Padri/Agostino/GraziaArb/GraziaArb.txt La grazia e il libero arbitrio A Valentino e ai suoi monaci 1.1 - Oscurità dell'argomento Molto ormai abbiamo discusso a motivo di quelli che nella loro predicazione osano negare la grazia di Dio e si provano ad eliminarla per rivendicare il libero arbitrio dell'uomo. Eppure è per mezzo di questa che noi siamo chiamati a lui e veniamo liberati dai nostri demeriti; per mezzo di questa ci acquistiamo i meriti positivi con i quali pervenire alla vita eterna. Quanto il Signore si è degnato di donarci lo abbiamo affidato agli scritti. Ma alcuni sostengono la grazia di Dio in maniera tale da negare il libero arbitrio dell'uomo, o pensano che sostenendo la grazia si neghi il libero arbitrio; per questo motivo, spinto dal reciproco sentimento di affezione, mi sono preoccupato di indirizzare qualcosa per iscritto alla Carità tua, fratello Valentino, e di voi tutti che insieme servite Dio. Infatti mi sono state portate notizie a vostro riguardo, fratelli, da parte di alcuni che appartengono alla vostra comunità e che da essa sono venuti presso di noi; poiché su tale questione avete delle divergenze, abbiamo approfittato di queste stesse persone per indirizzarvi il nostro scritto. Dunque, o carissimi, perché non vi turbi l'oscurità di questo problema, vi esorto in primo luogo a rendere grazie a Dio di quelle cose che comprendete; ma qualunque cosa vi sia a cui lo sforzo della vostra mente non possa ancora pervenire, osservando la pace e la carità fra di voi, pregate dal Signore di capire. E finché egli stesso non vi guidi a quei punti che ancora non capite, camminate lì dove avete avuto le forze di pervenire. A ciò ammonisce l'apostolo Paolo, il quale, dopo aver detto di non essere ancora perfetto, poco dopo afferma: Tutti noi dunque, che siamo perfetti, è così che dobbiamo pensare; cioè, che noi siamo sì perfetti, ma non in maniera tale da essere già arrivati alla perfezione che ci è sufficiente; e poi aggiunge: E se su qualche cosa la pensate diversamente, Dio vi concederà la rivelazione anche su questo; tuttavia, nel punto a cui siamo giunti, lì continuiamo a camminare. ( Fil 3,15-16 ) Camminando infatti lì dove siamo giunti, potremo arrivare anche al punto a cui non siamo ancora pervenuti; sarà Dio a darci la rivelazione se in qualcosa la pensiamo diversamente, a patto che non abbandoniamo ciò che ci ha già rivelato. 2.2 - L'uomo è in possesso del libero arbitrio: le Scritture sottraggono la scusa dell'ignoranza D'altra parte per mezzo delle Scritture sue sante ci ha rivelato che c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà. In qual maniera poi lo abbia rivelato, ve lo ricordo non con le mie parole umane, ma con quelle divine. In primo luogo gli stessi precetti divini non gioverebbero all'uomo, se egli non avesse il libero arbitrio della propria volontà per mezzo del quale adempie questi precetti e giunge quindi ai premi promessi. Infatti essi sono stati dati per questo, perché l'uomo non potesse addurre la giustificazione dell'ignoranza, come il Signore dice nel Vangelo riguardo ai Giudei: Se io non fossi venuto e non avessi parlato a loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno giustificazioni per il peccato. ( Gv 15,22 ) Di quale peccato parla, se non di quello grande che Egli, pronunciando queste parole, già prevedeva in loro, cioè quello della sua uccisione? E infatti non erano certo privi di ogni peccato prima che Cristo venisse presso di essi fatto carne. È così che dice l'Apostolo: Si discopre l'ira di Dio dal cielo contro ogni empietà e ingiustizia di quegli uomini che imprigionano la verità nella scelleratezza, perché ciò che di Dio è noto, è loro svelato; infatti Dio lo manifestò ad essi. Le sue perfezioni invisibili, a partire dalla creazione del mondo, per mezzo delle opere che sono state compiute, si scorgono attraverso l'intelletto; ed anche la sua sempiterna potenza e divinità, così che sono inescusabili. ( Rm 1,18-20 ) In quale senso può dire inescusabili, se non riferendosi a quella scusa che l'umana superbia ha l'abitudine di addurre: "Se avessi saputo, lo avrei fatto; non l'ho fatto appunto perché non lo sapevo"? Oppure: "Se sapessi, lo farei; non lo faccio appunto perché non so"? Ma questa scusa viene loro sottratta, quando si formula un precetto o quando s'impartiscono le cognizioni per non peccare. 2.3 - L'uomo non può giustificarsi chiamando in causa Dio Ma ci sono uomini che cercano di giustificarsi perfino mettendo avanti Dio stesso, e a loro dice l'apostolo Giacomo: Nessuno, quando è tentato, dica: È da Dio che sono tentato. Dio infatti non è tentatore al male; Egli al contrario non tenta nessuno. Ma ognuno è tentato perché attratto ed allettato dalla propria concupiscenza; poi la concupiscenza, quando ha concepito, genera il peccato; e il peccato, quando è stato commesso, genera la morte. ( Gc 1,13-15 ) Sempre a coloro che vogliono scusarsi prendendo a giustificazione Dio stesso, risponde il libro dei Proverbi di Salomone: La stoltezza dell'uomo stravolge le sue vie; e invece nel suo cuore egli accusa Dio. ( Pr 19,3 ) E il libro dell'Ecclesiastico afferma: Non dire: È a causa del Signore che ho deviato; infatti tu non fare ciò che Egli detesta. Non dire: È perché Egli stesso mi ha tratto in errore; infatti Egli non ha bisogno di uomini peccatori. Il Signore odia ogni turpitudine e questa non è cosa che si possa amare da parte di coloro che lo temono. Egli all'inizio creò l'uomo e lo lasciò in mano al proprio consiglio. Se vorrai, osserverai ciò che ti viene prescritto e la completa fedeltà a ciò che a Lui piace. Egli ti mette davanti il fuoco e l'acqua; stendi la mano verso ciò che vorrai. Dinanzi agli occhi dell'uomo c'è la vita e la morte, e gli sarà data quella delle due che gli piacerà. ( Sir 15,11-18 ) Ecco che vediamo espresso nella maniera più lampante il libero arbitrio della volontà umana. 2.4 - I precetti divini provano il libero arbitrio E che significa il fatto che Dio ordina in tanti passi di osservare e di compiere tutti i suoi precetti? Come lo può ordinare, se non c'è il libero arbitrio? E quel beato di cui il Salmo dice che la sua volontà fu nella legge del Signore, ( Sal 1,2 ) non chiarisce forse abbastanza che l'uomo perdura di propria volontà nella legge di Dio? E poi sono tanto numerosi i precetti che in un modo o nell'altro fanno riferimento nominale proprio alla volontà, come per esempio: Non voler essere vinto dal male; ( Rm 12,21 ) e altri simili, come: Non vogliate diventare come il cavallo e il mulo, che non possiedono l'intelletto; ( Sal 32,9 ) poi: Non voler respingere i consigli della madre tua; ( Pr 1,8 ) e: Non voler essere saggio di fronte a te stesso; ( Pr 3,7 ) Non voler trascurare la disciplina del Signore; ( Pr 3,11 ) Non voler dimenticare la legge; ( Pr 3, 1; Pr 4,2 ) Non voler fare a meno di beneficare chi ha bisogno; ( Pr 3,27 ) Non voler macchinare cattiverie contro il tuo amico; ( Pr 3,29 ) Non voler dar retta alla donna maliziosa; ( Pr 5,2 ) Non ha voluto apprendere ad agire bene; ( Sal 36,4 ) Non vollero accettare la disciplina. ( Pr 1,29 ) Gli innumerevoli passi di questo genere nei Testi antichi della parola divina che cosa dimostrano, se non il libero arbitrio della volontà umana? E anche i nuovi Libri dei Vangeli e degli Apostoli è proprio questo che rendono chiaro, quando dicono: Non vogliate ammucchiarvi tesori sulla terra; ( Mt 6,19 ) e: Non vogliate temere coloro che uccidono il corpo; ( Mt 10,28 ) Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso; ( Mt 16,24; Lc 9,23 ) Pace in terra agli uomini di buona volontà. ( Lc 2,14 ) E anche l'apostolo Paolo dice: Faccia quello che vuole, non pecca se sposa; ma chi ha preso una risoluzione nel suo cuore, non avendo necessità, ma anzi piena padronanza del proprio volere, e questo ha stabilito, di conservare la sua vergine, fa bene. ( 1 Cor 7,36-37 ) Alla stessa maniera dice ancora: Se faccio ciò volontariamente, ne ricevo ricompensa; ( 1 Cor 9,17 ) e in un altro passo: Siate sobri giustamente, e non vogliate peccare; ( 1 Cor 15,34 ) poi: Come l'animo è pronto a volere, così lo sia anche nell'adempiere. ( 2 Cor 8,11 ) E a Timoteo dice: Infatti dopo che hanno vissuto in Cristo fra le delicatezze, vogliono sposarsi; ( 1 Tm 5,11 ) e altrove: Ma anche tutti coloro che vogliono vivere pienamente in Cristo Gesù, soffriranno persecuzione; ( 2 Tm 3,12 ) e a Timoteo personalmente: Non voler trascurare la grazia che è in te; ( 1 Tm 4,14 ) e a Filemone: Affinché il tuo beneficio non provenisse come da una necessità ma dalla tua volontà. ( Fm 14 ) Ammonisce anche gli stessi schiavi a servire i propri padroni di cuore e con buona volontà. ( Ef 6,6-7 ) Parimenti Giacomo esorta: Non vogliate dunque errare, fratelli miei, e mettere la fede del nostro Signore Gesù Cristo in relazione a riguardi personali; ( Gc 2,1 ) e: Non vogliate dir male l'uno dell'altro. ( Gc 4,11 ) Allo stesso modo dice Giovanni nella sua epistola: Non vogliate amare il mondo; ( 1 Gv 2,15 ) e così tutti gli altri passi di tal genere. Quindi certamente quando si dice: Non volere questo o non volere quello, e quando negli ammonimenti divini a fare o a non fare qualcosa si richiede l'opera della volontà, il libero arbitrio risulta sufficientemente dimostrato. Nessuno dunque, quando pecca, accusi Dio nel suo cuore, ma ciascuno incolpi se stesso; e quando compie un atto secondo Dio, non ne escluda la propria volontà. Quando infatti uno agisce di proprio volere, è allora che bisogna parlare di opera buona ed è allora che per quest'opera buona bisogna sperare la ricompensa da Colui del quale è detto: Renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Mt 16,27; Rm 2,6; Ap 22,12 ) 3.5 - L'ignoranza dei precetti divini non giustifica l'uomo Dunque a quelli che conoscono i precetti divini, viene sottratta la giustificazione che gli uomini sono soliti far valere quando mettono avanti l'ignoranza. Ma non rimarranno senza castigo neppure quelli stessi che ignorano la legge di Dio. Infatti coloro che hanno peccato senza la legge, senza la legge periranno; ma quelli che hanno peccato nella legge, attraverso la legge saranno giudicati. ( Rm 2,12 ) E a me non sembra che le parole dell'Apostolo abbiano questo significato: coloro che peccando non conoscono la legge, subiranno una forma di castigo peggiore di quelli che la conoscono. Certo perire sembra cosa peggiore che venir giudicati, ma egli dice ciò a proposito di pagani e Giudei; ora, se quelli sono senza la legge, questi invece la legge l'hanno ricevuta. Chi oserà dunque dire che i Giudei, che peccano nella legge, non periranno, perché non hanno creduto in Cristo? È un fatto che di essi è detto: Saranno giudicati attraverso la legge. Ora senza la fede in Cristo nessuno può essere assolto; e perciò non potrà essere che uno il giudizio su di loro: essi periranno. Infatti se è peggiore la condizione di coloro che non conoscono la legge rispetto a coloro che la conoscono, non sarebbe più vero ciò che il Signore dice nel Vangelo: Il servo che non conosce la volontà del suo padrone e fa cose da meritare percosse, sarà battuto moderatamente; ma il servo che conosce la volontà del suo padrone e fa cose da meritare percosse, sarà battuto assai. ( Lc 12, 48.47 ) Ecco dove si dimostra che l'uomo consapevole pecca più gravemente di quello inconsapevole. Eppure non per questo bisogna rifugiarsi nelle tenebre dell'ignoranza, in modo che ognuno possa cercare in esse la propria giustificazione. Infatti una cosa è non aver saputo, e un'altra non aver voluto sapere. Certamente è la volontà che viene messa sotto accusa in colui del quale si dice: Non ha voluto apprendere ad agire bene. ( Sal 36,4 ) Ma anche se ci troviamo di fronte non all'ignoranza di chi non vuol sapere, ma di chi, per così dire, non sa, questa pure non assolve nessuno dall'ardere nel fuoco eterno; e ciò vale anche se uno non ha creduto perché non ha udito assolutamente nulla in cui credere. Se mai, in questo caso, arderà in maniera più mite. Infatti non senza causa è stato detto: Riversa la tua ira sulle genti che non ti conoscono; ( Sal 79,6 ) e in questo senso si esprime anche l'Apostolo: Quando verrà nel divampare del fuoco a trarre vendetta di quelli che ignorano Dio. ( 2 Ts 1,8 ) Al contrario, per acquistare questa conoscenza e perché nessuno possa dire: Non ho saputo, non ho udito, non ho compreso, si chiama in causa la volontà umana, quando si dice: Non vogliate essere come il cavallo e il mulo, che non possiedono l'intelletto. ( Sal 32,9 ) È anche vero comunque che appare peggiore colui del quale si dice: Il servo ostinato non si potrà correggere con le parole; infatti se capirà, non obbedirà. ( Pr 29,19 ) Quando poi l'uomo afferma: Non posso fare quello che viene ordinato, perché sono vinto dalla mia concupiscenza, ( Rm 7,18 ) già a questo punto non adduce più la giustificazione dell'ignoranza, né in cuor suo accusa più Dio, ma riconosce in sé il male e se ne duole; tuttavia a lui dice l'Apostolo: Non voler essere vinto dal male, ma vinci il male con il bene. ( Rm 12,21 ) E appunto se ad uno è detto: Non voler essere vinto, si fa richiamo senza dubbio all'arbitrio della sua volontà. Infatti volere e non volere appartengono alla volontà dell'individuo. 