Inter praeteritos

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Parte VII

Di alcune dichiarazioni contenute nella Costituzione "Convocatis" in ordine al presente Giubileo; e, innanzitutto, delle dichiarazioni che riguardano le persone che lo vogliono conseguire

68 Il celebre Giovanni de Anania, che morì nel 1458, compose un piccolo Trattato del Giubileo; alla fine di esso propose alcuni quesiti, fra i quali si leggono i seguenti:

se giovi il Giubileo al Vescovo, che viene a Roma per conseguirlo, senza aver prima ottenuta la licenza dal Papa;

se giovi al Parroco, che viene senza licenza del Vescovo;

se al Monaco, che viene senza licenza dell'Abate;

se al marito, che viene senza licenza delle moglie;

e se alla moglie, che viene a Roma senza licenza del marito.

Fu proseguito l'esame dei medesimi dubbi verso il 1599 dal Benzonio, più volte citato;129 la risoluzione fu non essere lecito ai sopraddetti partire dalle loro Patrie per venire a Roma a prendere il Giubileo dell'Anno Santo, senza la previa licenza dei loro Superiori.

Venendo senz'essa, peccano; ma se venuti a Roma, di questo peccato e di tutti gli altri si confessano con vero dolore, e fanno quanto è prescritto per guadagnare l'Indulgenza, la guadagnano.

Il Quarti130 concorda nelle stesse massime; solo aggiunge non poterla moglie venire senza licenza e consenso del marito; poter però il marito venire senza il consenso della moglie, purché la sua assenza non sia di molto tempo, o di grave incomodo o danno alla moglie e alla famiglia; con molta ragione alzala voce contro i Religiosi e contro i Curati che senza le necessarie licenze intraprendono il viaggio di Roma, per ottenere il Giubileo dell'Anno Santo, dovendosi intendere che l'invito generale, che fa il Sommo Pontefice a tutti, comprende solamente coloro, che possono venire lecitamente e con le debite circostanze.

Aderisce a questa opinioneil Costantini nel suo Trattato dell'Anno Santo.131

Nella sopra citata nostra Lettera Enciclica del 26 giugno di quest'anno sulla preparazione all'Anno Santo, abbiamo, coerentemente ai predetti pareri, stabilito la risposta ai detti punti, come può leggersi nella medesima.

Ci riferiamo alla Lettera Enciclica dalla quale per necessità deriva la prima dichiarazione espressa nel n. XLIII, che "personis Romam ad hoc Jubilaeum consequendum venire volentibus", non s'intende data la libertà di venire senza licenza e consenso, per altro titolo necessario dei Superiori.

69 Il Pontefice Bonifacio VIII nella sua più volte citata Decretale "Antiquorum", fra l'Estravaganti comuni "de poenitentiis et remissionibus", stabilì la visita di trenta volte delle sacre Basiliche per i Romani, e la visita di quindici volte per i pellegrini e i forestieri: "Si fuerint Romani, ad minus triginta diebus continuis, seu interpolatis, et saltem semel in die; si vero peregrini fuerint, aut forenses, simili modo diebus quindecim ad Basilicas easdem accedant".

Queste stesse parole si ritrovano nell'altra Decretale di Clemente VI, che incomincia "Unigenitus".

Lo stesso linguaggio fu adoperato dal Pontefice Clemente VII nell'intimazione del Giubileo con la Bolla "Inter solicitudines", spedita il 17 dicembre 1524.

In progresso di tempo alla parola "Romani" fu aggiunta l'espressione "vel Urbis incolae" e fu tolta la parola "Forenses", come può vedersi nella Costituzione di Gregorio XIII, che incomincia: "Dominus ac Redemptor: Triginta continuis, vel interpolatis diebus semel saltem in die, si Romani vel Urbis incolae fuerint: si vero Peregrini, quindecim diebus devote visitaverint", ed in molte altre.

