Dal discorso del Fratel Leone di Maria

B142-A2

( appunti stenografici )

La sera del 7 maggio 1955, alle ore 21, fu tenuta nel salone del Collegio San Giuseppe in Torino la commemorazione ufficiale del primo anniversario del transito del Fratel Teodoreto.

Oratore il C.mo Fratel Leone di Maria F.S.C., Postulatore Generale dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane.

Discorso scintillante di osservazioni acute; strettamente obbiettivo e contenuto in misura, vorremmo dire, di preludio, come di chi accenni tutti i temi, senza farli oggetto di particolari sottolineature, per l'equilibrio stesso di un'esposizione che dura soltanto una ora, ma mirando a mettere in rilievo essenziale quello che immediatamente conta di più: la figura del santo nel Fratello.

Discorso piacevolissimo ad ascoltarsi, la cui fine sorprese l'uditorio, come chi ritiene siano passati solo cinque minuti ed è invece trascorsa un'ora.

Per i Lettori del nostro Bollettino, pubblichiamo qui sotto i passi più salienti del discorso, ricavati dai nostri appunti stenografici, e chiediamo venia all'Oratore delle eventuali inesattezze che involontariamente ci fossero sfuggite, rendendogli nel tempo stesso le più sentite grazie per l'effetto e per il valore di autorità che la sua parola ha conferito a questa prima commemorazione ufficiale del nostro Fondatore.

Nel settembre del 1922, alla festa annuale dell'Unione, presieduta dal Cardinale Richelmy, il P. Reginaldo Giuliani O. P. fece un solenne elogio pubblico del Fratel Teodoreto, suo maestro, il quale ultimo fu chiamato alla ribalta, benché si fosse nascosto.

Salito sul palco, per lui ferale, si inginocchiò davanti al Cardinale, perché lo benedicesse.

Poi, terminata la cerimonia, senza profferir verbo, si ritirò in cella e per quattro giorni fu assalito da febbre altissima.

Questa sera, posso parlare di lui, non per fargli dispiacere, ma per edificare noi stessi, per incitare noi stessi a seguire gli esempi, che ci ha dato.

La sua fu una vita senza varianti, veramente notevole per monotonia.

E vorrei dire della sua santità, evidentemente con l'intenzione di rispettare tutta la volontà del Papa Urbano VIII: santità che ho presentato stamane agli alunni del Collegio come la santità lasalliana tipica.

Non si deve fare alcuna differenza tra l'adempimento del nostro dovere e l'avanzamento nella perfezione.

Mai avanzeremo tanto nella perfezione quanto compiendo bene il nostro dovere.

È una formula che smorza gli entusiasmi.

L'Avvocato del diavolo nella causa del Beato Fr. Benildo, con una certa presunzione e con voce artificiosa per convincere maggiormente, disse: « Certo era un religioso fervente, un maestro applicato, zelante, comprensivo, ma dovremmo noi ora mettere sugli altari tutti i religiosi che osservano bene la loro regola, tutti i maestri che compiono bene il loro ufficio?

Dov'è l'eroicità? dove le macerazioni? dove i prodigi? ».

Chi prese le difese del Fratel Benildo fu il Papa Pio XI che disse: « A fare qualche gran bel colpo, qualche gesto eroico, en passant, in circostanze eccezionali, molti se la sentono.

Ma fare ogni giorno il proprio dovere e tutti i propri doveri, soprattutto quando sono monotoni e senza nessuna risonanza dinanzi al mondo, e impegnarsi per tutta la vita ad avere sempre lo stesso entusiasmo, la stessa perfezione come se fosse la prima volta che si accostano questi doveri, la fedeltà a questo terribile quotidiano che logora le anime che non sono fatte di acciaio, questo è eroico ».

Il Fr. Teodoreto è eroico in questo terribile quotidiano.

Terribile per tutti, perché ogni giorno porta nuovi doveri e non tutti brillanti; terribile per il religioso, per l'insegnante, per il religioso-insegnante, perché le sue giornate sono piene di molti doveri senza ricompensa.

Ed essere fedeli dopo tanti anni come nel primo giorno, costa; e di questi giorni il Fr. Teodoreto ne visse 23.360 e furono da lui vissuti per la perfezione nel dovere l'ultimo come il primo.