4.6 - Per affermare il libero arbitrio non bisogna negare la grazia C'è però un pericolo: tutte queste testimonianze divine in difesa del libero arbitrio, e quante altre ve ne sono, senza alcun dubbio numerosissime, potrebbero essere intese in maniera tale da non lasciare spazio all'aiuto e alla grazia di Dio, necessari per la vita pia e le buone pratiche alle quali è dovuta la mercede eterna. Inoltre l'uomo nella sua miseria, quando vive bene e opera bene, o piuttosto si crede di vivere bene ed operare bene, potrebbe gloriarsi in se stesso e non nel Signore e riporre nella sua persona la speranza di vivere rettamente; allora lo coglierebbe la maledizione del profeta Geremia, che dice: Maledetto l'uomo che ha sperato nell'uomo e fa forza nella carne del braccio suo, mentre il suo cuore si allontana dal Signore. ( Ger 17,5 ) Comprendete, o fratelli, questa testimonianza del Profeta. Dato infatti che egli non ha detto: Maledetto l'uomo che ha speranza in se stesso, a qualcuno potrebbe sembrare che l'espressione: Maledetto l'uomo che ha speranza nell'uomo, vada presa nel senso che nessuno deve avere speranza in un altro uomo, ma in se stesso sì. Dunque, per mostrare che l'avvertimento per l'uomo è di non avere speranza neppure in se stesso, se prima ha detto: Maledetto l'uomo che ha speranza nell'uomo, poi aggiunge: e fa forza nella carne del braccio suo. Ma nel termine carne bisogna intendere la fragilità umana; e per questo fa forza sulla carne del braccio suo chi pensa che una potenza fragile e debole, come quella umana, gli sia sufficiente per bene operare e non spera aiuto nel Signore. Proprio perciò aggiunge: e il suo cuore si allontana dal Signore. Di questo genere è l'eresia pelagiana, che non è di quelle antiche, ma è sorta non molto tempo fa; contro questa eresia, dopo che si è disputato tanto a lungo, c'è stato bisogno di ricorrere ultimamente anche a concili episcopali, per cui ho voluto inviarvi una relazione non certo di tutti gli argomenti, ma almeno di qualche parte. Dunque noi per il bene operare non dobbiamo riporre la speranza nell'uomo, facendo forza sulla carne del braccio nostro, e il nostro cuore non si deve allontanare dal Signore, anzi gli dica: Sii il mio sostegno, non abbandonarmi e non spregiarmi, Dio, salvatore mio. ( Sal 27,9 ) 4.7 - Il libero arbitrio richiede il soccorso della grazia: testimonianze divine: 1) sulla continenza monastica; Fin qui, carissimi, abbiamo provato, con le testimonianze delle sante Scritture citate sopra, che per vivere bene e agire rettamente c'è nell'uomo il libero arbitrio della volontà; ma adesso vediamo anche quali siano le testimonianze divine sulla grazia di Dio, senza la quale nulla di buono possiamo compiere. E in primo luogo dirò qualcosa proprio su ciò che voi professate. Infatti non vi accoglierebbe questa comunità nella quale vivete in continenza, se non disprezzaste i piaceri coniugali. È qui il punto: quando i discepoli obiettarono ai ragionamenti del Signore: Se tale è la condizione dell'uomo con la moglie, non conviene sposare, egli rispose loro: Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli ai quali è concesso. ( Mt 19,10-11 ) Non è forse al libero arbitrio di Timoteo che l'Apostolo rivolge la sua esortazione dicendo: Mantieni puro te stesso ? ( 1 Tm 5,22 ) E proprio riguardo a questo consiglio dimostra il potere della volontà, quando dice: Non avendo necessità, ma anzi piena padronanza del proprio volere, di conservare la sua vergine. ( 1 Cor 7,37 ) Eppure: Non tutti comprendono questa parola, ma solo quelli ai quali è concesso. Infatti coloro ai quali non è concesso, o non vogliono o non riescono a portare a termine ciò che vogliono; mentre coloro ai quali è concesso, vogliono così da compiere ciò che vogliono. Ora, il fatto che questa parola, che non è compresa da tutti, sia compresa da alcuni, è insieme dono di Dio e libero arbitrio. 4.8 - 2) sulla continenza coniugale; E proprio della pudicizia coniugale l'Apostolo dice precisamente: Faccia ciò che vuole, non pecca se sposa; ( 1 Cor 7,36 ) e tuttavia anche questo è dono di Dio, poiché la Scrittura dice: La moglie è congiunta al marito dal Signore. ( Pr 19, 14 sec. LXX ) Perciò il Dottore delle Genti loda nella sua lettera sia la pudicizia coniugale, per mezzo della quale non si commettono adultèri, sia la più compiuta continenza, per mezzo della quale non si ricerca nessun rapporto carnale; e dimostra che sia questa sia quella sono un dono di Dio, quando nella lettera ai Corinzi esorta i coniugi a non sottrarsi a vicenda il debito coniugale. Dopo questa raccomandazione aggiunge: Vorrei certo che tutti fossero come me stesso, perché egli personalmente si asteneva del tutto da ogni rapporto; e subito dopo continua: Ma ciascuno ha da Dio il proprio dono, uno in un modo e l'altro in un altro. ( 1 Cor 7,7 ) Nella legge di Dio ci sono moltissimi precetti contro le fornicazioni e gli adultèri; cos'altro indicano se non il libero arbitrio? Non verrebbero certo impartiti se l'uomo non avesse una volontà propria, con la quale obbedire alle norme divine. E tuttavia questo è un dono di Dio, e senza di esso non si possono osservare le norme della castità. Perciò si dice nel libro della Sapienza: Sapendo che nessuno può essere continente se non lo concede Dio; e questo stesso apparteneva alla sapienza: sapere di chi fosse questo dono. ( Sap 8,21 ) Ma a non osservare questi santi precetti di castità, ciascuno è tentato perché attratto ed allettato dalla propria concupiscenza. ( Gc 1,14 ) A questo punto se qualcuno dicesse: Voglio osservare la castità, ma sono vinto dalla mia concupiscenza, la Scrittura risponde al suo libero arbitrio quello che ho già detto sopra: Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene. ( Rm 12,21 ) Ma perché ciò sia fatto, presta aiuto la grazia; e se questa nega il suo soccorso, la legge non sarà null'altro che la forza del peccato. Infatti la concupiscenza cresce e riceve forze maggiori dalle proibizioni della legge, a meno che lo spirito della grazia non venga in aiuto. Questo è quello che esprime ancora il Dottore delle Genti: Aculeo della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge. ( 1 Cor 15,56 ) Ecco per qual motivo l'uomo dice: Voglio osservare il precetto della legge, ma sono vinto dalla forza della mia concupiscenza. E quando si chiama in causa la sua volontà, e si dice: Non lasciarti vincere dal male, a che gli giova questo, se la grazia non presta il suo soccorso per mettere in pratica l'intenzione? Ed è secondo questo concetto che l'Apostolo prosegue; dopo aver detto: La forza del peccato è la legge, subito aggiunge: Ma rendiamo grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo. ( 1 Cor 15,57 ) Dunque anche la vittoria con la quale si vince il peccato nient'altro è se non un dono di Dio, che in questa lotta aiuta il libero arbitrio. 4.9 - 3) sulla concupiscenza in generale Per questo anche il Maestro celeste dice: Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. ( Mt 26,41 ) Dunque ciascuno, lottando contro la sua concupiscenza, preghi per non entrare in tentazione, cioè per non essere da quella attratto ed allettato. Ma non entra in tentazione, se vince con la volontà buona la cattiva concupiscenza. Eppure non è sufficiente l'arbitrio della volontà umana, a meno che la vittoria non sia concessa dal Signore a chi prega per non entrare in tentazione. Che cosa in realtà si manifesta più chiaramente della grazia divina, quando si riceve quello che si prega? In effetti se il nostro Salvatore avesse detto: Vegliate per non entrare in tentazione, sembrerebbe ammonire esclusivamente la volontà dell'uomo; ma quando aggiunge: e pregate, dimostra che è Dio a fornire l'aiuto per non entrare in tentazione. Si rivolge al libero arbitrio l'avvertimento: Figlio, non trascurare la disciplina del Signore; ( Pr 3,11 ) e nello stesso tempo il Signore dice: Io ho pregato per te, Pietro, perché la tua fede non venga meno. ( Lc 22,32 ) L'uomo dunque riceve aiuto dalla grazia perché non sia inutile dare ordini alla sua volontà. 5.10 - Anche la nostra conversione avviene per grazia di Dio … Quando Dio dice: Rivolgetevi verso di me e io mi rivolgerò verso di voi, ( Zc 1,3 ) uno dei due elementi sembra essere quello della nostra volontà, per cui siamo noi che dobbiamo rivolgerci verso di lui; l'altro invece sembra essere la grazia, per cui anch'egli da parte sua si rivolge verso di noi. E proprio qui i pelagiani possono pensare di veder comprovata la loro opinione, in base alla quale sostengono che la grazia di Dio è concessa secondo i nostri meriti. Ma in realtà questo non osò affermarlo neppure Pelagio, quando in Oriente, cioè nella provincia della Palestina dove si trova la città di Gerusalemme, fu ascoltato in persona dai vescovi. Infatti tra le altre obiezioni che gli furono avanzate gli fu messa di fronte la sua affermazione che la grazia di Dio è assegnata secondo i nostri meriti; ma ciò è così alieno dalla dottrina cattolica e così contrario alla grazia di Cristo, che se egli non avesse rivolto da solo l'anatema contro questa tesi, sarebbe uscito di lì colpito da anatema lui stesso. Ma che egli avesse emesso una condanna bugiarda lo rivelano i suoi libri successivi, nei quali non sostiene assolutamente nient'altro se non che la grazia di Dio è assegnata secondo i nostri meriti. Infatti i pelagiani raccolgono dalle Scritture i passi del genere di questo che ho già ricordato in particolare: Rivolgetevi verso di me e io mi rivolgerò verso di voi, interpretandoli nel senso che secondo il merito della nostra conversione a lui ci è data la grazia nella quale anch'egli si rivolge a noi. Ma quelli che pensano ciò non riflettono che se anche la nostra stessa conversione a Dio non fosse un dono, non si direbbe a lui: Dio delle virtù, convertici a te; ( Sal 80,8 ) e: Dio, tu convertendoci a te ci vivificherai; e: Convertici a te, Dio della nostra salvezza; ( Sal 85,7 ) e altri passi di questo genere, che sarebbe lungo ricordare. Infatti anche venire a Cristo che altro è se non rivolgersi a lui per credere? Eppure egli dice: Nessuno può venire a me, se non gli è stato concesso dal Padre mio. ( Gv 6,66 ) 5.11 - … contro la tesi pelagiana che la grazia è data secondo i nostri meriti Allo stesso modo quello che è scritto nel libro secondo dei Paralipomeni: Il Signore è con voi quando siete con lui, e se lo cercherete lo troverete; ma se lo lascerete vi abbandonerà, ( 2 Cr 15,2 ) indica certo chiaramente l'arbitrio della volontà. Ma quelli che sostengono che la grazia di Dio è data secondo i nostri meriti, prendono queste testimonianze in altro senso e dicono che il nostro merito consiste in questo, che siamo con Dio; e secondo questo merito ci è concessa la sua grazia affinché anch'egli sia con noi. Allo stesso modo il nostro merito è nel fatto che lo cerchiamo; e secondo questo merito ci è concessa la sua grazia, affinché lo troviamo. Anche le espressioni del libro primo: E tu, Salomone, figlio mio, riconosci Iddio, e servilo in perfezione di cuore e con anima volenterosa, perché il Signore scruta tutti i cuori e conosce ogni pensiero della mente; se lo cercherai, ti si rivelerà, e se lo abbandonerai, ti respingerà in perpetuo, ( 1 Cr 28,9 ) dimostrano con evidenza l'arbitrio della volontà. Ma essi scorgono il merito dell'uomo nelle parole: se lo cercherai, e vedono la grazia concessa secondo questo merito, in quanto è detto: ti si rivelerà. E si danno da fare in tutte le maniere possibili a dimostrare che la grazia di Dio è concessa secondo i nostri meriti: in definitiva che la grazia non è grazia. Infatti per quelli ai quali si rende secondo il merito, la mercede non è computata secondo la grazia, ma secondo il debito, ( Rm 4,4 ) come chiarissimamente dice l'Apostolo. 