13 Ottobre 1976

Auspicio di luminosa e gioiosa ricomposizione di una operante coscienza ecclesiale

Parliamo ancora del Convegno ecclesiale dei cattolici italiani, che avrà luogo a Roma alla fine di ottobre e al principio di novembre, impegnando la loro attenzione sul tema, ormai a tutti noto: « Evangelizzazione e promozione umana »; tema che interessa non solo la Chiesa italiana, ma si offre all'attenzione dell'intera cattolicità per l'evidente proposito di segnare la via operativa della nostra religione nella nuova storia dell'umanità secondo le grandi lezioni del Concilio ecumenico.

Ne parliamo senza entrare nella trattazione specifica del tema stesso, del quale si occuperà il Convegno, ma quasi girandogli intorno per accennare ad alcuni requisiti importanti che vorremmo fossero negli animi di quanti avranno la fortuna di parteciparvi.

L'esito di questo avvenimento ecclesiale, destinato ad esercitare un influsso importante nella vita ecclesiale dei prossimi anni, dipenderà dalla disposizione degli animi dei partecipanti dentro, o fuori del recinto della sua celebrazione.

È importante che gli animi di tutti vi siano bene disposti.

Possiamo chiederci: quali disposizioni d'animo si possono intravedere per la riuscita del Convegno?

Noi noteremo con franchezza che non è facile presagire quali siano queste disposizioni d'animo, perché esse sembrano essere segnate dalla mancanza di uniformità.

Ci si accorge che il nostro campo ecclesiale è gravato in diversi punti di incertezza sul proprio essere e sul proprio destino: pensate alla frequenza e all'insistenza con cui si pone una questione insolita, quella della propria identità.

Il dubbio è diventato nebbia opaca, che non lascia vedere con facile chiarezza né dentro, né fuori la propria coscienza, perfino in chi dovrebbe avere per eredità di educazione e per carisma proprio del suo stato nella Chiesa di Dio, la visione limpida del suo essere cristiano e del suo dovere di fedeltà.

Il dubbio si è per di più reso fitto e abituale dalla equivoca interpretazione che da molti oggi si dà al così detto « pluralismo », quasi che questa formula autorizzasse l'incertezza su verità e su dottrine che non la ammettono, essendo queste verità e queste dottrine garantite dall'inviolabile presidio della fede e del magistero autorevole della Chiesa.

La libertà non è stata sempre impiegata secondo la sua vocazione alla verità e alla scelta amorosa del volere divino ( Cfr. 2 Cor 3,17 ), ma come un'arbitraria licenza di camminare alla cieca, secondo impulsi, istinti, o interessi personali, fino a smarrirsi, anche nel campo religioso, in quel libero esame, che dissolve l'unità della fede e debilita l'energia dell'amore cristiano.

Di più, coefficienti esterni hanno contribuito a svigorire la interiore franchezza degli animi, e a disgregare l'armonica compattezza del corpo ecclesiale:

pensate alla crisi del nostro costume associativo;

pensate alla contagiosa diffusione della moda anti-autoritaria;

pensate all'invadente opinione della liceità,

della permissività,

anzi della fecondità della contestazione sistematica, come fonte di novità vitale e di creatività originale.

Su tutto questo complesso problema della disgregazione spirituale e sociale, che caratterizza tanti fenomeni del nostro mondo contemporaneo, si potrebbe fare uno studio analitico molto istruttivo,

non solo per rilevarne gli aspetti patologici e per prevederne le fatali conclusioni di decadenza civile o di oppressione politica,

ma anche per ritornare con riconfortato pensiero alla nostra visione dell'umanità, chiamata per divino disegno ad essere Popolo di Dio, Corpo mistico di Cristo, Famiglia di fratelli compaginata nell'amore e nell'unità, cioè ad essere Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.

Questa sarebbe l'ottima conclusione del menzionato Convegno: la ricomposizione luminosa e gioiosa della nostra operante coscienza ecclesiale.

Per raggiungere questo felice risultato noi sigilleremo le nostre raccomandazioni in una brevissima formula dell'antichità classica, desunta dall'arte della navigazione: remis velisque, con i remi e con le vele bisogna navigare.

Quando noi parliamo di Evangelizzazione e di promozione umana noi ci collochiamo nel campo operativo della Chiesa; noi supponiamo acquisita la fede, anzi ne facciamo il principio della nostra azione caritativa: « la fede, dice S. Paolo, opera per mezzo della carità » ( Gal 5,6 ).

Si tratta di operare.

A tal fine occorrono, nel mare del tempo, nel fluttuare della storia, due ordini di energie: le energie delle nostre braccia, cioè dell'impegno della nostra attività umana; ecco i remi, simbolo della nostra personale fatica; e occorrono le energie imponderabili, ma effettive e superiori dello Spirito Santo, del Quale le vele sono simbolo eloquente.

Remis velisque; in altre parole ritorna la formula ben nota, e non più profana, ma cristiana: ora et labora; prega e lavora.

Occorre il concorso simultaneo dell'aiuto di Dio e dell'attività umana.

Questo sembra quasi un gioco di parole, mentre invece ci fa riflettere in sintesi alla causalità complessa e concorde, donde deve procedere l'attuazione del duplice programma a noi proposto: evangelizzare e promuovere l'umano benessere.

Un programma positivo, non negativo, né semplicemente critico, polemico e contestatore;

un programma ottimista, non corroso in partenza da pessimismo critico ed acerbo, bevuto a sorgenti inquinate della lotta sistematica dell'uomo contro l'uomo;

un programma coordinato della forza trascendente della religione con quella sperimentale dei mezzi umani.

E ci persuade, ancora una volta, a preparare il Convegno ecclesiale imminente nell'ansia e nel proposito di quella carità ecclesiale, che è il vincolo della perfezione, così che, come conclude S. Paolo, « la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati per comporre un solo corpo e siatene riconoscenti » ( Cfr. Col 3,15; De Lubac, Méditations sur l'Eglise, pp. 198 ss. ).

Con la nostra Apostolica Benedizione.