Una fotografia della realtà

"Italia sempre più anziana", "Anziani sempre più soli", così titola l’Avvenire del 2 novembre 2000.

Sono i dati "clamorosi" della "Relazione biennale al parlamento Italiano sulla condizione dell’Anziano: 1998-1999" del Dipartimento degli affari sociali della presidenza del Consiglio.

Di seguito i dati emergenti di questa "Relazione biennale":

Nel 1950 un genitore contava statisticamente su più di 5 figli

Nel 2000 un genitore conta statisticamente su 2,4 figli

Nel 2050 un genitore conterà statisticamente su 0,9 figli

Stiamo dunque andando verso un ambiente sociale con molti anziani, molti senza figli senza la possibilità di essere assistiti.

Nel 2025:

gli ultrasessantenni passeranno dagli attuali 9 milioni 600mila a 17 milioni 700mila

gli ultraottantenni passeranno da 1milione a 3 milioni 800mila

i giovani (da 0 a 19 anni) passeranno da 17 milioni 400mila a 6 milioni 800mila

A Torino su meno di 1 milione di abitanti nella città circa 190mila sono le persone con oltre 65 anni di età

Questi dati ci portano a considerare come l’invecchiamento della popolazione è un fatto cui l’ambiente sociale italiano va irrimediabilmente incontro, ma non è da considerare come un male incurabile all’ultimo stadio.

Va studiato un cammino per far prendere coscienza, soprattutto alle giovani generazioni, come la persona anziana non è un residuo del tempo che passa, non è un peso inutile, ma vanno riscoperte le sue qualità, le sue funzioni ed i suoi carismi.

Dalla sua presenza come memoriviva dell’esperienza della vita, alla testimonianza dei valori umani; dalla esperienza di lavoro al suo essere testimone di eventi storici…

Il geriatra Antonini riflette su questi dati e afferma: "…non stiamo assistendo ad un invecchiamento progressivo della popolazione, ma ad un prolungamento dell’età matura.

Provate a tendere un elastico tenendolo alle estremità: si allunga il segmento centrale.

Così con l’aumento dell’aspettativa di vita si è allungata l’età di mezzo, cioè la maturità, non i due estremi: infanzia e vecchiaia.

Questa è la rivoluzione. L’inizio della vecchiaia stabilito a 65 anni risale agli anni ’60.

Negli anni ‘70 la vecchiaia segna le persone ritenute ormai di fatto fuori dal mercato del lavoro e negli anni ’80 questi sono stati definiti "terza età", vale a dire: una parte della vita.

Negli anni ’90 gli ultrasessantenni si riscoprono detentori di diritti per una normalità di vita e si può parlare di "SENIOR", non di anziani.

Ed è corretto: "i vecchi" sono oramai gli ultraottantenni, non i 60-70enni."

I ricercatori della SODEXO (cfr. Famiglia Cristiana n° 44/99) sostengono che gli anni 2000 saranno gli anni del "potere" per gli anziani: "più numerosi, lavoreranno più a lungo, occuperanno progressivamente le sfere economiche e politiche, modificheranno gli equilibri sociali e affettivi e porteranno la società a concentrarsi sui loro bisogni e sulle loro aspettative come i più giovani hanno fatto dagli anni ’70 ai ‘90".