5.12 - L'esempio di S Paolo In effetti l'apostolo Paolo, quando perseguitava la Chiesa, un merito lo aveva certamente, ma era un merito negativo; per cui dice: Non sono degno di essere chiamato Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. ( 1 Cor 15,9 ) Allora, se aveva questo merito nel male, gli fu reso bene per male; perciò prosegue col dire: Ma per grazia di Dio sono quello che sono. E per mostrare anche il libero arbitrio aggiunge poi: E la sua grazia in me non fu vana, ma mi sono adoperato più di tutti loro. ( 1 Cor 15,10 ) Questo libero arbitrio dell'individuo egli lo sprona anche negli altri, dicendo: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. ( 2 Cor 6,1 ) Ma in qual maniera li potrebbe esortare a questo, se ricevendo la grazia perdessero la propria volontà? Tuttavia perché non si pensi che la buona volontà di per se stessa possa fare qualcosa di buono senza la grazia di Dio, subito dopo aver detto: La sua grazia in me non fu vana, ma mi sono adoperato più di tutti loro, aggiunge: Non io però, ma la grazia di Dio con me. ( 1 Cor 15,10 ) Evidentemente vuol dire: "Non da solo, ma la grazia di Dio era con me"; e perciò non intende parlare né della grazia di Dio sola, né di se stesso da solo, ma della grazia di Dio insieme con lui. Ma quando fu chiamato dal cielo e fu convertito da una chiamata così grande ed efficace, la grazia di Dio era sola, perché quello che aveva meritato era grande, ma in senso cattivo. Infine in un altro passo dice a Timoteo: Soffri con me per il Vangelo, secondo la forza di Dio che ci fa salvi e che ci chiama con la sua santa vocazione, non secondo le nostre opere, ma secondo il suo decreto e la sua grazia, che ci è stata data in Cristo Gesù. ( 2 Tm 1,8-9 ) Parimenti ricordando ciò che si era meritato, ma con la malvagità, dice: Anche noi infatti siamo stati stolti un tempo e increduli, sbagliando e assoggettandoci a desideri e piaceri vari, operando nella malizia e nell'invidia, detestabili, odiandoci tra di noi. ( Tt 3,3 ) Per tutto quello che si era meritato con la sua malvagità che cosa gli era dovuto sicuramente se non un castigo? Ma poiché Dio rende dei beni in cambio di mali per mezzo della grazia che non è data secondo i nostri meriti, avvenne quello che poi aggiunge dicendo: Ma quando incominciò a splendere la bontà e l'amore per l'uomo da parte di Dio nostro Salvatore, egli ci salvò non in seguito alle opere di giustizia che abbiamo compiuto noi, ma secondo la sua misericordia, attraverso il lavacro della rigenerazione e del rinnovamento nello Spirito Santo, che egli ha sparso con estrema ricchezza su di noi, per mezzo di Gesù Cristo nostro Salvatore, affinché giustificati dalla sua grazia diveniamo eredi della vita eterna nella speranza. ( Tt 3,4-7 ) 6.13 - Le nostre opere buone seguono il dono della grazia Da queste testimonianze divine è provato che la grazia di Dio non è concessa secondo i nostri meriti, dal momento che la vediamo attribuita non solo senza che uno abbia meritato precedentemente in senso buono, ma anche dopo che abbia meritato numerose volte in senso cattivo. Anzi possiamo costatare che proprio in questo modo viene data ogni giorno. Chiaramente una volta che è stata data, allora cominciamo ad acquisire anche meriti nel bene, ma sempre attraverso di essa; infatti se essa ci si sottrae, l'uomo cade, non innalzato, ma abbattuto dal libero arbitrio. Per questa ragione neppure quando l'uomo ha cominciato ad avere meriti nel bene deve attribuirli a se stesso, bensì a Dio, a cui si dice nel Salmo: Sii il mio sostegno, non abbandonarmi. ( Sal 27,9 ) Se dice: Non abbandonarmi, dimostra che se sarà abbandonato, egli di per se stesso non sarà più capace di alcun bene; per cui dice ancora: Io dissi nella mia prosperità: Non vacillerò in eterno. ( Sal 30,7 ) Egli aveva pensato che a lui appartenesse il bene di cui abbondava a tal punto da non vacillare; ma perché gli fosse rivelato a chi apparteneva ciò di cui aveva cominciato a gloriarsi come fosse suo, la grazia l'abbandonò appena un poco ed egli, raccolto l'ammonimento, disse: Signore, nella tua volontà prestasti al mio onore la potenza, ma distogliesti da me il tuo volto e io sono stato confuso. ( Sal 30,8 ) Perciò all'uomo, se è empio, non solo è necessario essere giustificato dalla grazia di Dio, cioè passare dall'empietà alla giustizia, quando gli viene reso bene per male, ma anche quando sia già stato giustificato in seguito alla fede, è necessario che la grazia cammini con lui, ed egli si appoggi su di essa per non cadere. Per questo è scritto nel Cantico dei Cantici proprio riguardo alla Chiesa: Chi è questa che viene, resa candida, appoggiandosi al suo diletto? ( Ct 8,5 ) È stata resa candida quella che non potrebbe esserlo per se stessa. E da chi è stata resa candida, se non da Colui che per bocca del Profeta dice: Se i vostri peccati saranno come scarlatto, io li renderò candidi come neve ? ( Is 1,18 ) Quando ella è stata resa candida, non meritava alcun bene, ma ormai resa candida procede rettamente, purché tuttavia si appoggi con perseveranza sopra Colui dal quale è stata resa candida. È per questo che anche Gesù stesso, sul quale si appoggia quella che è stata resa candida, disse ai suoi discepoli: Senza di me nulla potete fare. ( Gv 15,5 ) 6.14 - Ancora l'esempio di S. Paolo Dunque torniamo all'apostolo Paolo e vediamo che egli ha conseguito la grazia di Dio che rende bene per male senza aver prima meritato minimamente in bene, ma anzi abbondantemente in male; esaminiamo cosa dice quando ormai si avvicina al martirio, nella lettera a Timoteo: Io infatti ormai vengo immolato e il tempo della mia morte si avvicina. Ho combattuto il buon combattimento, ho portato a termine la mia corsa, ho serbato la fede. ( 2 Tm 4,6-7 ) Egli ricorda ormai i suoi meriti nel bene; cosicché consegue la corona dopo aver meritato nel bene colui che conseguì la grazia dopo aver meritato nel male. Ora prestate attenzione a quello che segue: Mi rimane la corona della giustizia, che il Signore, giusto giudice, mi renderà in quel giorno. ( 2 Tm 4,8 ) A chi il giudice giusto renderebbe la corona, se il Padre misericordioso non avesse donato la grazia? E come ci sarebbe questa corona della giustizia, se non l'avesse preceduta la grazia che giustifica l'empio? In qual modo si renderebbe come dovuta la corona, se prima la grazia non fosse stata donata come gratuita? 6.15 - La vita eterna è il premio dei meriti che Dio ci ha donato Ma i pelagiani dicono che la sola grazia non concessa secondo i nostri meriti è quella per la quale si assolvono all'uomo i peccati; invece quella che è data alla fine, cioè la vita eterna, è concessa in base ai nostri meriti precedenti. Rispondiamo dunque a costoro. Se infatti essi concepissero i nostri meriti riconoscendo che anche questi stessi sono doni di Dio, il loro concetto non sarebbe da respingere; ma poiché esaltano i meriti umani a tal punto da sostenere che l'uomo li possiede di per se stesso, senz'altro con piena ragione risponde l'Apostolo: Chi infatti ti distingue? Cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non lo avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 ) A chi pensa così, con la massima verità si può rispondere: Dio corona non i tuoi meriti, ma i suoi doni, se i tuoi meriti ti provengono da te stesso e non da lui. Se questi infatti provengono da te, sono nel male e Dio non li corona; ma se sono nel bene, sono doni di Dio, perché, come dice l'apostolo Giacomo: Ogni concessione ottima e ogni dono perfetto viene dall'alto, discendendo dal Padre della luce. ( Gc 1,17 ) Per questo dice anche Giovanni, precursore di Gesù: L'uomo non può ricevere alcunché, se non gli viene dato dal cielo: ( Gv 3,27 ) sì, dal cielo, da cui venne anche lo Spirito Santo, quando Gesù ascese in alto, catturò la cattività, dette doni agli uomini. ( Sal 68,19; Ef 4,8 ) Se dunque i tuoi meriti nel bene sono doni di Dio, Dio non corona i tuoi meriti come tuoi meriti, ma come suoi doni. 7.16 - Le parole di S. Paolo: Ho combattuto il buon combattimento … ho portato a termine la mia corsa Adesso consideriamo proprio i meriti dell'apostolo Paolo, ai quali egli disse che il giusto Giudice avrebbe reso la corona della giustizia, e vediamo se i meriti di lui appartengono proprio a lui, cioè sono stati acquistati da lui stesso, o sono doni di Dio. Ho combattuto il buon combattimento, ho portato a termine la mia corsa, ho serbato la fede. ( 2 Tm 4,7 ) In primo luogo queste opere buone, se non le avessero precedute pensieri buoni, sarebbero nulle. Fate attenzione dunque a quello che dice dei pensieri; egli afferma scrivendo ai Corinzi: Non è che siamo capaci di pensare qualcosa da soli, come venisse proprio da noi; ma la nostra sufficienza proviene da Dio. ( 2 Cor 3,5 ) Adesso esaminiamo ogni singola espressione: Ho combattuto il buon combattimento, dice. Io domando: Con quale energia ha combattuto? Con quella che aveva di per se stesso o con quella che gli fu data dall'alto? Ma guardiamoci bene dal sostenere che un così grande Dottore ignorasse la legge di Dio, la cui voce suona nel Deuteronomio: Non dire in cuor tuo: La mia forza e il vigore della mia mano mi hanno acquistato questa grande potenza; ma ti ricorderai del Signore Dio tuo, perché egli ti dà la forza di conquistare la potenza. ( Dt 8,17-18 ) A che giova infatti un giusto combattimento, se non segue la vittoria? E chi dà la vittoria, se non Colui del quale l'Apostolo dice: Rendiamo grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo? ( 1 Cor 15,57 ) E altrove, dopo aver ricordato la testimonianza del Salmo: Perché per causa tua siamo mandati a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello, ( Sal 44,22 ) aggiunge: Ma in tutto questo noi stravinciamo per mezzo di Colui che ci ha amati; ( Rm 8,36-37 ) dunque non dice: , ma: di lui che ci ha amati. Poi afferma: Ho portato a termine la mia corsa; ma questa espressione è dello stesso che altrove dice: Dunque non appartiene né a chi vuole né a chi corre, ma a Dio che ha misericordia. ( Rm 9,16 ) E questa frase in nessun modo consente di essere anche invertita, così che si possa dire: Non appartiene a Dio che ha misericordia, ma all'uomo che vuole e corre. Chiunque infatti osasse esprimersi così dimostrerebbe apertamente di contraddire l'Apostolo. 7.17 - Ho serbato la fede Infine ha detto: Ho serbato la fede; ma lo ha detto colui che altrove afferma: Ho ottenuto la misericordia di essere fedele. ( 1 Cor 7,25 ) Non ha detto: Ho ottenuto la misericordia perché ero fedele, ma: di essere fedele; con ciò dimostra che anche la stessa fede non si può avere se non per la misericordia di Dio, e che è dono di Dio. E questo lo insegna con estrema chiarezza quando dice: Per la grazia voi siete stati salvati mediante la fede, e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio. ( Ef 2,8 ) Infatti avrebbero potuto dire: Abbiamo ricevuto la grazia per il fatto che abbiamo creduto, attribuendo praticamente la fede a se stessi, la grazia a Dio; per questo l'Apostolo, dopo aver detto: mediante la fede, aggiunge: e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio. E poi, perché non dicessero di aver meritato tale dono con le proprie opere, subito dopo aggiunge: Non in seguito alle opere, affinché per caso qualcuno non si glori. ( Ef 2,9 ) Con ciò non ha negato o svuotato di valore le opere buone, perché dice che Dio rende a ciascuno secondo le sue opere, ( Rm 2,6 ) ma le opere provengono dalla fede, non la fede dalle opere; per questo le opere di giustizia ci provengono da Colui dal quale ci proviene anche la fede stessa, e della fede è detto: Il giusto vive della fede. ( Ab 2,4; Rm 1,17; Eb 10,38 ) 7.18 - La fede che opera attraverso la carità Però gli uomini non hanno compreso ciò che dice l'Apostolo: Noi pensiamo che l'uomo sia giustificato attraverso la fede senza le opere della legge, ( Rm 3,28 ) e hanno pensato che egli voglia dire questo: All'uomo basta la fede, anche se vive malvagiamente e non può vantare buone opere. Ma guardiamoci dall'attribuire tale concetto al Vaso di Elezione; anzi egli in un passo dice: Infatti in Cristo Gesù non vale alcunché né la circoncisione né la mancanza di essa, e poi aggiunge: ma la fede che opera attraverso la carità. ( Gal 5,6 ) E la fede è appunto quella che separa i fedeli del Signore dagli immondi demoni; infatti anch'essi, come dice l'apostolo Giacomo, credono e tremano, ( Gc 2,19 ) ma non operano bene. Dunque non hanno questa fede della quale vive il giusto, cioè quella che opera attraverso la carità, affinché Dio renda a lui la vita eterna secondo le sue opere. Ma poiché anche le stesse opere buone ci provengono da Dio, dal quale noi abbiamo parimenti la fede e la carità, appunto per questo il medesimo Dottore delle Genti dà il nome di grazia anche alla stessa vita eterna. 8.19 - La vita eterna è grazia? E da ciò nasce un problema non trascurabile, la cui soluzione dev'essere ricercata con l'intervento del Signore. Se infatti la vita eterna viene data in ricompensa delle opere buone, ( Mt 16,27 ) come dice la Scrittura in maniera estremamente chiara: Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere, ( Rm 2,6 ) in qual maniera la vita eterna può essere grazia, dato che la grazia non è assegnata in ricompensa alle opere, ma viene conferita gratuitamente? L'Apostolo appunto dice: A chi lavora, la mercede non è computata secondo la grazia, ma secondo il debito; ( Rm 4,4 ) e ancora: Un residuo è stato salvato per elezione della grazia, e subito aggiunge: Ma se è per grazia, allora non è per le opere; altrimenti la grazia non è più grazia. ( Rm 11,5-6 ) Dunque la vita eterna come può essere una grazia, se si acquista in seguito alle opere? O forse non è la vita eterna che l'Apostolo chiama grazia? Al contrario, egli si è espresso in una maniera che l'identificazione non si può negare; e non c'è bisogno nemmeno di un acuto intenditore, ma soltanto di uno che dia ascolto attentamente. Quando infatti afferma: La paga del peccato è la morte, subito aggiunge: Ma la grazia di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore. ( Rm 6,23 ) 8.20 - Risposta alla questione Dunque una tale questione non mi sembra che si possa sciogliere in nessun modo, se non intendendo che anche le nostre stesse opere buone, alle quali si conferisce la vita eterna, appartengono alla grazia di Dio. E il motivo è nelle parole del Signore Gesù: Senza di me nulla potete fare. ( Gv 15,5 ) E ancora l'Apostolo afferma: Per la grazia voi siete stati salvati mediante la fede, e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio; non in seguito alle opere, affinché per caso qualcuno non si glori. ( Ef 2,8-9 ) Egli vide senza meno che secondo l'opinione degli uomini questo concetto si potrebbe intendere nel senso che ai credenti non siano necessarie le opere buone, ma basti per essi la fede sola; e che inoltre gli uomini potrebbero gloriarsi per le opere buone, come se per compierle bastassero le loro sole forze. Perciò aggiunge subito: Infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù in vista delle opere buone che Dio approntò affinché noi camminiamo in esse. ( Ef 2,10 ) Dopo che ha detto, per dare risalto alla grazia di Dio: Non in seguito alle opere, affinché per caso qualcuno non si glori, per quale motivo, come spiegazione, aggiunge: Infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù, in vista delle opere buone? Come può stare allora: Non in seguito alle opere, affinché per caso qualcuno non si glori? Ma