17 Maggio 1972

Necessità del silenzio interiore per ascoltare la voce dello Spirito Santo

Siamo prossimi alla festa di Pentecoste, la quale commemora, e, a Dio piacendo, rinnova in qualche modo e misura, l'avvenimento della discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, riuniti nel cenacolo di Gerusalemme con la prima comunità dei seguaci di Gesù, il Maestro, il Messia, morto in Croce, risorto, e ormai scomparso salendo in cielo.

Il gruppo dei rimasti fedeli era di circa centoventi persone, con le pie donne e con Maria, la Madre di Gesù.

Che cosa fu quel fatto-mistero non è facile dire, quantunque si sia compiuto con segni esteriori molto forti: fragore improvviso di cielo, impetuosa invasione di vento per tutta la casa, e apparizione di fiamme luminose, come lingue di fuoco sopra ciascuno dei presenti, che si sentirono inebriati di energia, di gioia e di grande voglia di esclamare lodi ardenti e sapienti a Dio, nascenti come poesia profetica dall'interno dei cuori; era lo Spirito Santo, cioè l'Amore vivente, procedente da Dio, il Padre, da Dio Figlio, il Verbo, Dio Lui stesso, la terza Persona della Santissima Trinità, l'unico Iddio così rivelantesi nel mistero della sua intima Vita infinita, abissale, resa accessibile agli uomini, in certa maniera, sempre minima ed analogica rispetto all'infinita realtà del Dio Uno e Trino, ma straripante di luce, di gaudio e di mistero, rispetto alla ricolma capacità della mente umana ( Cfr. Rm 11,33-36 ).

Il fatto è che in quel momento nacque la Chiesa; il suo corpo, composto di uomini di questo mondo, ebbe la sua animazione soprannaturale che tutta la penetrò, infondendo unità nuova a quella assemblea che si chiamò Chiesa, e subito conferendo varie e distinte funzioni a questo e a quel membro dell'assemblea ecclesiale, come ad organo speciale in vantaggio dell'intero organismo; nacque la Chiesa, fin da quella prima ora seminale, gerarchica e comunitaria, costituzionalmente unica, organizzata ed unita ( Cfr. 1 Cor 12,4 ss ).

Se questo avvenimento è vero, è reale, come infatti lo fu e tuttora lo è, non sfugge a nessuno la sua superlativa importanza.

L'opera dello Spirito Santo è determinante per la religione cristiana, è trasfigurante per quella parte privilegiata dell'umanità, che entra nel raggio del suo influsso, è decisiva per la nostra salvezza.

Ciò non toglie che essa sia misteriosa, che ecceda cioè la nostra capacità normale di conoscenza, e che anzi possa essere indebitamente interpretata, ovvero confusa con forme equivoche di spiritualismo, e di spiritualità, come l'utopia, come la fantasia, come la follia, e perfino come l'azione diabolica.

Non per nulla l'evangelista Giovanni, nella sua prima epistola, scrive: « Carissimi, non vogliate prestar credito ad ogni spirito, ma provate gli spiriti se siano da Dio, perché molti pseudoprofeti vagano per il mondo » ( 1 Gv 4,1 ).

E San Paolo ai Tessalonicesi: « Non spegnete lo spirito.

Tenete in conto le profezie.

Tutto esaminate; ritenete ciò che è bene » ( 1 Ts 5,19.21 ).

Con tanto che si è detto ai nostri giorni sull'idealismo, sulla psicanalisi, sulla psichiatria, sulla magia, eccetera, non abbiamo forse ancora bene studiato la teologia dello Spirito Santo, e le realtà che derivano dalla sua azione sull'anima umana, come la grazia per prima, e poi i suoi doni ( Cfr. Is 11,2 ) e i suoi frutti ( Gal 5,22 ), non che le vie per cui normalmente ci è conferito lo Spirito Santo, la preghiera ( Cfr. Lc 11,13 ) e specialmente i sacramenti, veicoli appunto della grazia, cioè dell'azione dello Spirito Santo in noi ( Rm 5,5; 1 Cor 3,16; etc. ).

Catechismo questo; fondamentale per avere una concezione esatta della vita cristiana, specialmente su alcuni punti che oggi sembra utile e doveroso ricordare.

Accenniamo appena.

« Lo Spirito soffia dove vuole », dice Gesù nel famoso colloquio con Nicodemo ( Gv 3,8 ); non potremo perciò tracciare delle norme dottrinali e pratiche esclusive circa gli interventi dello Spirito nella vita degli uomini; Egli può manifestarsi nelle forme più libere ed impensate; Egli « gioca nel cerchio della terra » ( Pr 8,31 ); l'agiografia ci narra tante avventure curiose e stupende della santità; ogni maestro di anime ne sa qualche cosa.

