legame umano molto bello nei riguardi della tumulazione dei propri cari: perché se il seppellirli è già un atto di religione, non può non contar niente il premurarsi dove saranno seppelliti.

Ma siccome è la consolazione dei superstiti a ricercare queste cose in cui si esprime l'affetto del cuore verso i propri cari, non vedo quale utilità ci possa essere per i morti, all'infuori di questo che, mentre i vivi ripensano dove sono stati tumulati quegli amati corpi, li raccomandano nella preghiera a quei santi a cui li hanno affidati come patroni, perché li aiutino davanti a Dio.

Certo, questo lo possono fare anche se non li hanno potuti seppellire in quei posti.

Ecco allora perché quegli edifici funebri che si fanno particolarmente notare vengono chiamati Memorie o Monumenti appunto perché, ridestando la memoria e ammonendo, risuscitano il ricordo di coloro che la morte ha sottratto agli occhi dei vivi perché l'oblio non li cancelli anche dal cuore.

La parola stessa Memoria lo indica chiaramente, e anche Monumento, perché ammonisce, muove la mente.

Ecco perché i Greci dicono μνημεϊον quello che noi chiamiamo Memoria o Monumento, perché nella loro lingua la facoltà del ricordare si dice μνήμη.

Quando perciò il pensiero ritorna a quel luogo dove è sepolto il corpo di una persona molto cara e viene in mente che quel luogo è venerabile anche per il nome di un martire, l'affetto di colui che sta a ricordare e pregare raccomanda quasi naturalmente a quel martire quell'anima diletta.

E questo affetto di persone molto legate verso i loro defunti è senza dubbio di aiuto a coloro che, quando vivevano nel corpo, si meritarono che queste cose gli potessero giovare una volta usciti dal corpo.

Se tuttavia per qualunque ragione i corpi non si sono potuti seppellire affatto, oppure non si sono potuti seppellire nei luoghi predetti, mai si debbono trascurare le suppliche per le anime dei defunti.

Cosa che la Chiesa, in una comune commemorazione, ha fatto da sempre per tutti coloro che sono morti nella comunione cristiana e cattolica, anche senza dirne i nomi; e così anche per coloro che non hanno più genitori, o figli, o comunque parenti, o amici che ci pensino, queste cose sono loro apprestate dall'unica pia madre comune.

Se invece non ci fossero queste suppliche che con retta fede e pia devozione si fanno per i defunti, io penso che per le loro anime a nulla gioverebbe che le loro salme siano state tumulate anche nei luoghi più santi.

5.7 - Inoltre il luogo della sepoltura può stimolare un maggiore affetto e devozione nella preghiera

Venendo dunque a quella madre cristiana che ha desiderato che il corpo di suo figlio, cristiano anche lui, venisse tumulato nella basilica del martire, se essa lo ha fatto nella fede che l'anima di lui potesse essere aiutata dai meriti del martire, questa fede è già in qualche modo preghiera, e questo gli fu di giovamento, se di giovamento era capace.

Inoltre quel ritornare sempre col pensiero a quel sepolcro e quel raccomandare sempre più accoratamente il figlio alle preghiere del martire aiuta l'anima del defunto non tanto per la vicinanza materiale del corpo morto, quanto per l'affetto materno che si ravviva al pensiero del luogo.

Infatti colui che viene raccomandato e colui al quale viene raccomandato tornano insieme, e non senza frutto, al devoto ricordo di lei mentre prega.

È come quando uno si mette a pregare, che dispone le membra del suo corpo nel modo più conveniente alla preghiera; e così piega le ginocchia, protende le mani, si prosterna per terra, e tanti altri modi che tutti possono vedere.

Ma il suo anelito invisibile e la tensione del cuore sono noti solo a Dio, il quale non ha bisogno di queste esteriorità per conoscere l'animo dell'uomo.

Quegli atteggiamenti servono all'uomo per stimolarsi a pregare e a gemere con maggiore umiltà e maggiore fervore.

