Teologia dei Padri

Indice

Le due vie - I due regni

1. - La via della luce e la via delle tenebre

Due sono le vie della dottrina e della potestà; una della luce, l'altra delle tenebre.

Grande è la differenza tra le due vie.

All'una sono preposti angeli di Dio portatori di luce, all'altra angeli di Satana.

E quegli è il Signore dei secoli nei secoli, questi il principe di questo tempo iniquo.

Questa è la via della luce.

Se qualcuno vuol percorrerla fino al luogo prestabilito, vi si impegni con le sue opere.

E questa è la conoscenza a noi concessa per camminare su di essa: ama chi ti ha creato, abbi timore di chi ti ha plasmato, onora chi ti ha liberato dalla morte.

Sii semplice di cuore e ricco di spirito.

Non unirti a quelli che camminano nella via della morte.

Abbi orrore di compiere ciò che non piace a Dio e odia ogni ipocrisia.

Non abbandonare i precetti del Signore.

Non esaltare te stesso, ma abbi di te bassa stima e non darti gloria da solo.

Non prendere decisioni cattive contro il tuo prossimo.

Non abbandonare la tua anima all'impudenza.

Non commettere fornicazione, adulterio o pederastia.

Non esca dalla tua bocca la parola di Dio di fronte all'impurità altrui.

Non aver riguardo alla persona quando redarguisci qualcuno per i suoi errori.

Sii mansueto, sii quieto e abbi timore delle parole che hai udito.

Non serbare rancore a tuo fratello.

Non titubare se le promesse si adempiranno o no.

Non nominare invano il nome del Signore.

Ama il tuo prossimo più dell'anima tua.

Non uccidere la prole con l'aborto e non toglierla di mezzo appena nata.

Non distogliere la tua mano da tuo figlio o da tua figlia, ma insegnagli dalla fanciullezza il timore di Dio.

Non essere bramoso dei beni del tuo prossimo e non essere avaro.

Non unirti interiormente ai superbi, ma sii del numero dei giusti e degli umili.

Accetta come beni le molestie che ti sopraggiungono e sappi che nulla avviene senza il volere di Dio.

Non essere doppio nel pensare, né nel parlare, perché la doppiezza è un cappio della morte.

Assoggettati ai padroni con rispetto e timore come immagini di Dio.

Non essere amaro quando comandi alla tua ancella o al tuo schiavo che, come te, sperano nel medesimo Signore, altrimenti non dimostri timore di Dio, che su di voi due domina.

Egli è venuto a chiamare non considerando le persone, ma l'intima preparazione dello Spirito Santo.

Di tutto rendi partecipe il tuo prossimo e non considerare nulla come tuo proprio: infatti se avete in comune i beni incorruttibili, quanto più quelli corruttibili!

Non essere linguacciuto, perché la lingua è un cappio della morte.

Per quanto ti è possibile, conservati puro nell'anima tua.

Non allungare la tua mano per ricevere né ritrarla per non dare.

Ama come la pupilla del tuo occhio tutti coloro che ti annunciano la parola di Dio.

Tieni presente alla memoria, notte e giorno, il dì del giudizio.

Ricerca ogni giorno il volto dei santi [ cristiani ] e pondera i loro discorsi; affrettati ad esortarli e rifletti come salvare un'anima con le tue parole.

Lavora anche con le tue mani, per liberarti dai peccati.

Non riflettere a donare, e non mormorare quando dai.

Da' a chiunque ti chiede e saprai chi è colui che dà la bella mercede.

Custodisci ciò che hai ricevuto, nulla aggiungendogli e nulla togliendogli.

Odia in eterno il male.

Giudica con giustizia.

Non provocare scissioni, ma sii operatore di pace consigliando i contendenti.

Confessa i tuoi peccati.

Non metterti in preghiera con la coscienza cattiva.

Questa è la via della luce.

La via delle tenebre è tortuosa e piena di maledizione.

É infatti la via della morte eterna, la via del castigo.

