La « Santa regola » Prologo 1 Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro; apri l'orecchio del tuo cuore, accogli volentieri le esortazioni del padre, che ti ama, e mettile efficacemente in pratica. 2 Così con la fatica dell'obbedienza ritornerai a Dio, dal quale ti sei allontanato con la pigrizia della disobbedienza. 3 Dunque, mi rivolgo a te, chiunque tu sia, che, rinunciando a ogni personale volontà, impugni le forti e gloriose armi dell'obbedienza per combattere nell'esercito di Cristo, vero re. 4 Innanzitutto chiedi al Signore con preghiera fervorosa che lui stesso conduca a termine ciò che ti accingi a fare; 5 sicché egli, che si è degnato di annoverarci tra i suoi figli, non debba un giorno rattristarsi per il nostro comportamento cattivo. 6 Dobbiamo mettere a frutto i suoi doni per questi motivi: perché un giorno, come padre corrucciato, non ci tolga l'eredità, 7 ma anche perché come padrone terribile, offeso dalle nostre colpe, non ci condanni al castigo eterno quali servi malvagi, che hanno rifiutato di seguirlo nella gloria. 8 Decidiamoci una buona volta! La Scrittura lo esige dicendoci: « È ormai ora di svegliarci dal sonno » ( Rm 13,11 ). 9 Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente ciò che la voce del Signore ci grida di continuo: 10 « Ascoltate oggi la sua voce: non indurite il cuore » ( Sal 95,8 ); 11 e ancora: « Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese » ( Ap 2,7 ). 12 E che cosa dice? « Venite, figli, ascoltatemi; vi insegnerò il timore di Dio » ( Sal 34,12 ). 13 « Correte mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre della morte » ( Gv 12,35 ). 14 Il Signore, cercando un operaio tra la folla, aggiunge: 15 « Chi è colui che desidera la vita e brama vedere giorni felici? » ( Sal 34,13 ). 16 Se tu, all'udirlo, rispondi: « Io », il Signore ti dice: 17 « Se vuoi possedere la vita vera ed eterna, preserva la lingua dal male, le labbra da parole bugiarde. Sta' lontano dal male e fa' il bene, cerca la pace e perseguila » ( Sal 34,14-15 ). 18 Se vi comporterete così, i miei occhi saranno su di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere e, prima ancora che mi invochiate, vi dirò: « Eccomi » ( Is 58,9 ). 19 C'è forse per noi, fratelli carissimi, qualcosa di più soave di questa voce del Signore che ci invita? 20 Dunque nella sua bontà il Signore stesso ci mostra il cammino per giungere alla vita. 21 Orsù, cingiamoci i fianchi con la fede e con la pratica delle buone opere; percorriamo la strada, sulla quale ci guida il vangelo: soltanto così diventeremo degni di vedere Dio, « che ci ha chiamati nel suo regno » ( 1 Ts 2,12 ). 22 Se abbiamo intenzione di abitare nella dimora di Dio, dobbiamo correre con la pratica delle buone opere, senza le quali non vi giungeremmo mai. 23 Ma con il Profeta rivolgiamo a Dio questa domanda: « Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte? » ( Sal 15,1 ). 24 Ascoltiamo, fratelli, la risposta che egli ci dà mostrandoci contemporaneamente la via, che conduce alla sua dimora: 25 « Chi cammina senza colpa, agisce con giustizia 26 e parla lealmente, non dice calunnia con la lingua, 27 non fa danno al suo prossimo e non lancia insulto al suo vicino » ( Sal 15,2-3 ). 28 Chi, respingendo dagli sguardi del proprio cuore il diavolo insieme alla sua tentazione, lo annienta e ne frustra già sul nascere i progetti, infrangendoli contro Cristo; 29 chi, pieno di timor di Dio, non si insuperbisce per la propria buona condotta ma, riconoscendo le sue buone qualità come dono divino, 30 glorifica il Signore che opera in lui, dicendo con il Profeta: « Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome da' gloria » ( Sal 115,1 ). 31 Allo stesso modo anche l'apostolo Paolo non si è attribuito nessun merito per la sua predicazione, se diceva: « Per grazia di Dio sono quello che sono » ( 1 Cor 15,10 ); 32 e ancora: « Chi si vanta, si vanti nel Signore » ( 2 Cor 10,17 ). 33 Cristo dice nel vangelo: « Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. 34 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, poiché era fondata sulla roccia » ( Mt 7,24-25 ). 35 In conclusione, il Signore aspetta ogni giorno, senza stancarsi, che noi corrispondiamo con i fatti alle sue sante esortazioni. 36 Per questo egli ci concede i giorni di questa vita terrena come tempo per correggerci dai vizi, 37 secondo quanto dice l'Apostolo: « Non vedi che la pazienza di Dio ti spinge alla conversione? » ( Rm 2,4 ). 38 Nella sua bontà il Signore stesso afferma: « Io non godo della morte dell'empio, ma voglio che egli desista dalla sua condotta e viva » ( Ez 33,11 ). 39 Fratelli, dopo aver chiesto al Signore chi possa dimorare nella sua casa, abbiamo appreso le condizioni per abitarvi: tocca ora a noi metterle in pratica! 40 Perciò, disponiamo il cuore e il corpo ai comandamenti divini, per servire nell'obbedienza. 41 Per quello poi che non riesce a fare la nostra natura, preghiamo il Signore di venirci in aiuto con la sua grazia. 42 Bramiamo noi fuggire le pene dell'inferno e giungere alla vita eterna? 43 Allora, finché abbiamo tempo in questa vita, e possiamo quindi adempiere i nostri doveri, 44 impegniamoci a fare quanto ci può essere utile per tutta l'eternità! 45 Istituiremo a tale scopo una scuola di servizio divino; 46 e nell'organizzarla speriamo di non programmare nulla di gravoso o d'insopportabile. 47 Se poi per motivi giustificati t'imbatterai in disposizioni alquanto severe, necessarie per correggere i vizi o per conservare la carità, 48 non devi per questo spaventarti e abbandonare subito la via della salvezza, dove si può entrare solo attraverso una porta stretta. 49 Sappi però che, progredendo nella vita monastica e nella fede, il tuo cuore si dilaterà e in una ineffabile dolcezza d'amore correrai nella via dei divini comandamenti. 50 Di conseguenza non lasceremo mai il suo insegnamento, e persevereremo in monastero, nella sua scuola, fino alla morte; e così parteciperemo, mediante la pazienza, alla passione di Cristo, per meritare di condividere anche il suo regno. Amen. Capitolo I - Varie specie di monaci 1 Esistono quattro specie di monaci. 2 La prima è quella dei cenobìti, che vivono in un monastero sotto una regola e un abate. 3 La seconda è quella degli anacorèti, cioè degli eremiti. Questi, non per un inconsulto fervore di principianti, ma con una larga prova fatta in monastero, 4 hanno imparato a combattere da soli, senza l'aiuto di altri, contro il demonio. 5 Così, bene addestrati in mezzo ai fratelli nella lotta spirituale, sono divenuti abbastanza forti per combattere, con l'aiuto di Dio e senza l'appoggio altrui, contro gli allettamenti della carne e dei pensieri. 6 Vi è una terza categoria di monaci, molto detestabile, ed è quella dei sarabaìti. Costoro non sono stati provati - come l'oro nella fornace - dalla pratica quotidiana di una regola; ma, resi molli come il piombo, 7 nella loro condotta si conservano ancora fedeli al mondo, e con la loro tonsura mostrano di mentire a Dio. 8 Vivono a gruppi di due o tre, oppure da soli, senza pastore, chiusi nei propri ovili e non in quelli del Signore. Hanno per legge l'appagamento delle loro voglie: 9 tutto quanto viene loro in mente e a loro piace, lo dicono santo; invece tutto quanto non vogliono, lo ritengono illecito. 10 La quarta specie di monaci è quella di coloro che si chiamano giròvaghi. Passano la vita girando da paese in paese, ospiti tre o quattro giorni in monasteri diversi, 11 sempre vagabondi, mai stabili, schiavi dei propri capricci e della propria golosità: insomma sono peggiori dei sarabaìti. 12 Del miserabile modo di vivere di tutti costoro è meglio tacere che parlare. 13 Perciò, lasciamoli tutti da parte e con l'aiuto di Dio passiamo ad organizzare la valorosa specie dei cenobìti. Capitolo II - Le qualità dell'abate 1 L'abate, degno di essere messo a capo di un monastero, deve sempre ricordare come è chiamato e realizzare con i fatti il nome di superiore. 2 Infatti, siamo convinti che egli fa in monastero le veci di Cristo, poiché è chiamato con il suo stesso nome, 3 come dice l'apostolo Paolo: « Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre! » ( Rm 8,15 ). 4 L'abate non deve insegnare, stabilire o comandare nulla che sia contrario ai comandamenti di Dio. 5 I suoi comandi e i suoi insegnamenti infondano nel cuore dei discepoli un fermento di giustizia divina. 6 Ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio egli renderà conto del suo insegnamento e dell'obbedienza dei suoi discepoli. 7 Sappia che verrà imputato a lui, pastore, ogni carenza che il Padre di famiglia troverà nel suo gregge. 8 Però, se avrà usato tutto lo zelo pastorale verso le pecore indocili e disubbidienti, se si sarà adoperato instancabilmente per guarire le loro infermità, 9 soltanto allora Dio l'assolverà nel giudizio; ed egli stesso potrà dire con il Profeta: « Signore, non ho nascosto la tua giustizia in fondo al cuore; la tua fedeltà e la tua salvezza ho proclamato » ( Sal 40,11 ), « ma essi si sono ribellati contro di me » ( Is 1,2 ). 10 Solo allora sulle pecore ribelli alle sue cure si abbatterà il castigo della morte. 11 Colui che riceve l'ufficio abbaziale deve governare i discepoli con due forme di insegnamento: 12 mostri cioè quello che è buono e santo con le parole, ma molto più con le opere. Ai discepoli capaci esponga a voce l'insegnamento di Dio; a quelli duri di cuore e agli animi semplici mostri invece i precetti divini con il suo esempio. 13 Quanto egli avrà segnalato come contrario alla legge divina, lo dimostri poi con la testimonianza della sua vita affinché non venga condannato proprio lui che predica la salvezza agli altri, 14 e un giorno il Signore non gli dica per i suoi peccati: « Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle? » ( Sal 50,16-17 ). 15 E ancora: « Tu che osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? » ( Mt 7,3 ). 16 L'abate non faccia in monastero preferenze di persone. 17 Non ami l'uno più dell'altro, eccetto colui che si mostrerà migliore nella condotta e nell'obbedienza. 18 Non anteponga il nobile allo schiavo, salvo che per giusti motivi. 19 Se crede opportuno promuovere qualche fratello, lo faccia senza tener conto della sua condizione sociale, altrimenti ognuno conservi il proprio posto, 20 poiché « o schiavi o liberi, tutti siamo una cosa sola in Cristo » ( Gal 3,28 ) e tutti compiamo lo stesso servizio sotto l'unico Signore, « poiché non vi è preferenza di persone presso Dio » ( Ef 6,8 ). 21 Il solo criterio, per cui ci distinguiamo davanti a lui, è questo: se siamo migliori nel bene e nell'umiltà. 22 Perciò l'abate ami tutti nella stessa misura: mantenga nei riguardi di tutti una uguale condotta, badando tuttavia anche ai meriti di ciascuno. 23 Nell'esercizio del suo ufficio l'abate osservi sempre il consiglio dell'Apostolo: « Ammonisci, rimprovera, esorta » ( 2 Tm 4,2 ). 24 In altre parole, alternando secondo le circostanze, la severità e la dolcezza, mostri ora il rigore del maestro, ora l'affetto del padre; 25 vale a dire, riprenda con una certa durezza gli indisciplinati e gli irrequieti; ma gli obbedienti, i miti e i pazienti li esorti a progredire sempre più. Riguardo poi ai negligenti e agli incalliti nel male, raccomandiamo di sgridarli e punirli. 26 L'abate non chiuda gli occhi sulle mancanze, ma le stronchi energicamente fin dalle radici non appena cominciano a spuntare. Ricordi la triste sorte di Eli, sacerdote di Silo. 27 Corregga, avvertendoli una o due volte, i più docili e comprensivi; 28 ma i malvagi, i testardi, i superbi e ribelli li corregga subito con castighi corporali, come sta scritto: « Lo stolto non si corregge con le parole » ( Pr 29,19 ); 29 e ancora: « Batti tuo figlio con la verga e lo salverai dalla morte » ( Pr 23,14 ). 30 L'abate ricordi sempre la sua identità e l'appellativo con cui lo si chiama; sappia che si esige di più da colui, al quale è stato affidato di più. 31 Si renda conto come sia difficile e arduo l'incarico avuto: quello cioè di guidare le anime e di adattarsi ai diversi caratteri, usando con l'uno l'incoraggiamento, con l'altro il rimprovero o la persuasione. 32 Secondo le disposizioni e l'intelligenza di ciascuno, si conformi e si adatti a tutti in modo tale da non subire perdite nel gregge affidatogli, ma anzi da rallegrarsi per il suo incremento. 33 L'abate non perda di vista né sottovaluti la salvezza delle anime, né si preoccupi degli interessi materiali. 34 Pensi sempre che ha ricevuto anime da governare, di cui un giorno dovrà rendere conto. 35 Non porti a pretesto un'eventuale povertà economica, poiché sta scritto: « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta » ( Mt 6,33 ); 36 e ancora: « Nulla manca a coloro che lo temono » ( Sal 34,10 ). 37 Chi ha ricevuto l'incarico di governare anime, ne renderà conto. 38 Sappia perciò l'abate che nel tribunale di Dio renderà conto di tutte le anime affidate alle sue cure, non esclusa, s'intende, la propria. 39 Così, sempre timoroso dell'esame che un giorno egli, quale pastore, subirà nei riguardi delle pecore avute in custodia, e preoccupato del rendiconto sulle anime altrui, vigilerà contemporaneamente anche sulla propria. 