Certo, questi atteggiamenti del corpo non hanno senso se non si prendono dietro l'impulso dell'animo, ma poi, una volta presi esteriormente e visibilmente, ne trae in qualche modo vantaggio quello invisibile e interiore che li aveva determinati; sicché l'affetto del cuore che li aveva fatti assumere dopo cresce perché sono stati assunti.

Però se uno trova difficoltà, o addirittura impossibilità, e non è in grado di assumere questi atteggiamenti con le sue membra, non per questo non prega in lui l'uomo interiore e non si prosterna davanti agli occhi di Dio umiliandosi nel più segreto della sua anima.

Allo stesso modo quella donna che si è tanto premurata di dove tumulare la salma del suo defunto per meglio supplicare per la sua anima, una volta realizzato il desiderio di quel luogo santo e tumulatavi la salma, è lo stesso luogo santo che le rinnova e le fa crescere quell'affetto che aveva mosso tutto.

Ma se anche non fosse riuscita a inumare quel caro corpo dove il suo spirito religioso si era riproposto, in nessun modo deve smettere le necessarie suppliche per raccomandarlo al Signore.

Perché dovunque la carne del defunto sia sepolta o non sepolta, è per lo spirito che va ricercata la pace.

È esso che, andandosene, si è portato via la capacità di sentire, che è quello che a uno interessa sia per quanto riguarda il bene che il male.

Lo spirito non si aspetta di essere aiutato da quella carne a cui esso dava la vita: vita che le tolse quando se ne andò e che le ridarà quando vi rientrerà; perché non la carne allo spirito, ma è lo spirito che appresta alla carne persino il merito per la stessa risurrezione, se cioè si tornerà a vivere per la pena oppure per la gloria.

6.8 - I martiri di Lione testimoni del superamento di ogni affetto verso la materialità del corpo a favore di una fede suprema e splendida

Nella Storia Ecclesiastica, scritta in greco da Eusebio e tradotta in latino da Rufino, si legge che in Gallia alcuni corpi di martiri furono dati in pasto ai cani, e che gli avanzi dei cani insieme alle ossa di quei morti tutto fu dato al fuoco fino alla totale distruzione, e che poi le ceneri furono sparse nel fiume Rodano, perché nulla restasse che ne richiamasse la memoria.5

Se Dio ha permesso una cosa di questo genere, bisogna pensare che per nessun altro motivo l'ha fatto se non perché imparino i cristiani che, per essere fedeli a Cristo, se debbono non tener conto di questa vita, tanto minor conto debbono avere della sepoltura.

Perché se uno scempio perpetrato con sì orrenda ferocia su quei corpi dei martiri avesse potuto portare anche il minimo danno alle loro anime, sì che queste, pur dopo una vittoria così grande, avessero conseguito una pace meno completa, Dio non l'avrebbe potuto permettere.

Il fatto stesso dunque è una dimostrazione che quelle parole: Non temete coloro che uccidono il corpo, ma dopo non possono fare più nulla ( Lc 12,4; Mt 10,28 ) il Signore non le ha dette nel senso che non avrebbe permesso che si facesse qualche cosa contro i corpi dei suoi morti, ma nel senso che, qualunque cosa venisse consentito di fare contro di loro, nulla avrebbero fatto con cui sarebbe diminuita la cristiana felicità dei defunti, nulla che avesse potuto far soffrire la loro sensibilità di vivi al di là della morte, nulla a danno perfino dei corpi che gli impedisse di arrivare integri alla loro risurrezione.

Ma la pietà dell'uomo verso il proprio corpo è una legge di natura. 

7.9 - Esempio del profeta e dell'uomo di Dio al tempo del re Geroboamo

E tuttavia per quel sentimento naturale del cuore umano per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne, ( Ef 5,29 ) se uno potesse sapere che dopo la morte al suo corpo dovesse mancare qualcosa di ciò che richiede la solennità della sepoltura in uso tra la propria gente e nella propria patria, se ne addolorerebbe in quanto uomo; e così una cosa che dopo la morte non gli interesserà più per il corpo, prima della morte gli fa paura.