Ma una regola c'è, un'esigenza ordinaria s'impone per chi voglia captare le onde soprannaturali dello Spirito Santo; ed è questa: l'interiorità.

L'appuntamento per l'incontro con l'ineffabile Ospite è fissato dentro l'anima.

Dulcis hospes animae, dice il mirabile inno liturgico della Pentecoste.

L'uomo è fatto « tempio » dello Spirito Santo, ci ripete San Paolo ( Cfr. 1 Cor 3,16-17; 1 Cor 6,19; 2 Cor 6,16; Ef 2,22 ).

Per quanto l'uomo moderno, spesso anche il cristiano, anche il consacrato, tenda a secolarizzarsi, non potrà, non dovrà mai dimenticare questa impostazione fondamentale della vita, se questa vuol rimanere cristiana e animata dallo Spirito Santo, l'interiorità.

La Pentecoste ha avuto la sua novena di raccoglimento e di preghiera.

Occorre il silenzio interiore per ascoltare la Parola di Dio, per sperimentare la presenza, per sentire la vocazione di Dio.

Oggi la nostra psicologia è troppo estroflessa; la scena esteriore è così assorbente che la nostra attenzione è in prevalenza fuori di noi; siamo quasi sempre fuori della nostra casa personale; non sappiamo meditare, non sappiamo pregare; non sappiamo far tacere il frastuono interiore degli interessi esteriori, delle immagini, delle passioni.

Non v'è spazio quieto e sacro nel cuore per la fiamma di Pentecoste.

Pretendiamo forse di avere « carismi » speciali per rivendicare ai capricci spirituali dei nostri istinti una cieca autonomia, e non cerchiamo di ricondurre alla sua autentica fase d'ispirazione divina i nostri sentimenti ed i nostri pensieri.

La conclusione viene da sé: bisogna dare alla vita interiore il suo posto nel programma della nostra affaccendata esistenza; un posto primario, un posto silenzioso, un posto puro; dobbiamo ritrovare noi stessi per essere in condizione d'avere in noi lo Spirito vivificante e santificante; se no, come ascoltare la sua « testimonianza »? ( Cfr. Gv 15,26; Rm 8,7 )

Vi sarebbero altri punti da considerare circa questo grande fenomeno dell'accoglienza allo Spirito Santo dentro noi.

Quale rapporto, ad esempio, vi può essere fra questa voce dello Spirito, la voce del cuore abitato dal Paraclito, il nostro difensore, il nostro avvocato, il nostro maestro interiore, e la voce naturale, quantunque anche questa tanto delicata e tanto nobile, della nostra umana coscienza?

Socrate aveva un « demone », che lo ispirava nel fondo della coscienza come una voce divina ( Cfr. Platone, Apol. 29-30 ); Gandhi obbediva ad una sua « stili small voice », che in certi momenti si faceva udire dentro di lui ( Cfr. C. Fusero, Gandhi, 511 ).

Ma senza ricorrere agli esempi straordinari, ogni uomo vero ha una sua sorgente intuitiva e normativa dentro di sé; si pone la questione: sarebbe questa voce contraria, o distinta, o coincidente con quella d'ispirazione soprannaturale del divino Paraclito?

Lasceremo la questione, ch'è principalmente di fatto, all'analisi degli studiosi, accontentandoci per ora di notare quali interessanti esplorazioni si pongano al contatto della teologia dello Spirito Santo con la psicologia dell'uomo.

Altra questione è quella vecchia, ma oggi molto in voga, che oppone la religione dell'autorità alla religione dello spirito; quest'ultima preferita dagli avversari alla Chiesa, istituzionale e gerarchica, per rivendicare la libertà d'una Chiesa democratica, che viva dello spirito espresso dal senso religioso della comunità.

Conosciamo un po' tutti le espressioni di questa critica posizione.

Noi pensiamo che la questione, posta nell'interno della Chiesa cattolica, attenti all'esistenza della Chiesa stessa e porti allo spegnersi della vera fiamma della Pentecoste, come quella che prescinde dal pensiero di Cristo e di tutta la Tradizione ( Cfr. Congar, Mystère de l'Eglise, p. 146, ss. ).

Vediamo piuttosto di celebrare bene la Pentecoste, fusione dello Spirito Santo con la sua Chiesa.

Con la nostra Benedizione Apostolica.