In essa vi è tutto ciò che rovina l'anima: idolatria, sfrontatezza, esaltazione per il potere, simulazione, doppiezza di cuore, adulterio, omicidio, rapina, superbia, inganno, scaltrezza, malvagità, arroganza, veneficio, magia, avarizia, mancanza di timor di Dio.

Perseguitano i buoni, odiano la verità, amano la menzogna, non conoscono il premio della giustizia, non si attaccano al bene, non si accostano alla vedova e all'orfano né fanno per loro giusto giudizio, non si curano del timor di Dio, ma del male, sono lontani assai dalla mitezza e dalla pazienza, amano le vanità, cercano le ricompense, non hanno pietà del misero, non si danno da fare per chi soffre, sono pronti al pettegolezzo, non riconoscono colui che li ha creati, uccidono gli infanti, mandano in rovina, con l'aborto, le creature di Dio, aborriscono il bisognoso, opprimono l'afflitto, difendono il ricco, giudicano ingiustamente il povero, commettono ogni peccato.

É bene dunque che chi ha imparato tutti i precetti del Signore che vi ho scritti, cammini in essi.

Chi fa così, sarà glorificato nel regno di Dio; chi sceglie le altre opere, con le sue opere andrà in rovina.

Per questo vi è la risurrezione, per questo vi è la retribuzione.

Scongiuro voi, o superiori, se volete accettare da me un consiglio intelligente: avete sotto di voi coloro che potete beneficare: non rinunciatevi!

É vicino il giorno in cui, con il male, tutto andrà in rovina.

É vicino il Signore e la sua mercede.

Vi supplico e ancora vi supplico: siate buoni legislatori da voi stessi.

Restate consiglieri fedeli di voi stessi, liberate voi stessi da ogni ipocrisia.

E Dio, dominatore di tutto il mondo, vi doni sapienza, comprensione, intelligenza, conoscenza dei suoi precetti e perseveranza.

Siate edotti da Dio, ricercate ciò che Dio da voi richiede, e poi fatelo, per ottenere la salvezza nel giorno del giudizio.

E se vi è in voi il ricordo del bene ricevuto, ricordatevi di me meditando tutto ciò, perché il mio desiderio, la mia sollecitudine giunga a ottenere un po' di bene.

Ve ne prego, vi chiedo questa ricompensa.

Fino a quando il bel vaso del corpo è con voi, non venite meno a nessuno dei vostri doveri, ma cercate ad ogni istante di adempiere tutti i precetti: ne sono ben degni.

Per questo mi sono tanto preoccupato di scrivervi per allietarvi, in quanto ho potuto.

State bene, o figli d'amore e di pace.

Il Signore della gloria e di ogni grazia sia con il vostro spirito.

Lettera di Barnaba, 18-21

EMP K-82. - Incontro alla luce

Corriamo tutti incontro a Cristo, noi che tanto sinceramente e profondamente adoriamo il suo mistero; mettiamoci in cammino verso di lui pieni di gioia …

Portiamo con noi anche dei ceri accesi, come simbolo dello splendore divino di colui che viene.

Grazie a lui tutta la creazione risplende, anzi, viene inondata da una luce eterna che disperde le tenebre del male.

Ma i ceri accesi saranno soprattutto il simbolo dello splendore interiore con cui dobbiamo prepararci all'incontro con Cristo.

Come infatti la madre di Dio, vergine purissima, portò tra le sue braccia la vera luce offrendola a coloro che si trovavano nelle tenebre, così anche noi, tenendo fra le mani quella luce visibile a tutti e illuminati dal suo splendore, affrettiamoci incontro a colui che è la vera luce.

Sì, la luce è venuta nel mondo mentre esso era avvolto nelle tenebre, e lo ha rischiarato con il suo splendore; colui che sorge dall'alto ci ha visitati per illuminarci mentre sedevamo nelle tenebre ( Lc 1,78-79 ).

Questo è il nostro mistero.

Per questo camminiamo, corriamo verso Cristo, tenendo in mano dei ceri accesi: essi sono insieme simbolo della luce che è Cristo e anticipazione dello splendore di cui saremo nei stessi penetrati per opera sua.