40 E mentre con le sue istruzioni correggerà gli altri, egli stesso si libererà dai suoi difetti. Capitolo III - Raduno dei fratelli a consiglio 1 Ogni volta che nel monastero bisogna trattare affari di particolare importanza, l'abate raduni tutta la comunità ed esponga egli stesso il problema. 2 Ascolti il consiglio dei fratelli, vi rifletta a lungo e, infine, agisca come giudicherà meglio. 3 Abbiamo detto che tutti siano chiamati a esprimere il proprio parere, poiché spesso è al più giovane che Dio rivela la soluzione migliore. 4 I fratelli espongano il loro parere con grande sottomissione e umiltà, evitando di sostenere ostinatamente il punto di vista personale. 5 La decisione ultima però dipenda dall'abate. Una volta che egli ha deciso, tutti gli obbediscano. 6 Tuttavia, come è conveniente che i discepoli obbediscano al maestro, così è anche giusto che egli prenda le sue decisioni con prudenza e giustizia. 7 In ogni cosa tutti seguano la Regola come maestra e nessuno ardisca allontanarsene. 8 Nessuno segua i capricci del proprio cuore. 9 Nessuno osi mai discutere insolentemente con l'abate anche fuori del monastero: 10 chi avesse la sfacciataggine di farlo, sia ripreso secondo le norme stabilite dalla Regola. 11 Da parte sua l'abate agisca sempre nel timore di Dio e nel rispetto della Regola, sapendo che di ogni sua disposizione renderà conto a Dio, il più giusto dei giudici. 12 Quando invece bisogna trattare affari meno importanti, l'abate chieda solo il consiglio degli anziani, 13 come sta scritto: « Fa' tutto con il consiglio, e dopo non te ne pentirai » ( Sir 32,24 ). Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere 1 Innanzitutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. 2 Amare il prossimo come se stessi. 3 Non uccidere. 4 Non commettere adulterio. 5 Non rubare. 6 Non nutrire desideri cattivi. 7 Non testimoniare il falso. 8 Onorare tutti gli uomini. 9 Non fare agli altri quanto non si desidera fatto a sé. 10 Rinunciare a se stessi per seguire Cristo. 11 Mortificare il proprio corpo. 12 Non cercare avidamente le comodità. 13 Amare il digiuno. 14 Assistere i poveri. 15 Vestire gli ignudi. 16 Visitare gli ammalati. 17 Seppellire i morti. 18 Soccorrere chi è in pena. 19 Consolare gli afflitti. 20 Estraniarsi da ogni pensiero e comportamento mondano. 21 Nulla anteporre all'amore di Cristo. 22 Non dare sfogo all'ira. 23 Non conservare astio nel cuore. 24 Non nutrire inganno nel cuore. 25 Non dare con falsità l'abbraccio di pace. 26 Non allontanarsi dalla carità. 27 Non giurare, per evitare lo spergiuro. 28 Dire la verità con il cuore e con la bocca. 29 Non rendere male per male. 30 Non fare ingiustizie, ma sopportare pazientemente quelle ricevute. 31 Amare i nemici. 32 Non maledire chi ci maledice, ma benedirlo. 33 Sopportare le persecuzioni per la giustizia. 34 Non montare in superbia. 35 Non amare troppo il vino. 36 Non essere goloso. 37 Non essere sonnolento. 38 Non essere pigro. 39 Non mormorare. 40 Non denigrare. 41 Riporre la propria speranza in Dio. 42 Attribuire a Dio e non a se stessi il bene che si crede di avere. 43 Al contrario attribuire unicamente a se stessi il male. 44 Temere il giorno del giudizio. 45 Avere terrore dell'inferno. 46 Desiderare ardentemente la vita eterna. 47 Pensare ogni giorno alla morte. 48 Vigilare continuamente sulle azioni della propria vita. 49 Credere che in ogni luogo Dio ci vede. 50 Infrangere contro Cristo i pensieri cattivi appena si presentano e manifestarli al padre spirituale. 51 Non proferire parole cattive e disoneste. 52 Non amare le chiacchiere. 53 Non dire parole inutili o sciocche. 54 Non ridere frequentemente o in maniera smodata. 55 Ascoltare volentieri le sante letture. 56 Pregare frequentemente. 57 Ogni giorno confessare a Dio le proprie colpe con lacrime e gemiti, 58 ed emendarsene. 59 Non soddisfare i desideri della carne. 60 Odiare la propria volontà. 61 Obbedire sempre ai comandi dell'abate, anche se egli agisse differentemente. In questo caso ricordare la parola del Signore: « Fate ciò che dicono, ma non fate ciò che fanno » ( Mt 23,3 ). 62 Non voler essere considerato santo, ma diventarlo, affinché si possa dirlo con verità. 63 Praticare ogni giorno i comandamenti di Dio. 64 Amare la castità. 65 Non odiare nessuno. 66 Non avere gelosia. 67 Non lasciarsi trasportare dall'invidia. 68 Non amare i litigi. 69 Fuggire l'orgoglio. 70 Venerare gli anziani. 71 Amare i giovani. 72 Per amore di Cristo pregare per i nemici. 73 Rappacificarsi prima del tramonto del sole con chi è in discordia con noi. 74 Mai disperare della misericordia di Dio. 75 Questi sono gli strumenti dell'arte spirituale. 76 Se noi li adopereremo ininterrottamente notte e giorno e li riconsegneremo nel giorno del giudizio, il Signore ci darà il premio da lui promesso: 77 « Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono nel cuore dell'uomo, queste cose ha preparato Dio per coloro che lo amano » ( 1 Cor 2,9 ). 78 L'officina, in cui adoperare tali strumenti, è il recinto del monastero e la permanenza continua in una famiglia monastica. Capitolo V - L'obbedienza 1 Il primo gradino dell'umiltà è l'obbedienza compiuta senza indugio. 2 Essa è propria di quelli che hanno caro Cristo più di ogni altra cosa. 3 In forza del santo servizio cui si sono consacrati, per timore dell'inferno e per la brama ardente della gloria celeste, 4 appena il superiore dà un comando, come se questo venisse direttamente da Dio, i fratelli non ritardano un attimo nell'eseguirlo. 5 Di essi infatti il Signore dice: « All'udirmi subito mi obbedivano » ( Sal 18,45 ); 6 e ancora dichiara ai maestri delle anime: « Chi ascolta voi, ascolta me » ( Lc 10,16 ). 7 I veri monaci, non preoccupati dei propri interessi e rinunciando alla propria volontà, 8 depongono all'istante tutto ciò che hanno in mano, e sulle ali dell'obbedienza eseguono il comando del superiore. 9 E allora, quasi nello stesso momento, con lo slancio del timore di Dio, due cose si realizzano insieme: il comando del maestro e la perfetta esecuzione del discepolo. 10 Così si comportano coloro che sono animati dall'amore per la vita eterna. 11 Essi si slanciano dunque con entusiasmo per la via stretta, della quale il Signore dice: « Stretta è la via che conduce alla vita » ( Mt 7,14 ). 12 Essi non vivono secondo il proprio capriccio personale, né obbediscono ai propri capricci, ma camminano sotto il giudizio e il comando altrui. Vivendo in monastero, desiderano essere sottomessi a un abate. 13 Indubbiamente costoro imitano il Signore che dice: « Sono venuto non a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato » ( Gv 6,38 ). 14 Questa obbedienza sarà gradita a Dio e dolce agli uomini, solo se si eseguirà l'ordine senza esitazione, ritardo, svogliatezza, mormorazione o contestazione; 15 poiché l'obbedienza fatta ai superiori si presta a Dio. Lo attesta infatti Cristo stesso: « Chi ascolta voi, ascolta me » ( Lc 10,16 ). 16 Bisogna che i discepoli obbediscano sempre di buon animo, poiché « Dio ama chi dona con gioia » ( 2 Cor 9,7 ). 17Se invece obbediscono malvolentieri e mormorano anche soltanto dentro di sé, 18 pur compiendo materialmente l'ordine, essi non saranno graditi a Dio, che li scruta nel profondo del cuore. 19 Per tale comportamento non otterranno alcun premio; anzi incorreranno nella pena dei mormoratori, a meno che non si correggano e ne facciano penitenza. Capitolo VI - L'amore al silenzio 1 Facciamo quanto afferma il Profeta: « Ho detto: veglierò sulla mia condotta per non peccare con la mia lingua; ho posto un freno alla mia bocca, sono ammutolito, mi sono umiliato e trattenuto dal parlare anche di cose oneste » ( Sal 39,2-3 ). 2 Con questa frase il Profeta c'insegna che se, per amore del silenzio, bisogna astenersi perfino dai discorsi buoni, molto più bisogna evitare i discorsi cattivi per non peccare. 3 Pertanto è tale l'importanza del silenzio che ai discepoli, sia pure progrediti nella vita spirituale, solo di rado si deve permettere di parlare anche di argomenti onesti, santi ed edificanti. 4 Sta scritto infatti: « Nel molto parlare non manca la colpa » ( Pr 10,19 ); 5 e altrove: « Morte e vita sono in potere della lingua » ( Pr 18,21 ). 6 Parlare e insegnare spetta al maestro; tacere e ascoltare invece tocca al discepolo. 7 Se si deve chiedere qualcosa al superiore, lo si faccia con grande umiltà e con deferente sottomissione. 8 Escludiamo nel modo più assoluto le volgarità, le parole inutili e le buffonerie, e non permettiamo che il discepolo apra mai la bocca a un siffatto parlare. Capitolo VII - L'umiltà 1 Fratelli, la sacra Scrittura afferma categoricamente: « Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato » ( Lc 14,11 ). 2 Queste parole ci dimostrano che ogni esaltazione denota una specie di superbia, 3 da cui il Profeta ci tiene in guardia dicendo: « Signore, il mio cuore non si inorgoglisce e il mio sguardo non si leva in superbia, non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze » ( Sal 131,1 ). 4 Ecco, « se non nutro pensieri di umiltà, se il mio cuore s'inorgoglisce, mi tratterai come un bambino allontanato dal seno di sua madre » ( Sal 131,2 ). 5 Fratelli, se vogliamo raggiungere la più alta vetta dell'umiltà e arrivare velocemente a quella gloria celeste, che si ottiene con l'umiltà della vita presente, 6 dobbiamo innalzare con le nostre azioni la scala che apparve in sogno a Giacobbe e sulla quale gli angeli salivano e scendevano. 7 Senza dubbio, il loro salire e scendere significa solo questo: con la superbia si scende, con l'umiltà si sale. 8 Questa scala rappresenta la nostra vita quaggiù, che Dio, man mano che il nostro cuore si umilia, innalza verso il cielo. 9 I lati di questa scala sono il nostro corpo e la nostra anima: tra di essi il Signore ha collocato diversi gradini di umiltà e di condotta spirituale, affinché possiamo salirli. 10 Primo gradino di umiltà: L'uomo penetrato profondamente dal timor di Dio 11 ne ricorda continuamente i precetti, medita giorno e notte sull'inferno, dove soffrono eternamente i peccatori, e pregusta fin da quaggiù la vita eterna promessa a chi teme il Signore. 12 In tal modo in ogni istante egli si sforza di fuggire i peccati di pensiero, di lingua, di mani, di piedi, di volontà, come pure i desideri della carne. 13 Pensi l'uomo di essere continuamente osservato da Dio, e che le proprie azioni sono viste in ogni luogo dallo sguardo divino e continuamente riferite dagli angeli. 14 Ce lo dimostra il Profeta quando presenta un Dio sempre presente ai nostri pensieri, con queste parole: « Dio prova mente e cuore » ( Sal 7,10 ); 15 e ancora: « Il Signore conosce i pensieri dell'uomo » ( Sal 94,11 ); 16 e di più: « Tu penetri da lontano i miei pensieri » ( Sal 139,2 ); 17 e: « Il pensiero dell'uomo si svelerà a te » ( Sal 76,11 ). 18 Il buon monaco, per mantenersi in guardia contro i pensieri cattivi, ripeta sempre in cuor suo: « Allora sarò puro davanti a lui, se mi saprò guardare dal mio peccato » ( Sal 18,24 ). 19 Per quanto riguarda la nostra volontà, la Scrittura ci proibisce di assecondarla, dicendo: « Non seguire i tuoi desideri » ( Sir 18,30 ). 20 E nel « Padre nostro » domandiamo che si faccia in noi la sua volontà. 21 Opportunamente dunque ci viene insegnato di rinunciare a noi stessi, affinché temiamo ciò che dice la Scrittura: « Vi sono vie che sembrano diritte all'uomo, ma sboccano nel profondo dell'inferno » ( Pr 16,25 ). 22 Ugualmente temiamo quanto si afferma dei negligenti: « Sono corrotti, fanno cose abominevoli » ( Sal 53,2 ). 23 Per quanto poi riguarda i nostri desideri cattivi, sappiamo che Dio è presente, poiché il Profeta dice rivolgendosi al Signore: « Davanti a te è ogni mio desiderio » ( Sal 38,10 ). 24 Bisogna quindi vigilare su ogni desiderio cattivo, poiché la morte sta in agguato proprio all'inizio del piacere peccaminoso. 25 Ecco allora l'avvertimento biblico: « Non seguire le tue passioni » ( Sir 18,30 ). 26 Dunque, fratelli, se « gli occhi del Signore osservano i buoni e i malvagi » ( Pr 15,3 ), 27 e « dal cielo il Signore si china sugli uomini per vedere chi è saggio o cerca Dio » ( Sal 14,2 ), 28 e se giorno e notte gli angeli custodi riferiscono a Dio tutte le nostre azioni, 29 allora dobbiamo in ogni istante preoccuparci che Dio - come dice il salmo - non ci veda « deviare verso il male e divenire buoni a nulla » ( Sal 14,2 ). 30 Se adesso egli ci perdona, poiché nella sua misericordia attende il nostro ravvedimento, tuttavia dobbiamo temere che un giorno ci dica: « Hai fatto questo e io ho taciuto » ( Sal 50,21 ). 31 Secondo gradino di umiltà: Non amare la volontà propria né compiacersi di realizzare i propri desideri, 32 ma mettere in pratica questa parola del Signore: « Io sono venuto non a fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato » ( Gv 6,38 ). 33 E un sacro testo aggiunge: « Il proprio volere merita la pena, mentre la costrizione dell'obbedienza procura il premio » ( Atti dei santi Agape, Chiona e Irene, Scena XII: PL 137, 1000 ). 