Questa sera voglio considerare la santità del Fr. Teodoreto sotto un altro aspetto.

Vorrei dire che la sua è la santità che salva i canoni della santità all'antica ed alla moderna.

La sua è la santità perenne.

Abstine et sustine: è la formula completa della santità, ma la santità all'antica è piuttosto quella che bada soprattutto all'abstine.

Gli antichi insistevano sull'astenersi, sulle virtù che noi diciamo negative.

Benché nessuna virtù sia negativa, sono virtù che sanno soprattutto di rinuncia: povertà, obbedienza, mortificazione.

Povertà.

Egli fu campione in questa virtù.

Decorosissimo sempre, questa fu una delle sue caratteristiche.

Veramente povero anche negli abiti, usati fino al logorio.

Il Fratello incaricato della biancheria, quando c'era qualcosa che non sapeva più a chi dare, la dava al Fr. Teodoreto, perché sapeva di fargli piacere.

Non diciamo della sua castità che gli risplendeva nel volto come il sorriso del fanciullo; era impressionante l'aria di purezza che emanava dalla sua presenza; si era conservato qualcosa di infantile in lui, era l'innocenza del fanciullo, immacolata fino alla tomba.

Obbedienza.

Questa virtù in cui pare che l'uomo si maceri, e che è virtù forte ed esige coraggio grande, fu da lui praticata sempre.

Un cenno, un ordine, dato a lui personalmente o dato a tutti, era da lui osservato.

Non cercava scuse, ignorava tutti gli infingimenti e tutte le arti che servono a sfuggire all'obbedienza e sono lontanissime dalla santità.

L'ubbidienza in lui era una meraviglia.

Quando ero Direttore, veniva frequentemente per ottenere una classe, un corridoio, in cui poter svolgere i ritiri della sua Unione e talvolta non lo si poteva accontentare.

Non faceva la menoma insistenza.

Un'obbedienza che è tanto più da apprezzare in quanto non è la obbedienza del fanciullo che si sente impotente.

Aveva diretto classi e scuole, era stato Ispettore di tutte le Opere della Mendicità Istruita ( ora Opera Munifica Istruzione ) che aveva cinque o sei scuole; era stato Direttore di una Congregazione, Fondatore di una Congregazione nuova, ma quando gli toccava ubbidire, era più obbediente di un novizio.

Mortificazione.

Grandi mortificazioni non ne fece forse mai.

Certo non dovette ignorare gli strumenti di penitenza.

Si narra di un Fratello che svenne un giorno a S. Pelagia e che fu portato sul primo letto che si trovò ( quello del Fr. Teodoreto ).

Questo Fratello disse poi che non sarebbe mai più andato a dormire nel letto dei santi, ma sempre in quello dei peccatori, perché sono più morbidi.

Il Nostro non dovette ignorare gli strumenti di penitenza, ma la sua mortificazione fu piuttosto quella dello spirito, del contegno, dell'osservanza regolare perfettissima, fino alle minuzie.

Il Fr. Cecilio che gli è vissuto accanto tanto tempo e lo conosce meglio degli altri, nota la sua fedeltà nelle cose minime, che non sono nemmeno di regola, ma solo suggerimenti.

Il santo, anche se non ha fatto il voto del più perfetto, è portato a scegliere sempre il meglio.

Fu fedelissimo per es. a salutare tutti i Fratelli scoprendosi il capo.

E ne avvengono degli incontri su e giù per le scale ed i corridoi del San Giuseppe!

Troncava le occupazioni al primo suono di campanello.

Fedelissimo a chiudere piano le porte.

Curioso che siano molte le regole di santità che raccomandano questo.

Si narra che S. Francesco di Sales a un suo penitente che voleva far grandi cose per il Signore, dicesse: « Io penso che il Signore voglia da voi che chiudiate un po' più piano le porte di casa vostra ».

Fedelissimo nell'usare sempre la calotta, nel portare sempre il mantello ben agganciato sopra di sé.

Chi l'ha mai visto senza mantello? sia pure in gita?

Eppure è un sollievo legittimo.

Lui badava anche a queste cose.

Portava la divisa così come l'aveva voluta il Fondatore.