Corriamo dunque insieme, corriamo tutti verso Dio: se cediamo alla pigrizia, egli ci potrebbe accusare o di essere ingrati o addirittura di disprezzarlo, che sarebbe peccato ancor più grave.

Ascoltiamo le parole rivolte dal Signore stesso agli ebrei che, immersi nelle tenebre, fuggivano la luce: La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più la tenebra che la luce, perché le loro opere erano malvagie ( Gv 1,9 ).

La volontà di male infatti oscura l'anima e le impedisce di vedere la luce.

Il Vangelo dice ancora: La luce risplende nella tenebra e la tenebra non l'ha compresa ( Gv 1,5 ).

La luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo è dunque venuta.

Offriamoci tutti ad essa, fratelli, lasciamocene penetrare.

Nessuno si escluda dal suo splendore, nessuno rimanga immerso nelle tenebre.

Andiamo invece tutti insieme verso Cristo, lasciandoci investire dal suo splendore; riceviamo con il vecchio Simeone questa eterna luce vivente.

Con lui esultiamo di gioia e cantiamo un inno di ringraziamento a Dio, Padre della luce, che ci ha mandato la luce vera per trarci fuori dalle tenebre e renderci luminosi.

A lui appartiene la salvezza: egli l'ha preparata di fronte a tutti i popoli e l'ha manifestata per noi, suo popolo e nuovo Israele ( Lc 2,31-32 ).

Anche noi, in lui, abbiamo visto, e siamo stati immediatamente liberati dalle tenebre del nostro antico peccato, come Simeone, dopo aver visto Cristo, fu liberato dai vincoli della vita terrena.

Sofronio, Discorso sulla Purificazione, 6,7

2. - Opere buone e opere cattive

« Anche l'astinenza ha un doppio aspetto », disse il Pastore « perché da alcune cose bisogna astenersi e da altre no ».

« Insegnami, signore, da cosa sia necessario astenersi e da che cosa non lo sia ».

« Ascolta! Astieniti dal male, non farlo; non astenerti dal bene, fallo, perché se ti astieni dal fare il bene commetti una grave mancanza, e se invece ti astieni dal fare il male, adempi ad una grande giustizia.

Dunque, operando il bene, astieniti da ogni iniquità ».

« Qual è, o signore », dissi io « l'iniquità da cui devo astenermi? ».

« Ascolta! » rispose. « Ti asterrai dall'adulterio e dalla fornicazione, dal bere smodato, dai piaceri cattivi e dal troppo mangiare; dal lusso sfrontato, dalla presunzione, dall'arroganza, dalla superbia; e poi dalla menzogna, dalla maldicenza, dall'ipocrisia, dal rancore e da ogni bestemmia.

Tutte queste cose sono le peggiori azioni nella vita dell'uomo: è necessario perciò che il servo di Dio se ne astenga, poiché chi non sa astenersene, non può vivere in Dio. Ascolta ora quelle che le seguono ».

« Come, signore! » dissi. « Vi sono ancora azioni inique? ».

« Sì, e molte! » rispose. « Da esse il servo di Dio deve astenersi.

Sono: il furto, la bugia, la frode, la falsa testimonianza, l'avarizia, il desiderio cattivo, l'inganno, la vanagloria, l'arroganza, e quanto vi è di simile.

Non vi pare che tutto ciò sia male, anzi un grande male, per i servi di Dio?

Da tutte queste cose deve astenersi chi vuole servire Dio.

Tientine lontano, perché tu possa vivere in Dio e il tuo nome sia scritto fra coloro che evitano questi mali.

Ti ho esposto dunque ciò da cui ti devi astenere.

Ora ascolta ciò da cui non devi astenerti, ma che devi praticare.

Non astenerti dalle buone opere, ma compile ».

« Signore, insegnami anche la qualità delle buone opere, perché le possa adempiere, possa procedere in esse, e così salvarmi ».

« Ascolta, dunque, le opere di bene che tu devi compiere, e non tralasciare: la fede anzitutto, il timore del Signore, la carità, la concordia, le parole sante, la verità, la pazienza; nulla meglio di tutto questo vi è nella vita dell'uomo: chi lo mette in pratica e non lo trascura sarà beato nella sua vita.