ascolta e comprendi: ciò non avviene in seguito alle opere, ossia ad opere che siano tue e ti derivino da te stesso, bensì in seguito alle opere in vista delle quali Dio ti foggiò, cioè ti dette forma e ti creò. Questo appunto significa: Infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù, in vista delle opere buone; non si tratta di quella creazione per la quale siamo stati fatti uomini, ma della creazione della quale chi era già uomo diceva: Crea in me un cuore puro, o Dio, ( Sal 51,12 ) e di cui dice l'Apostolo: Se dunque uno è in Cristo, è una nuova creazione; le vecchie cose sono passate. Ecco, sono divenute nuove, e tutte vengono da Dio. ( 2 Cor 5,17-18 ) Dunque siamo foggiati, cioè riceviamo forma e siamo creati in vista delle opere buone, che non siamo noi ad avere approntato, ma che Dio approntò, affinché noi camminiamo in esse. Pertanto, o carissimi, se la nostra vita buona altro non è che grazia di Dio, senza dubbio anche la vita eterna, che viene data in contraccambio alla vita buona, è grazia di Dio; ed essa pure viene data gratuitamente, perché è stata data gratuitamente la vita buona per la quale quella eterna viene concessa. Ma quella vita buona per cui viene concessa, è semplicemente grazia; in definitiva questa vita eterna che viene concessa per essa, poiché di essa è premio, è grazia per grazia, come una ricompensa che contraccambia la giustizia. E così si dimostra vero, perché è vero, che Dio renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Mt 16,27; Rm 2,6; Sal 62,13 ) 9.21 - Grazia per grazia Ma forse voi volete sapere se abbiamo letto l'espressione grazia per grazia nei Libri santi. Bene: avete il Vangelo secondo Giovanni, che splende di tanta luce, dove Giovanni Battista dice di Cristo nostro Signore: Noi dalla pienezza di lui abbiamo ricevuto, e grazia per grazia. ( Gv 1,16 ) Pertanto dalla pienezza di lui abbiamo ricevuto, in proporzione alla nostra capacità, come delle particelle nostre proprie affinché viviamo da buoni, secondo la misura della fede che Dio ha distribuito; ( Rm 12,3 ) poiché ciascuno ha da Dio il proprio dono, l'uno in un modo, l'altro in un altro, ( 1 Cor 7,7 ) questa è appunto la grazia. Ma in aggiunta riceveremo anche grazia per grazia, quando ci sarà concessa la vita eterna, di cui l'Apostolo dice: Ma grazia di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore, dopo aver affermato: La paga del peccato è la morte. ( Rm 6,23 ) E giustamente è detta una paga, perché a chi combatte nelle file diaboliche la morte eterna viene conferita come un debito. In quel passo avrebbe potuto dire, e con piena correttezza: Paga della giustizia è la vita eterna; ma ha preferito dire: Ma grazia di Dio è la vita eterna, affinché di qui potessimo capire che Iddio non ci conduce alla vita eterna per i nostri meriti, ma per la sua misericordia. E di questo parla l'uomo del Signore nel Salmo, quando dice all'anima sua: Colui che ti incorona di pietà e misericordia. ( Sal 103,4 ) Non si rende forse una corona alle opere buone? Ma dato che ad operare le opere buone nei buoni, è Colui del quale è detto: È Dio che opera in voi il volere e l'operare, secondo il suo beneplacito, ( Fil 2,13 ) è per questo che dice il Salmo: Ti incorona di pietà e misericordia, perché per sua misericordia compiamo le opere buone, alle quali si rende la corona. Effettivamente non bisogna pensare che egli abbia eliminato il libero arbitrio, perché ha detto: È Dio che opera in voi il volere e l'operare, secondo il suo beneplacito. Se fosse così non avrebbe detto sopra: Adoperatevi alla vostra salvezza con tremore e timore. ( Fil 2,12 ) Quando infatti si ordina ad essi di adoperarsi, si chiama in causa il loro libero arbitrio; ma se dice: con tremore e timore, è perché non si attribuiscano il fatto di operare bene e non si glorino delle opere buone come se appartenessero a loro. Ma l'Apostolo, come se gli fosse rivolta la domanda: Perché hai detto: con tremore e timore? fornisce la spiegazione di queste parole con la frase: È Dio che opera in voi. Infatti se voi temete e tremate, non vi potete gloriare delle opere buone come se fossero vostre, perché è Dio che opera in voi. 10.22 - Attraverso la legge la conoscenza del peccato; attraverso la fede la giustificazione Allora, fratelli, voi attraverso il libero arbitrio dovete appunto non fare il male e compiere il bene: è questo che ci prescrive la legge di Dio nei Libri santi, sia dell'Antico, sia del Nuovo Testamento. Ma leggiamoli e con l'aiuto del Signore cerchiamo di capire l'Apostolo quando dice: Perché nessun essere umano sarà giustificato per mezzo della legge davanti a lui; anzi per mezzo della legge si ha la cognizione del peccato. ( Rm 3,20 ) Ha detto la cognizione, non l'abolizione. Ma quando l'uomo conosce il peccato, se non interviene l'aiuto della grazia a fargli evitare ciò che ormai conosce, senza dubbio la legge provoca lo sdegno. Proprio questo dice l'Apostolo in persona in un altro passo; e queste sono parole sue: La legge provoca lo sdegno. Così si è espresso perché l'ira di Dio è più forte nei confronti del trasgressore, che conosce per mezzo della legge il peccato e tuttavia lo commette; è appunto in questo caso che l'uomo è un trasgressore della legge, come spiega in un altro passo: Dove non c'è legge, non c'è neppure trasgressione. ( Rm 4,15 ) Per questo è detto anche altrove: Affinché serviamo nella novità dello spirito, non nell'antichità della lettera; ( Rm 7,6 ) con l'espressione: l'antichità della lettera vuol fare intendere la legge, ma la novità dello spirito che cos'è se non la grazia? E per non far pensare che egli voglia accusare o riprendere la legge, subito si pone la domanda: Dunque che diremo? Che la legge è peccato? Nemmeno lontanamente. E continua: Ma non ho conosciuto il peccato se non per mezzo della legge; è la stessa frase che aveva già detto: Per mezzo della legge si ha la cognizione del peccato. Infatti - dice - io non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non dicesse: Non desiderare. Ma colta l'occasione, il peccato attraverso questo precetto ha operato in me ogni concupiscenza; effettivamente senza la legge il peccato è morto. Io un tempo senza la legge vivevo; ma, sopraggiunto il precetto, il peccato è risorto, e io perdetti la vita; il precetto che aveva per scopo la vita si trovò per me a risolversi nella morte; il peccato infatti, colta l'occasione, attraverso il precetto mi ha tratto in fallo e per mezzo di quello mi ha ucciso. Pertanto la legge è certo santa, e il precetto è santo, giusto e buono. Dunque ciò che è buono, per me è divenuto morte? Nemmeno lontanamente. Ma il peccato per manifestarsi come peccato, attraverso ciò che è buono mi ha prodotto la morte, affinché attraverso il precetto il peccatore o il peccato oltrepassasse ogni misura. ( Rm 7,7-13 ) E ai Galati dice: Sapendo che l'uomo non è giustificato grazie alle opere della legge, ma solo attraverso la fede in Gesù Cristo, anche noi abbiamo creduto in Gesù Cristo affinché siamo giustificati grazie alla fede di Cristo e non grazie alle opere della legge, perché grazie alle opere della legge nessuno sarà giustificato. ( Gal 2,16 ) 11.23 - La grazia non è la legge Come possono dunque sostenere quegli esseri totalmente vuoti e del tutto fuorviati che sono i pelagiani, che la legge è la grazia di Dio, dalla quale riceviamo aiuto per non peccare? Che vanno dicendo quei miseri, che senza alcuna esitazione osano contraddire la grandezza dell'Apostolo? Egli dice che il peccato ha ricevuto forza contro l'uomo proprio dalla legge e che attraverso il precetto, benché santo e giusto e buono, tuttavia esso lo uccide e per mezzo di ciò che è buono gli produce la morte; ma dalla morte non si potrebbe liberare, se lo spirito non vivificasse colui che la lettera ha ucciso. Così altrove dice: La lettera uccide, lo spirito invece vivifica. ( 2 Cor 3,6 ) Ma questi ribelli, ciechi di fronte alla luce di Dio e sordi di fronte alla sua voce, dicono che la lettera invece di uccidere vivifica, e si trovano a contraddire la verità che a vivificare è lo spirito. Dunque, fratelli, per ammonirvi piuttosto con le parole stesse dell'Apostolo, noi siamo debitori non alla carne, così da dover vivere secondo la carne. Se infatti vivrete secondo la carne, morrete; se invece farete morire le azioni della carne con lo spirito, vivrete. ( Rm 8,12-13 ) Ho detto ciò per distogliere dal male il vostro libero arbitrio ed esortarlo al bene attraverso le parole dell'Apostolo; non per questo tuttavia dovete gloriarvi nell'uomo, cioè in voi stessi, invece che nel Signore, se non vivete secondo la carne, ma fate morire le azioni di essa con lo spirito. Infatti non voleva che quelli ai quali si rivolgeva così si inorgoglissero, pensando di poter fare opere tanto eccellenti con il loro proprio spirito, invece che con quello di Dio; e per questo prima dice: Se invece mortificherete le azioni della carne con lo spirito, vivrete; poi subito aggiunge: Quanti infatti sono guidati dallo spirito di Dio, questi sono figli di Dio. ( Rm 8,14 ) Quando dunque mortificate le azioni della carne con lo spirito affinché abbiate la vita, quello che glorificate, quello che lodate, quello che ringraziate, è Colui il cui Spirito vi guida ad essere capaci di tutto questo e a dimostrare di essere figli di Dio. Quanti infatti sono guidati dallo spirito di Dio, questi sono figli di Dio. 12.24 - La legge si adempie non con la sola volontà, ma con l'aiuto della grazia Dunque tutti quelli che, aggiungendosi il solo aiuto della legge, senza quello della grazia, e confidando nelle proprie facoltà sono guidati dal loro spirito, non sono figli di Dio. A questa categoria appartengono quelli di cui l'Apostolo dice ancora: Non riconoscendo la giustizia di Dio, e volendo stabilire la propria, non si sono assoggettati alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 ) Parla così dei Giudei, i quali per la presunzione in se stessi rifiutavano la grazia e quindi non credevano in Cristo. Egli dice che essi volevano stabilire la loro giustizia, che è la giustizia che proviene dalla legge. Certo la legge non era stata stabilita da essi stessi; anzi, essi avevano stabilito la propria giustizia nella legge che proviene da Dio, perché credevano che le loro forze fossero in grado di adempiere questa medesima legge; con ciò essi non riconoscevano la giustizia di Dio, cioè non la giustizia di cui è giusto Dio, ma quella che proviene agli uomini da Dio. E per persuadervi che la loro giustizia è intesa dall'Apostolo come quella che proviene dalla legge e quella di Dio come quella che da Dio proviene all'uomo, ascoltate ciò che egli dice altrove, parlando di Cristo: Per lui ho ritenuto che tutte le cose fossero non solo perdite, ma anche immondizie, per guadagnare Cristo e per ritrovarmi in lui non con la mia giustizia, che proviene dalla legge, ma con quella che si ha per mezzo della fede in Cristo, che proviene da Dio. ( Fil 3,8-9 ) Che significa infatti: Non con la mia giustizia, che proviene dalla legge? La legge in sé non era sua, ma di Dio, però chiamava sua la giustizia, benché provenisse dalla legge, perché pensava di poter adempiere quest'ultima con la propria volontà, senza l'aiuto della grazia che si ha per mezzo della fede in Cristo. Perciò, dopo aver detto: Non con la mia giustizia che proviene dalla legge, prosegue: ma con quella che si ha per mezzo della fede in Cristo, che proviene da Dio. Era questa che ignoravano i Giudei, dei quali dice: non riconoscendo la giustizia di Dio, cioè quella che proviene da Dio ( e questa infatti la dà non la lettera che uccide, ma lo spirito che vivifica ), e volendo stabilire la propria ( e questa egli l'ha chiamata giustizia che proviene dalla legge, quando ha detto: non con la mia giustizia, che proviene dalla legge ), non si sono assoggettati alla giustizia di Dio, cioè non si sono assoggettati alla grazia di Dio. Infatti essi erano sotto la legge, non sotto la grazia; e quindi su di essi dominava il peccato, dal quale non è la legge, ma la grazia che libera l'uomo. Per questo altrove dice: Allora il peccato non dominerà più su di voi; infatti non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia; ( Rm 6,14 ) ciò significa non che la legge sia cattiva, ma che vi sottostanno quelli che essa rende rei fornendo precetti, ma non soccorsi. La grazia appunto è quella che presta aiuto perché ciascuno sia esecutore della legge, mentre senza la grazia chi è sottoposto alla legge sarà soltanto un suo ascoltatore. A chi è in tale condizione pertanto dice: Voi che cercate di giustificarvi nella legge siete decaduti dalla grazia. ( Gal 5,4 ) 13.25 - La grazia non è la natura Chi sarà così sordo verso le parole apostoliche, chi sarà così stolto, anzi così folle e incosciente nei propri discorsi da avere il coraggio di sostenere che la legge è la grazia? Chi sapeva pienamente ciò che diceva, non grida forse: Voi che cercate di giustificarvi nella legge siete decaduti dalla grazia? Se dunque la legge non è la grazia, poiché al fine di applicare la legge stessa non è la legge che può aiutare, ma la grazia, la grazia sarà forse la natura? In effetti i pelagiani hanno osato dire anche questo: che la grazia sarebbe la natura, nella quale siamo stati creati in possesso di una mente razionale, che ci mette in grado di capire, fatti ad immagine di Dio, per dominare sui pesci del mare, gli uccelli del cielo e tutte le bestie che strisciano sulla terra. Ma non è questa la grazia che l'Apostolo