70 Ancorché la parola "Romani" sembrasse incapace di qualsiasi controversia, non fu però così, poiché, essendo non solo Romano quello che è nato ed abita in Roma, ma quello ancora che, nato in Roma, ha trasferito altrove il suo domicilio, si dubitò se, venendo questi a Roma l'Anno Santo per guadagnare il Giubileo, dovesse visitare trenta o quindici volte le Basiliche.

Il Navarro132 fu del parere che bastassero le quindici volte, dovendo in questo caso prevalere il domicilio sull'origine, tanto più che il Romano che ha altrove il domicilio, e viene a Roma, subisce lo stesso incomodo del viaggio, che subisce il forestiero o il pellegrino. Il Benzonio,133 al contrario lo crede obbligato a fare le trenta visite: "Turpe est enim virum Romanum vel avaritiae, vel accidiae, seu corporis vitio laborare praesertim in eo Anno, in quo Urbs tota gaudio, jubilatione, munificentia, atque singularissima festivitate refulget".

Inoltre si propone il quesito, se sotto nome di "Romano", e per l'effetto di cui si tratta, restasse compreso anche quello che abita nelle vicinanze di Roma.

71 Alle dispute sopra la parola "Romano" ne seguirono altre perle parole: "vel Urbis incolae".

Il Navarro, nel luogo citato, n. 43 dice che sotto il nome "incolae" nel caso presente deve intendersi chi sta in Roma un anno, o almeno che vi sta tanto tempo, che possa dirsi abitatore di Roma.

Il Quarti ed il Costantini discorrono praticamente.

Il primo,134 vuole che sotto le parole "incolae Urbis" s'intenda chi non è nato in Roma, né è oriundo, ma vi ha contratto il domicilio, e che perciò i curiali, i procuratori, gli avvocati, i cortigiani siano obbligati alle trenta visite, e che allo stesso obbligo siano tenuti gli scolari, i mercanti, ed i litiganti che abitano in Roma la maggior parte dell'anno, avendo tutti questi contratto, se non un vero domicilio, almeno un quasi domicilio.

Il secondo,135 considerando che si prescrive ai pellegrini il solo numero di quindici volte per ragione dell'incomodo sofferto nel viaggio, e si prescrive ai Romani ed abitanti in Roma il maggior numero di trenta volte, giacché essi non hanno sopportato il predetto incomodo e disagio, dice che sono tenuti all'obbligo delle trenta volte tutti coloro che non hanno sofferto l'incomodo del viaggio.

Inoltre restino esenti dal peso più grave, ed obbligati a quello più leggero, cioè alla visita di quindici volte, tutti coloro che hanno sopportato l'incomodo del viaggio.

72 Nella nostra Costituzione "Peregrinantes", nella quale abbiamo intimato l'Anno Santo, ci siamo serviti delle seguenti parole: "Per triginta continuos, aut interpolatos dies si Romani vel Incolae Urbis; si vero Peregrini, aut alias externi fuerint, per quindecim saltem huiusmodi dies devote visitaverint".

Chiosando in quest'ultima nostra Costituzione al n. XLIV le dette parole, abbiamo detto, ed ora ripetiamo, che vanno compresi sotto il nome di Romani tutti quelli che sono nati ed abitano in Roma, o che sono nati ed abitano nel distretto di Roma, che è come dire nelle vigne dentro le cinque miglia dalla Città, essendo questa l'intelligenza legale della parola Romano, come molto bene riflette lo Spondano:136 "Juresconsulti responderunt, eos, qui in continentibus Urbis nati sunt, Romae nato sintelligi; Romam enim esse etiam qua continentia aedificia essent; nec Romam muro tenus existimari, ex consuetudine quotidiana posse intelligi; cum diceremus Romam nos ire, etiamsi extra Urbem habitaremus".