Ascolta ora le opere che seguono queste: servire le vedove, soccorrere gli orfani e gli indigenti, riscattare i servi di Dio liberandoli dalle costrizioni inique; essere ospitali, non avere inimicizia con nessuno, vivere in pace, sottomettersi a tutti, rispettare i vecchi, praticare la giustizia, conservare la fratellanza, sopportare la prepotenza, essere pazienti, non covare rancore, consolare chi ha il cuore afflitto, non allontanare chi è caduto dalla fede ma convertirlo e fargli animo, ammonire i peccatori, non opprimere i debitori o i bisognosi, e tutto ciò che vi è di simile.

Non ti pare che tutte queste opere siano buone? ».

« E come, signore! » risposi, « che c'è di meglio? ».

« Procedi in esse » continuò « e non astenertene. Attieniti a questo precetto.

Se farai il bene, e non te ne asterrai, vivrai in Dio; e tutti coloro che opereranno in tal modo, vivranno in Dio.

E ancora: se ti asterrai dal male, vivrai in Dio, e tutti coloro che osserveranno questi precetti e procederanno in essi, vivranno in Dio ».

Erma, Il Pastore, Precetto VIII

3. - Desideri buoni e desideri cattivi

Il Pastore mi disse: « Allontana da te ogni desiderio cattivo, vestiti di desideri buoni e santi.

Solo protetto da essi aborrirai le voglie perverse, e le frenerai a tuo talento.

La concupiscenza cattiva, infatti, è una fiera selvaggia che difficilmente si lascia domare: è terribile e nella sua ferocia sbrana gli uomini.

Soprattutto se è un servo di Dio colui che, imprudente, si imbatte in essa, egli viene sbranato orrendamente.

Tuttavia essa divora solo coloro che non sono protetti da buoni desideri, ma sono irretiti dalle brame mondane: costoro vengono messi a morte ».

Io gli chiesi: « Signore, quali sono le opere della concupiscenza che arrecano la morte agli uomini?

Fammele conoscere, che io le possa evitare ».

« Ascolta dunque per mezzo di quali opere la concupiscenza cattiva uccide i servi di Dio.

Anzitutto il desiderio della donna o del marito altrui, poi la brama di lusso e di ricchezza; la voglia di cibi e bevande abbondanti e superflue o di altre sciocche mollezze: ogni mollezza è sciocca e inutile per i servi di Dio.

Questi desideri, dunque, sono funesti e recano morte ai servi di Dio, anzi, il desiderio cattivo è figlio del diavolo.

É necessario perciò che vi teniate lontani da questi desideri, per poter così vivere in Dio.

Ma chi si lascia dominare da essi e non resiste, alla fine morrà perché, come ho detto, essi sono mortiferi.

Perciò rivestiti col desiderio della santità, armati del timore di Dio e impugnali.

Nel desiderio santo vi è il timore di Dio; e la concupiscenza, vedendoti armato di tale timore e pronto alla lotta, fuggirà lontano da te e non si farà più vedere per timore delle tue armi.

Tu dunque, coronato come vincitore sulla mala concupiscenza, presentati innanzi al desiderio buono, rimetti a lui la tua vittoria e servigli come esso vorrà.

Se servirai al desiderio retto e ti sottometterai ad esso, potrai dominare il desiderio perverso e sottometterlo a tuo talento ».

« Vorrei sapere, signore » dissi io « in che modo devo servire il desiderio buono ».

« Ascolta » mi disse: « pratica la giustizia, la fortezza, il timore di Dio, la fiducia, la mansuetudine e tutte le virtù simili a queste.

Se queste virtù praticherai, sarai un servo di Dio prediletto, e chiunque serve al desiderio santo, vivrà in Dio ».

Erma, Il Pastore, Precetto XII

4. - L'esempio dell'olivo e dell'oleastro

Perché poi non ci allietiamo nella carne, rifiutando l'innesto nello Spirito: Ma tu, che sei oleastro, ci dice, sei stato innestato in buon ulivo e sei diventato come lui oleoso ( Rm 11,17 ).