34 Terzo gradino di umiltà: Per amor di Dio sottomettersi totalmente al superiore, imitando il Cristo di cui l'Apostolo dice: « Si fece obbediente fino alla morte » ( Fil 2,8 ). 35 Quarto giardino di umiltà: Nell'esercizio dell'obbedienza, incontrando difficoltà, opposizioni o addirittura ingiustizie, conservare in un silenzio interiore la pazienza 36 senza demoralizzarsi né indietreggiare, come dice la Scrittura: « Chi persevererà sino alla fine sarà salvo » ( Mt 10,22 ); 37 e ancora: « Si rinfranchi il tuo cuore e speri nel Signore » ( Sal 27,14 ). 38 E per dimostrare che il monaco fedele deve per il Signore sopportare tutto, anche la contraddizione, aggiunge a nome di quelli che soffrono: « Per te ogni giorno siamo messi a morte, stimati come pecore da macello » ( Sal 44,23 ). 39 I monaci, certi della ricompensa divina, perseverano nella gioia e dicono: « Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati » ( Rm 8,37 ). 40 A queste parole fa eco un altro testo sacro: « O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai passati al crogiuolo come l'argento. Ci hai fatti cadere in un agguato, hai messo un peso ai nostri fianchi » ( Sal 66,10-11 ). 41 E per indicare che bisogna sottomettersi ad un superiore, continua: « Hai posto uomini sulle nostre teste » ( Sal 66,12 ). 42 I discepoli mettono in pratica questo comandamento del Signore attraverso la pazienza di fronte alle opposizioni e alle ingiustizie: colpiti su una guancia porgono anche l'altra; a chi prende loro il vestito lasciano anche il mantello; richiesti di camminare per un chilometro, ne fanno due ( cfr Mt 5,39-41 ); 43 assieme all'apostolo Paolo sopportano i falsi fratelli e benedicono quelli che li maledicono ( cfr 2 Cor 11,26 ). 44 Quinto gradino di umiltà: Da parte del fratello manifestare umilmente all'abate i cattivi pensieri che si affacciano al cuore e i peccati commessi in segreto. 45 A questo ci esorta la Scrittura dicendo: « Manifesta al Signore la tua via, confida in lui » ( Sal 37,5 ); 46 e ancora: « Confessatevi al Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia » ( Sal 106,1 ); 47 e altrove: « Ti ho manifestato i miei peccati, non ho tenuto nascosto il mio errore. 48 Ho detto: confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato » ( Sal 32,5 ). 49 Sesto gradino di umiltà: Essere contento di ogni cosa ordinaria e spregevole, e di fronte a qualsiasi comando giudicarsi servo cattivo e indegno, 50 ripetendo le parole del Profeta: « Io ero stolto e non capivo, davanti a te stavo come una bestia, ma io sono con te sempre » ( Sal 73,22 ). 51 Settimo gradino di umiltà: Proclamarsi l'ultimo e il più indegno, non solo a parole, ma credersi tale anche nel più profondo del cuore, 52 dicendo con il Profeta: « Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo » ( Sal 22,7 ), 53 « mi sono esaltato e sono stato umiliato e confuso » ( Sal 88,16 ); 54 e ancora: « Bene per me se sono stato umiliato, affinché impari ad obbedirti » ( Sal 119,71 ). 55 Ottavo gradino di umiltà: Fare soltanto ciò che suggerisce la Regola del monastero o l'esempio dei più anziani. 56 Nono gradino di umiltà: Frenare la lingua e, conservando lo spirito del silenzio, non parlare fino a che non si è interrogati. 57 Infatti la Scrittura mostra che « nel molto parlare non manca la colpa » ( Pr 10,19 ) 58 e che « il chiacchierone cammina sulla terra senza direzione » ( Sal 140,12 ). 59 Decimo gradino di umiltà: Non ridere facilmente e per qualsiasi motivo. A tal proposito si trova scritto: « Lo stolto alza la voce quando ride » ( Sir 21,23 ). 60 Undicesimo gradino di umiltà: Quando si parla, farlo pacatamente, senza ridere, con umiltà e gravità, limitandosi a poche e assennate parole, senza alzar la voce. 61 Infatti leggiamo: « Il saggio si riconosce dalla brevità del parlare » ( cfr Qo 10,14 ). 62 Dodicesimo gradino di umiltà: Possedere l'umiltà non solo nel cuore, ma manifestarla anche all'esterno con l'atteggiamento modesto: 63 all'ufficio divino, nell'oratorio, in monastero, nell'orto, per strada, in campagna; quando si è seduti, si cammina o si sta in piedi, avere continuamente il capo chino e gli occhi fissi a terra, 64 sentendosi colpevoli dei propri peccati e vedendosi già davanti al tremendo giudizio di Dio. 65 Il monaco ripete allora continuamente in cuor suo le parole che disse il pubblicano del vangelo, mentre teneva gli occhi bassi: « Signore, non sono degno, io peccatore, di alzare gli occhi al cielo » ( Lc 18,13 ); 66 e ancora dice il Profeta: « Mi sono piegato fino a terra umiliandomi, sempre » ( Sal 38,7 ). 67 ( Il monaco ), quando avrà salito tutti questi gradini di umiltà, giungerà presto a quell'amore di Dio che, quando è « perfetto, scaccia il timore » ( 1 Gv 4,18 ). 68 Grazie a questo amore, tutto ciò che prima osservava con paura, incomincerà a compierlo con naturalezza, come per abitudine, 69 non più per paura dell'inferno, ma per amore di Cristo e per il gusto del bene. 70 Per grazia dello Spirito Santo il Signore si degnerà di manifestare tutto ciò nel suo operaio, ormai purificato dai vizi e dai peccati. Capitolo VIII - L'ufficio divino nella notte 1 D'inverno - cioè dal 1° novembre a Pasqua - ci si alzi verso le due della notte, 2 in modo da riposare un po' più della mezzanotte e alzarsi a digestione avvenuta. 3 Quanto al tempo che rimane dopo l'Ufficio delle Letture, i fratelli, che ne hanno bisogno lo consacrino allo studio del salterio e della sacra Scrittura. 4 Da Pasqua al 1° novembre l'orario sia regolato in maniera tale che all'Ufficio delle Letture - dopo un brevissimo intervallo concesso ai fratelli per soddisfare ad eventuali necessità naturali - segua la celebrazione delle Lodi mattutine, da farsi verso l'alba. Capitolo IX - I salmi nell'ufficio delle letture 1 D'inverno s'incominci l'Ufficio delle Letture cantando tre volte questo versetto: « Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode » ( Sal 51,17 ). 2 Seguano quindi il salmo 3 con il « Gloria al Padre », 3 il salmo 95 accompagnato dall'antifona - oppure cantato tutto di seguito - 4 e l'inno. Si recitino quindi sei salmi con le rispettive antifone. 5 Quindi si dica il versetto, seguito dalla benedizione dell'abate. Dopo che tutti si saranno seduti, ciascuno al proprio scanno, un fratello a turno proclami dal volume posto sul leggìo tre letture intercalate da responsori. 6 Due di questi si diranno senza il « Gloria al Padre »; invece dopo il terzo responsorio il cantore intonerà « Gloria al Padre ». 7 Allora tutti si alzino in segno di rispetto alla santissima Trinità. 8 All'Ufficio delle Letture si leggano brani del Nuovo e dell'Antico Testamento e i rispettivi commenti dei Padri di ben sicura reputazione e ortodossia. 9 A queste tre letture con responsori seguano altri sei salmi con l'« Alleluia ». 10 Quindi si recitino a memoria una lettura di san Paolo, il versetto, le preci litaniche, cioè il « Kyrie eleison » ( Signore, pietà ). 11 Così si concluda l'Ufficio delle Letture. Capitolo X - L'ufficio delle letture in estate 1 Da Pasqua al 1° novembre il numero dei salmi rimanga quello stabilito sopra. 2 Poiché in questo periodo le notti sono piuttosto brevi, si omettano le tre letture e al loro posto se ne reciti a memoria una sola tratta dall'Antico Testamento e seguita da un responsorio breve. 3 Il resto segua l'ordine già prescritto, cioè: nell'Ufficio delle Letture non si cantino mai meno di dodici salmi, senza contare i salmi 3 e 95. Capitolo XI - L'ufficio delle letture di domenica 1 Alla domenica i fratelli si alzino per l'Ufficio delle Letture un po' prima del solito. 2 Nella recita dell'Ufficio si segua quest'ordine. Come si è detto sopra, dopo il canto di sei salmi e del versetto ognuno segga al proprio posto sugli scanni. Tutti ascoltino quattro letture con i rispettivi responsori; 3 dopo il quarto il lettore intoni il « Gloria al Padre », e tutti si alzino riverentemente in piedi. 4 Seguano altri sei salmi con le antifone e il versetto. 5 Quindi si leggano altre quattro letture con i responsori nell'ordine sopra indicato. 6 Si dicano poi tre cantici dei Profeti, scelti dall'abate, e accompagnati dall'« Alleluia ». 7 Dopo il versetto e la benedizione dell'abate si leggano altri quattro brani del Nuovo Testamento. 8 Alla fine del quarto responsorio l'abate intoni il « Te Deum ». 9 Quindi lo stesso abate proclami un passo del vangelo. Tutti ascoltino stando in piedi, con riverenza e tremore. 10 Alla fine rispondano « Amen ». Poi l'abate intoni l'inno « Te decet laus » e dia la benedizione. Subito dopo si inizino le Lodi mattutine. 11 Questo ordine dell'Ufficio delle Letture domenicale va conservato tanto d'estate quanto d'inverno, 12 eccetto il caso in cui i fratelli si siano alzati un po' più tardi; allora bisogna abbreviare le letture e i responsori. 13 Però si faccia ogni sforzo affinché ciò non avvenga. Se accadesse, il colpevole ne dia soddisfazione pubblica davanti a Dio nell'oratorio. Capitolo XII - Le lodi mattutine nelle domeniche  1 Le Lodi mattutine della domenica s'inizino con il canto del salmo 67 senza antifona. 2 Quindi s'intoni il salmo 51 con l'« Alleluia » 3 seguito dai salmi 118 e 63. 4 Poi il cantico « Benedicite » con i salmi 148, 149 e 150. Si recitino quindi a memoria un brano della Apocalisse, il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del vangelo e la prece litanica. Così si finisca. Capitolo XIII - Le lodi mattutine nei giorni feriali 1 Nei giorni feriali le Lodi mattutine si celebrino in questa maniera: 2 s'incomincino cantando il salmo 67 senza antifona e prolungandolo un poco, come di domenica, affinché tutti siano presenti all'inizio del salmo 51, che va detto con l'antifona. 3 Seguano altri due salmi: 4 al lunedì i salmi 5 e 36; 5 al martedì i salmi 43 e 57; 6 al mercoledì i salmi 64 e 65; 7 al giovedì i salmi 88 e 90; 8 al venerdì i salmi 76 e 92; 9 al sabato il salmo 143 con il cantico del Deuteronomio diviso in due parti e concluso con il « Gloria al Padre ». 10 Negli altri giorni si reciti un cantico dei Profeti, come usa la Chiesa Romana; 11 subito dopo, i salmi 148, 149 e 150; poi un passo di san Paolo recitato a memoria, il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del vangelo e la prece litanica. Così si finisce. 12 Le Lodi mattutine e il Vespro non si concludano mai senza che il superiore reciti il « Padre nostro » per intero e a voce alta, e ciò a motivo delle contrarietà che nascono spesso in seno alle comunità. 13 Così che i fratelli, impegnati dalla promessa che fanno con le parole « Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo » ( Mt 6,12 ), si purifichino da simili colpe. 14 Invece negli altri Uffici si reciti ad alta voce soltanto l'ultima parte di questa preghiera, in modo che tutti rispondano: « Ma liberaci dal male » ( Mt 6,13 ). Capitolo XIV - La liturgia delle ore nelle feste dei santi 1 Nelle feste dei santi e nelle altre solennità si celebri l'Ufficio secondo le norme stabilite per la domenica. 2 Però i salmi, le antifone e le letture corrispondano a quel giorno. Per la loro disposizione ci si attenga a ciò che è stato detto sopra. Capitolo XV - Quando si canta l'« Alleluia » 1 Da Pasqua a Pentecoste si canti costantemente l'« Alleluia » sia nei salmi come nei responsori. 2 Da Pentecoste all'inizio di Quaresima, nell'Ufficio delle Letture lo si canti soltanto con i sei salmi della seconda parte. 3 Nelle domeniche fuori del tempo di Quaresima si dicano con l'« Alleluia » i cantici, le Lodi mattutine e le Ore di Prima, Terza, Sesta e Nona; il Vespro invece si reciti con le antifone. 4 I responsori abbiano l'« Alleluia » soltanto da Pasqua a Pentecoste. Capitolo XVI - La liturgia delle ore durante il giorno 1 Il Profeta dice: « Sette volte al giorno ti lodo » ( Sal 119,164 ). 2 Compiamo questo sacro numero di sette, se celebriamo ogni giorno le Lodi mattutine, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta. 3 Di queste ore diurne il Profeta ha detto: « Sette volte al giorno ti lodo » ( Sal 119,164 ). 4 Riferendosi invece alle ore notturne, lo stesso Profeta dice: « Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode » ( Sal 119,62 ). 5 Quindi offriamo a Dio creatore la nostra lode « per la sentenza della sua giustizia » ( Sal 119,164 ), ossia alle Lodi mattutine, a Prima, a Terza, a Sesta, a Nona, a Vespro e a Compieta; e alziamoci anche di notte per glorificarlo. Capitolo XVII - I salmi nelle singole ore del giorno 1 Abbiamo già fissato l'ordine della salmodia nell'Ufficio delle Letture e alle Lodi mattutine; passiamo adesso alle altre Ore. 2 A Prima si cantino tre salmi, ciascuno con il « Gloria al Padre ». 3 A essi si premettano il versetto « O Dio, vieni a salvarmi » ( Sal 70,2 ) e l'inno proprio dell'Ora. 4 Seguano, poi, una lettura, il versetto, il « Kyrie eleison » e le preci conclusive. 5 A Terza, Sesta e Nona si tenga lo stesso ordine, cioè: prima il versetto « O Dio, vieni a salvarmi » ( Sal 70,2 ), quindi l'inno proprio dell'Ora, tre salmi, una lettura, il versetto, il « Kyrie eleison » e le preci conclusive. 6 Qualora la comunità fosse numerosa, i salmi si cantino con le antifone; altrimenti di seguito. 