28 Marzo 1973

Il reale concetto del peccato

Noi vi richiameremo anche quest'oggi alla spiritualità della quaresima.

Essa si pone sulla linea teologica e pedagogica del mistero pasquale, l'opera della Redenzione da parte di Cristo, il raggiungimento della salvezza da parte nostra.

La quaresima costituisce la raggiera delle vie preparatorie che si concentrano nel mistero pasquale.

Cerchiamo di conoscere e di percorrere queste vie.

È cosa che investe non solo gli esercizi della nostra devozione religiosa, ma che mette in evidenza i problemi fondamentali della nostra coscienza morale e religiosa, quali si presentano nei loro termini ricorrenti e generali, come pure nella loro esperienza attuale e personale.

È chiaro, ad esempio, che la disciplina quaresimale mira, tra l'altro, a risvegliare in noi l'avvertenza del peccato, che è nel mondo, e che è ed è stato in noi.

Questo del peccato è uno dei temi principali di questo periodo penitenziale, che tende cioé a individuare i nostri peccati, a espiarli, a ripararli.

È un tema, si può dire, antipatico, come lo sono le malattie e le disgrazie nella vita dell'uomo; ma tema inevitabile, e assai importante, se da esso dipende il nostro essere cristiano e il nostro eterno destino.

Tema immenso, che risale, niente meno, al primo uomo, nel quale si apre tragicamente il dramma della storia, e dal quale deriva, per via di generazione, a ogni figlio di Adamo la triste eredità del peccato originale, con tutte le disfunzioni psicologico-morali della nostra natura, con la perdita della nostra vitale amicizia con Dio, e con la necessità di una rinascita nella grazia del battesimo ( Cfr. Gv 3,5 ), quale appunto la Pasqua ci farà celebrare nel rito sacramentale per i catecumeni, nella memoria e nel sacramento della penitenza per ciascuno di noi; di quanti cioè « faranno Pasqua ».

Disegno grande, profondo, nel quale l'amore misericordioso di Dio viene in traccia di noi per ristabilirci nella sua vita, nella gioia e nella pace, vale a dire nel rapporto religioso perfetto, che ha in sé il pegno di dilatarsi e di eternarsi nel regno futuro di Cristo e di Dio.

Ma a questo punto ci accorgiamo che una parola fa cardine inferiore di tutto il sistema; ed è la parola « peccato »: peccato, che cos'è?

Parliamo adesso non più del peccato originale, ma di quello che il catechismo chiama attuale.

E la difficoltà dell'uomo profano moderno a parlare di peccato nasce dal fatto che nel concetto di peccato si include un riferimento a Dio; e Dio non dev'essere più chiamato in causa nel linguaggio, anzi nel pensiero, nella coscienza dell'uomo secolarizzato, quale vuol essere il figlio del nostro tempo; il quale, occorrendo, parlerà di infrazione all'ordine ( … ma l'ordine non reclama esso pure un riferimento trascendente a Dio? ), ovvero di colpa, oppure di libero esercizio delle proprie facoltà, e così via, ma non di peccato, che implica un concetto morale, collegato per via metafisica al primo Principio d'ogni cosa, ch'è Dio.

Ebbene questa è una delle lezioni basilari che la quaresima ci ricorda e ci inculca: ogni nostra azione, libera e cosciente, oltrepassa il confine personale e segreto della nostra persona; e, volere o no, è registrata dall'occhio onnipresente di Dio; è responsabile non solo davanti al giudizio riflesso della nostra coscienza, e non solo davanti a quello del complesso sociale in cui si vive; è responsabile davanti a Dio; e senz'alcuna fatica, senza alcuno artificio psicologico, senza alcuna flessione illogica o falsamente sentimentale, chi avverte di aver commesso una infrazione al proprio dovere, una violazione voluta alla rettitudine morale, scoppia, dentro di sé, nel grido biblico: « Contro te solo [ o Dio ], io ho peccato, e ho fatto ciò ch'è male ai tuoi occhi » ( Sal 51,6 ).

Ricordate la stessa voce del figlio prodigo del Vangelo: « Padre, ho peccato contro il cielo e contro di Te » ( Lc 15,21.25 ).

Questo è importantissimo per comprendere e per vivere il cristianesimo: avere il senso del peccato.

Il che comporta avere una visione limpida della propria coscienza: viene qui spontanea la raccomandazione pedagogica, filosofica, ascetica del « conosci te stesso »; cioè dell'utilità dell'esame di coscienza, della ricerca dell'onestà interiore ( Cfr. Mt 15,11 ); della sensibilità morale e spirituale, potremmo dire della mondezza dell'anima ( Cfr. S. Caterina da Genova; cfr. Dante, Purg. III, 8: « … o dignitosa coscienza e netta » ) dell'igiene dello spirito.

V'è chi teme che questa riflessione critica su se stessi sia causa di debolezza e di scrupoli, mentre l'effetto normale dovrebbe essere l'opposto, cioè la virile franchezza, la sincerità interiore, la maturità del proprio giudizio, l'emancipazione dalle facili viltà di chi ascolta piuttosto le pressioni dell'ambiente, che non l'imperativo liberatore della coscienza ( Cfr. la vita di S. Tommaso Moro ).

Una obiezione può sorgere proprio a riguardo della coscienza:

non basta essa a stabilire la norma del nostro agire?

non abolisce la coscienza i decaloghi, i codici, i regolamenti che ci vengono imposti dal di fuori, dalle autorità, dalle strutture sociali?

Problema attualissimo, ma assai delicato.

Ripetiamo ora semplicemente: la coscienza soggettiva è la prima e immediata norma del nostro agire, ma essa

ha bisogno di luce, cioè di vedere qual è la norma da seguire, specialmente quando l'azione non ha in se stessa l'evidenza delle proprie esigenze morali;

ha bisogno d'essere edotta e allenata circa la scelta corretta e ottimale dal magistero d'una legge pubblica,

o comunque informata e sapiente circa l'ordine globale in cui si svolge la nostra vita;

e docile a questa saggezza è essa stessa che trova giusta e doverosa l'obbedienza all'ordine legittimo.

Ma ci basti per ora l'accenno fatto alla necessità di considerare le nostre azioni responsabili davanti a Dio, e di riconoscerle, se disordinate, quali purtroppo sono, peccati.

Dai quali il fiume di novità e di grazia della celebrazione del mistero pasquale ci deve felicemente purificare e guarire.

Come noi auguriamo a tutti, con la nostra Benedizione Apostolica.