Se infatti l'oleastro innestato continua ad essere ciò che era, viene tagliato e gettato al fuoco; se invece tiene l'innesto e si tramuta in olivo buono, diventa fruttifero, come fosse piantato nel giardino del re.

Così gli uomini, se per la fede assumono in sé lo Spirito di Dio, portano i suoi frutti, diventano spirituali, piantati quasi nel giardino di Dio.

Se invece rigettano lo Spirito e continuano ad essere ciò che erano, preferendo rimanere carne anziché diventare spirito, di loro si dirà ben giustamente che la carne e il sangue non possiedono il regno di Dio; è come se si dicesse che l'ulivo selvatico non può essere piantato nel giardino di Dio.

É mirabile il modo con cui l'Apostolo mostra la nostra natura e tutta l'economia di Dio nel discorso che ci fa sulla carne e sul sangue, e soprattutto in quello sull'oleastro.

Un ulivo trascurato, abbandonato a se stesso per un po' di tempo, comincia a portare frutti selvatici e diventa da sé oleastro; l'oleastro poi, coltivato con cura e innestato, torna a portare i frutti della sua prima natura.

Così è degli uomini. Abbandonati a se stessi, non sanno produrre che i frutti selvatici della loro concupiscenza carnale; da se stessi non portano nessun frutto di giustizia.

Oltre a ciò, mentre gli operai dormono, il nemico semina la zizzania; e per questo il Signore ha esortato i suoi discepoli alla vigilanza.

Ma questi uomini che non portano frutto di giustizia e sono tutti immersi nella loro sensualità, se vengono curati e ricevono quasi l'innesto del Verbo di Dio, tornano alla loro primigenia natura di uomo, quella fatta a immagine e a somiglianza di Dio.

Come poi l'oleastro innestato non perde la sostanza del legno, ma muta soltanto la qualità dei frutti e viene chiamato in altro modo - non più oleastro, cioè, ma ulivo buono, perché lo è -, così l'uomo che ha ricevuto l'innesto della fede e accolto lo Spirito di Dio, non perde la sostanza della sua carne, mentre muta la qualità delle sue opere.

Egli poi riceve un'altra denominazione, la quale specifica la sua trasformazione; non viene detto più sangue, ma uomo spirituale, perché lo è.

Ma l'oleastro, se non accoglie l'innesto e continua a essere inutile per il suo padrone data la sua natura selvatica, viene tagliato, perché non porta frutto, come legna da fuoco.

Così anche l'uomo che non accoglie l'innesto dello Spirito attuantesi nella fede, e continua ad essere ciò che era, cioè carne e sangue, non può ereditare il regno di Dio.

Giustamente perciò l'Apostolo dice: La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio; e: Coloro che sono nella carne, non possono piacere a Dio ( Rm 8,8 ).

Non nega la sostanza della carne, ma nega l'infusione dello Spirito.

Sempre per questo motivo dice: É necessario che questo corpo mortale si vesta di immortalità, e questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ), e ancora: Ma voi non siete nella carne, ma nello Spirito, poiché lo Spirito di Dio abita in voi ( Rm 8,9 ).

E mostra tutto ciò ancor più chiaramente quando dice: Il corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia.

Se poi lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita voi ( Rm 8,10 ).

E ancora, nella lettera ai Romani, dice: Se vivete secondo la carne, cominciate già a morire ( Rm 8,13 ).

Non nega che essi in realtà fossero nella carne, poiché egli stesso viveva nella sua carne quando scriveva loro; ma voleva staccarli dalle voglie della carne, perché sono queste che uccidono l'uomo.

Per questo ha soggiunto: Ma se con lo spirito mortificate le opere della carne, vivrete.

Tutti coloro infatti che si lasciano condurre dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio ( Rm 8,14 ).

Prevedendo poi gli errori degli increduli, manifesta con tutta chiarezza quali sono le opere che egli dice « carnali »; espone la propria situazione per non lasciare pretesti a coloro che avrebbero parlato male di lui.