Fedelissimo a lavorare sempre nella sala comune e non in camera, anche quando componeva la vita di Fra Leopoldo.

Certo è più comodo poter lasciare tutto in cella dove nessun altro passa, ma il criterio della comodità non è il criterio della santità.

Fedelissimo a salutare col « Viva Gesù nei nostri cuori », benché non sia di regola.

Qualcuno potrà domandare: « ma la santità è fatta di queste storielle? ».

No, di certo, non consiste la santità nel tenere o levare il mantello.

Ma è pur vero che queste non sono più storielle quando in ogni cosa anche minima si vede la volontà di Dio che così preferisce.

E l'anima generosa si sorveglia e non viene meno.

Nessuno ha mai potuto cogliere il Fr. Teodoreto in flagrante violazione della menoma regola.

E questo non con grettezza di spirito, non con l'intenzione di imporre agli altri di fare tutto con la medesima perfezione, ma con la persuasione che la perfezione è fatta di cose grandi, che non escludono le piccole.

Questi sono i canoni della santità all'antica e lui li ha salvati tutti.

Ma ha salvato bene anche i canoni della santità alla moderna.

Oggi si insiste di più sul concetto di donazione che su quello di privazione.

La santità dei giorni nostri ha questa caratteristica: ha raggiunto un miglior equilibrio fra l'abstine ed il sustine.

Per spiegarmi con qualche esempio pratico: nei tempi passati il Padre spirituale non avrebbe detto ad una bella giovane: « serviti della tua bellezza per dilatare il Regno del Signore ».

« Sii pure elegante e attraverso la tua eleganza procura di far amare il Signore ».

Oggi, invece, sì.

Il concetto antico era diverso, direi che era predominante la preoccupazione della salvezza personale.

Oggi è predominante la preoccupazione per il regno di Dio.

Anticamente avevamo santi che non si facevano la barba.

Oggi non si capisce perché le cose che dispiacciono agli uomini, possano piacere a Dio.

Oggi non si metterebbe qualcosa a guastare un cibo; lo si prende e lo si assapora lodando Dio ed in questa riconoscenza sta la perfezione, non nello spargere cenere.

Così si legge che quando le vennero offerte due chicche, S. Teresina ne prese una dicendo: « questa è per Teresa e questa è per Gesù.

Ma poiché Gesù e Teresa sono una cosa sola … ».

Anche ora ci imponiamo delle rinuncio, ma quelle che sono necessario per fare il bene: si dormirà meno; si terrà un tono austero di vita perché ciò è imposto dal nostro dovere; flagelli e cilizi sono utili come simbolo, come richiamo per non lasciare che il corpo domini e Io spirito soggiaccia, ma le cose belle non si rovinano.

Vedete come il Fr. Teodoreto aveva cura del suo corpo, come fosse osservantissimo dell'igiene.

Anche ai giovani dava consigli di didattica e di igiene.

Non trascurava di dare ai suoi Fratelli il sollievo di un'aria migliore ( la villa di Pessinetto ), quando era direttore.

Era un santo che guardava sempre allo spirito e non perdeva di vista il corpo.

Mangiava con buon appetito.

Tra un santo che va piangendo in refettorio e uno che va per mangiare, io sto per quest'ultimo.

Star vicino a un santo che sa solo astenersi, non è gradito.

Questo non vuoi dire che mancasse di mortificazione: quando dovette mangiare senza sale, cose insipide, sempre le stesse, nessuno l'ha mai visto fare la menoma smorfia: le prendeva con 'o stesso sorriso con cui prendeva le altre quando era a regime normale.

La sua fu una santità fatta di iniziative.

Su tanti Fratelli che in tre secoli sono passati nella Congregazione è il primo che ha preso l'iniziativa di fondare una nuova congregazione senza lasciare la propria.

La iniziò come Pia Unione.

A poco per volta nacque il desiderio di far cose migliori, fino a pronunciare i voti religiosi, pur restando nel mondo.

Oggi è una vera congregazione riconosciuta come Istituto Secolare.

E la « Casa di Carità Arti e Mestieri » che molti di voi sostengono?

Opera della Provvidenza, ben inteso, ma bella iniziativa fatta dai suoi catechisti sotto la sua direzione.