7 L'Ufficio del Vespro comprenda quattro salmi con le antifone. 8 Seguano una lettura, il responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del vangelo e le preci litaniche. Si concluda con il « Padre nostro ». 9 A Compieta si recitino tre salmi di seguito senza antifona. 10 Poi l'inno proprio dell'Ora, una lettura, il versetto e il « Kyrie eleison ». Si concluda con la benedizione dell'abate. Capitolo XVIII - L'ordine dei salmi nelle singole ore del giorno 1 Le Ore minori incomincino con il versetto « O Dio, vieni a salvarmi - Signore, vieni presto in mio aiuto » ( Sal 70,2 ). Seguano il « Gloria al Padre » e l'inno proprio di ciascuna Ora. 2 Di domenica a Prima si cantino quattro strofe del Sal 119; 3 in ciascuna delle altre Ore minori ( Terza, Sesta e Nona ) tre strofe dello stesso salmo. 4 Il lunedì a Prima si recitino i Sal 1, Sal 2 e Sal 6. 5 Nei giorni successivi fino alla domenica si dicano per ordine tre salmi fino al Sal 20, preoccupandosi di dividere in due parti i Sal 9 e Sal 18. 6 Così all'Ufficio delle Letture della domenica s'incominci nuovamente con il Sal 21. 7 A Terza, Sesta e Nona del lunedì si cantino le altre nove strofe del Sal 119, tre per ogni Ora. 8 Terminato il Sal 119 in due giorni - cioè la domenica e il lunedì -, 9 a Terza, Sesta e Nona del martedì si cantino tre salmi in ciascuna Ora, incominciando dal Sal 120 fino al Sal 128. 10 Questi salmi si ripetano anche nei giorni seguenti fino alla domenica, conservando però inalterata negli altri giorni la disposizione degli inni, delle letture e dei versetti. 11 Così alla domenica si incominci sempre con il Sal 119. 12 Al Vespro di ogni giorno si cantino quattro salmi 13 dal Sal 110 al Sal 147, 14 esclusi quelli già assegnati ad altre Ore, cioè quelli dal Sal 118 al Sal 128, il Sal 134 e il Sal 2; 15 i rimanenti salmi si dicano al Vespro. 16 Siccome mancano tre salmi, si dividano in due parti quelli più lunghi: il Sal 139, il Sal 144 e il Sal 145; 17 il Sal 117 invece, essendo molto breve, sia unito al Sal 116. 18 Fatta dunque la distribuzione dei salmi al Vespro, il resto - cioè la lettura, il responsorio, l'inno, il versetto e il cantico - si compia secondo l'ordine sopra fissato. 19 A Compieta i salmi siano ogni giorno gli stessi, cioè Sal 4, Sal 91 e Sal 134. 20 Con questo ordine, dunque, si cantino i salmi nelle Ore del giorno. I rimanenti siano distribuiti tra i sette Uffici delle Letture, 21 dividendo però in due parti quelli più lunghi, e assegnandone dodici per ogni notte. 22 Teniamo a dire espressamente che se al superiore non piace una tale distribuzione, egli è libero di stabilirne un'altra, come meglio crede. 23 In questo caso però mantenga scrupolosamente la recita di tutti i 150 salmi nel corso di una sola settimana, in modo da cominciare sempre da capo all'Ufficio delle Letture della domenica. 24 Infatti darebbero prova di grande tiepidezza nel loro servizio quei monaci che non recitassero in una settimana i 150 salmi, 25 mentre leggiamo che i nostri Padri compivano fervorosamente in un giorno solo ciò che noi, tiepidi, riusciamo appena a compiere in una settimana intera. Capitolo XIX - Come celebrare la Liturgia delle Ore 1 Crediamo che Dio è presente dappertutto e che « in ogni luogo gli occhi del Signore scrutano i malvagi e i buoni » ( Pr 15,3 ). 2 Ma soprattutto crediamo senza ombra di dubbio che Dio è presente, quando partecipiamo alla Liturgia delle Ore. 3 Perciò non dobbiamo mai dimenticare le parole del Profeta: « Servite Dio con timore » ( Sal 2,11 ), 4 e: « Cantate inni con arte » ( Sal 47,8 ), 5 e ancora: « A te voglio cantare davanti agli angeli » ( Sal 138,1 ). 6 Comprendiamo dunque come bisogna comportarsi in presenza di Dio e dei suoi angeli; 7 perciò dobbiamo celebrare la Liturgia delle Ore in modo tale che la nostra mente sia in sintonia con le nostre parole. Capitolo XX - Riverenza nella preghiera 1 Quando vogliamo ottenere un favore dai grandi personaggi, osiamo chiederlo solo con umiltà e rispetto; 2 tanto più umilmente e devotamente dobbiamo supplicare Dio, Signore dell'universo. 3 Sappiamo poi di essere esauditi non per l'abbondanza delle parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione delle lacrime. 4 Perciò la preghiera sia breve e pura, a meno che non la si prolunghi per una ispirazione della grazia divina. 5 Ma in comunità, la preghiera personale sia brevissima e, al segnale del superiore, tutti si alzino. Capitolo XXI - I decani del monastero 1 Se la comunità è numerosa, si scelgano alcuni fratelli stimati e di santa vita, e si costituiscano decani. 2 Essi si prendano cura in tutto delle loro decanìe, secondo la legge di Dio e gli ordini dell'abate. 3 A tale ufficio siano nominati soltanto quei monaci con i quali l'abate possa condividere tranquillamente le proprie responsabilità. 4 La loro nomina quindi avvenga non per anzianità, ma in base a una vita esemplare e a una saggia formazione spirituale. 5 Se eventualmente qualche decano si gonfia di orgoglio e merita un rimprovero, lo si ammonisca una, due, tre volte. Qualora rifiuti di emendarsi, lo si deponga, 6 sostituendolo con un altro fratello più degno. 7 Le stesse norme valgono anche per il priore. Capitolo XXII - Il dormitorio dei fratelli 1 I fratelli dormano ciascuno in un letto distinto. 2 Ricevano l'arredamento per il letto secondo le usanze monastiche e le disposizioni dell'abate. 3 Possibilmente dormano tutti in uno stesso locale; se il numero dei monaci non lo permette, dormano in dieci o in venti, sotto la cura degli anziani. 4 Nel dormitorio rimanga accesa una lucerna per tutta la notte. 5 Dormano vestiti, con una cintura o una corda ai fianchi. Non tengano coltelli presso di sé per evitare di ferirsi casualmente durante il sonno. 6 Così, pronti ad alzarsi al segnale, si affrettino con emulazione all'Ufficio divino, ma sempre con riserbo e compostezza. 7 I fratelli più giovani non abbiano i letti uno vicino all'altro, ma alternati con quelli dei più anziani. 8 Quando si alzano per l'Ufficio divino, per togliere ogni scusa ai sonnolenti, s'incoraggino l'un l'altro, ma con discrezione. Capitolo XXIII - La punizione dei colpevoli 1 Se un fratello è recidivo, disobbediente, superbo, mormoratore, dispregiatore della santa Regola e dei comandi degli anziani, 2 lo si ammonisca in privato una prima e una seconda volta, come vuole il Signore. 3 Se non si corregge, lo si rimproveri davanti a tutti. 4 Se nemmeno così si corregge, lo si scomunichi, purché comprenda il significato di questa punizione. 5 Ma se non lo comprende, gli si infligga un castigo corporale. Capitolo XXIV - I vari gradi della scomunica 1 La misura di una scomunica o di un castigo sia proporzionata alla gravità della colpa, 2 la cui valutazione spetta esclusivamente all'abate. 3 Se un fratello manca in cosa leggera, sia escluso solamente dalla mensa comune. 4 In questo caso si osservi la norma seguente: nell'oratorio non intoni il salmo, l'antifona, né proclami una lettura fino a quando non abbia espiato. 5 Prenda il pasto da solo dopo i fratelli; 6 ad esempio se essi pranzano a mezzogiorno, egli verso le quindici; se essi alle quindici, egli verso le diciotto. 7 Così continui fino a che non ottenga il perdono attraverso un'adeguata penitenza. Capitolo XXV - Le colpe più gravi 1 Il fratello reo di colpe più gravi sia escluso tanto dalla mensa quanto dalla preghiera comune. 2 Nessun altro gli si avvicini per fargli compagnia o per parlare; 3 separato dagli altri, egli attenda al lavoro affidatogli e perseveri nel pianto di penitenza, riflettendo sulle terribili parole di san Paolo: 4 « Questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della carne, perché il suo spirito possa ottenere salvezza nel giorno del Signore » ( 1 Cor 5,5 ). 5 Prenda i pasti da solo e nella quantità e nell'ora che l'abate riterrà opportune. 6 Incontrandolo, nessuno gli dia la benedizione, e non si benedica neppure il cibo che gli è dato. Capitolo XXVI - Dialogo con gli scomunicati 1 Il fratello che, senza l'autorizzazione dell'abate, osa parlare o scambiare messaggi con un fratello scomunicato, 2 incorra nella stessa pena della scomunica. Capitolo XXVII - Le premure dell'abate verso gli scomunicati 1 L'abate si prenda ogni cura dei fratelli colpevoli, perché « non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati » ( Mt 9,12 ). 2 Usi quindi tutti i rimedi, come fa il medico esperto, e invii alcuni fratelli anziani e prudenti, 3 che quasi di nascosto consolino il fratello vacillante e gli suggeriscano un'umile riparazione della colpa, e lo incoraggino, « affinché non soccomba in un eccesso di tristezza » ( 2 Cor 2,7 ); 4 ma, come dice l'Apostolo, « si raddoppi nei suoi riguardi la carità » ( 2 Cor 2,8 ). Tutti poi preghino per lui. 5 L'abate dia prova di grande sollecitudine verso i fratelli colpevoli, preoccupandosi con ogni mezzo e saggia accortezza di non perdere alcuna delle pecore affidategli. 6 Sappia di aver assunto la cura di anime deboli e non la tirannia su quelle sane. 7 Tema la minaccia del Profeta, per mezzo del quale il Signore dice: « Prendevate ciò che vedevate grasso e gettavate via ciò che era debole » ( Ez 34,3 ). 8 Imiti piuttosto la tenerezza del buon Pastore, il quale lasciò sui monti le novantanove pecore per cercare quell'una che si era smarrita; 9 e per la debolezza di questa provò tanta compassione da degnarsi di pòrsela sulle sacre spalle e riportarla così all'ovile. Capitolo XXVIII - I fratelli incorreggibili 1 Se un fratello per qualche mancanza è stato rimproverato più volte, e se perfino la scomunica non gli ha giovato, gli s'infligga una punizione più dura, cioè il castigo delle verghe. 2 Nel caso che fallisse anche questo tentativo, o, peggio ancora, se il fratello, montato in superbia, volesse difendere il proprio operato, allora l'abate si comporti come un medico saggio. 3 Dopo aver usato i calmanti delle esortazioni, i farmaci della sacra Scrittura e infine il ferro rovente della scomunica e delle battiture, 4 accorgendosi ormai che le sue premure non approdano a nulla, ricorra al rimedio più efficace, cioè alla preghiera sua e dei fratelli, 5 affinché il Signore, che può tutto, doni la guarigione al fratello infermo. 6 Ma se neppure così il fratello guarisse, l'abate ricorra all'espulsione, forte del consiglio dell'Apostolo: « Togliete il malvagio di mezzo a voi » ( 1 Cor 5,13 ); 7 e ancora: « Se il non credente vuole separarsi, si separi » ( 1 Cor 7,15 ), 8 affinché una pecora infetta non abbia a contagiare il gregge intero. Capitolo XXIX - La riammissione dei fratelli usciti dal monastero 1 Se un fratello per colpa sua lascia il monastero e vuole ritornarvi, s'impegni anzitutto a emendarsi del difetto per il quale è uscito; 2 solo allora sia riaccettato ma all'ultimo posto, per provare così la sua umiltà. 3 Se poi abbandona ancora il monastero, sia ricevuto di nuovo alle stesse condizioni, fino alla terza volta. Sappia però che da allora ogni ulteriore riammissione gli verrà negata. Capitolo XXX - La correzione dei ragazzi 1 Ogni età e ogni grado d'intelligenza deve avere un trattamento adeguato. 2 Perciò ogni volta che i fanciulli, o gli adolescenti o quelli che non comprendono il valore della scomunica, commettono una mancanza, 3 siano puniti con digiuni o altre pene corporali, affinché si correggano. Capitolo XXXI- Il cellerario del monastero 1 Come cellerario del monastero si nomini tra i membri della comunità un fratello saggio, maturo, sobrio, temperante, non orgoglioso, non insolente, non pigro, non prodigo, 2 ma pieno di timor di Dio: sia insomma come un padre per la comunità. 3 Abbia cura di tutti. 4 Non faccia nulla senza il permesso dell'abate: 5 ne esegua fedelmente gli ordini. 6 Non contristi i fratelli. 7 Se uno gli chiede qualcosa senza ragione, non lo umilii con il disprezzo, ma pacatamente e con parole persuasive gli spieghi il rifiuto che è costretto a dargli. 8 Si preoccupi della sua propria anima, non dimenticandosi mai del detto dell'Apostolo: « Coloro che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico » ( 1 Tm 3,13 ). 9 Abbia speciale cura dei malati, dei fanciulli, degli ospiti e dei poveri, sapendo che di essi darà conto nel giorno del giudizio. 10 ( Il cellerario ) tratti le suppellettili e i beni del monastero come farebbe con i vasi sacri dell'altare; 11 non ritenga nessuna cosa di poco conto. 12 Inoltre non sia avaro né prodigo né dissipatore delle sostanze della comunità. Faccia tutto con moderazione e con il permesso dell'abate. 13 Possegga soprattutto l'umiltà; e se non può dare la cosa che gli viene richiesta, abbia almeno una risposta buona, 14 come dice la Scrittura: « Una buona parola vale più di ogni dono prezioso » ( Sir 18,17 ). 15 Curi tutti gli affari affidatigli dall'abate e non presuma immischiarsi in quelli che gli vengono proibiti. 16 Fornisca ai fratelli la quantità di cibo stabilita, senza arroganza o ritardo, per non scandalizzarli, ricordando, secondo la parola divina, ciò che merita « colui che ha scandalizzato uno di questi piccoli » ( Mt 18,6 ). 17 Se la comunità è numerosa, si diano al cellerario alcuni aiutanti, affinché possa compiere il proprio dovere con serenità. 