Scrive dunque nella lettera ai Galati: Sono poi ben note le opere della carne, cioè fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, malefizi, inimicizie, contese, gelosie, ira, caparbietà, discordia, fazioni, invidia, ubriachezza, orge e cose simili a queste, che - ve lo preannunzio come già l'ho preannunziato - chi le commette non possiederà il regno di Dio ( Gal 5,19-20 ).

Ecco dunque chiarito inequivocabilmente, per chi lo vuole ascoltare, che significa: « La carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio ».

Chi agisce così, cammina davvero nella carne, non può vivere per Dio.

Parla poi degli atti spirituali che vivificano gli uomini, cioè dell'innesto dello Spirito, dicendo: Il frutto dello Spirito, invece, è carità, gioia, pace, pazienza, affabilità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza; contro tutto ciò, non v'è legge ( Gal 5,23 ).

Chi dunque migliora e porta i frutti dello Spirito, si salva proprio per la sua unione allo Spirito; chi continua invece nelle opere della carne surriferite, resta davvero carnale e non accoglie lo Spirito di Dio: non può certo possedere il regno dei cieli.

Lo attesta ancora l'Apostolo, dicendo ai Corinti: Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio?

Non illudetevi - dice - né i fornicatori né gli idolatri né gli adulteri né gli effeminati, né i sodomiti né i ladri né i cupidi né gli ubriaconi né i maldicenti né i rapaci avranno parte al regno di Dio; e tutto ciò - continua - anche voi lo foste; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio ( 1 Cor 6,9-10 ).

Mostra con tutta chiarezza, dunque, cosa è che uccide l'uomo, se continua a vivere secondo la carne, e cosa è che lo salva.

Lo salvano, ci dice, il nome del Signore nostro Gesù Cristo e lo Spirito del nostro Dio.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5,10-11

5. - I due regni e i loro cittadini

Ora, in questo mondo, c'è un regno terreno, e c'è anche un regno celeste.

Ambedue i regni, quello terreno e quello celeste, quello che dovrà essere sradicato e quello che dovrà essere piantato per l'eternità, hanno dei cittadini che sono di passaggio.

Ora, in questo mondo, i cittadini di ambedue i regni sono mischiati, le compagini dei due regni sono intrecciate.

Il regno celeste geme in mezzo ai cittadini del regno terreno e talvolta - non dobbiamo tacerlo - in certo modo il regno terreno tenta di schiacciare i cittadini del regno celeste, come anche, a sua volta, il regno celeste fa violenza sui cittadini del regno terreno.

Ve lo dimostreremo con la Scrittura di Dio.

Daniele e i tre fanciulli di Babilonia furono preposti agli affari del re; in Egitto, Giuseppe fu nominato dal re suo sostituto per amministrare lo stato: proprio quello Stato da cui il popolo di Dio doveva essere liberato.

In certo qual modo Giuseppe pesava su quello stato, come quei tre fanciulli e come Daniele.

É manifesto dunque che il regno terreno si serviva per delle sue opere, cioè per opere di dominio ( non però di quelle malvagie ), di cittadini del regno dei cieli.

E in che senso anche il regno dei cieli si serve temporaneamente, finché è su questo mondo, di cittadini del regno terreno?

Non parla di costoro l'Apostolo, quando dice che certuni annunziavano il Vangelo senza rettitudine, cioè predicavano il regno dei cieli desiderando le cose terrene e, cercando il proprio interesse, annunziavano Cristo?

E affinché sappiate che anche costoro erano assunti, sia pure in qualità di mercenari, per la predicazione del regno dei cieli, l'Apostolo, lieto per essi, dice: Ve ne sono alcuni che per invidia e spirito di rivalità annunziano Cristo, non per retti motivi, ma credendo di suscitare tribolazioni alle mie catene.

E che importa? Purché in ogni caso - sia rettamente che per secondi fini - Cristo venga annunziato, di questo io godo e godrò ( Fil 1,17-18 ) …

Osservate queste due categorie di uomini: una, di coloro che soffrono; l'altra, di coloro in mezzo ai quali si soffre.