raccomanda attraverso la fede in Cristo. Infatti è certo che questa natura noi l'abbiamo in comune anche con gli empi e i non credenti; la grazia invece, che è data attraverso la fede in Cristo, appartiene solo a quelli che possiedono appunto la fede; infatti la fede non è di tutti. ( 2 Ts 3,2 ) Come a coloro che sono decaduti dalla grazia perché vogliono trovare la loro giustificazione nella legge, con tutta verità l'Apostolo dice: Se la giustizia proviene dalla legge, dunque Cristo è morto per niente; ( Gal 2,21 ) così, se alcuni sono convinti che la grazia raccomandata e ricevuta dalla fede in Cristo sia la natura, anche a loro con tutta verità si può dire: Se la giustizia proviene dalla natura, dunque Cristo è morto per nulla. Infatti nel nostro mondo la legge c'era già, e non giustificava; c'era già anche la natura, e non giustificava; perciò Cristo non è morto per nulla, ma perché per mezzo suo la legge si adempisse. È così che egli dice: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a completarla. ( Mt 5,17 ) E contemporaneamente è morto perché la natura guastata per colpa di Adamo per mezzo suo fosse restaurata. Infatti dice anche di essere venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto; ( Lc 19,10; Mt 18,11 ) e credettero in questa sua futura venuta anche gli antichi Padri, che amavano Dio. 13.26 - La grazia non è solo la remissione dei peccati Dicono anche: La grazia di Dio, che è stata data per mezzo della fede in Gesù Cristo e che non è né la legge né la natura, è valida a questo scopo soltanto, a rimettere i peccati trascorsi, non ad evitare quelli futuri o a superare le difficoltà che ci si oppongono. Ma se questo fosse vero, certamente nella preghiera domenicale, dopo aver detto: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, non aggiungeremmo: e non spingerci in tentazione. ( Mt 6,12-13 ) Infatti la prima frase la diciamo perché ci siano rimessi i peccati, la seconda perché possiamo evitarli o vincerli. E questo certo non lo chiederemmo per nessun motivo al Padre che è nei cieli, se potessimo realizzarlo con il solo potere della volontà umana. A questo punto mi richiamo alla Carità vostra e molto vi raccomando di leggere diligentemente il libro che il beato Cipriano scrisse su L'orazione domenicale; per quanto vi soccorrerà l'aiuto del Signore, cercate di capirlo ed apprendetelo a memoria. Lì potrete vedere in qual maniera egli si rivolga al libero arbitrio di quelli che con la stesura del suo lavoro vuole confermare nella fede; intende evidentemente dimostrare che bisogna invocare nella preghiera quelle cose che nella legge ci si ordina di compiere. Ma quello si farebbe proprio del tutto inutilmente, se a compiere quelle cose fosse sufficiente la volontà umana senza l'aiuto divino. 14.27 - La volontà del credente precede la grazia di Dio? Quelli che pensano così non difendono il libero arbitrio, ma esagerandolo lo distruggono, e si può comprovare contro di essi che quella grazia che ci viene concessa per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore non è né la conoscenza della legge divina, né la natura, né la semplice remissione dei peccati. Al contrario è proprio essa a fare sì che la legge si adempia, la natura si liberi, il peccato non domini. Ma quando si è dimostrato che sono pienamente in fallo su tutto ciò, essi si rivolgono a quest'altra tesi: si sforzano di dimostrare con ogni mezzo che la grazia di Dio è concessa secondo i nostri meriti. Essi dicono: "Anche se essa non è concessa secondo il merito delle opere buone, perché è per mezzo di essa che operiamo bene, tuttavia è concessa secondo il merito della volontà buona; infatti la volontà buona di colui che prega, precede la grazia e prima ancora c'è stata la volontà di colui che crede: la grazia di Dio che esaudisce segue secondo questi meriti". 14.28 - La grazia precede la fede Della fede, cioè della volontà del credente, ho già discusso più sopra, e ho dimostrato che essa è congiunta alla grazia a tal punto che l'Apostolo non dice: Ho ottenuto la misericordia perché ero fedele, ma invece: Ho ottenuto la misericordia di essere fedele. ( 1 Cor 7,25 ) Ci sono anche altre testimonianze, fra le quali questa: Ragionate con modestia, secondo la misura della fede che Iddio ha distribuito a ciascuno; ( Rm 12,3 ) ed anche il passo che ho già ricordato: Per la grazia voi siete stati salvati mediante la fede, e ciò non proviene da voi, ma è dono di Dio. ( Ef 2,8 ) Viene poi quello che scrive agli Efesini: Pace ai fratelli e carità con fede da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo; ( Ef 6,23 ) e ancora l'altro passo in cui dice: Perché a voi è stato donato per favore di Cristo non solo di credere in lui, ma anche di patire per lui. ( Fil 1,29 ) Dunque entrambe le cose appartengono alla grazia di Dio, sia la fede di coloro che credono, sia la sopportazione di coloro che soffrono, perché dice sia dell'una che dell'altra che sono state donate. Ma il passo principale è: Avendo il medesimo spirito di fede. ( 2 Cor 4,13 ) Infatti non dice: scienza della fede, ma: spirito di fede; e lo dice appunto per farci capire che la fede viene concessa anche se non richiesta, allo scopo di concedere altri doni a chi li richiede. Come infatti invocheranno - dice - Colui nel quale non hanno creduto? ( Rm 10,14 ) Dunque lo spirito della grazia fa sì che abbiamo la fede, e per mezzo della fede otteniamo con la preghiera di avere la forza di fare ciò che ci viene comandato. Perciò lo stesso Apostolo continuamente antepone la fede alla legge, perché non siamo in grado di fare ciò che la legge comanda se non otteniamo la capacità di farlo pregando attraverso la fede. 14.29 - La fede è un dono di Dio Infatti se la fede appartiene solamente al libero arbitrio e non viene data da Dio, per quale motivo preghiamo a favore di coloro che non vogliono credere per ottenere che credano? Senz'altro faremmo ciò invano, se non credessimo nella maniera più giusta che Dio onnipotente può convertire alla fede anche le volontà traviate e contrarie ad essa. Batte certo sul libero arbitrio dell'uomo chi dice: Oggi se udrete la voce di lui, non indurite i vostri cuori. ( Sal 95,8 ) Ma se Dio non potesse eliminare anche la durezza del cuore, non direbbe per bocca del Profeta: Toglierò loro il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne. ( Ez 11,19 ) E che questa predizione è riferita al Nuovo Testamento, lo dimostra a sufficienza l'Apostolo quando dice: La nostra lettera siete voi, scritta non con l'inchiostro, ma con lo spirito del Dio vivente, non in tavole di pietra, ma sulle tavole di carne del vostro cuore. ( 2 Cor 3,2-3 ) Ma non dobbiamo pensare che ciò sia detto a questo scopo, affinché vivano carnalmente coloro che devono vivere spiritualmente; al contrario, dato che la pietra è priva di sensibilità e ad essa è paragonato il cuore duro, a che cosa si doveva paragonare un cuore che comprende se non a carne sensibile? Allo stesso modo è detto per bocca del profeta Ezechiele: E darò ad essi un altro cuore, e un nuovo spirito darò loro; e strapperò il cuore di pietra dalla loro carne e darò loro un cuore di carne, affinché camminino nei miei precetti, osservino le mie leggi e le mettano in pratica; ed essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio, dice il Signore. ( Ez 11,19-20 ) Come potremo sostenere, se non a costo di dire un'assurdità, che nell'uomo deve precedere il merito positivo della volontà buona perché gli sia strappato il cuore di pietra? Ma proprio questo cuore di pietra non significa altro che la volontà più dura, che assolutamente non si piega di fronte a Dio! Se infatti c'è stata prima la volontà buona, ormai non c'è più sicuramente un cuore di pietra. 14.30 - Dio dona non per i meriti dell'uomo, ma per il nome suo Anche in un altro passo, per bocca del medesimo profeta, Dio dimostra nella maniera più chiara che egli agisce così non a causa di qualche loro merito nel bene, ma per il nome suo, quando dice: Io lo faccio, o casa di Israele, ma per il nome mio santo che voi profanaste fra le genti, presso le quali voi vi recaste; e santificherò il nome mio grande che è stato profanato tra le genti, che voi profanaste in mezzo a loro; e sapranno le genti che io sono il Signore, dice Iddio Signore, quando sarò santificato tra di voi dinanzi ai loro occhi. E io vi prenderò tra le genti, e vi raccoglierò da tutte le terre, e vi condurrò nella terra vostra; e vi aspergerò di acqua pura e sarete mondati da tutte le brutture vostre e da tutti i vostri idoli, e vi purificherò. E vi darò un cuore nuovo, e uno spirito nuovo metterò in voi e sarà tolto il cuore di pietra dalla vostra carne, e vi darò un cuore di carne e lo spirito mio metterò in voi, e farò sì che camminiate nelle mie leggi ed osserviate ed adempiate i miei precetti. ( Ez 36,22-27 ) Chi sarà così cieco da non vedere, chi così impietrito da non sentire che questa grazia non viene assegnata secondo i meriti della volontà buona, dato che il Signore dice ed attesta: Io lo faccio, o casa d'Israele, ma per il nome mio santo? Se infatti affermava: Io lo faccio, ma per il nome mio santo, era solo per non lasciarli credere che ciò avvenisse per i loro meriti nel bene, come i pelagiani non arrossiscono di sostenere. Quando dice: ma per il nome mio santo, che voi profanaste fra le genti, dimostra non solo che essi in precedenza non hanno meritato nulla nel bene, ma che addirittura hanno meritato nel male. Chi può non vedere che è un male orrendo profanare il nome santo di Dio? E tuttavia per lo stesso nome mio, dice, che voi profanaste, io vi farò buoni, non per voi stessi, e santificherò il nome mio grande, che è stato profanato fra le genti, che voi profanaste in mezzo a loro. Egli dice di santificare il nome suo che più sopra aveva detto santo. E questo è appunto ciò che noi preghiamo nell'orazione domenicale, quando diciamo: Sia santificato il nome tuo, così che sia santificato tra gli uomini quel nome che senza dubbio per se stesso è sempre santo. E poi prosegue: E sapranno le genti che io sono il Signore, dice Iddio Signore, quando sarò santificato tra di voi. Dunque anche se egli è sempre santo, tuttavia è santificato in coloro ai quali largisce la sua grazia, strappando ad essi il cuore di pietra con il quale profanarono il nome di Dio. 15.31 - Nell'uomo c'è comunque il libero arbitrio Ma perché non si creda che in ciò nulla possano fare gli uomini di per se stessi a mezzo del libero arbitrio, nel Salmo si dice: Non indurite i vostri cuori. ( Sal 95,8 ) E sempre per bocca di Ezechiele: Scacciate da voi tutte le vostre empietà che commetteste empiamente contro di me, e createvi un cuore nuovo e uno spirito nuovo ed adempite tutti i miei precetti. Perché mai volete morire, o casa d'Israele, dice il Signore? Perché io non voglio la morte di colui che muore, dice Iddio Signore, e convertitevi e vivrete. ( Ez 18,31-32 ) Rammentiamoci che Colui che dice: e convertitevi e vivrete, è lo stesso cui si dice: Convertici, o Signore. ( Sal 80,4; Sal 85,5 ) Rammentiamoci che egli ordina: Scacciate da voi tutte le vostre empietà, anche se è egli stesso che giustifica l'empio. ( Rm 4,5 ) Rammentiamoci ancora che è sempre il medesimo ad affermare: Createvi un cuore nuovo e uno spirito nuovo, e: Vi darò un cuore nuovo e metterò in voi uno spirito nuovo. ( Ez 36,26 ) Come mai Colui che dice: Createvi, dice anche: Vi darò? Perché ordina, se è lui che deve dare? Perché dà, se è l'uomo che deve agire? L'unico motivo è che egli dà quello che ordina, mentre presta l'aiuto per agire a colui che riceve l'ordine. Sempre c'è in noi una volontà libera, ma non sempre essa è buona. Infatti o essa è libera dal vincolo della giustizia, quando è serva del peccato, e allora è cattiva; o è libera dal vincolo del peccato, quando è serva della giustizia, ( Rm 6,20-22 ) e allora è buona. Ma la grazia di Dio è sempre buona, e per mezzo di essa avviene che sia uomo di buona volontà quello che prima era di volontà cattiva. Sempre per mezzo di essa avviene anche che la stessa volontà buona, quando ormai ha cominciato ad esistere, si accresca e diventi tanto grande da essere in grado di adempiere i precetti divini che vuole, se vuole intensamente e perfettamente. A questo infatti serve ciò che sta scritto: Se vorrai, osserverai i precetti; ( Sir 15, 16 sec. LXX ) l'uomo che ha voluto ma non ha potuto, deve comprendere che egli non ha voluto ancora pienamente, e deve pregare per avere una volontà tanto grande quanta ne basta ad adempiere i precetti. Così egli viene aiutato a fare ciò che gli è ordinato. Infatti è utile volere allora, quando possiamo; e allora è utile potere, quando vogliamo; ma che utilità c'è se vogliamo ciò che non possiamo o non vogliamo ciò che possiamo? 