18 Si distribuisca o si richieda quanto necessario ad ore opportunamente stabilite, affinché nella casa di Dio nessuno si turbi o si rattristi. Capitolo XXXII - Gli oggetti del monastero 1 L'abate affidi i beni del monastero - strumenti di lavoro, vestiario e altri oggetti - a fratelli di sua fiducia: 2 li consegni loro come riterrà utile, affinché li custodiscano e li tengano in ordine. 3 Di questi beni l'abate conservi un inventario completo, affinché nel momento in cui i fratelli si avvicendano nei diversi incarichi sappia che cosa consegna o riceve. 4 Ma, se un fratello tratta con negligenza le cose del monastero, sia rimproverato; 5 se non si corregge, sia punito secondo le norme stabilite dalla Regola. Capitolo XXXIII - La povertà dei monaci 1 Innanzitutto sia tolto fin dalle radici questo vizio: 2 cioè nessuno ardisca dare o ricevere qualcosa senza il permesso dell'abate, 3 o possedere qualcosa come proprio. Il monaco non deve possedere nulla nel modo più assoluto: né libro, né carta, né penna, nulla! 4 Poiché il monaco non ha diritto di disporre nemmeno del proprio corpo e della propria volontà. 5 Ma speri tutto il necessario dal padre del monastero. Non gli sia permesso avere presso di sé nulla che l'abate non gli abbia dato o concesso. 6 « Tutto sia comune a tutti - come sta scritto - e nessuno dica o ritenga qualcosa sua proprietà » ( At 4,32 ). 7 Se poi qualcuno va dietro a questo pessimo vizio, sia ripreso una prima e una seconda volta; 8 se non si corregge, sia punito severamente. Capitolo XXXIV - A ciascuno secondo il bisogno 1 Si faccia come dice la Scrittura: « Veniva distribuito a ciascuno secondo il proprio bisogno » ( At 4,35 ). 2 Non vogliamo dire con questo che si facciano preferenze di persona - Dio non lo permetta! - ma che si tenga conto delle infermità. 3 Perciò chi ha bisogno di meno, ringrazi Dio e non si lamenti; 4 chi invece ha bisogno di più, sopporti con umiltà la propria debolezza e non si inorgoglisca per la bontà usatagli. 5 In tal modo tutti i fratelli saranno in pace. 6 Soprattutto non affiori mai - né con parole né con gesti - il vizio della mormorazione. 7 Se qualcuno v'incorre, sia sottoposto a una punizione molto severa. Capitolo XXXV - I settimanari di cucina 1 I fratelli si servano a vicenda. Nessuno sia dispensato dal servizio di cucina, eccetto i malati e coloro che hanno incarichi di maggiore utilità per il monastero. 2 Questo mutuo servizio, infatti, è fonte di grande merito e di aumento di carità. 3 Ai deboli si procurino alcuni aiutanti, affinché non esercitino il proprio servizio con tristezza; 4 ma tutti abbiano gli aiuti in proporzione del numero dei fratelli e secondo le condizioni del luogo. 5 Se la comunità è numerosa, siano dispensati dal servizio di cucina anche il cellerario e quelli che, come abbiamo detto sopra, sono occupati in lavori più utili. 6 Tutti gli altri si servano a vicenda in spirito di carità. 7 Il sabato, chi termina la settimana di servizio faccia le pulizie, e 8 lavi i panni con cui i fratelli si asciugano le mani e i piedi. 9 Tanto chi lascia il servizio, quanto chi lo incomincia, lavi i piedi a tutti i fratelli. 10 Chi termina la sua settimana, riconsegni al cellerario, puliti e in buono stato, gli utensili del suo servizio. 11 A sua volta il cellerario li riconsegni a chi subentra, in modo da conoscere tutto ciò che dà o riceve. 12 Nei giorni in cui si fa un unico pasto, i servitori di cucina un'ora prima ricevano un po' di vino e di pane, oltre alla razione stabilita, 13 affinché al momento del pranzo siano capaci di servire i fratelli senza mormorazione e senza eccessiva fatica. 14 Nei giorni festivi invece aspettino sino alla fine della Messa. 15 La domenica, subito dopo le Lodi mattutine, coloro che incominciano il servizio di cucina si prostrino nell'oratorio ai piedi dei fratelli, chiedendo che si preghi per loro. 16 Chi termina la sua settimana dica tre volte questo versetto: « Sii benedetto, Signore Dio, perché mi hai aiutato e consolato » ( Sal 86,17 ). Riceva quindi la benedizione. 17 Subito dopo, chi inizia la sua settimana dica: « O Dio, vieni a salvarmi; Signore, vieni presto in mio aiuto » ( Sal 70,2 ). 18 Dopo che questo versetto è stato ripetuto tre volte da tutti, riceva la benedizione e incominci il suo servizio. Capitolo XXXVI - I fratelli malati 1 La cura dei fratelli malati sia posta al di sopra di ogni altra preoccupazione. Ad essi si deve servire come a Cristo in persona; 2 infatti egli stesso ha detto: « Ero malato e mi avete visitato » ( Mt 25,36 ) 3 e: « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » ( Mt 25,40 ). 4 Ma anche gli infermi da parte loro riflettano che sono serviti per amore di Cristo, e quindi non rattristino i fratelli con pretese esagerate. 5 Bisogna però sopportare i malati con grande pazienza, poiché per mezzo loro si guadagna un premio più grande. 6 Pertanto l'abate abbia molto a cuore che i malati non siano trascurati. 7 Ai fratelli malati sia destinato un locale a parte e un infermiere timorato di Dio, attento e premuroso. 8 Sia loro concesso di fare il bagno quante volte si ritiene utile; invece ai sani, e soprattutto ai giovani, lo si conceda più di rado. 9 Ugualmente ai malati molto deboli si conceda anche l'uso della carne per riacquistare le forze; ma quando sono migliorati, se ne astengano come al solito. 10 Insomma l'abate si preoccupi che il cellerario e gli assistenti non trascurino i malati, poiché egli è il primo responsabile di ogni mancanza dei suoi discepoli. Capitolo XXXVII - I vecchi e i fanciulli 1 Benché la stessa natura umana ci spinga a mostrare benevolenza verso gli anziani e i fanciulli, tuttavia è bene che vi provveda anche l'autorità della Regola. 2 Si abbia quindi riguardo della loro debolezza e non s'impongano ad essi le restrizioni alimentari previste dalla Regola. 3 Piuttosto siano trattati con affettuosa condiscendenza e si permetta loro di prendere cibo prima dell'ora fissata per il resto della comunità. Capitolo XXXVIII - Il lettore di settimana 1 Durante i pasti della comunità non manchi mai la lettura. Non si metta a leggere uno qualunque, che prenda un libro a casaccio, ma abbia l'incarico un fratello per ogni settimana, cominciando dalla domenica. 2 Questi, iniziando l'ufficio, dopo la Messa e la comunione domandi a tutti di pregare per lui, affinché Dio lo liberi dalla vanagloria. 3 Nell'oratorio intoni - e lo ripetano tutti per tre volte - questo versetto: « Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca proclami la tua lode » ( Sal 51,17 ). 4 Così, ricevuta la benedizione, inizi il suo servizio. 5 In refettorio si mantenga un assoluto silenzio, di modo che non si oda altro rumore o suono al di fuori della voce del lettore. 6 Quanto poi è necessario per mangiare o bere, i fratelli se lo passino vicendevolmente, così che nessuno abbia bisogno di chiedere. 7 Se eventualmente occorre qualcosa, la si domandi con un un segno piuttosto che con le parole. 8 Nessuno osi fare domande sulla lettura o su altri argomenti, per non offrire occasione di parlare. 9 Però se il superiore desidera dire qualche parola di edificazione, lo faccia pure, ma molto brevemente. 10 Il lettore prenda un po' di vino con acqua prima di incominciare la lettura, sia per la santa comunione sia per poter sopportare il digiuno. 11 Mangi dopo la comunità con i servitori di mensa e con i cuochi di turno. 12 A leggere e a cantare non siano tutti i fratelli a turno, ma soltanto quelli che possono farlo in modo da edificare chi ascolta. Capitolo XXXIX - La misura del cibo 1 A nostro avviso, per il pasto principale - che si tenga verso mezzogiorno o verso le quindici - bastano in qualsiasi stagione due vivande cotte, tenendo conto delle diverse infermità dei fratelli. 2 Così, chi eventualmente non può mangiare l'una, può prendere l'altra. 3 Bastino dunque due vivande cotte; se poi vi sono legumi freschi o frutta, si aggiunga anche un terzo piatto. 4 Quanto al pane, ne basti circa un chilo a testa ogni giorno, sia quando c'è un pasto soltanto, sia quando si pranza e si cena. 5 In quest'ultimo caso - cioè quando anche si cena - il cellerario ne trattenga una terza parte per il pasto serale. 6 Nel caso di un lavoro particolarmente faticoso l'abate può aggiungere qualcos'altro, 7 evitando però ogni eccesso e il pericolo di indigestione. 8 Niente infatti è tanto disdicevole per il cristiano quanto l'eccesso, 9 come dice il Signore: « State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano per l'ingordigia » ( Lc 21,34 ). 10 Ai ragazzi però non si offra la stessa quantità di cibo che agli adulti, ma inferiore, senza perdere mai di vista la legge della sobrietà. 11 Tutti - eccetto i malati molto deboli di forze - si astengano assolutamente dall'uso delle carni di quadrupedi. Capitolo XL - La misura del vino 1 « Ognuno ha ricevuto un proprio dono da Dio, chi l'uno e chi l'altro » ( 1 Cor 7,7 ). 2 Perciò è con qualche scrupolo che fissiamo la razione del vitto per gli altri. 3 Tuttavia, tenendo presente lo stato di salute dei più deboli, pensiamo che a ogni fratello basti mezzo litro circa di vino al giorno. 4 Quelli però che con la grazia di Dio possono farne a meno, sappiano che ne riceveranno un premio speciale. 5 Se le esigenze del clima, il lavoro estenuante o la calura estiva richiedono una razione maggiore, allora ne giudichi l'abate: sempre naturalmente evitando ogni eccesso. 6 Veramente leggiamo che il vino non conviene affatto ai monaci ( Vitae Patrum V, 4, 31 ); tuttavia, poiché oggi non si riesce a convincerli di questo, almeno badiamo di non bere fino alla sazietà, ma con parsimonia, 7 poiché « il vino fa traviare anche i saggi » ( Sir 19,2 ). 8 Ma se la povertà del luogo è tale da non permettere di avere nemmeno la quantità di vino stabilita, ma molto meno, o addirittura niente, i fratelli benedicano Dio e non mòrmorino. 9 E questo soprattutto raccomandiamo: si guardino bene dal mormorare. apitolo XLI - L'orario dei pasti 1 Da Pasqua a Pentecoste i fratelli pranzino verso mezzogiorno e cenino al cadere del giorno. 2 Dopo la Pentecoste per tutta l'estate, se i monaci non devono lavorare nei campi e se il caldo estivo lo permette, il mercoledì e il venerdì mangino una volta sola, verso le tre del pomeriggio; 3 gli altri giorni pranzino verso mezzogiorno. 4 Questo pranzo verso mezzogiorno, a giudizio dell'abate, potrà continuare nel caso che i fratelli lavorino in campagna o il caldo sia eccessivo. 5 L'abate perciò disponga prudentemente ogni cosa, avendo di mira che le anime si salvino e che si eviti ogni fondata mormorazione. 6 Dal 14 settembre all'inizio della Quaresima i fratelli facciano un solo pasto, verso le tre pomeridiane. 7 Durante la Quaresima e fino a Pasqua, i fratelli prendano cibo una sola volta al giorno, sul far della sera. 8 Perciò il Vespro si celebri ad ora tale da permettere che durante la mensa non ci sia bisogno di lampade, ma tutto si compia con la luce del giorno. 9 Così, anche negli altri periodi dell'anno l'ora della cena - ed eventualmente l'ora dell'unico pasto - sia fissata ad ora tale che tutto si possa svolgere alla luce naturale. Capitolo XLII - Il silenzio dopo compieta 1 I monaci devono dedicarsi al silenzio sempre, ma soprattutto di notte. 2 In tutti i giorni, si digiuni o no, si proceda in questo modo. 3 Nei giorni in cui ci sono due pasti, i fratelli, appena alzatisi da cena, seggano tutti insieme per ascoltare le « Conferenze » o le « Vite dei Padri » o qualche altra opera di edificazione. 4 Si escluda però la lettura dei primi sette libri della Bibbia e i libri dei Re, la cui lettura non è di vantaggio alle menti deboli in quell'ora: si leggano però in un altro momento. 5 Nei giorni in cui c'è un solo pasto, dopo la celebrazione del Vespro e un breve intervallo, si passi subito alla lettura delle « Conferenze », come abbiamo detto sopra. 6 Si leggano quattro o cinque pagine o quanto il tempo permette: 7 nel frattempo si saranno radunati tutti, anche quelli impegnati in qualche servizio. Quindi tutti insieme recitino Compieta. 8 Dopo il canto di Compieta a nessuno sia permesso proferir parola. 9 Se uno è colto a trasgredire questa legge del silenzio, sia severamente punito. 10 Si può parlare solo in caso di urgente necessità, come il dover accogliere un ospite o eseguire un comando dell'abate. 11 Ma anche in questi casi si rompa il silenzio solo con grande serietà e delicato riserbo. Capitolo XLIII - I ritardatari alla liturgia o alla mensa 1 All'ora della Liturgia, appena si sente il segnale, si lasci quanto si ha tra mano e si corra in fretta, 2 sempre però con gravità e senza dissipazione. 3 Nulla perciò si anteponga alla sacra Liturgia! 4 Se qualcuno giunge all'Ufficio delle Letture dopo il « Gloria al Padre » del salmo 95 - salmo che per questo vogliamo sia cantato lentamente - 5 si metta all'ultimo posto oppure in quel posto assegnato dall'abate ai ritardatari, affinché siano sotto lo sguardo suo e degli altri fratelli. 6 E lì stia fino al termine della celebrazione, quando farà riparazione pubblica. 