Gli uni pensano alla terra, gli altri pensano al cielo; i primi abbandonano il cuore alle cose basse e terrene; gli altri lo tengono unito agli angeli.

Gli uni ripongono la loro speranza nelle cose della terra, su cui esercita il suo dominio il mondo presente; gli altri si ripromettono i beni celesti che sono stati loro promessi da Dio che non mentisce.

Ma queste due specie di uomini sono mischiate tra loro.

S'incontra talvolta un cittadino di Gerusalemme, un cittadino del regno dei cieli, collocato in terra in posti di governo.

Eccolo indossare la porpora: è magistrato, edile, proconsole, imperatore; ha il governo della società terrena.

Se egli è cristiano, se è fedele, se è pio, se disprezza le cose fra le quali si ritrova implicato e spera quelle che ancora non possiede, il suo cuore è volto verso il cielo …

Non disperiamo dunque dei cittadini del regno dei cieli, quando li vediamo occupati in affari di Babilonia, quando cioè li vediamo dediti a qualcosa di temporale nella società terrena; come, viceversa, non siamo troppo frettolosi nel rallegrarci con tutti gli uomini che vediamo occuparsi delle cose riguardanti il regno dei cieli.

Infatti, anche uomini pestilenziali seggono talvolta sulla cattedra di Mosè e di costoro è detto: Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno; perché dicono e non fanno! ( Mt 23,3 ).

I primi, pur negli affari terreni, custodiscono il loro cuore rivolto verso il cielo; i secondi, pur vivendo a contatto con parole celesti, trascinano il cuore sulla terra.

Ma verrà il tempo della vagliatura, e allora le due categorie saranno nettamente distinte: neppure un chicco di grano passerà nel mucchio della paglia che dovrà essere bruciata, e neppure un filo di paglia passerà nel mucchio di grano che dovrà essere serbato nel granaio.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 52,4.6

6. - I cristiani che amano il mondo e quelli che lo disprezzano

Potrei dimostrare quale differenza ci sia fra i cristiani che amano questo mondo e coloro che lo disprezzano, anche se gli uni e gli altri si chiamano fedeli.

Gli uni e gli altri sono stati purificati dal medesimo lavacro del sacro fonte, iniziati e consacrati con gli stessi sacri misteri; gli uni e gli altri sono non solo uditori, ma anche predicatori del medesimo Vangelo; eppure non sono ugualmente partecipi del regno e della luce di Dio, né eredi della vita eterna, che sola è beata.

In verità Gesù, nostro Signore, stabilì non una sottile linea divisoria, ma una gran differenza non già tra gli uditori delle sue parole e coloro che non l'ascoltano, ma proprio tra coloro che l'ascoltano.

Chi ascolta - dice - le mie parole e le mette in pratica, lo paragonerò a un saggio, che edificò la sua casa sulla roccia: cadde la pioggia, vennero addosso i fiumi, soffiarono i venti, si abbatterono contro quella casa, ma essa non rovinò, poiché era fondata sulla roccia.

Chi invece ascolta le mie parole ma non le mette in pratica, lo paragonerò a uno stolto, che edificò la sua casa sull'arena: cadde la pioggia, vennero addosso i fiumi, soffiarono i venti, si abbatterono contro quella casa e cadde, e avvenne una grande rovina ( Mt 7,24-27 ).

Ascoltare quelle parole significa dunque edificare.

In questo sono alla pari gli uni e gli altri, ma nel mettere o non mettere in pratica ciò che ascoltano sono tanto diversi, quanto un edificio basato sulla solidità della roccia è diverso da quello che, privo di fondamenta, è travolto dalla facile mobilità dell'arena.

Ecco perché chi non ascolta non si procaccia un bene più sicuro, poiché, non edificando nulla, resta senza alcun riparo e si espone molto più facilmente ad essere travolto, trascinato e sbattuto via dalle piogge, dai fiumi e dai venti.

Agostino, Le Lettere, II, 127,7 ( ad Armentario e Paolina )

Indice