16.32 - Dio ci dà comandamenti al di sopra delle nostre forze perché chiediamo a lui la grazia di adempierli I pelagiani credono di sapere una grande verità, quando dicono: "Dio non darebbe un ordine, se sapesse che non può essere adempiuto dall'uomo". E chi non lo sa? Ma proprio per questo ordina cose che non possiamo fare, affinché comprendiamo che cosa dobbiamo chiedere a lui. La fede è appunto quella che con la preghiera ottiene ciò che la legge ordina. Infine colui che ha detto: Se vorrai, osserverai i precetti, nel medesimo libro dell'Ecclesiastico, un po' dopo, esclama: Chi metterà una custodia alla mia bocca, e sopra le mie labbra un sigillo accorto, affinché io non cada per causa di essa e la mia lingua non mi rovini? ( Sir 22,27 ) Aveva già sicuramente ricevuto i precetti: Frena la lingua tua dal male e le tue labbra non dicano inganno. ( Sal 34,14 ) Se dunque è vero quello che ha detto: Se vorrai, osserverai i precetti, perché domanda che sia messa una custodia alla sua bocca, alla stessa maniera di colui che nel Salmo chiede: Poni, o Signore, una custodia alla mia bocca? ( Sal 141,3 ) Perché non gli bastano il precetto di Dio e la sua propria volontà, se è vero che, se vorrà, osserverà i precetti? Quanto siano numerosi i precetti di Dio contro la superbia egli lo sa già; se vorrà, li osserverà. Perché dunque poco dopo dice: Signore Padre e Dio della mia vita, non darmi l'alterezza degli occhi? ( Sir 23,4 ) La legge aveva già detto a lui: Non concupire; ( Es 20,17 ) dunque deve volere e fare quello che gli è ordinato, perché, se vorrà, osserverà i precetti. Allora perché seguita col dire: Distogli da me la concupiscenza? ( Sir 23,5 ) Un gran numero di volte il Signore impartì precetti contro la lussuria; li adempia, perché se vorrà, osserverà i precetti. Allora perché grida al Signore: Le brame del ventre e del sesso non s'impadroniscano di me? ( Sir 23,6 ) Se noi facessimo queste obiezioni in sua presenza, egli ci potrebbe rispondere molto giustamente: Da questa mia preghiera con la quale faccio tali richieste a Dio, comprendete in che senso io abbia detto: Se vorrai, osserverai i precetti. È certo che noi osserviamo i comandamenti, se vogliamo; ma poiché la volontà è preparata dal Signore, ( Pr 8, 35 sec. LXX ) bisogna chiedere a lui di volere tanto quanto è sufficiente perché volendo facciamo. È certo che siamo noi a volere, quando vogliamo; ma a fare sì che vogliamo il bene è lui, e appunto di lui è detto quello che ho riportato sopra: La volontà è preparata dal Signore; e anche: Dal Signore saranno diretti i passi dell'uomo, e l'uomo vorrà seguire la sua via; ( Sal 37,23 ) e poi: È Dio che opera in voi il volere. ( Fil 2,13 ) È certo che siamo noi a fare, quando facciamo; ma è lui a fare sì che noi facciamo, fornendo forze efficacissime alla volontà; infatti è lui che dice: Farò sì che camminiate nelle mie leggi e osserviate ed adempiate i miei precetti. ( Ez 36,27 ) Quando dice: Farò sì che voi facciate, che altro dice se non questo: Vi toglierò il cuore di pietra, con il quale non facevate, e vi darò un cuore di carne, con il quale facciate? E queste parole non significano forse: Vi toglierò il cuore duro, con il quale non facevate, e vi darò un cuore obbediente con il quale facciate? Egli fa sì che noi facciamo, e a lui l'uomo dice: Poni, o Signore, una custodia alla mia bocca. ( Sal 141,3 ) Questo infatti equivale a dire: Fa' che io ponga una custodia alla mia bocca, beneficio divino che aveva già ottenuto colui che afferma: Ho messo una custodia alla mia bocca. ( Sal 39,2 ) 17.33 - Ad adempiere i comandamenti è il più alto grado della grazia, cioè la carità Chi dunque vuole attuare un comandamento di Dio e non può, certo egli ha già la volontà buona, ma ancora piccola e debole; potrà, quando l'avrà grande e robusta. Quando infatti i martiri adempirono a quei grandi precetti, lo fecero sicuramente per grande volontà, cioè per grande carità; e di questa carità il Signore stesso dice: Amore maggiore di questo nessuno lo possiede, di dare la propria vita per i suoi amici. ( Gv 15,13 ) Per cui anche l'Apostolo sostiene: Chi ama il suo prossimo, ha adempiuto la legge; infatti: non commetterai adulterio, non commetterai omicidio, non ruberai, non desidererai, e qualsiasi altro precetto c'è, viene ricapitolato in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore del prossimo non fa il male; dunque l'amore è la pienezza della legge. ( Rm 13,8-10 ) Ma è proprio la carità che l'apostolo Pietro non possedeva ancora, quando per paura rinnegò il Signore tre volte. Infatti nell'amore non c'è timore, come dice Giovanni evangelista nella sua lettera: Anzi il perfetto amore scaccia il timore. ( 1 Gv 4,18 ) E tuttavia la carità, benché piccola e imperfetta, a Pietro non mancava, quando diceva al Signore: Darò per te la mia vita; ( Gv 13,37 ) infatti pensava di poterlo fare perché sentiva di volerlo. E chi aveva cominciato a dare questa carità, benché ancora piccola, se non Colui che prepara la volontà, e cooperando porta a termine quello che operando ha iniziato? Perché è proprio lui che dando l'inizio opera affinché noi vogliamo, e poi nel portare a termine coopera con coloro che già vogliono. Per questo l'Apostolo dice: Sono sicuro che Colui che opera in voi un'opera buona, la condurrà a termine fino al giorno di Cristo Gesù. ( Fil 1,6 ) Dunque Egli fa sì che noi vogliamo senza bisogno di noi; ma quando vogliamo, e vogliamo in maniera tale da agire, coopera con noi. Tuttavia senza di lui che opera affinché noi vogliamo o coopera quando vogliamo, noi non siamo validi a nessuna delle buone opere della pietà. Del fatto che Egli opera affinché vogliamo, è detto: È Dio che opera in voi il volere, ( Fil 2,13 ) e del fatto che coopera quando già vogliamo e volendo facciamo: Noi sappiamo che Dio coopera in ogni cosa al bene per coloro che lo amano. ( Rm 8,28 ) Che indica ogni cosa, se non le stesse terribili e crudeli sofferenze? Certo, quel fardello di Cristo che è pesante per la nostra debolezza, diviene lieve per l'amore. Infatti il Signore ha detto che il suo fardello è leggero ( Mt 11,30 ) per chi è come Pietro quando subì il martirio per Cristo e non come Pietro quando lo rinnegò. 17.34 - Quale carità? L'Apostolo, caldeggiando questa carità, cioè la volontà che divampa di divino amore, dice: Chi ci separerà dall'amore di Cristo? La tribolazione? l'angoscia? la persecuzione? la fame? la nudità? il pericolo? la spada? Come sta scritto: Perché per causa tua siamo mandati a morte per tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutto questo noi stravinciamo per mezzo di Colui che ci ha amati. Infatti sono certo che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né il presente, né l'avvenire, né l'altezza, né la profondità, né altra creatura ci potrà separare dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore. ( Rm 8,35-39; Sal 44,22 ) E in un altro passo dice: Io vi indico ancora la via superiore a ogni altra. Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, io divento un bronzo che risuona, un cembalo che tintinna. E se avrò la profezia, e se conoscerò tutti i misteri, e se avrò tutta la fede, così grande da spostare le montagne, ma non avrò la carità, io non sono nulla. E se distribuirò tutti i miei beni ai poveri e darò il mio corpo da bruciare, ma non avrò la carità, nulla mi giova. La carità è longanime, è benigna; la carità non è invidiosa, non è vanagloriosa, non insuperbisce, non fa niente di sconveniente, non cerca i suoi interessi, non si incollerisce, non tiene conto del male, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto tollera; la carità non viene meno. ( 1 Cor 12, 31 - 13,8 ) E poco dopo: Rimane la fede, la speranza, la carità; esse sono tre, ma la maggiore è la carità: perseguite dunque la carità. ( 1 Cor 13, 13 - 14,1 ) Parimenti dice ai Galati: Voi infatti siete stati chiamati alla libertà, o fratelli; solo non usate questa libertà come occasione per vivere secondo la carne, ma servitevi gli uni con gli altri per mezzo della carità. Infatti tutta la legge si esprime in una frase: Amerai il prossimo tuo come te stesso. ( Gal 5,13-14 ) E così parla ai Romani: Chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge; ( Rm 13,8 ) e ai Colossesi: Soprattutto rivestitevi della carità, che è il vincolo della perfezione. ( Col 3,14 ) E a Timoteo: Lo scopo del precetto, dice, è la carità, e aggiungendo di quale carità si tratta, spiega: quella che proviene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede non simulata. ( 1 Tm 1,5 ) E poi, quando dice ai Corinzi: Ogni cosa sia fatta tra voi con la carità, ( 1 Cor 16,14 ) dimostra a sufficienza che i rimproveri stessi, che sono sentiti come pungenti ed amari da coloro che sono ripresi, devono essere dispensati con carità. Per cui altrove, dopo aver raccomandato: Correggete gli inquieti, consolate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti verso tutti, subito aggiunge: Badate che nessuno renda ad alcuno male per male. ( 1 Ts 5,14-15 ) Dunque anche quando vengono corretti gli inquieti si rende non il male, ma piuttosto il bene per il male. E tutto ciò chi lo effettua se non la carità? 17.35 - La carità è la pienezza della legge E l'apostolo Pietro dice: Soprattutto abbiate fra di voi una reciproca e continua carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati. ( 1 Pt 4,8; Pr 10,12 ) Dice anche l'apostolo Giacomo: Se adempite la legge regale, secondo le Scritture: Amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene. ( Gc 2,8; Lv 19, 18 sec. LXX ) Allo stesso modo l'apostolo Giovanni afferma: Chi ama il fratello suo, resta nella luce; ( 1 Gv 2,10 ) e altrove: Chi non è giusto non è figlio di Dio, come pure chi non ama il fratello suo; perché questo è l'annuncio che abbiamo udito dal principio, di amarci gli uni con gli altri. ( 1 Gv 3,10-11 ) E sempre Giovanni in un altro passo: Questo - dice - è il suo comandamento, che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo a vicenda; ( 1 Gv 3,23 ) e ancora: Questo comandamento abbiamo da lui, che chi ama Dio, ami anche il fratello suo; ( 1 Gv 4,21 ) e poco dopo: In questo noi conosciamo che amiamo i figli di Dio, nell'amare Dio e nell'adempiere i suoi precetti. Questo è infatti amare Dio, osservare i suoi precetti, e i suoi precetti non sono pesanti. ( 1 Gv 5,2-3 ) E nella seconda lettera è scritto: Non è che io ti scriva un comandamento nuovo, ma quello che abbiamo ricevuto fin dal principio, di amarci gli uni con gli altri. ( 2 Gv 5 ) 17.36 - Tutta la legge è nell'amore di Dio e del prossimo Lo dice anche il Signore Gesù in persona che tutta la Legge e i Profeti dipendono dai due precetti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo. ( Mt 22,40 ) E di questi due comandamenti nel Vangelo secondo Marco è scritto: E si avvicinò uno degli scribi, che li aveva uditi discutere, e vedendo che aveva risposto loro bene, gli chiese quale fosse il primo comandamento fra tutti. E Gesù gli rispose: Il primo di tutti i comandamenti è: Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo è l'unico Dio; e amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente; questo è il primo comandamento. E il secondo è simile ad esso: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è comandamento maggiore di questi. ( Mc 12,28-31; Dt 6,4-5; Lv 19, 18 ) Egli dice anche nel Vangelo secondo Giovanni: Vi dò un nuovo comandamento: di amarvi gli uni con gli altri; come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni con gli altri. In ciò tutti conosceranno che siete i miei discepoli, se avrete amore fra di voi. ( Gv 13,34-35 ) 18.37 - La carità è dono di Dio Tutti questi comandamenti d'amore, cioè di carità, sono tanto numerosi e tanto chiari che se uno pensasse di fare alcunché di buono, ma lo facesse senza carità, in nessun modo agirebbe bene; ma questi precetti di carità sarebbero dati invano agli uomini, se essi non avessero il libero arbitrio del volere Tuttavia poiché sono dati per mezzo sia della legge antica sia della nuova ( benché nella nuova sia sopraggiunta la grazia che nell'antica era promessa ), e poiché la legge senza grazia è lettera che uccide, mentre nella grazia è lo spirito che vivifica, da dove proviene negli uomini la carità verso Dio e il prossimo se non da Dio stesso? Infatti se provenisse non da Dio, ma dagli uomini, avrebbero la vittoria i pelagiani; ma se viene da Dio, siamo noi che vinciamo i pelagiani. Segga dunque come giudice in mezzo a noi l'apostolo Giovanni, e dica: Carissimi, amiamoci a vicenda. È su queste parole di Giovanni che i pelagiani cominciano a sollevare il loro orgoglio e a dire: Come ci si può dare questo precetto, se non perché abbiamo da noi stessi la facoltà di amarci a vicenda? Ma subito il medesimo Giovanni li confonde con le parole che seguono: perché l'amore proviene da Dio. ( 1 Gv 4,7 ) Non proviene dunque da noi, ma da Dio. Per quale motivo si dice: Amiamoci a vicenda, perché l'amore proviene da Dio, se con questo precetto non si esorta il libero arbitrio a chiedere il dono di Dio? Ma il libero arbitrio di sicuro subirebbe l'esortazione senza alcun frutto se prima non ricevesse una certa parte d'amore, grazie al quale chiede che questo amore gli sia accresciuto fino ad adempiere ciò che è ordinato. Quando si dice: Amiamoci a vicenda, questa è la legge; quando si dice: perché l'amore proviene da Dio, questa è la grazia. In realtà la sapienza di Dio porta sulla lingua la legge e la misericordia. ( Pr 3, 16 sec. LXX ) Per cui è scritto nel Salmo: Certo darà la benedizione Colui che ha dato la legge. ( Sal 84,8 ) 18.38 - Noi non ameremmo Dio, se egli stesso non ci avesse amati per primo Nessuno dunque vi tragga in inganno, o fratelli miei, perché noi non ameremmo Dio, se egli stesso non ci avesse amati per primo. Il medesimo Giovanni lo dimostra con tutta chiarezza dicendo: Amiamo, perché egli stesso per primo ci amò. ( 1 Gv 4,19 ) La grazia ci rende amanti della legge, ma la legge per se stessa, senza la grazia, non ci rende che trasgressori. E nient'altro ci vuole indicare quello che il Signore dice ai discepoli: Non siete voi che avete eletto me, ma io che ho eletto voi. ( Gv 15,16 ) Se infatti fossimo stati noi ad amare per primi ed egli ci amasse quindi per questo merito, la scelta sarebbe partita da noi, e con ciò ci saremmo meritati di essere scelti da lui. Ma colui che è la verità dice altrimenti, e smentisce in maniera chiarissima questa vana pretesa degli uomini: Non siete voi che avete eletto me, dice. Se dunque non siete stati voi a scegliere, senza dubbio neppure siete stati voi ad amare: infatti in qual modo si potrebbe scegliere colui che non si ama? Ma io - dice - ho eletto voi. Allora non è vero che anch'essi poi lo hanno scelto e preferito a tutti i beni di questa vita? Certo, ma essi lo hanno scelto perché erano stati scelti; non sono stati scelti perché lo avevano scelto. Gli uomini che scelgono non avrebbero alcun merito, se non li prevenisse la grazia di Dio che li sceglie. Per cui anche l'apostolo Paolo, benedicendo i Tessalonicesi: Il Signore vi moltiplichi - dice - e vi faccia abbondare in carità fra di voi e verso tutti. ( 1 Ts 3,12 ) Questa benedizione perché ci amassimo gli uni con gli altri ce la diede Colui che ci aveva dato la legge di amarci gli uni con gli altri. E in un altro passo diretto ai medesimi Tessalonicesi, poiché senza dubbio in alcuni di essi già c'era ciò che egli aveva desiderato che avessero, l'Apostolo dice: Noi dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli, com'è giusto, perché cresce di continuo la vostra fede e abbonda la carità di ciascuno di voi, gli uni per gli altri. ( 2 Ts 1,3 ) E questo lo disse affinché per caso essi non si gloriassero di un bene tanto grande che avevano da Dio, come se lo avessero da se stessi. Poiché dunque cresce di continuo la vostra fede, dice, e abbonda la carità di ciascuno di voi gli uni per gli altri, dobbiamo rendere grazie a Dio per quanto vi riguarda e non lodarvi come se aveste ciò da voi stessi. 