7 Abbiamo voluto che i ritardatari stiano all'ultimo posto o separati dagli altri, affinché visti da tutti si correggano, almeno per la loro stessa vergogna. 8 Se invece rimanessero fuori dall'oratorio, probabilmente o tornerebbero a letto o stando fuori si metterebbero a chiacchierare, offrendo così una bella occasione al demonio. 9 Entrino invece, affinché non perdano tutto e si correggano per l'avvenire. 10 Alle Ore diurne chi arriverà dopo il versetto e il « Gloria al Padre » del primo salmo si metta all'ultimo posto. 11 E non osi associarsi al canto del coro, finché non ne abbia fatto penitenza, a meno che l'abate non giudichi diversamente. 12 A condizione tuttavia che il colpevole chieda perdono. 13 Per quanto riguarda il refettorio, tutti recitino insieme il versetto e la preghiera, e quindi si mettano a tavola. 14 Chi per trascuratezza o per propria colpa giunge alla mensa dopo il versetto, sia ripreso fino a due volte. 15 Se non si corregge, non gli sia permesso di partecipare alla mensa comune: 16 mangi da solo, senza ricevere la razione di vino, fino a quando non si sia corretto. 17 Alla stessa pena sia sottoposto anche chi non è presente al versetto che si recita dopo il pasto. 18 Nessuno osi mangiare o bere prima o dopo l'ora fissata per i pasti. 19 Ma se il superiore offre qualcosa al fratello e questi la rifiuta, quando poi la desidera, non gli venga data: e questo finché non si sia convenientemente corretto. Capitolo XLIV - La Correzione degli scomunicati 1 Chi per colpa grave è stato allontanato dall'oratorio e dalla mensa comune, alla fine dell'Ufficio divino si prostri presso la porta dell'oratorio e, senza dir parola, 2 con la faccia rivolta a terra, rimanga steso ai piedi di tutti i fratelli man mano che escono. 3 Faccia così finché l'abate non decida che la riparazione sia sufficiente. 4 Quando poi l'abate gli comanderà di presentarsi, si getti innanzitutto ai piedi dello stesso e dei fratelli, chiedendo di pregare per lui. 5 Allora, se l'abate lo ritiene opportuno, sarà riammesso nell'oratorio, ma nel posto assegnatogli. 6 A condizione però che non intoni salmo, lettura o altro senza un nuovo comando. 7 A tutte le Ore, quando si finisce la celebrazione, si prostri a terra nel luogo dove si trova. 8 E questa penitenza la continui fino a nuova disposizione dell'abate. 9 Chi per colpa leggera è allontanato soltanto dalla mensa comune, faccia la sua penitenza nell'oratorio, 10 fintanto che l'abate non lo benedica e gli dica: « Basta! ». Capitolo XLV - La correzione dei fratelli che sbagliano nell'oratorio 1 Se un fratello, mentre recita un salmo, un responsorio, un'antifona o una lettura, commette un errore, si umilii e ripari subito davanti a tutti. Se non lo fa, sia castigato più severamente, 2 poiché non ha voluto riparare umilmente uno sbaglio commesso per disattenzione. 3 I ragazzi, invece, per mancanze di questo genere abbiano una punizione corporale. Capitolo XLVI - La correzione dei fratelli per altre mancanze 1 Nel lavoro, in cucina, in dispensa, al forno, nell'orto, nell'officina o altrove, quando un fratello commette una mancanza - 2 rompe, perde qualcosa o si rende comunque colpevole -, 3 si presenti immediatamente davanti all'abate e alla comunità e confessi egli stesso la propria colpa. 4 Se non lo fa, e la sua mancanza viene scoperta da altri, sia sottoposto a punizione più dura. 5 Se invece si tratta di un peccato segreto, il fratello lo riveli soltanto all'abate o a un padre spirituale, 6 che sappia guarire le piaghe proprie e altrui, senza manifestarle e renderle pubbliche. Capitolo XLVII - Il segnale per la liturgia 1 Spetta all'abate dare il segno per chiamare i fratelli alla Liturgia, di notte come di giorno; perciò lo faccia egli personalmente o ne affidi l'incarico a un fratello diligente, di modo che tutto si faccia nel tempo stabilito. 2 Intonino a turno i salmi e le antifone, dopo l'abate, solo quelli che ne sono designati. 3 Ma nessuno presuma cantare o leggere, se non è in grado di farlo con edificazione degli uditori. 4 Questo servizio lo compia con umiltà, gravità e timore riverenziale solo chi ne ha ricevuto espresso comando dall'abate. Capitolo XLVIII - Il lavoro manuale 1 L'ozio è nemico dell'anima. Perciò i fratelli devono occuparsi in determinate ore nel lavoro manuale, in altre ore invece devono dedicarsi alla « lectio divina ». 2 Pensiamo quindi di dover regolare le due attività come segue. 3 Da Pasqua al 1° ottobre i monaci, uscendo dall'Ufficio di Prima, attendano al lavoro fin verso le 10; 4 poi, fin verso mezzogiorno si dedichino alla lettura. 5 Dopo la recita di Sesta, levatisi da pranzo, riposino sui loro letti in perfetto silenzio. Nel caso che uno voglia leggere, lo faccia pure, ma senza infastidire i vicini. 6 Recitino Nona un po' in anticipo, verso le 14,30. Tornino quindi al lavoro fin verso Vespro. 7 Se le circostanze ambientali o la povertà esigono che i fratelli raccolgano essi stessi le messi, non si rattristino, 8 poiché allora sono davvero monaci quando vivono del lavoro delle proprie mani, come hanno fatto i nostri Padri e gli Apostoli. 9 Tutto però si faccia con moderazione, tenendo presente chi è di costituzione debole. 10 Dal 1° ottobre all'inizio di Quaresima i fratelli attendano alla lettura fin verso le 9. 11 Recitino quindi Terza. Poi fin verso le 15 tutti si applichino al lavoro assegnato. 12 Al primo segno di Nona ognuno interrompa il lavoro e si tenga pronto per il secondo segno. 13 Dopo pranzo si dedichino alla lettura e allo studio dei salmi. 14 In Quaresima dal mattino fin oltre le 9 si applichino alla lettura. Poi fin oltre le 16 lavorino nei compiti assegnati. 15 Tutti ricevano dalla biblioteca un libro da leggere di seguito, integralmente. 16 Questa distribuzione va fatta all'inizio della Quaresima. 17 Nel tempo riservato alla lettura siano incaricati uno o due fratelli a girare per il monastero 18 e vedere se c'è qualcuno accidioso, che stia in ozio o in chiacchiere, inutile a se stesso e dannoso agli altri. 19 Se si trovasse un tale fratello, sia rimproverato la prima e la seconda volta. 20 Se non si corregge, gli sia inflitto un castigo più duro, di modo che anche gli altri ne abbiano timore. 21 Nessuno poi si accompagni ad altri in ore non consentite. 22 Di domenica tutti si dedichino alla lettura, eccetto quelli occupati nei vari servizi. 23 Ma se un fratello è così pigro o negligente da non volere o non poter meditare o leggere, gli si imponga un lavoro, affinché non rimanga in ozio. 24 Ai fratelli malati o di costituzione gracile si dia un lavoro o un'arte, che permetta loro di evitare l'ozio senza essere schiacciati dal peso della fatica e senza cadere nello scoraggiamento. 25 L'abate tenga presente la debolezza delle loro forze. Capitolo XLIX - L'osservanza della Quaresima 1 Senza dubbio la vita del monaco dovrebbe essere tutta un tempo di Quaresima. 2 Ma poiché questo coraggio lo hanno pochi, esortiamo a conservare in tali santi giorni una perfetta integrità di vita 3 e contemporaneamente a cancellare tutte le miserie degli altri tempi. 4 E questo lo faremo come conviene, se ci terremo lontani da ogni peccato e ci daremo alla preghiera con lacrime, alla lettura, alla compunzione del cuore e all'astinenza. 5 In questi giorni di Quaresima aggiungiamo qualcosa al consueto debito del nostro servizio, come preghiere personali, privazioni nel mangiare e nel bere: 6 ciascuno spontaneamente, « nella gioia dello Spirito Santo » ( 1 Ts 1,6 ), offra a Dio qualcosa di più della misura stabilita, 7 togliendo al proprio corpo un po' di cibo, di vino, di sonno, di conversazione e di svago. E poi attenda la santa Pasqua nella gioia del desiderio spirituale. 8 Ma quello che ognuno vuole offrire, lo renda noto all'abate e lo faccia soltanto con la sua preghiera e approvazione. 9 Infatti ciò che si fa senza il permesso del padre spirituale, sarà considerato presunzione e vanagloria e non avrà ricompensa. 10 Tutto si faccia dunque con il permesso dell'abate. Capitolo L - I fratelli che lavorano lontano dall'oratorio o sono in viaggio 1 I fratelli che lavorano in luoghi molto lontani e non possono accorrere all'oratorio nell'ora fissata - 2 e l'abate ne riconosce valido il motivo - 3 celebrino l'Ufficio divino dove lavorano, inginocchiandosi con santo timore. 4 Allo stesso modo i fratelli che si trovano in viaggio, non omettano le Ore dell'Ufficio, ma le celebrino da soli, come possono, senza trascurare i doveri propri del loro servizio. Capitolo LI - I fratelli che si recano in luoghi vicini 1 Il fratello inviato a sbrigare qualche faccenda fuori monastero, se prevede di tornare in giornata, non osi prendere cibo fuori, anche se insistentemente pregato da chicchessia. 2 A farlo può autorizzarlo solo l'abate. 3 Chi si comporta diversamente sia punito con la scomunica. Capitolo LII - L'oratorio del monastero 1 L'oratorio deve essere ciò che il suo nome significa; perciò non vi si faccia o vi si tenga alcunché di estraneo. 2 Terminate le celebrazioni liturgiche, tutti escano in assoluto silenzio, mantenendo sempre grande rispetto per la presenza di Dio. 3 Così il fratello che eventualmente vuole pregare in privato, non sarà disturbato dall'importunità altrui. 4 Del resto, quando un fratello vuole raccogliersi in preghiera, entri semplicemente nell'oratorio e preghi, non a voce alta ma con lacrime e fervore di cuore. 5 Quindi a chi non mantiene questo atteggiamento, non si permetta di fermarsi nell'oratorio dopo la celebrazione dell'Ufficio, affinché non disturbi gli altri. Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti 1 Tutti gli ospiti che giungono al monastero siano accolti come Cristo in persona. Egli ci dirà infatti: « Ho domandato ospitalità e voi mi avete accolto » ( Mt 25,35 ). 2 A tutti si renda l'onore dovuto, « specialmente ai nostri fratelli nella fede » ( Gal 6,10 ) e ai pellegrini. 3 Appena è annunciato un ospite, gli vadano incontro l'abate e i fratelli, usandogli tutte le attenzioni della carità. 4 Innanzitutto preghino insieme e si diano vicendevolmente il bacio di pace. 5 Quest'ultimo però si dia solamente dopo aver pregato insieme, per evitare inganni del demonio. 6 Anche nel saluto si mostri grande umiltà per tutti gli ospiti sia in arrivo che in partenza: 7 con il capo chino e prostrati a terra si adori Cristo, poiché è lui che si accoglie in essi. 8 Gli ospiti siano poi, condotti a pregare; quindi l'abate o un fratello da lui incaricato segga con loro. 9 Alla presenza dell'ospite si legga un passo della sacra Scrittura, perché ne sia edificato e, subito dopo, gli si usi ogni fraterna premura. 10 Per riguardo a lui, l'abate rompa pure il digiuno, a meno che si tratti di uno di quei digiuni particolari da cui non si può dispensare: 11 i fratelli però continuino i digiuni consueti. 12 Sia l'abate a versare l'acqua sulle mani degli ospiti; 13 egli inoltre con tutta la comunità lavi loro anche i piedi. 14 Compiuto questo atto, tutti insieme dicano questo versetto: « Abbiamo ricevuto, o Signore, la tua misericordia nel tuo tempio » ( Sal 48,10 ). 15 Soprattutto ci si preoccupi di ricevere bene i poveri e i pellegrini, poiché è proprio in loro che si accoglie di più il Cristo; infatti, il timore stesso che si ha dei ricchi, induce da se stesso ad onorarli. 16 Sia separata la cucina per l'abate e gli ospiti, perché questi - che non mancano mai in monastero - non disturbino i monaci, quando arrivano nelle ore più impensate. 17 Questa cucina sia affidata annualmente a due fratelli capaci. 18 Se c'è bisogno, si aggiungano alcuni aiutanti, affinché attendano al loro servizio senza mormorare; viceversa, quando hanno poco da fare, vadano a lavorare dove viene loro comandato. 19 Questa norma vale non soltanto per essi, ma anche per tutti gli uffici del monastero: 20 se c'è bisogno, vengano dati alcuni aiutanti; se sono liberi, facciano quanto viene loro ordinato. 21 La foresteria sia affidata a un fratello la cui anima sia tutta piena di timor di Dio. 22 Vi siano letti arredati, in numero sufficiente. La casa di Dio sia amministrata saggiamente da uomini saggi. 23 Nessun fratello si accompagni o parli, senza permesso, con gli ospiti. 24 Nel caso che li incontri, li saluti umilmente, chieda loro la benedizione e si allontani dicendo che non gli è permesso di fermarsi a conversare. Capitolo LIV - Lettere e regali ai monaci 1 ( Il monaco ) senza l'autorizzazione dell'abate, non può ricevere - e neanche dare - dai parenti, da altri o dagli stessi confratelli, lettere, oggetti di devozione o altri piccoli regali. 2 Se - fossero pure i suoi genitori - gli mandano qualcosa, il monaco non deve riceverla prima di averne parlato all'abate, 3 al quale spetta giudicare se sia bene accettarla e decidere a chi darla. 4 Il fratello, a cui l'oggetto è inviato, non si rattristi, per non cedere alla tentazione del demonio. 5 Chi osa agire diversamente, sia punito secondo le norme fissate dalla Regola. Capitolo LV - Abiti e calzature dei fratelli 1 Ai fratelli si diano i vestiti secondo il clima del luogo dove abitano e la temperatura della stagione. 2 Infatti nelle regioni fredde si ha più bisogno; in quelle calde, meno. 3 Giudicarne spetta all'abate. 