11 Ottobre 1972

La fedeltà ai valori permanenti ragione di vita per i cristiani

Carissimi figli,

Noi abbiamo nel cuore il Concilio, che al compiersi oggi del decimo anniversario dalla sua inaugurazione lo riempie dei suoi ricordi, del suo significato, del suo « tomo » cioè del volume dei suoi insegnamenti, dei suoi frutti, dei suoi problemi, delle sue speranze.

Ma non intendiamo oggi parlarvi di questo enorme tema, che non potremmo contenere nel breve consueto discorso dell'udienza Generale.

Sappiamo tuttavia che la memoria del Concilio è negli animi di tutti, come avvenimento destinato a crescere d'importanza, quale fattore vivo della storia spirituale della Chiesa e del mondo, oggi e per il futuro.

Lasciamo, tuttavia, tacendo, che due soavi e piissime figure siano nei nostri spiriti emblema di questa prima scadenza commemorativa: la Madonna, celebrata allora nel culto della sua divina maternità, come lampada della candida luce evangelica di fede e d'amore, diffusa su tutta la Chiesa e sul mondo; Papa Giovanni XXIII che, con genio pastorale, volle e inaugurò il Concilio, e ora ne riempie il corso delle conseguenti vicende, sempre di sé, tutto bontà e tutto speranza.

* * *

Noi ci andiamo chiedendo di che cosa abbia oggi maggiormente bisogno la Chiesa; e rispondiamo: di fede.

Cioè della adesione alla Parola di Dio, alla rivelazione divina, la quale ha in Cristo il suo punto focale, ed ha nella Chiesa la sua custodia, la sua testimonianza, la sua interpretazione.

Il discorso non sarebbe completo se noi trascurassimo di aggiungere che dalla adesione alla fede deriva un impegno morale fondamentale, un dovere generale e primario, che è la fedeltà.

Non per nulla un credente si definisce un fedele.

E incluso in questo termine un duplice significato: primo, di fermezza, di stabilità, di fortezza, e poi di coerenza, di sequela, di operosità; statico dunque, e dinamico.

È facile derivare questo concetto di fedeltà da quello di Parola data, di Patto, di Alleanza; l'alleanza, che Dio si è degnato di stabilire con l'uomo, oltre il rapporto ontologico risultante dal fatto che l'uomo è creatura di Dio, ci riporta all'antico Testamento, al patto, al rapporto religioso offerto da Dio, rivelandosi all'uomo e provocando da lui una risposta; siamo alla fede di Abramo, sulla quale si instaura la religione soprannaturale, che si perfeziona in Cristo, il quale istituisce la nuova alleanza, il nuovo Testamento ( Cfr. Mt 26,28; 1 Cor 11,25 ), fondato, non meno dell'antico, sulla fede, e consumato nell'infusione dello Spirito Santo.

Nell'uno e nell'altro regime religioso, l'antico e il nuovo, entra il concetto di impegno bilaterale, da cui deriva, da parte di Dio, una fedeltà che non mai si smentisce ( Cfr. Rm 11,29 ), mentre, da parte dell'uomo, una fedeltà che dovrebbe parimente essere irremovibile, ma spesso, pur troppo, dimostra la debolezza morale della natura di lui, vulnerata per giunta dal fallo originale.

L'uomo può essere, ed è sovente inadempiente al patto, un alleato infedele, mentre per noi cristiani questa esigenza di fedeltà, com'è noto, è stata contratta col battesimo, e confermata con ogni altro incontro con Dio, specialmente con i Sacramenti.

Grande avvenimento per ciascuno di noi il battesimo, che eleva il nostro piccolo essere di creature contaminate alla nuova condizione di figli di Dio, in certa misura associati alla sua stessa natura ( Cfr. 2 Pt 1,4 ), autorizzati perciò a chiamarlo « Padre nostro » ( Mt 6,9 ).

Dio così, finalmente, si è rivelato Amore ( 1 Gv 4,16 ).

E l'amore esige fedeltà.

Tanto che la Chiesa, l'umanità cioè assorbita nell'economia evangelica dell'amore, instaurata da Cristo, è qualificata nella S. Scrittura la Sposa di Cristo, appunto per la fedeltà virginale e feconda, che a Lui la unisce ( Cfr. Ef 5,25-27; Ap 19,7; Ap 21,2.9; Ap 22,17; Lumen Gentium, 6 e n. 64 ), e che Cristo medesimo, teste l'evangelista Giovanni, reclama con commovente insistenza: « perseverate nel mio amore » ( Gv 15,4.5.6.7.9.10, etc. ).

Ora, la fedeltà non è la virtù del nostro tempo, dove tutto è investito da un turbine di cambiamenti, che possono anche essere secondo il pensiero di Dio, il Quale chiama l'uomo allo sviluppo, al progresso, alla novità, alla perfezione, ma cambiamenti che oggi spesso sono canonizzati nella mentalità profana per se stessi, per il fatto stesso che sono cambiamenti, e sono desiderati e promossi come fossero la speranza e il successo della vita, fino ad essere considerato liberazione e vittoria il distacco radicale dalla tradizione, e metodo normale d'incremento personale e sociale la rivoluzione.

Ecco perché la Chiesa, depositaria di valori eterni e sempre operanti, sente più che mai il bisogno della fedeltà a questi stessi valori, e tanto soffre per la leggerezza e per l'infedeltà di tanti suoi figli, dei prediletti specialmente, di quelli vincolati da doveri qualificati di fedeltà.

Come altra volta dicemmo, tali valori permanenti hanno funzione di radice, di sorgente, che non paralizzano l'incremento progressivo della vitalità umana, sia del singolo individuo, sia della comunità, ma lo alimentano, lo rendono possibile, lo esigono.

La fedeltà è ragione di vita; non è pigrizia, non è catena che frena gli ardimenti dell'ingegno e dell'amore; ma, quando essa, come dicevamo, consiste nell'adesione al nostro credo, che mai non invecchia e non mai si esaurisce, apre loro il sentiero nell'ordine sempre positivo, forte e felice.

La fedeltà, sì, deriva dalla fede, la quale deve diventare principio operativo del cristiano.

Ricordiamo la parola di S. Paolo, cardine della sua dottrina: « il giusto vive di fede » ( Gal 3,11; Eb 10,38; Rm 1,17 ); badate: dice di fede non semplicemente con la fede.

Cioè il giusto, il cristiano autentico, ricava dalla fede la ragione e la norma del suo vivere, e non soltanto aderendo alla fede, come semplice veste esteriore più o meno qualificativa o decorativa, della sua esistenza.

Da questa coerenza tra la fede e la vita, tra il pensiero cristiano e l'azione pratica, tra la fermezza e la fecondità dei principii desunti dal Vangelo e l'orientamento lineare della condotta, cioè dalla fedeltà cristiana, nascono tante cose buone e generose, di cui oggi ha particolarmente bisogno la Chiesa e con lei tutti i suoi figli:

a cominciare dall'immunità e dalla saggezza critica verso la suggestione e la seduzione delle correnti aberranti di pensiero e di costume, oggi diffuse, cioè verso i conformismi illogici, ma utili di precari successi;

e poi per arrivare alla vera libertà interiore degli uomini forti della loro coscienza e del loro carattere, non che al coraggio della testimonianza militante e missionaria, e alla costanza e al gusto della lealtà verso Cristo e verso la comunità nel generoso e sofferto adempimento delle proprie promesse all'Amore sempre urgente di Cristo ( Cfr. 2 Cor 5,14 ).

Possa rinnovare in ciascuno di voi il senso di questa implacabile urgenza la nostra Benedizione Apostolica.