18.39 - Carità, pace e fede: grandi doni di Dio E a Timoteo dice: Infatti Dio non ci ha dato uno spirito di timore, ma di coraggio, di carità e di temperanza. ( 2 Tm 1,7 ) Ma considerando questa testimonianza dell'Apostolo dobbiamo guardarci dal dedurre che noi non abbiamo ricevuto lo spirito del timore di Dio, il quale è senza dubbio un grande dono del Signore. Di esso dice il profeta Isaia: Sopra di lui si poserà lo spirito della sapienza e dell'intelligenza, lo spirito del consiglio e della fortezza, lo spirito della conoscenza e della pietà, lo spirito del timore del Signore. ( Is 11,2-3 ) E non è questo il timore che indusse Pietro a rinnegare Cristo: anzi, lo spirito di timore che abbiamo ricevuto è quello di cui dice Cristo stesso: Temete Colui che ha la potestà di gettare nella Geenna l'anima e il corpo; così vi dico: temete Costui. ( Lc 12,5 ) Ma questo l'ha detto perché non lo rinnegassimo spinti da quel timore che sconvolse Pietro. Anzi voleva togliercelo questo timore, se poco sopra aveva detto: Non temete coloro che uccidono il corpo, e poi non possono fare nient'altro. ( Lc 12,4 ) No, non abbiamo ricevuto lo spirito di questo timore, ma anzi quello del coraggio, della temperanza, della carità. E di questo spirito il medesimo Apostolo dice ai Romani: Ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce la perseveranza, la perseveranza la virtù provata, la virtù provata la speranza e la speranza non delude: perché l'amore di Dio è diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato. ( Rm 5,3-5 ) Tutto ciò dunque non avviene per mezzo nostro, ma dello Spirito Santo che ci è stato dato; e grazie proprio alla carità che egli dichiara dono di Dio, la tribolazione non ci toglie, ma piuttosto produce la pazienza. Anche agli Efesini augura: Pace ai fratelli e carità con fede. Grandi beni: ma dica da dove provengono. Da Dio Padre - afferma - e dal Signore Gesù Cristo. ( Ef 6,23 ) Dunque questi grandi beni non sono che doni di Dio. 19.40 - Assurda teoria dei Pelagiani: la carità viene da noi stessi Ma non c'è nulla di strano se la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non la ricevono. ( Gv 1,5 ) In Giovanni la luce parla: Ecco quale amore ci ha donato il Padre: che noi siamo chiamati e siamo figli di Dio. ( 1 Gv 3,1 ) E nei pelagiani parlano le tenebre: l'amore che noi abbiamo ci proviene da noi. Ma se essi avessero l'amore vero, cioè quello cristiano, saprebbero anche da chi lo hanno; come lo sapeva l'Apostolo, che diceva: Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo spirito che proviene da Dio, affinché sappiamo quello che da Dio ci è stato donato. ( 1 Cor 2,12 ) Giovanni dice: Dio è amore, ( 1 Gv 4,16 ) e i pelagiani sostengono perfino di avere Dio stesso non da Dio, ma da se stessi; e mentre ammettono che la scienza della legge ci proviene da Dio, pretendono che la carità ci provenga da noi stessi. E non ascoltano l'Apostolo quando dice: La scienza gonfia, la carità edifica. ( 1 Cor 8,1 ) Ma nulla c'è di più futile, anzi di più stolto, di più alieno dallo stesso carattere santo della carità che fare una simile asserzione: la scienza proviene da Dio, e senza la carità gonfia; la carità invece proviene da noi, eppure essa fa sì che la scienza non possa gonfiare. Allo stesso modo quando l'Apostolo dice: La carità di Cristo che sopravanza la conoscenza, ( Ef 3,19 ) nulla c'è di più folle di un pensiero del genere: la conoscenza, che deve essere subordinata alla carità, proviene da Dio, mentre la carità, che sopravanza la conoscenza, proviene dagli uomini. Ma la vera fede e la sana dottrina dicono che ambedue provengono da Dio, perché è scritto: Dalla sua faccia proviene la scienza e l'intelletto; ( Pr 2,6 ) ed anche: La carità proviene da Dio. ( 1 Gv 4,7 ) E leggiamo: Lo spirito della scienza e della pietà; ( Is 11,2 ) e: Lo spirito del coraggio, della carità e della temperanza. ( 2 Tm 1,7 ) Ma la carità è un dono maggiore della scienza, perché se l'uomo ha la scienza, per non inorgoglirsi deve avere la carità. La carità, infatti, non è invidiosa, non è vanagloriosa, non insuperbisce. ( 1 Cor 13,4 ) 20.41 - Dio domina sulle nostre volontà Penso di aver disputato abbastanza contro coloro che combattono energicamente la grazia di Dio, la quale non elimina la volontà umana, ma la cambia da cattiva in buona e dopo averla fatta buona la soccorre; e nella mia discussione mi pare di non essere tanto io quanto la stessa divina Scrittura a parlarvi con le più evidenti testimonianze della verità. E se voi la esaminate diligentemente, questa divina Scrittura vi dimostra che egli da cattiva rende buona la volontà degli uomini e dopo averla resa buona la dirige alle azioni buone e alla vita eterna. Ma se anche ci sono volontà che conservano la condizione di questo mondo, queste sono in potere di Dio in maniera tale che egli le può far inclinare dove vuole, quando vuole, sia per rendere benefici ad alcuni, sia per infliggere castighi ad altri, come egli giudica con un giudizio assolutamente occulto, sì, ma senza dubbio assolutamente giusto. Infatti possiamo trovare che certi peccati sono anche castighi di altri peccati, come i vasi di collera, che l'Apostolo chiama compiuti per la perdizione; ( Rm 9,22 ) così è pure dell'indurimento del Faraone, di cui è espressa anche la causa: esso serviva a dare dimostrazione in lui del potere di Dio. ( Es 9,16 ) Così è della fuga degli Israeliti di fronte al nemico nella città di Gai: nel loro animo si produsse un timore tale che fuggirono, e questo avvenne perché il loro peccato fosse punito come bisognava; perciò il Signore dice a Giosuè figlio di Nave: I figli di Israele non potranno resistere davanti ai loro nemici. ( Gs 7, 4-5.10-12 ) Perché non potranno resistere? Perché non resistevano per mezzo del libero arbitrio, ma nella loro volontà turbata per il timore si davano alla fuga? Solo perché è il Signore che domina sulle volontà degli uomini e quando è irato volge al timore quelli che vuole. Non è forse vero che i nemici degli Israeliti combatterono di loro propria volontà contro il popolo di Dio, che Giosuè di Nave guidava? E tuttavia la Scrittura dice: Per opera del Signore avvenne che il loro cuore si fortificasse perché andassero in guerra contro Israele e fossero sterminati. ( Gs 11,20 ) Non fu di propria volontà che un uomo malvagio, il figlio di Gemini, malediceva il re David? E tuttavia che dice il re David, pieno di vera, alta e pia sapienza? Che dice a quello che voleva colpire il temerario mentre scagliava le sue maledizioni? Cosa ho a che fare con voi, figli di Sarvia? Lasciatelo andare e maledica, perché è il Signore che gli ha detto di maledire David. E chi gli potrà dire: Perché hai fatto così?. ( 2 Sam 16,10 ) Poi la divina Scrittura torna quasi da un nuovo principio sul pensiero del re e insiste: E disse David ad Abessa e a tutti i servi suoi: Ecco, il figlio mio che è uscito dalle mie viscere vuole la mia vita, e ora anche il figlio di Gemini. Lasciatelo dunque maledire, poiché glielo ha detto il Signore, affinché il Signore veda la mia umiltà e mi renda del bene in cambio della sua maledizione di oggi. ( 2 Sam 16,11-12 ) Quale uomo, per quanto saggio, sarà in grado di capire come il Signore abbia potuto dire a quest'uomo di maledire David? E in effetti egli non lo disse in forma di ordine, perché allora l'obbedienza avrebbe meritato una lode, ma inclinò la volontà di quell'individuo, malvagia per sua colpa, verso tale peccato in base a un suo giudizio giusto ed occulto. Perciò è scritto: Glielo ha detto il Signore. Infatti se quello avesse obbedito a un ordine di Dio, avrebbe dovuto essere lodato piuttosto che punito, e invece sappiamo che per questo peccato in seguito fu punito. E neppure si tace per quale causa il Signore disse a colui di maledire in tal modo David, per quale causa cioè condusse o abbandonò il suo cuore malvagio verso questo peccato: affinché il Signore veda la mia umiltà e mi renda del bene in cambio della sua maledizione di oggi. ( 2 Sam 16,12 ) Ecco in qual modo si può comprovare che Dio si serve anche del cuore dei malvagi a lode ed aiuto dei buoni. In questo modo si servì di Giuda che tradì Cristo, in questo modo dei Giudei che lo crocifissero. E da ciò quanti beni fece derivare ai popoli destinati a credere! Egli si serve anche dell'assoluta cattiveria del diavolo, ma con assoluta bontà, per tener viva e provare la fede e la pietà dei buoni; e questo non lo fa per sé, che conosce ogni cosa prima che avvenga, ma per noi, perché ci è necessario che si agisca in tal modo nei nostri riguardi. Non è forse di sua volontà che Assalonne scelse il consiglio che gli doveva nuocere? E tuttavia lo fece proprio perché il Signore aveva esaudito il padre che pregava per un simile esito. Per questo la Scrittura dice: E il Signore fece scartare il buon consiglio di Achitofel per indurre sopra Assalonne ogni male. ( 2 Sam 17,14 ) Dice che il consiglio era buono perché in quel momento giovava alla causa; infatti era a favore di Assalonne contro suo padre, al quale si era ribellato con l'intenzione di sopraffarlo. Ma il Signore rese vano il consiglio che aveva dato Achitofel, agendo sul cuore di Assalonne, perché lo respingesse e ne scegliesse uno diverso, che non gli era vantaggioso. 21.42 - Il Signore provoca nei cuori umani anche il moto della volontà Chi non tremerebbe di fronte a questi giudizi divini, con i quali Dio produce qualsiasi cosa vuole anche nel cuore degli uomini malvagi, rendendo tuttavia a costoro il contraccambio che meritano? Roboamo, figlio di Salomone, spregiò il salutare consiglio che gli avevano dato i più vecchi, di non trattare duramente il popolo, e piuttosto cedette alle parole dei coetanei, rispondendo minacciosamente a quelli cui doveva riguardo. ( 1 Re 12,1-11 ) Da che cosa proveniva questo comportamento se non dalla sua propria volontà? Ma per tale motivo si staccarono da lui dieci tribù di Israele e si costituirono un altro re in Geroboamo; così si adempiva la volontà di Dio che nel suo sdegno aveva anche predetto questi avvenimenti. Che dice infatti la Scrittura? E il re non dette ascolto al popolo, perché il cambiamento proveniva dal Signore, affinché si realizzassero le sue parole che aveva profetizzato per mezzo di Achia il Silonita intorno a Geroboamo figlio di Nabath. ( 1 Re 12,15 ) Sicuramente ciò avvenne per volontà di un uomo, ma tuttavia il cambiamento veniva dal Signore. Leggete i libri dei Paralipomeni, e troverete scritto nel secondo libro: E il Signore suscitò sopra Ioram lo spirito aggressivo dei Filistei e degli Arabi che confinano con gli Etiopi; e salirono nella terra di Giuda, la saccheggiarono e presero tutto quello che fu trovato nel palazzo del re. ( 2 Cr 21,16-17 ) Qui viene dimostrato che Dio solleva nemici per devastare quelle terre che egli giudica degne di simile castigo. Ma forse i Filistei e gli Arabi vennero a saccheggiare la terra di Giuda non di loro propria volontà? Oppure vennero di loro propria volontà e allora è stato scritto bugiardamente che il Signore suscitò il loro spirito aggressivo a fare ciò? No, entrambe le cose sono vere, sia che vennero di loro volontà e sia che fu comunque il Signore a suscitare il loro spirito aggressivo. Anzi si può dire anche così: Il Signore suscitò il loro spirito aggressivo e tuttavia essi vennero di loro volontà. Infatti l'Onnipotente provoca nel cuore degli uomini anche il moto della loro volontà, cosicché realizza per mezzo di essi quello che per mezzo di essi egli stesso ha voluto realizzare: ed egli assolutamente non sa volere qualcosa d'ingiusto. Ecco quello che un uomo di Dio disse al re Amessia: Non venga con te un esercito di Israele, infatti il Signore non è con Israele, con nessuno dei