4 A nostro parere, comunque, nei climi temperati bastano a ciascun monaco la tonaca, la cocolla - 5 d'inverno pesante, d'estate leggera o consumata dall'uso -, 6 lo scapolare per il lavoro, e ai piedi abbiano calze e scarpe. 7 I monaci non si devono preoccupare del colore e della qualità di queste cose: si accontentino di quelle che si possono comprare al prezzo più basso. 8 Piuttosto l'abate si preoccupi che i vestiti siano fatti su misura, cioè che non siano troppo corti, ma che vadano bene. 9 Quando i fratelli ricevono i vestiti nuovi, restituiscano sempre quelli vecchi, da riporre nel guardaroba per i poveri. 10 Basta infatti al monaco avere due tonache e due cocolle, sia per cambiarle di notte sia per lavarle: 11 avere di più è superfluo e deve essere eliminato. 12 Anche le calzature e ogni altro capo vecchio di biancheria sia restituito quando si ricevono quelli nuovi. 13 Quelli che si mettono in viaggio, prendano dal guardaroba vestiti nuovi, che restituiranno lavati al ritorno. 14 Anche le cocolle e le tonache per il viaggio siano un po' migliori di quelle che indossano abitualmente: le prendano dal guardaroba al momento della partenza e le restituiscano al ritorno. 15 Come arredamento del letto bastino un pagliericcio, una coperta leggera, una coperta pesante e un cuscino. 16 L'abate però ispezioni spesso i letti, affinché non vi si nascondano oggetti che egli non abbia concessi. 17 Se un fratello è trovato in possesso di cosa non ricevuta dall'abate, sia punito severamente. 18 Per estirpare dalle radici il vizio della proprietà, sia l'abate a dare quanto è necessario, 19 cioè cocolla, tonaca, calze, scarpe, cintura, coltello, penna, ago, fazzoletti, tavolette per scrivere: così verrà eliminato ogni pretesto di necessità. 20 L'abate però tenga sempre presente ciò che dicono gli Atti degli Apostoli, e cioè: « Veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno » ( At 4,35 ). 21 Perciò tenga presente la debolezza dei bisognosi e non la cattiva volontà degli invidiosi. 22 In tutte le sue disposizioni pensi che sarà Dio a giudicarlo. Capitolo LVI - La mensa dell'abate 1 L'abate prenda i pasti sempre con gli ospiti e i pellegrini. 2 Ma quando non ve ne sono, può invitare alla sua tavola qualche fratello, a sua scelta. 3 Tuttavia lasci sempre con la comunità uno o due anziani per mantenervi il buon ordine. Capitolo LVII - Gli artigiani del monastero 1 Se in monastero vi sono artigiani, si dedichino al loro mestiere con il permesso dell'abate e con grande umiltà. 2 Ma se qualcuno si insuperbisce per la propria abilità e si vanta di essere utile al monastero, 3 allora l'abate gli proibisca di esercitare l'arte finché, essendosi umiliato, meriti di riprendere il suo incarico. 4 Se si vende qualche prodotto dell'artigianato, coloro che hanno l'incarico di trattare, badino bene di non commettere alcuna frode. 5 Si ricordino sempre di Ananìa e di Saffìra: la morte che questi subirono nel corpo, ( At 5,1-11 ) 6 essi - e quelli che commettono frodi a danno del monastero - non l'abbiano a soffrire nell'anima. 7 Negli stessi prezzi non si infiltri mai il peccato dell'avarizia, 8 ma ogni cosa si venda sempre a un prezzo più basso di quello usato dai secolari, 9 « affinché in tutto sia glorificato Dio » ( 1 Pt 4,11 ). Capitolo LVIII - Norme per accettare i fratelli 1 Quando uno domanda di abbracciare la vita monastica, non gli si conceda facilmente l'ingresso 2 ma, come dice l'Apostolo, « mettete alla prova gli spiriti per esaminare se provengono veramente da Dio » ( 1 Gv 4,1 ). 3 Così se dopo quattro o cinque giorni il nuovo venuto insiste nella sua domanda, e sopporta pazientemente le prove e le difficoltà che gli si fanno, 4 gli si permetta di entrare e per alcuni giorni si trattenga nella foresteria. 5 Il postulante dopo qualche tempo passi nel locale dove i novizi meditano, mangiano e dormono. 6 Sia affidato a un anziano, capace di guadagnare le anime. 7 Questi esamini accuratamente il novizio, particolarmente se cerca davvero Dio, se è pronto alla preghiera comunitaria, all'obbedienza e alle umiliazioni. 8 Gli metta davanti agli occhi fin dall'inizio tutte le difficoltà e le asprezze attraverso le quali si va a Dio. 9 Se promette di perseverare nella stabilità, dopo due mesi gli si legga integralmente questa Regola 10 e gli si dica: « Ecco la legge sotto la quale vuoi servire; se ti senti di osservarla, entra; se non puoi, sei libero di andartene ». 11 Se resta ancora saldo nella propria decisione, venga ricondotto in noviziato e si prosegua la sua formazione mettendolo in tutto alla prova. 12 Dopo altri sei mesi, gli si legga ancora la Regola, affinché conosca bene che cosa affronta entrando. 13 Se ancora persevera, dopo quattro mesi gliela si rilegga. 14 Se, dopo matura riflessione e deliberazione, promette di osservarne tutte le prescrizioni e di obbedire fedelmente a tutti i comandi, sia accolto in comunità. 15 Sappia però che, in forza della Regola, da quel momento non potrà lasciare il monastero, 16 né liberare il suo collo dal giogo della Regola, che egli durante il prolungato periodo di riflessione poteva liberamente accettare o rifiutare. 17 Colui che dev'essere ammesso alla vita monastica, nell'oratorio, alla presenza di tutti i fratelli, davanti a Dio e ai Santi, faccia promessa solenne di stabilità, di conversione dei propri costumi e di obbedienza. 18 Se nel futuro agirà in altra maniera, sappia che sarà condannato da colui che egli ha deriso. 19 Metta per iscritto questa sua promessa fatta nel nome dei Santi, di cui nell'oratorio si conservano le reliquie, e nel nome dell'abate presente. 20 La scriva di suo pugno o almeno, se è analfabeta, se la faccia scrivere da altri, e vi apponga come firma un segno. Poi la deponga di sua mano sull'altare. 21 Quindi lo stesso novizio intoni questo versetto: « Accoglimi, Signore, secondo la tua parola e avrò vita; non deludermi nella mia speranza » ( Sal 119,116 ). 22 La comunità ripeta tre volte questo versetto e aggiunga il « Gloria al Padre ». 23 Allora il fratello novizio si prostri ai piedi dei fratelli, chiedendo di pregare per lui. E da quell'istante egli sia considerato membro effettivo della comunità. 24 Se il novizio possiede alcuni beni, li distribuisca ai poveri, oppure li ceda al monastero mediante un legale atto di donazione, senza riservare nulla per sé, 25 sapendo bene che da quel giorno non sarà più padrone nemmeno del proprio corpo. 26 Subito dopo, nell'oratorio stesso, sia spogliato dei propri vestiti e sia rivestito con quelli del monastero. 27 I suoi vecchi indumenti, però, siano conservati nel guardaroba 28 perché, se un deprecabile giorno cedesse alla tentazione del demonio di lasciare la vita monastica, sia spogliato degli abiti del monastero e mandato via. 29 Anche la scheda di professione, che egli ha scritto e che l'abate ha tolto dall'altare, sia conservata nell'archivio del monastero, ma non gli sia restituita. Capitolo LIX - I figli dei ricchi e dei poveri offerti a Dio in monastero 1 Se un ricco vuole offrire a Dio in monastero un proprio figlio, e questi è ancora minorenne, i genitori scrivano la domanda, di cui abbiamo detto sopra, 2 e insieme con le offerte della Messa avvolgano nella tovaglia dell'altare la domanda stessa e la mano del fanciullo. E così l'offrano. 3 Per quanto riguarda i beni, nella petizione i genitori promettano con giuramento che né loro direttamente né per terza persona né in altro modo gli daranno mai nulla né gli offriranno occasione di possedere. 4 Ma se non vorranno procedere così, e preferiscono offrire come compenso qualcosa in elemosina, 5 facciano regolare donazione dei beni che intendono lasciare al monastero, riservandosene eventualmente l'usufrutto. 6 In questa maniera resteranno chiuse tutte le vie che possono condurre il ragazzo - che Dio non lo permetta! - alla rovina. Questo lo abbiamo imparato dall'esperienza. 7 Altrettanto facciano i poveri. 8 Ma coloro che non posseggono proprio nulla, scrivano semplicemente la domanda e offrano il loro figlio insieme alle offerte della Messa, alla presenza di testimoni. Capitolo LX - I sacerdoti che desiderano diventare monaci 1 Se un sacerdote chiede di essere ammesso in monastero, la sua domanda non sia accolta troppo facilmente. 2 Se insiste nella richiesta, sappia che dovrà osservare tutte le prescrizioni della Regola, 3 e che non gli verrà concessa mitigazione alcuna. Vale anche per lui la parola della Scrittura: « Amico, a qual fine sei venuto? » ( Mt 26,50 ). 4 Gli si conceda tuttavia di prendere posto subito dopo l'abate, d'impartire benedizioni e di celebrare la Messa: sempre però che l'abate gliene dia il permesso. 5 ( Il sacerdote che desidera diventare monaco ) non pretenda assolutamente nulla, sapendo di essere soggetto all'obbedienza della Regola e di dover dare a tutti esempio di umiltà. 6 Nel caso poi che si tratti di qualche affare - elezione o altro - 7 egli tenga il posto che gli compete in base al suo ingresso in monastero e non quello che gli è assegnato per la sua dignità sacerdotale. 8 Riguardo poi ai chierici che vogliono aggregarsi alla comunità, li si ponga in un posto medio. 9 Però anche questi facciano promessa solenne di osservare la Regola e di perseverare stabilmente in monastero. Capitolo LXI - L'accoglienza di monaci pellegrini 1 Se un monaco pellegrino, proveniente da paesi lontani, giunge in monastero e desidera fermarvisi come ospite, lo si accolga per quanto tempo vuole 2 purché sia contento del tenore di vita che vi trova, senza turbare la comunità con le sue pretese, 3 ma si accontenti semplicemente di quel che c'è. 4 Qualora con motivi validi e con umile carità riprenda o suggerisca qualcosa, l'abate rifletta prudentemente se Dio non glielo abbia eventualmente mandato proprio per questo. 5 Se in seguito manifesta il desiderio di far parte definitivamente della comunità, tale volontà non sia respinta, soprattutto se, durante il tempo in cui è stato ospite, si è potuta conoscere bene la sua vita. 6 Se invece durante il tempo della sua presenza in monastero egli si è mostrato esigente o vizioso, non solo non sia ricevuto in seno alla comunità, 7 ma gli si dica garbatamente di andarsene, affinché con la sua miseria non contamini anche gli altri fratelli. 8 Se al contrario non è tale da essere cacciato, non solo lo si riceva se ne fa domanda, 9 ma si insista che si fermi, affinché gli altri siano edificati dal suo buon esempio, 10 poiché in ogni luogo si serve un solo Signore e si milita sotto un unico Re. 11 In questo caso l'abate, se lo ritiene degno, può fargli occupare un posto più elevato; 12 lo stesso faccia anche per i sacerdoti e i chierici, di cui si è parlato sopra. 13 L'abate si guardi dall'accogliere definitivamente un monaco di altro monastero conosciuto, senza il consenso del suo abate e senza lettere commendatizie, 14 poiché è scritto: « Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te » ( Mt 7,12 ). Capitolo LXII - I sacerdoti del monastero 1 Se l'abate desidera far ordinare un sacerdote o un diacono per il monastero, scelga tra i suoi chi ne sia degno. 2 Il monaco, che ha ricevuto gli ordini sacri, si guardi dalla vanagloria e dalla superbia. 3 Non osi far nulla senza il permesso dell'abate, sapendo di dover sottostare con più rigore alle norme della Regola. 4 Il sacerdozio non deve offrirgli il pretesto per dimenticare l'obbedienza alla Regola: piuttosto progredisca sempre più nella ricerca di Dio. 5 Conservi sempre il posto che gli spetta per il suo ingresso in monastero, 6 salvo nel servizio all'altare e nel caso che la scelta della comunità e la volontà dell'abate gli facciano occupare un posto più elevato per la sua condotta esemplare. 7 Sappia però che valgono anche per lui le norme stabilite per i decani e i priori. 8 Se osa comportarsi diversamente sia giudicato non più come sacerdote ma come ribelle. 9 Se nonostante le numerose ammonizioni non si corregge, sia chiamato come testimone anche il vescovo. 10 Fallito anche questo tentativo, e diventando pubbliche le sue colpe, sia espulso dal monastero. 11 A questa decisione estrema si arrivi però soltanto se egli ostinatamente rifiuta di sottomettersi e di obbedire alla Regola. Capitolo LXIII - L'ordine nella comunità 1 I fratelli conservino in monastero il posto determinato dalla data di ingresso nella vita monastica o dai meriti personali, secondo la decisione dell'abate. 2 Questi però non metta lo scompiglio tra i fratelli, prendendo disposizioni ingiuste, come se godesse di un potere illimitato: 3 pensi sempre che renderà conto a Dio di ogni sua decisione e di ogni suo atto. 4 I fratelli nell'accostarsi al bacio di pace, alla comunione, nell'intonare i salmi o nel prendere posto in coro, seguano l'ordine stabilito dall'abate o determinato dalla data di ingresso in monastero. 5 Non si tenga conto dell'età per stabilire l'ordine e la precedenza: 6 poiché Samuele e Daniele, sebbene giovani, hanno giudicato gli anziani. 7 Perciò, ad eccezione di coloro che l'abate ha promossi o degradati per motivi particolari - come si è detto -, gli altri occupino il loro posto in base all'ingresso in monastero: 8 cosicché, ad esempio, chi è entrato tardi sappia di essere più giovane di chi è entrato presto, qualunque sia la sua età o il grado sociale. 