Abbiamo detto e ripetiamo che sotto il nome "incolae Urbis" vanno intesi tutti quelli che sono venuti a Roma con animo d'abitarvi la maggior parte dell'anno, e tutti quelli che stando in Roma per qualche impiego, o per ritrovare impiego, se non contraggono un vero e rigoroso domicilio, almeno contraggono un quasi domicilio "Deus plebis Israel elegit patres nostros, et plebem exaltavit, cum essent incolae in terra Aegipti, et in brachio excelso eduxit eos ex ea": leggesi negli "Atti degli Apostoli. ( At 13,17 )

Ed i buoni Professori della lingua latina dicono che "incolae" siano quelli che, nati altrove, abitano in un luogo, ove hanno eletto d'abitare, ancorché non ne siano cittadini; nel numero perciò dei quali debbono annoverarsi i curiali, procuratori, avvocati, cortigiani, scolari, mercanti, litiganti, ed altra simile sorta di gente.

Ciò fu anche ben avvertito dall'antico chiosatore della Decretale "Antiquorum, de poenitentiis et remissionibus, inter extravagantes communes, in verbis Forenses", che usò le seguenti parole: "Quid de Curialibus existentibus in Curia papali, respondet Sixtus Papa, illos facere debere triginta dies.

Et est ratio, quia isti nec vere peregrinantur, nec vere sunt forenses, sed ut moraturi in Curia accedunt".

Sono dunque obbligati a visitare trenta volte le Basiliche tutti i sopraddetti.

Allo stesso numero di visite abbiamo dichiarato e dichiariamo obbligati anche quelli che vengono a Roma per causa diversa dal conseguire il Giubileo, perché, lasciando da parte la controversia se possano costoro comprendersi sotto il nome "incolarum urbis", è cosa certa che, avendo sofferto l'incomodo del viaggio per altro motivo, non debbono essere in grado di conseguire il Giubileo che facendo la visita delle Basiliche trenta volte.

Altrettanto per tutti quelli che, venendo a Roma al fine di guadagnare il Giubileo, in essa si trattengono per più di sei mesi, potendo senza grave incomodo, nel corso di tale tempo, adempire per trenta volte la visita delle Basiliche.

Abbiamo seguito l'esempio dei nostri Predecessori più vicini a Noi, eliminando la parola "Forenses", che altro, secondo il linguaggio del medioevo, non poteva additare che i forestieri, come ben osserva Luca Holstenio, 138 commentando le parole del Sinodo Romano del nono secolo sotto Leone IV: "Tantam superfluitatem Presbyterorum forensium".

Ci siano avvalsi dell'antica parola "peregrini", che sono quelli che viaggiano per venire alla visita de' Sacri Limini, e conseguire la santa Indulgenza: "Advena sum, et peregrinus apud vos" si legge nella Genesi. ( Gen 23,4 )

Alla parola "peregrini" abbiamo aggiunto l'altra "externi", che non soltanto secondo il buon idioma latino, ma quello che più importa secondo il linguaggio delle divine Scritture, significa il forestiero, o di altro paese; onde nell'"Esodo, cap. 23" si legge: "Per nomen externorum deorum non jurabitis, neque audietur ex ore vestro"; ( Es 23,13 ) e nei "Numeri, cap. 1": "Quisquis externorum accesserit, occidetur"; ( Nm 1,51 ) e nel capo terzo: "Externus, qui ad immolandum accesserit, morietur". ( Nm 3,10 )

Ritornando al nostro proposito, abbiamo dichiarato, e dichiariamo comprendersi sotto il nome di "peregrini", o "externi", tutti gli alti che, giusta la spiegazione poc'anzi data, non sono compresi sotto il nome di "Romani", o di "incolae Urbis".

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129 De Anno Jubilaei, lib. 5, a dub. 14 ad dub. 18
130 Trattato del Giubileo dell'Anno Santo, p. 67 cap. 1, punt. 6, dubb. 1 e ss.
131 Part. 2, cap. 4, p. 103 e ss.
132 De Jubilaeo et Indulgentiis, n. 42, p. 163
133 De Anno Jubilaei, lib. 5, dub. 3
134 pp. 126 e ss.
135 pp. 119 e ss.
136 Epitome annal. Card. Baronii, ad ann. 1 in princip.
138 Tomo 8, Collectionis Labbeanae Concilior., p. 138