Tutte queste virtù sono dominate dalla carità, perché la carità è la prima e la più grande delle virtù, Io ha proclamato Nostro Signore.

La carità del Fr. Teodoreto!

Nessuno che fosse in soggezione vicino a lui.

In generale non si sta bene vicino ai santi: si teme il loro giudizio. Con lui, no.

Fu anche infermiere in comunità: i malati dissero la delicatezza, la tenerezza, la squisitezza che aveva per essi, le ore che passava in veglia, dopo la giornata di scuola, le cure con cui seguiva la convalescenza.

Un Fratello, noto per la sua magrezza, fu chiamato un giorno a sostituire in classe un altro malato; a metà mattina il Fr. Teodoreto, direttore, lo chiama, lo accompagna in cantina, gli stura una bottiglia e gliene fa bere un buon bicchiere: « adesso la scuola la farà meglio ».

Mi piacciono i santi che volano in estasi, ma un santo che scende in cantina per ristorare un Fratello debole di stomaco, lo preferisco.

La carità è quella che fa i santi; e non la carità spirituale.

Al Giudizio Nostro Signore parlerà solo della carità materiale.

Non è dunque cosa di second'ordine o di seconda categoria.

I canoni della santità lasalliana, della santità all'antica, della santità alla moderna, tutto questo amalgama ci ha convinti della sua santità.

Perdite gravi ha subito il Collegio quest'anno, Fratelli che rappresentavano la poesia, la benevolenza, l'arte.

Il Fr. Teodoreto rappresentava la santità.

Di Mons. Francesco Paleari, ( che fu a contatto del Fr. Teodoreto ) si legge che mandato a rappresentare il Cardinale, qualcuno vedendo quell'ometto senza apparenze e senza valore, chiedesse: « E costui chi rappresenta? ».

Non fu risposto: « il Cardinale ».

La risposta fu: « Costui rappresenta la santità ».

Così possiamo dire del Fr. Teodoreto.

Questo il concetto che hanno avuto tutti quelli che furono a contatto con lui: i suoi alunni, i Sacerdoti che Io avvicinarono, i suoi confratelli che erano con lui giorno e notte, i superiori e gli inferiori: cosa più difficile ad ottenersi, quest'ultima.

In antico i santi venivano proclamati tali dal popolo.

Oggi le testimonianze non bastano.

Ci vogliono i processi ed i miracoli.

Una bella causa deve essere il risultato dei due modi : quello antico e quello moderno.

Prima di cominciare il severo esame attraverso i processi diocesani ed apostolici, bisogna che ci sia la conoscenza e che si provochino i miracoli chiedendo grazie e suggerendo di chiederle anche nei casi gravi.

Bisogna che ci sia questo movimento di devozione intorno all'urna.

Allora sarà legittimo iniziare le indagini.

Tocca a noi che l'abbiamo conosciuto mantenere viva la fiamma della sincera ammirazione che abbiamo per lui, farlo amare, farlo invocare.

Già ci sono alcuni miracoli attribuiti a lui e grazie tutt'altro che trascurabili.

L'esame delle sue virtù non incontrerà quasi difficoltà.

Concludiamo ricordando che dobbiamo imitare le sue virtù e non solo ammirarle.

Pratichiamo la divozione alle cinque piaghe di cui fu un fervido propagatore ( a milioni di copie ) sempre insistendo perché venisse praticata.

Gesù è la nostra Salvezza, il nostro Redentore.

Dobbiamo tutto aspettare da Lui; le sue piaghe hanno scontato i nostri peccati.

Aiutiamo anche noi quest'opera nel modo che ci è possibile: con la simpatia, con l'incoraggiamento, con l'azione.

Aiutiamo la Casa di Carità.

Innamoriamoci tutti quanti a tentare la grande avventura che egli tentò: la santità.

Ci sono uomini che varcano i mari per cercare l'oro e per conquistare i regni, uomini che solcano l'atmosfera per raggiungere primati di altezza, uomini che scandagliano abissi e scalano vette, ma nessuna avventura è grande come l'avventura della santità.

Il santo non si contenta dei primati terreni, vuole conquistare Dio, le cose del tempo lo interessano poco.

Egli mira all'eternità.

Tentiamo anche noi la santità di questo terribile quotidiano che fu la formula della santità del Fr. Teodoreto.