9 Per quanto riguarda i ragazzi, stiano in tutto sotto la disciplina. 10 I giovani venerino gli anziani; gli anziani amino i giovani. 11 Nello stesso modo di chiamarsi non è permesso usare il semplice nome: 12 gli anziani chiamino i giovani « fratelli » e i giovani chiamino gli anziani « nonni »; quest'ultimo appellativo esprime paterna riverenza. 13 L'abate che - come c'indica la fede - fa in monastero le veci di Cristo, lo si chiami « signore » e « abate », non per sua pretesa, ma per onore e amore verso Cristo. 14 Egli mediti su questo e si comporti in modo da essere degno di simile onore. 15 Dovunque i fratelli s'incontrano, il giovane chieda la benedizione al più anziano. 16 Se un anziano passa, il giovane si alzi e gli ceda il posto a sedere, e non ardisca sedersi finché l'anziano non l'abbia invitato a farlo. 17 Così si metterà in pratica ciò che è scritto: « Gareggiate nel rendervi onore a vicenda » ( Rm 12,10 ). 18 I fanciulli e gli adolescenti occupino i loro posti nell'oratorio e a tavola disciplinatamente. 19 In qualunque altro luogo abbiano sempre chi li sorvegli e faccia loro osservare la disciplina, finché siano giunti alla maggiore età. Capitolo LXIV - L'elezione dell'abate 1 Nell'eleggere un abate si osservi sempre questa norma: sia elevato a questo ufficio colui che la comunità sceglie di comune accordo e nel timor di Dio, o che una parte di essa, benché piccola, designa con un criterio più saggio. 2 Nell'eleggere l'abate si tenga presente soprattutto se il candidato possiede santità di vita e cultura spirituale, anche se è l'ultimo della comunità. 3 Se per caso - speriamo non avvenga mai! - la comunità eleggesse concordemente una persona partecipe dei suoi vizi, 4 e ciò venisse a conoscenza del vescovo, degli abati e dei fedeli dei paesi vicini, 5 costoro impediscano che riesca il complotto dei malvagi, e facciano in modo che alla casa di Dio sia preposto un amministratore degno. 6 Sappiano che, agendo con retta intenzione e zelo per la casa di Dio, ne riceveranno il premio; in caso contrario, non intervenendo, si renderanno colpevoli. 7 L'abate insediato tenga sempre presente quale incarico ha assunto e a quale padrone egli deve rendere conto della propria amministrazione. 8 Sappia che deve giovare piuttosto che dominare. 9 È necessario dunque che egli sia istruito nella legge di Dio, perché sappia dove attingere il suo insegnamento. Sia casto, sobrio, misericordioso e 10 « preferisca sempre la misericordia alla giustizia » ( Gc 2,13 ), affinché egli stesso possa ottenere un trattamento simile. 11 L'abate detesti i vizi, ma ami i fratelli. 12 Nel correggere, proceda con prudenza, senza esagerare, temendo che, a voler troppo raschiare la ruggine, il vaso vada in frantumi. 13 Tenga sempre davanti agli occhi la propria fragilità e ricordi che non deve spezzare la canna già incrinata. 14 Con questo non diciamo che egli deve lasciar crescere i vizi, ma che, nello stroncarli, deve usare prudenza e carità, adattandosi al temperamento di ciascuno, come abbiamo detto sopra. 15 Miri a essere amato piuttosto che temuto. 16 ( L'abate ) non sia turbolento, apprensivo, esagerato, ostinato, geloso, troppo sospettoso, perché non avrebbe mai pace. 17 Nell'esercizio del suo governo sia previdente e riflessivo. In tutte le cose proceda con discernimento ed equilibrio, 18 ricordandosi della moderazione di Giacobbe che diceva: « Se affaticherò troppo le mie pecore, moriranno tutte in un solo giorno » ( Gen 33,13 ). 19 Attenendosi quindi a questa lezione di discrezione, madre di tutte le virtù, regoli ogni cosa in modo che i forti desiderino fare di più e i deboli non si scoraggino. 20 L'abate osservi e faccia osservare integralmente questa Regola. 21 Così al termine di una buona gestione, ascolterà dal Signore queste parole, come il servo buono del vangelo che a tempo debito aveva distribuito il grano a suoi colleghi: 22 « In verità vi dico: gli affidò l'amministrazione di tutti i suoi beni » ( Mt 24,47 ). Capitolo LXV - Il priore del monastero 1 Accade troppo spesso che la nomina del priore sia fonte di gravi scandali nei monasteri. 2 Infatti ci sono alcuni priori che, gonfi di superbia, si ritengono secondi abati e si mettono a fare i tiranni: così alimentano scandali e creano divisioni in seno alla comunità. 3 Questo accade soprattutto dove il priore viene nominato dallo stesso vescovo o dagli stessi abati che nominano anche l'abate. 4 Si può facilmente comprendere quanto ciò sia assurdo, poiché fin dal momento della sua nomina si offre al priore motivo di orgoglio: 5 infatti i suoi pensieri gli sussurrano che non è soggetto all'abate, 6 perché scelto dagli stessi che hanno eletto l'abate. 7 Di qui nascono invidie, liti, detrazioni, rivalità, divisioni e disordini. 8 Così, mentre l'abate e il priore sono in disaccordo, inevitabilmente le loro anime sono in pericolo, 9 e i loro sudditi, parteggiando per l'uno o per l'altro, vanno in rovina. 10 La responsabilità di questa pericolosa situazione ricade su coloro che - seguendo quella prassi di elezione - hanno causato un tale disordine. 11 Pensiamo che, per conservare la pace e la carità, tutta l'organizzazione del monastero debba dipendere dall'abate. 12 Dunque, se possibile, tutto l'andamento interno del monastero sia assicurato - come abbiamo detto sopra - mediante i decani nominati dall'abate. 13 Così, distribuendo tra molti le responsabilità, si evita che uno solo si insuperbisca. 14 Ma se le condizioni locali lo richiedono e la comunità ne fa umilmente richiesta e anche l'abate lo giudica utile, 15 questi, consigliandosi con i fratelli che temono Dio, scelga liberamente il priore. 16 Il priore esegua con riverenza gli ordini del suo abate e non faccia nulla contro la sua volontà e le sue decisioni. 17 Quanto più è al di sopra degli altri, tanto più deve osservare la Regola. 18 Se il priore si dimostra vizioso, superbo, dispregiatore della Regola, lo si ammonisca a voce fino alla quarta volta. 19 Se non si emenda, lo si sottoponga alle correzioni della disciplina della Regola. 20 Se nemmeno così si corregge, sia deposto dalla carica di priore e lo si sostituisca con un altro fratello che ne sia degno. 21 Se nemmeno allora sarà quieto e obbediente, sia cacciato dal monastero. 22 Tuttavia l'abate pensi che deve render conto a Dio di tutte le sue decisioni. Non avvenga mai che la fiamma dell'invidia e della gelosia gli bruci l'anima! Capitolo LXVI - Il portinaio del monastero 1 Alla porta del monastero si ponga un fratello anziano, saggio, capace di ricevere e trasmettere i messaggi, e la cui età matura non gli permetta di andar gironzolando. 2 Abbia la cella accanto alla porta, affinché chi arriva trovi sempre qualcuno pronto a rispondere. 3 Appena uno bussa alla porta o un povero chiama, il portinaio gli rivolga una parola di benvenuto. 4 Risponda il più presto possibile, con tutta gentilezza, spinto dall'amore di Dio. 5 Se il portinaio ha bisogno di aiuto, gli si dia l'assistenza di un fratello più giovane. 6 Se è possibile, il monastero sia costruito in modo tale da avere entro le sue mura tutto quanto è necessario: acqua, mulino, orto e officine. 7 Così i monaci non sono obbligati a uscire: cosa questa che non giova affatto alle loro anime. 8 Infine vogliamo che la Regola sia letta frequentemente in comunità, affinché nessun fratello adduca il pretesto di non conoscerla. Capitolo LXVII - I fratelli mandati in viaggio 1 I fratelli che devono mettersi in viaggio, si raccomandino alle preghiere della comunità e dell'abate. 2 Nella preghiera che conclude l'Ufficio divino, vengano ricordati sempre tutti i fratelli assenti. 3 Nel giorno in cui ritornano dal viaggio, alla fine di tutte le Ore liturgiche, si prostrino sul pavimento dell'oratorio 4 e domandino a tutti di pregare per ottenere il perdono dei peccati eventualmente commessi con gli occhi, le orecchie e la lingua. 5 Nessuno osi riferire ciò che ha visto o udito fuori del monastero: potrebbe essere occasione di grande male. 6 Chi lo fa, sia punito. 7 Allo stesso modo sia punito chi esce dal monastero o si reca in qualche luogo o fa qualcosa anche poco importante, senza il permesso dell'abate. Capitolo LXVIII - Il monaco davanti a un'obbedienza difficile 1 Se eventualmente a un fratello venisse dato un ordine difficile o addirittura impossibile, questi accolga il comando del superiore con atteggiamento umile e obbediente. 2 Se poi si accorge che il peso impostogli è veramente al di sopra delle sue forze, esponga al superiore i motivi che gli rendono impossibile l'esecuzione del comando; 3 ma lo faccia con sottomissione, a tempo opportuno, senza arroganza, senza puntiglio o spirito di contraddizione. 4 Ma se dopo questa umile apertura, il superiore persisterà nell'ordine, il monaco sappia che così per lui va bene 5 e, per amore, confidando nell'aiuto di Dio, si pieghi all'obbedienza. Capitolo LXIX - In monastero nessuno deve proteggere un altro 1 In monastero si eviti nel modo più assoluto che uno prenda le difese di un altro o lo prenda sotto la sua protezione, 2 anche se vi fosse tra i due un vincolo di parentela; 3 poiché ne possono nascere gravi occasioni di discordia. 4 Chi trasgredisce questa norma, sia punito severamente. Capitolo LXX - Nessuno può punire arbitrariamente un altro 1 Per evitare in monastero ogni occasione di arbitrarietà, 2 stabiliamo che nessuno osi scomunicare o percuotere un fratello,senza averne ricevuto l'ordine dall'abate. 3 « I trasgressori siano ripresi davanti a tutti, affinché gli altri ne abbiano timore » ( 1 Tm 5,20 ). 4 Per quanto riguarda i ragazzi di età inferiore ai 15 anni, siano soggetti a disciplina con premurosa cura da parte di tutti. 5 Anche verso di loro si usi grande equilibrio e moderazione. 6 Chi si permette di correggere un fratello senza l'autorizzazione dell'abate o chi si adira fuori misura contro i ragazzi, sia sottoposto alla punizione stabilita dalla Regola, 7 poiché leggiamo nella Scrittura: « Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te » ( Mt 7,12 ). Capitolo LXXI - L'obbedienza reciproca tra i fratelli 1 Il bene dell'obbedienza non si deve porgere soltanto all'abate, ma anche a tutti i fratelli: anch'essi devono obbedirsi gli uni gli altri, 2 persuasi che andranno a Dio soltanto attraverso questa via dell'obbedienza. 3 Perciò, dando la precedenza ai comandi dell'abate e dei superiori da lui stabiliti - a cui non devono essere preferiti altri comandi -, 4 per il resto i giovani obbediscano ai loro fratelli più anziani con ogni carità e premura. 5 Se un fratello resiste e contraddice, sia corretto. 6 Quando un fratello è rimproverato dall'abate o da un anziano per qualunque motivo anche se piccolo, 7 o si accorge che l'animo dell'anziano è irritato, sia pur leggermente, contro di lui, 8 ripari immediatamente gettandosi ai suoi piedi e rimanendo prostrato a terra, finché con la benedizione si plachi quel turbamento. 9 Chi si rifiutasse di farlo, sia sottoposto a un castigo fisico o, se si mostra ostinato, sia espulso dal monastero. Capitolo LXXII - Lo zelo buono che i monaci devono coltivare 1 Come vi è uno zelo amaro e cattivo che allontana da Dio e conduce all'inferno, 2 così c'è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. 3 Questo è lo zelo che i monaci devono coltivare con il più ardente amore. 4 Essi dunque « gareggino reciprocamente nel rendersi onore » ( Rm 12,10 ); 5 sopportino con la più grande pazienza le infermità fisiche e morali dei fratelli; 6 facciano a gara nell'obbedirsi a vicenda; 7 non cerchino il proprio vantaggio, ma quello altrui; 8 manifestino con cuore puro carità fraterna; 9 temano Dio con amore; 10 amino l'abate con affetto umile e sincero; 11 non antepongano assolutamente nulla a Cristo, 12 il quale ci conduca tutti insieme alla vita eterna. Capitolo LXXIII - Conclusione: questa regola è solo un inizio 1 Abbiamo abbozzato questa Regola affinché, osservandola nei monasteri, diamo qualche prova di buoni costumi e di un inizio di vita monastica. 2 Ma chi vuol camminare velocemente verso la perfezione della vita monastica, ha a disposizione gli insegnamenti dei santi Padri, la cui pratica conduce al culmine della santità. 3 Quale pagina, infatti, o quale parola ispirata della sacra Scrittura, non è norma sicura di condotta per la nostra vita? 4 O quale libro dei santi Padri cattolici non c'insegna la via diritta per giungere al nostro Creatore? 5 Anche le « Conferenze » dei Padri, le loro « Istituzioni » e le loro « Vite » - come anche la Regola del nostro padre Basilio - 6 che cos'altro sono, se non esempi di virtù per monaci fervorosi e obbedienti? 7 Per noi, invece, monaci rilassati, tiepidi e negligenti, costituiscono motivo di vergogna e di rossore. 8 Dunque, chiunque tu sia che ti affretti sulla strada verso la patria celeste, metti in pratica con l'aiuto di Dio questa Regola così modesta, scritta per principianti. 9 Così, con l'aiuto di Dio, giungerai a quelle eccelse vette di sapienza e di virtù che abbiamo sopra delineato. Amen.