figli di Efrem; perché se pensi di avere il sopravvento su di loro, il Signore ti volgerà in fuga davanti ai nemici, perché è facoltà di Dio sia sostenere sia volgere in fuga. ( 2 Cr 25,7-8 ) Per qual motivo la potenza di Dio sostiene alcuni in guerra col dare loro la fiducia, mentre altri li volge in fuga ispirando loro timore, se non è perché Colui che in cielo e in terra compie qualunque cosa vuole, ( Sal 135,6 ) opera anche sui cuori degli uomini? Possiamo leggere quello che disse Ioas re d'Israele, quando mandò un nunzio al re Amessia che voleva combattere con lui. Infatti dopo altre parole dice: Ora rimani nella tua casa. Perché ti aizzi il male e vuoi cadere tu e Giuda con te? ( 2 Re 14,9-10 ) Poi la Scrittura aggiunge: E Amessia non dette ascolto; perché era volere di Dio che egli fosse consegnato in mano a Ioas, perché avevano onorato gli dèi di Edom. ( 2 Cr 25,20 ) Ecco: Dio, volendo punire il peccato di idolatria, operò tutto questo nel cuore di colui contro il quale era certo giustamente irato, ed egli non udì il monito di salvezza, ma lo disprezzò per andare in una guerra dove cadde con il suo esercito. Iddio dice per mezzo del profeta Ezechiele: E se il profeta erra e parla, sono io, il Signore, che l'ho sviato, e tenderò la mano contro di lui e lo sopprimerò dal mezzo del mio popolo d'Israele. ( Ez 14,9 ) Abbiamo il libro di Ester, donna del popolo d'Israele che in terra di prigionia divenne moglie del re straniero Assuero; ora nel suo libro è scritto che il re aveva ordinato di trucidare tutti gli appartenenti al popolo d'Israele, in qualunque parte del suo regno si trovassero; cosicché ella nella necessità d'intervenire in favore del suo popolo, rivolse le sue preghiere al Signore. Straordinaria era la necessità che la costringeva ad osare tanto: presentarsi al re trasgredendone gli ordini ed infrangendo le regole del suo stato. E guardate cosa dice la Scrittura: E la guardò come un toro nell'impeto della sua indignazione, e la regina ebbe timore; il suo colore cambiò per uno svenimento e si piegò sopra il capo della sua ancella che la precedeva; ma Dio cambiò il suo stato d'animo e volse il suo sdegno in dolcezza. ( Est 10,3-3i ) È scritto anche nei Proverbi di Salomone: Come una scaturigine d'acqua, così è il cuore di un re in mano di Dio; lo farà volgere dovunque vorrà. ( Pr 21,1 ) E nel Salmo centoquattro si legge che cosa Dio fece degli Egizi: E volse il loro cuore ad odiare il suo popolo, a tramare inganno contro i suoi servi. ( Sal 105,25 ) E guardate cosa sta scritto anche nelle Lettere apostoliche; nell'Epistola dell'apostolo Paolo ai Romani c'è: Perciò Dio li abbandonò alle cupidigie del loro cuore, all'impurità. Poco sotto continua: Per questo Dio li abbandonò alle passioni ignominiose; e poi ancora: Siccome non si curarono di conoscere bene Dio, Dio li abbandonò ai loro sentimenti perversi, in modo che facessero ciò che non bisogna. ( Rm 1, 24. 26.28 ) E nella seconda Lettera ai Tessalonicesi dice di alcuni: Per il fatto che non accolsero l'amore per la verità in modo da salvarsi; appunto per questo Dio manderà loro una forza per sviarli, affinché credano alla menzogna e siano giudicati tutti coloro che non hanno creduto alla verità e hanno consentito all'ingiustizia. ( 2 Ts 2,10-11 ) 21.43 - Dio inclina le volontà degli uomini dovunque vuole Per mezzo di queste testimonianze delle parole divine, ed altre di tal genere che sarebbe troppo lungo ricordare al completo, si rivela a sufficienza, a quanto credo, che il Signore opera nel cuore degli uomini per inclinare le loro volontà dovunque voglia. Ora le volge al bene poiché egli è misericordioso, ora al male perché essi lo meritano, sicuramente in base ad un giudizio suo talvolta chiaro, talvolta occulto, ma sempre giusto. Infatti dev'essere fissa e irremovibile nel vostro cuore la convinzione che non vi può essere ingiustizia presso Dio. ( Rm 9,14 ) E per questo quando leggete nella verità delle Scritture che gli uomini sono sedotti da Dio, oppure che i loro cuori sono storditi o induriti, non abbiate alcun dubbio che essi in precedenza avevano meritato il male, cosicché ciò che subiscono è giusto. E non incorrete in quel Proverbio di Salomone: La stoltezza dell'uomo stravolge le sue vie; e invece nel suo cuore egli accusa Dio. ( Pr 19,3 ) Ma la grazia non è data secondo i meriti degli uomini, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia; è per questo appunto che è chiamata grazia, perché viene data gratuitamente. Egli dunque, o attraverso gli angeli, sia del bene che del male, o in qualunque altro modo, è in grado di agire anche nel cuore dei malvagi, secondo quanto hanno meritato; eppure non è lui che ha prodotto la loro malizia, ma essa è stata tratta originariamente da Adamo o è stata accresciuta dalla loro propria volontà. E allora che c'è di strano se per mezzo dello Spirito Santo egli opera il bene nel cuore dei suoi eletti, dato che ha pure operato perché questi cuori si trasformino da malvagi in buoni? 22.44 - I bambini non possono avere alcun merito della volontà per ricevere la grazia Ma gli uomini presuppongano pure meriti nel bene a loro piacimento, se pensano che questi devono esserci stati quando uno viene giustificato attraverso la grazia di Dio. Certo, quando dicono ciò, non comprendono di non far nient'altro che negare la grazia; però, come ho detto, presuppongano quello che vogliono degli adulti. Ma sul problema dei bambini certamente i pelagiani non riusciranno a trovare nessuna risposta, perché questi non mettono nessuna volontà nel ricevere la grazia; quindi essi non possono dire che c'è stato in precedenza un merito della volontà. Anzi, per di più vediamo che i bambini possono anche riluttare e piangere quando sono battezzati e ricevono i divini sacramenti; e di questo potrebbero essere incolpati come di un grandissimo peccato d'empietà, se fossero già in possesso del libero arbitrio. Eppure la grazia rimane impressa anche in quelli che cercano di recalcitrare, chiarissimamente senza che la preceda nessun merito, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. E talvolta questa grazia viene concessa anche ai figli dei non credenti, quando essi in qualche modo vengono per l'occulta provvidenza di Dio nelle mani dei convertiti. Talvolta, al contrario, non la conseguono i figli dei credenti, perché qualcosa impedisce di venire in loro aiuto se si trovano in pericolo. Ma questi casi si danno per la misteriosa provvidenza di Dio, i cui giudizi sono imperscrutabili e le vie impenetrabili; ( Rm 11,33 ) ed esaminiamo come si sia svolto il ragionamento dell'Apostolo per arrivare ad esclamare così. Trattava infatti dei Giudei e dei Gentili scrivendo ai Romani, cioè appunto ai Gentili, e dice: Come infatti un tempo voi non credevate in Dio, ma ora avete ottenuto misericordia per la loro incredulità, così anche questi ora non hanno creduto a causa della misericordia da voi conseguita, affinché anch'essi ottengano misericordia; infatti Dio racchiuse tutti nell'incredulità perché possa avere misericordia di tutti. ( Rm 11,30-32 ) E dopo aver riflettuto su quello che ha detto, resta sbigottito non solo per la verità sicura, ma anche per la profondità del suo concetto che lo ha portato a concludere: Dio racchiuse tutti nell'incredulità, perché possa avere misericordia di tutti. Dunque è come se egli facesse dei mali per derivarne dei beni! Subito questo pensiero lo fa esclamare: O profondità delle ricchezze di sapienza e di scienza di Dio! Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e impenetrabili le sue vie! ( Rm 11,33 ) Infatti non pensando a questi imperscrutabili giudizi e impenetrabili vie, uomini perversi, proclivi a criticare, ma non all'altezza di comprendere, ritenevano e andavano proclamando che questa è l'opinione dell'Apostolo: Facciamo il male perché ne venga il bene. ( Rm 3,8 ) Ma nemmeno lontanamente l'Apostolo può avere affermato ciò! Eppure uomini non in grado di capire pensavano che proprio questo fosse il significato, quando sentivano le parole dell'Apostolo: E subentrò la legge perché abbondasse il peccato: infatti dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia. ( Rm 5,20 ) Ecco: proprio questo fa la grazia, che compiano il bene coloro che hanno fatto il male e non che persistano nel male, aspettando che sia corrisposto loro il bene. Non debbono dire: Facciamo il male perché ne venga il bene, ma: Abbiamo fatto il male ed è sopraggiunto il bene; adesso facciamo il bene affinché nel secolo futuro riceviamo bene per bene, noi che in questo riceviamo bene per male. Per questo nel Salmo è scritto: Io canterò a te la tua misericordia e il tuo giudizio, Signore. ( Sal 101,1 ) Prima dunque il Figlio dell'uomo è venuto nel mondo non per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui; ( Gv 3,17 ) e questo lo si deve alla misericordia. Però, successivamente, si dovrà al giudizio se egli verrà a giudicare i vivi ed i morti; per quanto anche in questo nostro tempo la salvazione stessa non avviene senza un giudizio, solo che esso resta occulto. Perciò dice: Sono venuto in questo mondo per il giudizio, affinché quelli che non vedono, vedano, e quelli che vedono divengano ciechi. ( Gv 9,39 ) 23.45 - Dio è buono e giusto Dunque richiamatevi alla mente gli occulti giudizi di Dio, quando vedete che in una causa identica, quale è certamente quella di tutti i bambini che traggono il male ereditario da Adamo, uno riceve il soccorso di essere battezzato, l'altro no, e muore nel vincolo di quel male. Inoltre, Dio vede nella sua prescienza che un battezzato sarà un empio, eppure costui è lasciato in questa vita; un altro battezzato invece è strappato da questo mondo affinché la malizia non cambi la sua mente. ( Sap 4,11 ) In questi casi non attribuite l'ingiustizia o l'insipienza a Dio, presso il quale si trova la fonte della giustizia e della sapienza; ma come vi ho esortato fin dall'inizio di questo discorso, camminate lì dove siete giunti, e Iddio vi concederà la rivelazione anche su questo, ( Fil 3,15.16 ) se non in questa vita, certamente nell'altra. Infatti non ci sarà cosa occulta che non sarà rivelata. ( Mt 10,26 ) Dunque quando udite il Signore che dice: Sono io, il Signore, che ho sviato quel profeta, ( Ez 14,9 ) e le parole dell'Apostolo: Ha misericordia di chi vuole e indurisce chi vuole, ( Rm 9,18 ) credete pure che se egli permette che uno sia sviato o indurito, costui ha meritato nel male; se invece di un altro ha pietà, riconoscete in questo con fede e sicurezza la grazia di Dio che rende non male per male, ma bene per male. Eppure non dovete sottrarre al Faraone il libero arbitrio per il fatto che in molti punti Dio dice: Io ho indurito il Faraone; Ho indurito, oppure: Renderò duro il cuore del Faraone. ( Es 4,21; Es 7,3; Es 9,12; Es 10, 20.27 ) Malgrado queste espressioni, non possiamo negare che Faraone stesso indurì il suo cuore. Infatti si legge proprio così di lui quando furono eliminati dall'Egitto i tafani, perché la Scrittura dice: E anche questa volta il Faraone indurì il suo cuore e non volle lasciare andare il popolo. ( Es 8,32 ) Allora da una parte fu Dio che indurì quel cuore attraverso un giusto giudizio, dall'altra fu il Faraone stesso ad indurirlo attraverso il libero arbitrio. Perciò state certi che non sarà vana la vostra fatica, se progredendo nel proposito buono saprete perseverare fino alla fine. Infatti Dio, che ora non retribuisce secondo le loro opere coloro che libera, allora renderà a ciascuno secondo le sue opere. ( Mt 16, 27 ) Sicuramente Dio renderà anche male per male, perché egli è giusto; e bene per male perché egli è buono; e bene per bene perché è buono e giusto; non sarà possibile soltanto che renda male per bene perché non è ingiusto. Renderà dunque male per male, castigo per ingiustizia; e renderà bene per male, grazia per ingiustizia; e renderà bene per bene, grazia per grazia ( Gv 1,16 ) 24.46 - Se non comprendete, pregate per comprendere Rifatevi continuamente a questo libro, e se comprendete ringraziate Dio; nei punti in cui non comprendete, pregate di comprendere: il Signore infatti vi concederà l'intelligenza. Ricordate che sta scritto: Se qualcuno di voi manca della sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti in abbondanza e non rimprovera, e gli sarà data ( Gc 1,5 ) Questa appunto è la sapienza che discende dall'alto, come dice lo stesso apostolo Giacomo. Ma scacciate dal vostro animo e pregate di non racchiudere in voi quella sapienza che egli abomina, quando dice: Se avete amara invidia e discordie fra di voi, non è questa la sapienza che discende dall'alto, ma è quella terrena, animale, diabolica. Dove infatti c'è invidia e discordia, lì c'è disordine e ogni opera cattiva. Ma la sapienza che discende dall'alto, in primo luogo certamente è pudica, poi pacifica, clemente, conciliante, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza simulazione. ( Gc 3,14-17 ) Quale bene dunque non avrà chi chiederà e otterrà dal Signore questo genere di sapienza? E anche di qui riconoscete la grazia, perché se questa sapienza venisse da noi non verrebbe dall'alto e non dovrebbe essere richiesta proprio a quel Dio che ci ha creato. Fratelli, pregate anche per noi, affinché viviamo con temperanza, pietà e giustizia in questo tempo aspettando quella speranza beata, e la manifestazione del Signore e del Salvatore nostro Gesù Cristo, ( Tt 2,12-13 ) a cui appartiene l'onore, la gloria e il regno con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.