Anche nei Libri dei Re troviamo che il Signore, per bocca di un suo profeta, minacciò un uomo di Dio che non aveva obbedito alla sua parola, e gli annunciò che il suo cadavere non sarebbe stato tumulato nel sepolcro dei suoi padri.

Ecco come si esprime la Scrittura: Così dice il Signore: Poiché ti sei ribellato all'ordine del Signore, non hai ascoltato il comando che ti ha dato il Signore tuo Dio, sei tornato indietro, hai mangiato e bevuto in questo luogo, sebbene ti fosse stato prescritto di non mangiarvi e bervi nulla, il tuo cadavere non entrerà nel sepolcro dei tuoi padri. ( 1 Re 13,21-22 )

Se la portata di questa pena la pensiamo alla luce del Vangelo che ci insegna che, una volta ucciso il corpo, non c'è più da temere che possano soffrire delle membra senza vita, non è neanche il caso di chiamarla pena.

Ma se consideriamo quell'affezione innata che ognuno ha verso la propria carne, è naturale che quegli, ancor vivo, si sia spaventato e rattristato per una cosa che da morto non avrebbe neanche sentito.

E proprio in questo consisteva la pena, che l'anima si rattristasse per quello che sarebbe successo al suo corpo, anche se, quando sarebbe successo, non avrebbe sentito alcun dolore.

E infatti il Signore non volle punire oltre questo suo servo che non per sua malizia aveva rifiutato di adempiere il comando del suo Signore ma, ingannato dalla falsità di un altro, credette di obbedire, ma in realtà non obbedì.

Tanto meno si può pensare che egli venisse ucciso dal morso della belva perché la sua anima venisse gettata nel supplizio dell'inferno, quando addirittura il leone stesso che aveva ucciso quel corpo se ne pose poi a guardia, lasciando anche indisturbato il giumento che lo aveva portato fin lì e che, insieme a quella belva spaventosa, rimase lì con intrepido coraggio al funerale del suo padrone.

Con questo mirabile segno appare chiaro che quell'uomo di Dio fu tormentato temporaneamente fino alla morte per non essere castigato dopo la morte.

Su questo argomento l'Apostolo, avendo ricordato le sofferenze e anche la morte di molti, dovute a delle trasgressioni, afferma.

Se noi ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati dal Signore.

Quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo corretti per non essere castigati insieme con questo mondo. ( 1 Cor 11,31-32 )

Quanto poi a colui che lo aveva ingannato, egli seppellì molto onoratamente quell'uomo di Dio nel suo proprio sepolcro, e diede disposizione di essere sepolto anche lui accanto alle ossa di quello.

Sperava in questo modo che si avesse compassione anche delle sue ossa quando fosse arrivato il tempo in cui, secondo la profezia di quell'uomo di Dio, Giosia, re di Giuda, avrebbe dissotterrato in quella regione le ossa di molti morti e con quelle ossa avrebbe profanato gli altari sacrileghi che vi erano stati consacrati agli idoli.

E di fatto Giosia risparmiò quel sepolcro dove giaceva l'uomo di Dio che più di trecento anni prima aveva predetto queste cose e in grazia di lui non fu violata neanche la sepoltura di quell'altro che lo aveva ingannato. ( 2 Re 23,16-18 )

E così per quell'affetto per cui nessuno mai ha avuto in odio la propria carne, ( Ef 5,29 ) provvide al suo cadavere lui che con la menzogna ne aveva ucciso l'anima.

E sempre per quella legge naturale per cui ognuno è portato ad amare la propria carne, l'uno subì la pena di sapere che non sarebbe stato tumulato nel sepolcro dei suoi padri, l'altro la preoccupazione di provvedere che non si infierisse contro le sue ossa facendosi seppellire accanto a quello di cui nessuno avrebbe violato il sepolcro.

Indice

1 Vergilius, Aen. 6, 327-328
2 Lucanus, Phars. 7, 819
3 De civ. Dei, 1
4 De civ. Dei, 1,13
5 Rufinus, Patrol. 21 ss.;
Eusebius, Hist. Eccl. lib. 5, 1